Chapter nineteen: Aurora
Volevo davvero bene a Clarissa, forse più di quanto ammettessi anche a me stesso, e non mi ero pentito di averla difesa dinanzi alla McGranitt, lo avrei rifatto altre mille volte ancora. Eppure, in quel momento, mentre mi trovavo costretto a lavare e spolverare tutta l'aula di Rune Antiche, soltanto per un flebile attimo, l'avrei voluta ammazzare per quanto era stata incosciente!
Avevo anche saltato gli allenamenti di Quidditch, proprio quando ci saremmo dovuti preparare al meglio per la partita con i Serpeverde, senza contare che ormai Clarissa e Thomas erano diventati la coppia-non coppia dell'anno, e la speranza che mi avrebbe potuto dare dei consigli proprio contro di loro, era impossibile. Glielo avevo chiesto già quattro volte durante la settimana, e per tutta risposta, era stata sempre in grado di cambiare discorso, assurda! Non si dava neanche pena di nasconderlo. La vedevo guardare Thomas ogni tanto, con quello sguardo sognante, gli occhi che s'illuminavano ogni qual volta entrasse nella stanza, il sorriso compiaciuto che aveva quando le girava attorno, il modo in cui parlava di lui, come quella sera nella stanza. Tutto ciò mi rendeva tremendamente invidioso. In cuor mio, avrei voluto anch'io qualcuna mi guardasse così, che mi amasse così. Come Clarissa amava Thomas. Non ero sicuro che la meritasse, rimaneva sempre e comunque un grande stronzo, ma dovevo ammetterlo, per lei era cambiato, o almeno ci provava. Nessuno cambia mai davvero, al massimo rivela la sua vera essenza.
Mentre finivo di riordinare tutti i manoscritti, dopo aver pulito da cima a fondo tutta la sala, Lorelaine mi guardava dalla testa ai piedi, seduta a gambe incrociate sopra la scrivania, mentre distrattamente si limava le unghie. Con i lunghissimi capelli rossi legati in una coda che le lasciava soltanto una ciocca morbida sul volto, e l'immancabile rossetto rosso appena sistemato sulle labbra, due chili di mascara e fondotinta, aveva un aspetto impeccabile e accurato in qualsiasi ora del giorno. Da una parte questa collaborazione, ci aveva dato la possibilità di scoprirci di più e di capirci meglio. Non era una cattiva persona, era soltanto una ragazza che cercava di essere all'altezza delle aspettative, si nascondeva dietro quella maschera forte e impassibile, ma se buon sangue non mente, aveva un vulcano dentro. Comunque sia, di certo non le mancavano i difetti.
«Avresti potuto aiutarmi almeno, ho la schiena rotta!» le urlai, mentre posavo l'ennesimo paio di libri sopra le mensole, che avevo precedentemente spolverato.
Mi scrutò velocemente dalla testa ai piedi, per fare poi spallucce.
«Perché dovrei? Mica ho preso parte al teatrino organizzato dalla santa Clarissa. Per quanto mi riguarda l'avrebbero potuta anche espellere, almeno avrebbe smesso di fargliela solo annusare a Thomas.»
Dimenticavo l'ossessione incurabile di mia cugina per quel biondino scolorito. Possibile che perdessero tutte la testa per lui? Un giorno mi avrebbero svelato cosa avesse di tanto particolare. Un velo di tristezza percosse gli occhi di Lorelaine, come se qualcosa le fosse passato per la mente, un pensiero in particolare che aveva prontamente represso nel fondo della sua anima, ma che non passò comunque inosservato. Avrei dovuto smetterla di condannarla per il colore della sua casa, e iniziare ad apprezzarla per la cugina che era.
«Sei ancora innamorata di Thomas, non è così?»
Lei scosse il capo, stringendo piano le labbra. Non l'avevo mai vista abbassare le difese così, mostrandosi fragile e scossa. Avrei voluto aiutarla, o esserle vicino quantomeno.
