Chapter forty-six: Memories
-Per questo capitolo, vi consiglio se vi va, di ascoltare ''In the End'' di Tommee Profitt, Fleurie, Mellen Gi-
Ero persa in un ricordo, in balia delle emozioni.
Si trattava del primo giorno che mi trovavo ad affrontare nella scuola dei sogni e degli incubi. La tensione che provavo rendeva incerto ogni mio movimento, con la penna che non riusciva neanche a trascrivere una singola parola senza sbordare, tremando visibilmente sul foglio dinanzi a me.
Ci tenevo ad annotarmi ogni appunto, ogni nota che mi sarebbe potuta tornare utile, segnando tutte le pozioni che il professor Vitius c'illustrava.
Non ricordavo, cosa aveva detto prima?
Quali ingredienti aveva menzionato?
Merlino, che ansia.
Voltai la testa da un lato all'altro, provando a sbirciare negli appunti dei miei compagni, sperando di cogliere al volo ciò che mi era sfuggito. Non era mia intenzione copiare, non ero quel genere di persona, ci tenevo soltanto a recuperare ciò che mi ero persa. Era tutto così nuovo per me, così estraneo che rimanere al passo con gli altri era una fatica immane.
L'aula era pienissima, con tutte le matricole che come me, entusiasti e concentrati, tenevano lo sguardo chino sul libro di fianco a loro, cercando di rimanere al passo con le spiegazioni della lezione. L'odore di legno appena tirato a nuovo, misto a un certo profumo acre riempiva tutta la sala. Gli studenti erano divisi per file, dispiegandosi in modo ordinato in banconi lunghi che si aprivano in una forma leggermente semicircolare, di fronte soltanto la grande e imponente cattedra.
Notai un ragazzo, i capelli corti marroncini e degli occhi magnetici color nocciola, un sorriso che non avrei potuto dimenticare. Mi guardava già da un po', alzando un sopracciglio incuriosito, probabilmente in attesa che gli dicessi qualcosa.
«Sei proprio piena d'ansia, non è così? Prendi un bel respiro, sei brava, si vede già» mormorò deciso, avvicinandosi di qualche centimetro, e un po' m'imbarazzai. Era così palese la mia incertezza?
«Io, ehm, non ricordo l'ultimo ingrediente che ci ha illustrato il professore. Non volevo sbirciare dal tuo foglio, volevo solo capire cosa mi fossi persa...» risposi un po' titubante.
Lui non smise neanche per un attimo di sorridermi, allungando il suo foglio bianco nella mia direzione, permettendomi di recuperare tutte le informazioni.
«Grazie, sono qui soltanto da un giorno e sei già diventato il mio angelo custode» ammisi scherzosamente, sentendo la tensione scemare immediatamente.
Riuscii in meno di un attimo a farmi sentire più protetta, più sicura.
«Sarò felice di esserlo per tutto il tempo che vorrai. Sono James Weasley!» esclamò contento.
«Clarissa Brave.» risposti, altrettanto entusiasta.
Era quello l'inizio di un'amicizia che mi avrebbe cambiato l'esistenza.
Anzi, che mi avrebbe salvato la vita, più di una volta.
-
Fin troppo presto però, la figura di James quattordicenne divenne sempre più sfocata, incorporea, si allontanava drasticamente, e io ne sentivo il dolore fin dentro le ossa, come se mi stessero strappando una parte di me.
Era tutto così surreale, non lo realizzavo, non ci credevo.
Non mettevo a fuoco con lucidità ciò che era accaduto in quei minuti, sentivo solo male. Ovunque. Riuscivo a ricordare soltanto il sangue, gli occhi di James spegnersi, la mia anima che moriva, l'odore della morte.
Ero diventata impassibile, un corpo morto, incapace di reagire, di proferire una singola parola, avevo consumato tutte le forze, tutte le lacrime, tutto ciò che ero.
