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Chapter forty-nine: Portnahaven


Se Clarissa credeva di aver davvero ingannato me e Morgana, si sbagliava di grosso.

Fu stesso la sua amica ad avvertirmi, mentre io nel frattempo vagavo già lungo tutti i corridoi, cercandola disperatamente in ogni dannata aula.

Mi disse di aver visto Clarissa correre fuori dalle mura del castello, e mi fu immediatamente chiaro dov'è che fosse andata. Non persi altro tempo, e mentre lei allarmata correva ad avvisare gli Auror del possibile pericolo, io mi diressi più veloce che potevo fuori da Hogwarts.

La conoscevo, sapevo quanto potesse essere caparbia, e proprio per questo non avevo dubbi su dove fosse diretta: dritta e spedita a casa sua, ed è lì che l'avrei raggiunta.

Il cuore mi batteva così forte che avrebbe potuto crepare qualche costola, e proprio all'altezza dello sterno avvertivo un peso opprimente che rendeva impossibile respirare; le gambe parevano esser diventate di piombo, farle avanzare diventava ogni passo sempre più difficile. L'ansia mi logorava, e ancor di più la paura fottuta di arrivare tardi ancora una volta.

Non mi ero ancora ripreso dalla notte scorsa, il suo profumo, la sua pelle, le sue labbra bagnate sulle mie, erano il sogno più bello in cui perdersi, la droga migliore di cui strafarsi. Così indifesa tra le mie braccia, avevo cercato di amarla nel modo migliore che potessi, porgendole il mio cuore intero tra le mani, e mai nulla fu più bello.

Adesso che riaprivo gli occhi, la realtà mi serbava l'ennesima doccia gelida, e della serata trascorsa non rimaneva che un dolce e indomabile ricordo. Per un attimo, soltanto per un istante, avrei voluto che fossimo due semplici ragazzi che vivono un amore senza riverse, senza demoni pronti ad attaccarci alle spalle, o decisioni che ci spezzavano il cuore.

Aizzai veloce la bacchetta in aria, facendola ruotare un paio di volte attorno al mio capo in senso orario, e mi smaterializzai il secondo successivo.

Ogni volta il trasposto da una parte all'altra mi metteva in subbuglio lo stomaco, lasciando un certo senso di vuoto e nausea tutte le volte che poggiassi piede al terreno, avvertendo la spossatezza che ogni viaggio mi procurava.

Ma in quel momento, non mi pareva di avvertire neanche un minimo fastidio. Ogni mio senso era concentrato esclusivamente sul ritrovare Clarissa, sul tenerla al sicuro. Prima ancora che mi chiedessi dove potesse mai essere, l'odore pungente della cenere e del fuoco mi arrivò alle narici, e se a ciò si univa anche il suono sordo di un'esplosione, venni assalito dal panico.

Più tentavo di avanzare, più la nube di polvere si faceva sempre più fitta, e i residui di cenere rendevano sempre più difficile respirare. Quando mi resi conto dell'origine di tutta quella coltre irrespirabile, capii che l'inevitabile era già successo.

Fiamme alte lungo tutto il perimetro della casa avvolgevano quella che una volta doveva essere la dimora di Clarissa; gli assi di legno che la strutturavano cadevano al suolo dissipandosi nell'aria, e tutto ciò che una volta doveva somigliare a un luogo amorevole in cui abitare, era adesso ridotta a brandelli; il giardino che la circondava era ormai arido e bruciato, lasciando nient'altro che terreno nero e incolto attorno a sé.

Ed era proprio lì che agguerrita e furiosa, Clarissa non risparmiava niente, stava radendo tutto al suolo, facendo volteggiare davanti a sé violentemente la sua bacchetta, mentre tentava invano di colpire la figura alta e robusta di suo padre che schiavava, con la maestria di chi aveva anni e anni di esperienze alle spalle, ogni dannato colpo che la mia Clary gli volgeva contro.

L'odio nei suoi occhi era così profondo, così radicato, che chiunque li guardasse in quel momento non avrebbe mai creduto che fossero padre e figlia, che condividessero lo stesso sangue.