«Non credo di averlo mai amato davvero, Thomas. Il fatto è che vedo come la guarda, come s'innervosisce appena un ragazzo le si avvicina, di come osserva silenzioso ogni suo passo, il suo sguardo cambia quando lei non c'è, si accende appena la vede. Come se fosse l'unica cosa che lo tiene in vita. Nessuno mi ha mai guardato così, nessuno mi ha mai amato così. E io vorrei un amore così per me, forte e sincero, ma continuo ad essere circondata da stronzi che mi trattano come fossi di pezza.»
Ero senza parole, la guardavo parlare, mentre muoveva nervosamente la lima sopra l'unghia, cercando di non alzare lo sguardo verso il mio, quasi si vergognasse delle sue parole, dei suoi sentimenti. Eravamo più simili di quanto pensassi, e mi sentivo uno stupido ad averla capita solo adesso, in quell'aula vuota come il suo cuore.
Mi avvicinai piano, togliendole la lima dalle mani, e portando le sue pallide braccia attorno alla mia vita. Parve quasi abbandonarsi per un attimo a quella stretta, non prima di aver controllato che non ci fosse nessuno.
«Ti auguro un amore così allora, Loly.»
Lei rise, rimanendo così ancora per un po', anche se molto probabilmente mi sarei ritrovato la felpa piena di trucco.
«Avevamo appena dieci anni quando mi chiamavi così, lo odiavo.»
Si ricompose subito, prendendo un bel respiro e tornando ad essere la Lorelaine che tutti erano abituati a vedere, ma la vera lei, quella fragile, insicura e dolce, parevano essere pochi a conoscerla.
«Quando hai finito di fare 'Cenerentola' ce ne possiamo anche andare. Ho fatto il culo quadrato a furia di stare seduta qui.»
Alzai gli occhi al cielo, finendo di sistemare le ultime cose, per farle un veloce segno di uscire.
«Se non avessi fatto tutto da solo, il tuo sedere sarebbe meno quadrato.»
«Non mi spezzo mica un unghia per sistemare vecchie scartoffie.»
Ed ecco che la stronza impassibile era tornata. D'altronde, non se n'era mai davvero andata.
Uscimmo in fretta dall'aula, e a giudicare dallo scarso numero di ragazzi riversati nei corridoi, doveva essere più tardi del previsto. Le strade del castello erano spoglie, e questo rendeva l'aria ancora più tetra e fredda. Il sole era calato in fretta, e al suo posto già si faceva spazio una mezzaluna brillante, che spiccava in quel cielo nero tempestato di stelle.
Chissà se Morgana era ancora in biblioteca. Ormai la sentivo distante anni luce da me, non c'intendevamo più, sempre persa con il cuore e la mente altrove. Non che l'avessi mai sentita davvero mia, sapevo che c'era un mondo che mi nascondeva, un milione di cose che non mi raccontava, che teneva tutte per sé. Ma poi bastava guardare come sott'occhio guardasse Brandon, come stringesse più forte la forchetta tra le mani quando arrivava in sala con qualche ragazza, e di come il suo umore di conseguenza cambiasse. Lo avevo sempre saputo, ma speravo che mi avrebbe potuto amare, che saremmo potuti funzionare in qualche modo. Ma ci stavamo soltanto prendendo in giro, mi stavo solo facendo del male in una relazione che serviva più da distrazione che per altro. Avrei voluto che riuscisse ad essere sincera con se stessa e anche con me, una volta tanto.
«Vado in biblioteca a cercare Morgana, tu torni ai dormitori?»
Annuì distratta, non mi stava prestando più di tanta attenzione, anche lei in un universo opposto.
«Certo, che dovrei fare da palo mentre limonate? Però attento, magari lei già sta limonando con qualcun altro. Sai la biblioteca può essere un posto molto appartato.»
Avrei voluto tanto capire cosa avesse scatenato l'odio tra quelle due ragazze. Morgana la disprezzava, al massimo delle sue forze, e quindi suppongo che Lorelaine le avesse riservato lo stesso trattamento. Le donne e i loro infiniti misteri.
«Morgana non è il tipo.»
Alzò un sopracciglio, voltandosi finalmente verso di me, muovendo le rosse labbra carnose in un ghigno poco convinto.
«Se lo dici tu cugino. Vedi di non farti spezzare il cuore, non ti ha mai meritato.»