Ricordavo Thomas e Morgana che correvano verso di me, l'orrore e la sofferenza riflesso nei loro occhi vedendomi in una pozza di sangue, mentre ancora stringevo James al mio petto, crollando sopra di lui. Gridando, piangendo, imprecando parole che adesso non mi sovvenivano neanche più.
Mi parve di sentire qualcuno trascinarmi via, mentre Thomas si chinava a prendere il corpo ormai senza vita di James, imbrattandosi dello stesso sangue che mi ricopriva.
Non disse una parola, ma vedevo i suoi occhi erano lucidi, il respiro quasi sommesso, e tutta l'aria di chi era sconvolto.
Il mio angelo custode non c'era più.
E c'era solo un colpevole, un'unica persona da condannare.
Di ciò che accadde dopo non ne avevo memoria. Tutto scorreva davanti ai miei occhi così velocemente, così confuso. Mi sentivo come in una bolla, avvertivo il mondo attorno a me, lo guardavo scorrere, ma non lo percepivo, non lo capivo.
La voce di Morgana era così ovattata, così lontana, eppure era proprio al mio fianco.
Ricordo però, il dolore delle mie ginocchia che crollavano sul pavimento del castello. Una sofferenza effimera se paragonata a tutto ciò che avevo dovuto subire, non mi fece nulla.
Io ero morta dentro, spenta, completamente inerme. Nessuna ferita avrebbe potuto toccarmi, neanche la più atroce.
E infine, le tenebre vennero a reclamarmi, trascinandomi verso un oblio di cui non vedevo l'uscita, e che probabilmente, io ero felice di abbracciare.
Forse lì avrei rivisto James, ci saremmo incontrati in un sogno.
Soltanto quando riaprii gli occhi, lasciando la figura di James nei miei ricordi più reconditi, lentamente mettevo a fuoco l'ambiente attorno a me, notando che i miei vestiti non erano più gli stessi, e del sangue riversato su di me, adesso non se ne scorgeva neanche una goccia.
Ma io continuavo a sentirne l'odore metallico e marcio.
Una mano mi sfiorò il volto, stringendomi forte a sé l'attimo dopo, con tutte le sue forze, fino a mozzarmi il fiato.
«Amore... Mi dispiace, mi dispiace da morire. Avrei dovuto correre più veloce, non avrei dovuto lasciarti sola. Non avrei mai dovuto permettere niente di tutto ciò» singhiozzava, soffocando un pianto.
Thomas Malfoy stava piangendo, e io non lo stavo immaginando.
Era tutto troppo dannatamente reale.
La sua vicinanza, il suo profumo così familiare, quelle braccia che per me erano come casa, erano la prima cosa che finalmente avvertivo.
L'unica forza che mi permetteva di vivere ancora. La sola ancora di salvezza per la mia anima ormai spezzata.
Non riuscivo a parlare, le parole mi morivano in gola, era doloroso anche solo provare a emettere un fiato, e ogni tentativo mi faceva sentire solo peggio. I miei occhi bruciavano come se qualcuno gli stesse dando fuoco, perfino la luce della stanza mi infastidiva, non la reggevo.
«James...» singhiozzai, incapace di dire altro.
Soltanto pronunciare il suo nome, mi fece tornare alla mente tutto ciò che era successo, convivendo con l'idea che non fosse un sogno.
Che lui non avrebbe mai più aperto la porta della mia camera.
Che non ci sarebbe più stato.
Non avrei sentito più il suono della sua voce, e io costringevo la mia mente a imprimere ogni sua parola nella mia testa, in modo che non potessi mai dimenticarla.
Gli avevo detto che era un bugiardo, era stata quella l'ultima cosa che aveva sentito.
Mi sarebbe servito più tempo per dirgli cos'era lui per me, quanto indispensabile fosse nella mia vita, quanto grande fosse il bene che provavo per lui.
Mi era stato portato via troppo presto, se n'era andato lasciando un vuoto incolmabile dentro di me.