«Sei debole, Clarissa! Guarda un po' lì, hai dovuto chiamare la cavalleria!»

Lo stupore nei suoi occhi nel vedermi a pochi metri da lei, le fece perdere la concentrazione e fu l'occasione che tentò di sfruttare quel vile per colpirla. Ma io agii più in fretta di lui.

«Protego!» urlai, lasciando che una bolla azzurrina si creasse attorno a Clarissa, il tempo che bastasse per far si che mi avvicinassi.

«Dobbiamo andarcene da qui. Morgana ha avvisato gli Auror, stanno per arrivare!»

«Significa che combatterò con loro! Non può farla franca! Non può!»

La rabbia nella sua voce era incontrollabile, ingestibile, e sapevo fin troppo bene che non avrebbe mosso un passo per allontanarsi da lì.

L'incantesimo di protezione durò ancor meno del previsto, e ci ritrovammo a dover contrastare insieme gli attacchi di quel mostro. Nonostante fossimo in due a combattere, la sua magia aveva un effetto più potente, più oscuro, e ciò lo rendeva pericoloso più di qualsiasi altra cosa ci fossimo trovati ad affrontare.

«Cosa c'è Thomas? Stai facendo ammenda per ciò che non hai fatto per Megan?»

Megan.

Sentir solo pronunciare il suo nome mi destabilizzava ancora. Era il mio punto debole, e lui lo sapeva bene.

«Non osare neanche solo pronunciare il suo nome! Riuscirò a togliere anche lei dalle tue grinfie!» ringhiai con rabbia, distraendolo quanto bastasse per non fargli accorgere dell'arrivo degli altri Auror.

Purtroppo l'effetto sorpresa non ebbe il risultato sperato, e non appena si rese conto di essere completamente circondato, ci risolve un ultimo beffardo sguardo.

«Il problema adesso è, lei vorrebbe ancora che tu la salvassi?»

Pronunciato ciò, si smaterializzò, scomparendo dal campo visivo di ciascun mago.

Mi voltai verso Clarissa, che sbraitava nervosa e arrabbiata contro qualsiasi cosa incontrasse per strada. Il suo volto era sporco di quella cenere grezza, oltre qualche piccolo livido che si poteva già scorgere dai pochi centimetri di pelle che fuoriuscivano dalla manica del maglione che indossava, anch'esso ricoperto di chiazze grigiastre e nere.

Le presi il viso tra le mani, costringendola a guardare fisso nei miei occhi, sperando che la sua collera si fosse placata, anche solo per qualche istante.

«Ehi, guardami. Troveremo tuo padre, troveremo la congrega e Megan. Avrai la tua vendetta, ma non così, non agendo da sola alle spalle di tutti.»

Lei sorresse il mio sguardo, mordendosi di poco il labbro mentre prendeva le mie mani tra le sue, facendosi più vicina a me.

«Mi dispiace di aver agito così. Volevo solo proteggerti, senza che nessun'altro si facesse male.»

Le sue iridi color nocciola erano ormai ricolme di lacrime, al limite della sopportazione. E mi si spezzava il cuore ogni qual volta che io la vedessi stare così.

Aveva bisogno di una pausa da tutto, da quell'ambiente, dal castello, dai ricordi opprimenti che non le lasciavano tregua.

«Che ne dici se restiamo a casa mia per qualche giorno? Ti farà bene respirare un'aria diversa. Continueremo a fare qualche ricerca da lì» proposi, sperando vivamente che avrebbe almeno tenuto in considerazione l'idea.

Alzò di poco il capo verso di me. Non aveva negato a prescindere, e ciò significava che ci stava davvero pensando, che non era una proposta così assurda. Nel profondo, sapeva anche lei di aver bisogno di prendere una boccata d'aria da tutto quel clima e quelle situazioni che la opprimevano.

«Va bene, forse non hai tutti i torti» ammise con non poca difficoltà.

Per un'altra manciata di minuti, rimase stretta al mio petto, non curandosi neanche di tutta quella devastazione che ci avvolgeva. Avevamo bisogno l'uno dell'altra per non crollare affranti al tappeto.