Senza neanche lasciarmi il tempo di rispondere, girò i tacchi, dirigendosi dalla parte opposta, e l'unica cosa che si sentiva intorno a noi, era il ticchettio delle sue scarpe sul suolo.
Morgana era pensierosa in questo periodo, scostante, arrabbiata col mondo intero, ma una cosa del genere non me l'avrebbe mai fatta. Se almeno un poco mi aveva amato, non l'avrebbe fatto. Eppure sentivo come uno strano peso sul petto, che diventava sempre più pressante a ogni passo che muovevo verso la biblioteca. La porta era chiusa, e sembrava non ci fosse anima viva all'interno. Abbassai piano la maniglia dorata, probabilmente era semplicemente andata verso i dormitori, in due non era difficile ripulire un'aula, e probabilmente stavo solo cercando a vuoto.
Quando entrai, quel posto tutto mi pareva, tranne che una biblioteca sistemata. C'erano ancora un paio di libri fuori posto, poggiati sul tavolo impolverato. Tra i corridoi pieni di librerie, una in particolare era un vero disastro. Un'intera mensola di manoscritti era buttata sul suolo, quasi una scossa li avesse fatti cadere. Se non mi fossi trovato nello stesso castello, avrei giurato che ci fosse passato un terremoto. Iniziavo a essere davvero preoccupato che le fosse successo qualcosa.
«Morgana? Sei qui?»
Nessuna risposta, niente di niente, solo un silenzio di tomba.
Continuavo a girare per la sala, con il timore di poter scorgere qualcosa di raccapricciante. Speravo solo che stesse bene.
Improvvisamente una piccola voce, dolce, quasi intimidita, mi colse alle spalle, facendomi quasi venire un infarto, seppure sembrò quasi sussurrare le parole.
«Cerchi la ragazza che era qui prima? Quella insieme al ragazzo?»
Mi voltai di scatto, e ne rimani completamente fulminato, inerme e incantato.
Davanti a me, esile e minuta, c'era una ragazza con dei lunghi capelli biondi, ma non quel tipico biondo, qualcosa che rimandava a delle sfumature castano chiaro, lasciati liberi e scompigliati lungo le spalle, e due occhi bellissimi, azzurri e cristallini come l'acqua, che quasi sembravano enormi rispetto al grazioso faccino che si ritrovava. La pelle leggermente colorita, con due leggere scocche rosse sulle guance, e le labbra di un rosa pallido, che quasi si confondevano con la pelle, ma che risaltavano insieme agli occhi.
Era bellissima, e probabilmente sembravo un imbecille che la guardava imbambolato. Stringeva tra le mani un piccolo libricino, che probabilmente stava leggendo da qualche parte.
«Mh, si. Tu per caso li hai visti?»
Scosse piano il capo, continuando a guardarmi con timidezza:
«Ma li ho sentiti, discutevamo come una coppia, stavano blaterando qualcosa sul parlarsi, sentimenti che non muoiono, mezzosangue e sangue puro, mi sembrava di sentire una di quelle serie tv babbane. Poi non li ho sentiti più, c'è stato solo un grande trambusto, mensole che tremavano, e poi basta.»
Ero sconvolto, di cosa mai stava parlando Morgana con Brandon? Avevo già ipotizzato le opzioni peggiori, quelle più sconcertanti. Avrei accettato di tutto, se almeno me ne avesse parlato, invece che essere illuso così per mesi e mesi.
La ragazza dovette comprendere il mio stato d'animo, come se fosse stata in grado di leggermi dentro, capire esattamente cosa provassi, e poggiò delicatamente una mano sul mio braccio. Il solo contatto, misero ed effimero, mi fece rabbrividire, sentivo i miei sensi a mille, come se avessi appena preso una scossa elettrica.
«Non ti ho ancora chiesto come ti chiami, sono un maleducato.»
Le sorrisi a mia volta, cercando di scacciare quella sensazione di malessere che mi opprimeva, che in realtà, si era già attutita da un po'. La straniera strinse le labbra in un piccolo sorriso, abbassando poco lo sguardo:
«Di solito nessuno fa caso a me, non mi capita spesso che un ragazzo bello e popolare come te mi rivolga più di cinque minuti di attenzione. Comunque sono Aurora Goodheart, casa Tassorosso.»