Come avrei mai potuto affrontare Aurora? E Lorelaine, come avrei fatto a guardarla ancora, sapendo che era mia la colpa se adesso si ritrovava a piangere un cugino.
Era stato tutto per causa mia, e il senso di colpa non mi avrebbe mai abbandonato.
«Lo so occhioni, lo so... Non ci saranno mai abbastanza parole, nulla potrà mai equiparare.»
La voce di Thomas fu così fioca, che mi parve a stento di sentirla.
Mi scostai di poco dal suo collo, tornando a guardarlo negli occhi, notando lo sguardo di un ragazzo sconfitto, che doveva convivere col peso di un'altra perdita, costretto a rivivere tutto da capo.
«Gli altri hanno saputo?» sussurrai, sempre troppo debole per poter usare un tono di voce deciso.
Faceva male, mi si stava spezzando ancora il cuore.
Lo sguardo di Thomas vacillò, chinando il capo e mordendosi di poco il labbro.
«Sì... lo hanno saputo tutti. Ho riportato io il corpo di James, erano tutti lì» ammise, con un certo magone che gli si bloccava in gola.
Ancora una volta, non ricordavo assolutamente nulla di tutto ciò, mi sembrava solo una strana illusione. Un incubo.
«Ho bisogno d'aria, mi sento soffocare.»
Ma non appenai tentai di poggiare un piede a terra, ogni mia forza venne meno, non riuscivo neanche a tenermi in piedi, finendo ancora una volta tra le braccia forti di Thomas, che mi sostennero ancor prima che potessi anche solo sfiorare il pavimento.
«Sei proprio sicura, occhioni? Dove vuoi andare?» rispose in tono sommesso, una volta avrebbe controbattuto, invece adesso si arrese con facilità, senza proferire oltre.
Annuii, raggruppando ciò che rimaneva di me per rialzarmi. In tutto quella quiete, per me c'era troppo rumore. Sentivo le urla, il rumore del vento, la voce di James.
Volevo il silenzio, la pace. Ma non la trovavo da nessuna parte.
«Nella sua camera.»
Non avevo di pronunciare il suo nome, capì immediatamente.
Neanche questa volta disse nulla, con tutta l'aria di chi capiva perfettamente. Come se la mia reazione fosse più che legittima e l'avesse provata sulla sua pelle.
Costrinsi me stessa a essere forte, a non crollare ancora sconfitta, portando meccanicamente i miei piedi in avanti, passo dopo passo.
Sapevo che una volta fuori dalle mura della stanza, avrei dovuto affrontare il mondo all'esterno, sopportare tutti gli sguardi impietositi, sentire quelle frasi vuote e insensate della gente che fingeva di dispiacersi, o che gliene importasse davvero qualcosa.
Presi un sonoro sospiro, poggiando la mano sulla fredda maniglia, uscendo da guscio protettivo della mia camera.
Fuori, il silenzio più assoluto, neanche i fantasmi mi accompagnavano. Non c'era neanche uno studente, non una sola un'anima pia che si trovasse a girare per di lì. Parevano essere tutti scomparsi, eravamo io e Thomas, che ci aggiravamo solitari per le mura del castello.
I ricordi mi assalivano, non mi lasciavano tregua, e a ogni passo che muovevo, era sempre più difficile avanzare, sempre più arduo da mandar giù. Stavo perdendo la testa, o forse l'avevo già persa.
Ogni muro raccontava una storia diversa, ogni quadro avrebbe potuto raccontare un aneddoto diverso su quel gruppetto di ragazzi che correva da una parte all'altra del castello. Quelle dame e quei cavalieri racchiusi negli affreschi avrebbero potuto canzonare almeno un migliaio di storie su di noi.
E alla fine si sa, i ricordi solo l'arma più tagliente che esista, tanto belli, quanto dolorosi.
Arrivare di fronte l'entrata della camera di James, fu fin troppo breve, e anche qui, nessuno si fece vedere.
«Dove sono tutti? Perché nessuno è qui?» domandai, ma in cuor mio, io avevo già la risposta.