Aurora, perché il suo nome mi sembrava perfetto, adatto a lei, come se nessun'altro sarebbe stato in grado di descriverla. Una vera e propria Aurora, un nuovo inizio.
Come si faceva a non far caso a lei, come faceva a passare inosservata. Eppure neanche io l'avevo mai vista.
«Io ti ho notata, e mi chiedo come possa una come te, passare inosservata. Io sono...»
Lei interruppe la mia frase ancor prima che potessi presentarmi, sorridendo timidamente:
«James Weasley. Certo che so chi sei. Il mio giocatore di Quidditch preferito. Ti conosco.»
Sgranai gli occhi, sorridendo anch'io a mia volta. Come facevo a non conoscerla, a non averla mai vista prima. Mi sentivo un pesce lesso.
«Così mi lusinghi. Cosa ci faceva una bella ragazza come te, sola in biblioteca?»
Parlare con lei mi veniva naturale, come se ci conoscessimo da una vita, come se fosse la cosa giusta. Mi sentivo giusto, dopo una vita intera. Lei non smise di sorridere neanche per un secondo, e il rossore sulle sue guance era aumentato, colorendosi ancora di più. La trovavo adorabile.
«Passo sempre le mie giornate in biblioteca. Mi metto in un piccolo angolo, silenziosa tra le mie pagine, e nessuno pare far caso a me. Riesco a sentire che sei preoccupato, percepisco le sensazioni delle persone. So che non dovrei dirtelo, credo di sapere chi cerchi. E io sentivo l'amore di quei due ragazzi, era forte, così forte che mi ha fatto rizzare la pelle. Mi dispiace farti male.»
Non era di certo lei ad avermi fatto male, se possibile Aurora mi aveva soltanto fatto stare meglio. Eppure le sue parole mi colpirono come una coltellata al petto, e tutto quello che avevo pensato, che avevo sospettato, era fottutamente giusto, ed io ero stato solo un burattino da usare, qualcosa di passeggero, per ingannare il tempo. Ero ferito, perché l'avevo amata, o almeno credevo di averlo fatto. Ci avevo provato, le avevo messo il cuore tra le mani, l'avevo rispettata, cercato di far sorridere, tentato di farle dimenticare i brutti pensieri, cullata quando si svegliava in preda agli incubi che non mi raccontava. Ma ero stato solo un giocattolo, e probabilmente per lei non ero stato più di una scopata occasionale.
«Grazie della sincerità Aurora, non sei stata tu a farmi male.»
Avevo bisogno d'aria, non riuscivo neanche ad affrontarla al momento. Feci per muovermi, uscire da quelle mura che adesso parevano stringermi. A fermarmi fu la flebile mano di Aurora, e io m'immobilizzai, ancora percorso da un milione di scosse.
«James io credo che tu meriti un amore sincero, buono ed onesto. Qualcuna che ti faccia sorridere, che calmi quella tempesta che ti sento dentro. Soltanto una persona che ti ami senza segreti, senza doppi giochi. Spero che tu possa provare e trovare un amore così grande.»
Come poteva in pochi e scarni minuti, avermi compreso più lei, che chi mi circondava da anni. Quella dolcezza nella sua voce, l'innocenza che traspariva, m'incantò. Io ero completamente ipnotizzato da lei, seppure non sapessi nulla di chi fosse, ma volevo farlo. Cogliere ogni sfumatura del suo sorriso, così magnetico per me.
«Sei davvero un angelo, piccola Aurora. Spero di vederti ancora in giro.»
Lei mi sorrise, con il viso nascosto nella sua sciarpa giallognola, e le guance sempre arrossite.
«Cercami e mi troverai, dolce James. È stato un piacere.»
Fidati Aurora, il piacere è stato tutto mio, in un modo che neanche comprendevo affondo.
'Ti amo anche io mio Thom, quanto vorrei dirti che sono già tua, ti sono appartenuta fin dal primo istante.'
Mai ci furono parole più dolci nei miei sogni, mi sembrava di averle sentite davvero, come se avesse davvero potuto dirmelo, come se fosse stato vero. Ma la sua voce così tremante, così sfocata, mi parve essere solo uno stupido sogno, che riuscì a scacciar via tutte le paure e gli incubi.
L'immagine di lei, completamente inerme, pronta a fare un salto nel vuoto, mi aveva scosso per tutta la serata, inutile era stata l'idea di affogare in ogni bevanda possibile quel pensiero, quella paura, il terrore che avessi provato. Avrei potuto perderla, così come avevo perso mia madre, come avevo perso Megan, tra quegli stessi alberi. Mi stava scivolando tra le dita, e sarebbe bastato soltanto un altro secondo di esitazione, e non ci sarebbe stata più. Impazzivo soltanto all'idea, diventavo matto.
Adesso pagavo le conseguenze della sbornia, mentre cercavo di aprire gli occhi, disturbato dalle prime luci di sole che filtravano dalla grande finestra al mio fianco, mentre la testa pareva scoppiarmi. Non sapevo neanche come ci fossi finito a dormire nel mio letto. Avevo ricordi tutti sfumati della sera precedente, ma ricordavo Clarissa. Sapevo che c'era stata, ricordavo le sue mani tra i miei capelli, le sue cosce attorno al mio bacino, le sue labbra gonfie contro le mie, in un bacio che ci aveva mozzato il fiato. Non potevo averlo sognato. Doveva essere successo per davvero.
Ed ecco che dopo i primi secondi di confusione, sento una chioma di capelli pizzicarmi dolcemente il volto, qualcosa di caldo era proprio affianco a me, e mi rendo conto di avere il braccio cinto attorno qualcosa di tremendamente familiare. Il tocco di pelle contro pelle, e l'odore di lavanda più bello che io conoscessi, mi fece aprire di scatto gli occhi, nonostante la testa martellante e gli occhi che quasi si bruciavano alla vista del sole. Ma io dovevo accertarmi che fosse lei. Ed eccola. Clarissa era proprio accanto a me, a coperta soltanto una mia felpa sgualcita, che durante la notte doveva esserle salita di molto sopra il bacino, e adesso le lasciava scoperte le gambe, insieme ad un pezzo dei suoi fianchi, dove il mio braccio si era poggiato. Adesso si che mi veniva un infarto.
Era proprio lì, mezza svestita, di una bellezza che mi lasciava senza fiato. Mi vennero in mente almeno un milione di cose che avrei voluto farle, mille baci che avrei voluto lasciarle lungo tutto il corpo. Quelle gambe dannatamente perfette, con quell'intimo sottile che la rendeva una dea ai miei occhi. Non potevo averlo sognato, noi ci eravamo baciati, lei era stata tra le mie braccia. Cazzo, mai ero stato così indeciso su come comportarmi con una ragazza nel mio letto. Era capace di rendermi un completo idiota.
Tanto avrebbe urlato e si sarebbe arrabbiata comunque, meglio farlo con stile.
Le sfiorai piano le gambe, risalendo fino alla vita, che le cinsi piano, portandola più vicino a me, ad un passo dal mio viso. Lei iniziò a sbiascicare qualcosa di poco comprensibile, allacciando involontariamente le gambe alle mie. Se continuava a fare così, avrei detto addio all'autocontrollo ben presto.
«Occhioni buongiorno, se volevi stringerti di più a me, bastava chiedere.»
Lei aprì di scatto gli occhi, e capendo la posizione compromettente in cui si trovava, balzò a sedere in un lampo. Con i capelli tutti scombinati, ancora il segno del cuscino sulla faccia e le guance rosso fuoco, era davvero adorabile.
Ma questa volta non mi scappavi.
«Scommetto che ti sei divertito a vedermi così.»
Si lamentò portando piano le mani al petto, cercando di far scendere la felpa quanto più possibile verso il basso. Le sorrisi malizioso, prendendole velocemente le gambe, e facendola scivolare con la schiena sul materasso. L'attimo dopo, ero già al suo fianco.
«Da morire. Perché non mi hai ancora dato il bacio del buongiorno. Sai ricordo solo quello della buonanotte.»