Thomas sospirò, cercando di trovare il modo di dirmelo.
Tentennò almeno un paio di volte, e poi finalmente parlò.
«Sono tutti alla veglia di James... Morgana passa dall'infermeria, alla tua camera, alla Sala dove tengono James. Brandon è ferito, ha riportato qualche emorragia interna» sputò tutto d'un fiato.
Sentirlo con le mie orecchie fu ancora più doloroso. Lo rese reale, fottutamente vivido.
«Voglio entrare da sola, Thom. Ti prego, io ho bisogno di farlo.»
La mia parve quasi una supplica, e ancora una volta, lui annuì senza emettere neanche un fiato.
Non appena varcai quella soglia, fui sommersa da almeno un milione di emozioni differenti, tutte contrastanti, ognuna diversa.
I colori caldi e accoglienti di quella camera mi erano sempre piaciuti, lo rispecchiavano così tanto. Tutto lì dentro urlava il suo nome, ogni oggetto nascondeva un pezzo di lui.
Ricordavo ogni momento che avevo vissuto qui dentro, ogni risata, ogni battibecco, ogni confessione. Era rimasto tutto immacolato, tutto come l'eravamo rimasto prima di andarcene, prima di fuggire.
La coperta di lana era ancora lì, accartocciata sul letto. C'era impresso il suo profumo, lo sentivo fin da lì.
Ogni angolo della stanza mi parlava delle avventure che aveva vissuto, dei sogni riposti nel cassetto, delle speranze che si servava per il futuro. Mi si mozzava il fiato, e il cuore scalpitava, urlava, sanguinava come avesse una ferita aperta in pieno petto.
Tremante vagavo per la camera toccando ogni cosa, mentre le dita silenziose correvano per ogni centimetro, assaporavano qualsiasi cosa, lo imprimevano nella mente, e in modo che non sarebbe mai potuto andare via.
Mi avvicinai alla scrivania, notando un piccolo spartito bianco ripiegato in quattro parti, era nascosto, o almeno non immediatamente visibile, ma io lo scorsi subito.
Forse non avrei dovuto aprirlo, ma io volevo aggrapparmi disperatamente a tutto ciò che fosse stato suo. A qualsiasi cosa gli avesse fatto battere il cuore.
Non appena posai lo sguardo su quelle che dovevano essere le note e le dolci di una canzone, non riuscii più a resistere, crollai al pavimento.
Aveva rinunciato a tutto, a ogni cosa, a tutto ciò che avrebbe potuto renderlo felice, renderlo vivo.
Quelle parole furono una pugnalata dritta al cuore, e le lacrime ricominciarono ancora a solcare le mie guance.
''Comete, e fari nella notte,
che illuminano niente se non noi,
e notti in bianco in un giardino.
Hai ricomposto i pezzi del mio cuore,
e come una stella nell'oscurità, resti la mia luce,
la mia Orsa Maggiore,
anche se tutt'intorno è buio.''
Non era giusto, non lo era per niente.
Niente si sarebbe mai ricomposto, e la ferita non si sarebbe mai rimarginata. Per nessuno di noi.
Impazzii, ancora una volta persi il controllo.
Crollai al tappeto, battendo nervosamente pugni al pavimento, sempre più forte, ogni volta con più violenza, fino a che non sentii l'odore del sangue che usciva dalle nocche. Gridai così forte, che credevo mi avesse potuto sentire l'intero castello. Ma non me ne importava, non m'interessava più nulla.
Avrei dato la vita, l'anima, tutto ciò che avevo per poterlo riavere indietro, per godermelo di più, evitando ogni litigio, ogni stronzata che ci aveva separato. Avevo perso tutto, e mentre mi contorcevo ancora dal dolore, cercavo di capire come avrei mai fatto ad andare avanti.
Non sentii neanche il calore del corpo di Thomas che mi avvolgeva, continuavo a dimenarmi al tappeto, sperando che se avessi buttato fuori da me tutto il dolore che provavo, questo mi avrebbe abbandonata, mi avrebbe dato pace.