Arrossì ancora di più, capendo che, anche se a immagini molto contorte, ricordavo quello che era successo la notte scorsa. Peccato che non mi sovvenisse neanche una parola di ciò che avessi potuto dire. Lei mi guardava fisso, senza dire una parola, si leggeva l'incertezza nei suoi occhi. Dopo poco mi sorrise, e riconobbi quel pizzico di malizia che le contornava il volto.
«Perché mai dovrei darti un bacio? Cosa hai fatto per meritarlo?»
Oh occhioni, ti piace sfidarmi. Ebbene, giochiamo.
Mossi in fretta le dita sotto la sua felpa, velocemente per tutti i fianchi, e già dopo pochi flebili secondi di resistenza, si contorceva ovunque, ridendo a squarciagola. Il solletico era sempre il punto debole di tutti.
«T-Thom! Bas-basta!»
Rideva così tanto da non riuscire neanche a parlare, e io mi sentivo in paradiso. Ero perso nella sua risata, nel suo sguardo dolce. Ero innamorato di ogni sua piccola sfumatura, e da grande egoista che ero, non potevo resistere oltre. Come un drogato in cerca della sua dose, io non potevo fare a meno di lei, delle sue labbra, del suo profumo su di me. Mai avevo desiderato qualcosa così profondamente.
Istintivamente, le cinsi stretto la vita, portandola di scatto sopra di me, e non indugiai oltre. In un secondo, posai le mie labbra sulle sue, e mi sembrò poesia.
Lei non esitò, schiuse subito la bocca, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi, di danzare insieme ancora una volta. Sentivo le sue gambe nude premute contro il mio sesso, e la sola sensazione mi procurò un gemito violento che uscì dalla mia bocca.
Le mie braccia viaggiavano ovunque dentro quella felpa. E lei si faceva toccare, senza paura, senza rimorsi. Le mie mani indugiarono sui suoi glutei, e quando li strinsi a me, un gemito strozzato le uscì dalla bocca. In compenso, anche le sue mani vagavano senza direzione sul mio petto, per stringersi ancora tra i miei capelli.
«Thom!»
Il mio nome sussurrato così, sarebbe bastato per farmi venire in quel preciso istante. Ci stavamo dichiarando l'uno all'altra, senza bisogno di parole.
E poi il cigolio della porta alle nostre spalle ci fece sobbalzare. Clarissa si allontanò da me bruscamente, e ne fui più rammaricato di quanto volessi ammettere.
Giuro che chiunque fosse, era morto.
«Amico, passata la sb...»
Quando la porta fu completamente aperta, il suo sguardo passo da me, a Clarissa nascosta sotto le coperte, ai vestiti buttati per tutta la stanza. Aveva la mascella praticamente a terra, e gli occhi sgranati. Giuro che il prossimo che ci avesse interrotto, avrebbe avuto qualche osso rotto.
Buon pomeriggio amicii! Ho scritto questo capitolo praticamente stanotte e l'ho rivisitato questa mattina, in quanto sapevo di avere il pomeriggio bello pieno e non sarei mai riuscita a sistemare tutto per tempo!
Ho pensato davvero tantissimo al nuovo personaggio, Aurora, a come dovesse essere presentata, che aspetto dovesse avere, e la reazione di James, a me è sembrato abbastanza colpito dai. Ma anche come non tralasciare alcuni personaggi come Lorelaine, e svelare un po' di più su di loro. E poi, quando avrei potuto chiudere il capitolo, ho deciso di regalarvi questa piccola gioia Thomissa, con una Clarissa che FINALMENTE si lascia andare, anche se interrotti un po' troppo presto. Ho riso per mezz'ora giuro! E a voi questa Aurora piace?
Vi annuncio uno spoiler, non so quando riuscirò a postarlo, ma il prossimo capitolo sarà interamente dedicato ad una coppia a voi molto a cuore, chissà di chi si tratta. Spero che come al solito il capitolo vi sia piaciuto, vi aspetto nei commenti. Se vi va, lasciate pure una stellina.
Vi adoro, ciascuno di voi che ha scelto di dedicare un po' del suo tempo a questa storia.
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