Ma non sarebbe mai successo. Neanche in una prossima vita.
«Ti prego Clary, basta. Mi distrugge vederti così...»
«Ma io sono distrutta, Thomas! L'ho visto morire proprio davanti ai miei occhi, è morto tra le mie braccia! Aveva così tanto per cui vivere, troppe avventure ancora da scoprire, tanti sogni da realizzare. L'uomo che gli ha tolto la vita...Lui...Lui deve pagarla.»
Non riuscivo neanche a pronunciare il suo nome, era ancora più doloroso. Non ancora.
Restai per un altro paio di minuti così, singhiozzando contro il petto di Thomas, stesi al suolo e circondati da quella che era stata l'intera vita di James Weasley.
Promisi a me stessa che non sarebbe mai stato dimenticato, che il suo sacrificio non sarebbe stato vano, e il dolce e amaro peso di ogni momento vissuto avrebbe albergato per sempre nel mio cuore.
Il tempo di essere debole era finito, ancora una volta e fin troppo presto dovetti costringere me stessa a respingere le emozioni, trovando nella stessa sofferenza la forza di rialzarmi e combattere.
Lo dovevo a James, gli dovevo tutto. Sarei stata la ragazza fiera e coraggiosa che lui credeva fossi, e non più la bambina impaurita e insicura, spaventata dallo stesso destino che incombeva prepotente su di me.
«Sono pronta ad andare, non ho intenzione di nascondermi ancora» dissi risoluta, mentre Thomas mi aiutava a rimettermi in piedi.
Presi un profondo respiro, lanciando un altro fugace sguardo a quella stanza, e a tutto ciò che la sua dipartita mi aveva tolto.
Uscire da lì dentro fu surreale, mi sentivo vuota, ma al tempo stesso ogni sorriso che mi aveva rivolto, ogni parola che mi aveva sussurrato, ogni risata che ci eravamo scambiati mi riempiva la mente e il cuore.
James non sarebbe mai morto, perché avrebbe vissuto per sempre nei cuori di chi lo avrebbe ricordato, nei cuori di tutti coloro che lo avevano amato. Mi sarei fatta bastare i ricordi che avevo di lui, li avrei custoditi come se fossero il tesoro più prezioso che avevo.
Stretti nella morsa di quel silenzio inquietante, ci dirigevamo verso la stanza in cui tenevano James, supponendo che i funerali si sarebbero tenuti il giorno dopo.
Soltanto pensarlo mi procurava un brivido lungo tutta la colonna vertebrale, e le lacrime minacciavano di uscire ancora. Percorrendo quei corridoi di pietra, vuoti e asettici, lo spazio che mi divideva da tutta quella folla era sempre più breve, e ancor prima di aprire il portone che mi avrebbe catapultato lì dentro, sentivo già i singhiozzi sommessi che riempivano la stanza, riecheggiando oltre qualche metro.
Era straziante, e non osavo neanche immaginare ciò che mi avrebbe aspettato.
Non appena varcai la soglia, spingendo in avanti quel portone di ottone e bronzo, diecimila guardi mi travolsero, e io incrociai probabilmente gli unici che avrei voluto evitare ancora per un po': quelli di Lorelaine.
Stringeva tra le mani una delle felpe rosse di James, il trucco ormai slavato e sbordato a causa del pianto, la faccia paonazza e ripiena di chiazze rosse di pianto, l'aria di chi aveva perso tutto. Il cuore di una devastata.
Non appena mi scorse, il suo sguardo puntò il mio, stringendo gli occhi in una fessura sottile, avanzando verso di me come una furia.
«Tu!... Tutto questo è colpa tua! James... Il mio James!» singhiozzava, stringendo tra le mani quel tessuto ormai sgualcito e bagnato dalle lacrime, crollando proprio ai miei piedi, continuando a tener stretta la presa di quella maglia, portandosela fin sopra il naso, affondandoci la testa fino a che non scomparisse, quasi fosse il suo unico rifugio.
Mi guardò ancora, e fece probabilmente l'unica cosa che non mi aspettavo, mai da una come lei. Lorelaine gettò le braccia attorno al mio collo, sprofondando il capo dentro l'incavo della mia spalla, abbracciandomi così forte e disperatamente che mi si bloccò il fiato. E io di rimando, non feci altro che stringerla più forte, portando un palmo della mano a carezzare i capelli rossicci che da sempre la caratterizzavano.
Fu un attimo breve, ma al contempo inteso come pochi. Riprese il contegno ben presto, e io non mi accorsi neanche delle mie lacrime solitarie che rigavano il mio volto ormai tramortito.
Notai che anche la McGranitt era presente, lo sguardo cupo e spento e fin troppo malinconico, guadando con amara tristezza il corpo freddo e pallido di James.
Era sotto gli occhi di tutti, freddo e immobile al centro della sala, steso su di velo bianco posto su un altare in marmo grigio, decorato tutt'intorno da crisantemi, margherite e rose rosse, assieme a vari oggetti che gli appartenevano. Qualcuno aveva anche posato uno dei primi boccini d'oro che aveva raccolto, proprio a un passo dal suo viso.
La sua espressione era così beata, senza neanche un cruccio di sofferenza, come se stesse finalmente riposando spoglio di ogni preoccupazione.
Non riuscivo a sostenere quella vista, ci provavo, ma non ce la facevo. Era troppo per me.
La preside si schiarii in fretta la voce, parlando in tono sommesso, tentando di nascondere il rammarico che le stringeva il volto.
«Ciò che è accaduto questa notte è imperdonabile, e il colpevole non resterà impunito. Chiunque abbia informazioni, o abbia anche il ben che minimo sospetto, verrà a riferirmelo immediatamente. Non ci sarà pace, non fino a quando avremo un assassino a piede libero» gridò convinta.
Era quello il momento in cui avrei dovuto parlare.
Sapevo esattamente chi era stato, ed era stata proprio l'immagine di quel volto riflessa nei miei occhi nocciolati a mandare in frantumi ogni mia certezza. Non avrei continuato a vivere nel silenzio, non avrei mentito, non lo avrei nascosto.
Mi sarei assunta il rischio di ammettere quell'angosciante verità, accettandone tutte ne conseguenze.
Presi parola dal fondo della sala, e sentivo la pressione di ogni sguardo puntato contro, perfino quella dei genitori di James, che non avevo neanche l'ardore di guardare più del dovuto.
«Io ho visto chi è stato, l'ho visto a un metro dalla mia faccia. È stato Benjamin Brave a uccidere James. È mio padre il capo di tutta quella congrega di psicopatici.»
Era quella l'amara verità con cui avrei dovuto convivere per il resto della vita, quella da cui non potevo più scappare, che aveva polverizzato ogni vana speranza di poter avere ancora una famiglia da cui fare ritorno.
Per quanto mi riguardava, mi consideravo un'orfana.
Mio padre era morto per me, così come quella che avrei dovuto considerare una madre.
Ebbene ragazze, il nome di questa fantomatica figura è finalmente venuto fuori! Qualcuno dall'ultimo capitolo lo aveva già intuito, sapevo sarebbe successo, mentre qualcun altra lo sospettava già da un po'! Ottime detective.
Voi di chi altro avevate sospettato?
Lo so che questo capitolo è alquanto triste, e in realtà ho dovuto dividerlo in due parti perché si sarebbe allungato decisamente troppo e non volevo risultare pesante o rendere il capitolo eccessivamente triste! Non voglio farvi piangere troppo!
Spero di aver reso bene i sentimenti di Clarissa, non è stato davvero semplice per me, e ci ho davvero messo tutta la cura possibile!
Vi lascio qui un meraviglioso aesthetic fatto da Little_Dreamer05 sul nostro amatissimo James! L'ho amato!
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