Non aveva senso continuare a separarci, a tenerci l'uno fuori dalla vita dell'altro. Eravamo più forti se uniti, e in quel preciso istante arrivammo alla stessa e ferma convinzione.

«Promettimi che non mi lascerai più in quel modo. Affronteremo insieme tutto ciò che verrà, intesi?»

«Te lo prometto, Thom. Faremo tutto insieme, e sconfiggeremo quei bastardi.»

Annuii, posandole un lieve bacio sulla fronte. Dopodiché, le strinsi forte la mano, e appena lei si fece ancor più vicina a me ci smaterializzammo all'istante, diretti a Villa Malfoy.

La grande e maestosa villa che si apriva davanti ai nostri occhi era rimasta immutata dall'ultima volta che ci eravamo stati. Manteneva sempre quel suo tono così grigio e cupo, e dei due frontespizi che si ergevano ai lati della tenuta incutevano sempre un po' di terrore, con così tante stanze vuote e grigie, e nessuno che fosse in grado di aggiungerci un po' di colore.

La borsa di mio padre era poggiata sul divano in pelle, segno che doveva essere tornato a casa, disperso da qualche parte a fare chissà che cosa.

«Questa casa è sempre così silenziosa» ammise, sorridendo mentre passava lo sguardo lungo qualsiasi cosa che potesse catturare la sua attenzione.

I suoi occhi guizzavano dalla libreria posta sul lato della grande sala, al camino che scoppiettava davanti a lei, alle foto incorniciate che si estendevano lungo le pareti che la circondavano. La storia e l'eredità dei Malfoy, i quadri e i ritratti di chi aveva abitato tra queste mura, di chi aveva eretto le fondamenta di quella che adesso era Villa Malfoy.

«Per la barba di Merlino, avete un aspetto davvero orribile!»

La voce prorompente di mio padre ci fece voltare istintivamente entrambi. In effetti, guardando le condizioni in cui versavamo, dovevamo davvero apparire come degli stracci.

Come al solito, Draco Malfoy aveva comunque la delicatezza di un elefante, sempre fin troppo puntiglioso.

«Signor Malfoy. Mi perdoni per il terribile aspetto, non veniamo da situazioni semplici...» disse con un sospiro, lasciando al vento le ultime parole. Parlarne sarebbe stato troppo anche per una persona forte come lei, e perfino mio padre lo capii subito.

«Posso immaginare, perdona tu il mio sarcasmo non sempre idoneo alle situazioni. Fai come se fossi a casa tua, Thomas ti farà vedere dove si trova il bagno per potervi sistemare.»

Sempre impassibile come al solito, stretto nei suoi abiti austeri, scomparii oltre la porta che dava alle sue sale private, lasciando soltanto noi in quella casa vuota.

Non persi altro tempo e in silenzio salimmo le scale che portavano al piano di sopra.

Indicai a Clarissa la porta del bagno, e probabilmente rimane estasiata nel notare quanto fosse grande, almeno il doppio di quello che ci era concesso avere a Hogwarts.

«Dirò a un elfo di far portare qui alcuni dei tuoi vestiti, se poi volessi avere compagnia nella doccia, basta che tu me lo dica» le sussurrai a un passo dall'orecchio destro, marcando volutamente il senso malizioso della frase.

Clarissa mi guardò di traverso, ma aprendo comunque il volto in un piccolo sorriso, notando come le sue guance fossero diventate più colorite del solito.

«Dovrai rimandare le tue perverse intenzioni alla prossima volta.»

«Che peccato, ci avevo sperato.»

Lei rise piano, scuotendo divertita il capo e richiudendo la porta alle sue spalle.

Trascorremmo soltanto un paio di giorni nella mia tenuta, che passammo chiusi tra le mura della mia biblioteca privata, alla ricerca incessante di qualsiasi cosa che tramite antiche scritte e trascrizioni potesse condurci a qualche indizio su quella maledetta congrega.

Ma niente, era tutto inutile.

Nessun libro li menzionava, non c'erano testimoniante scritte del loro operato da nessuna parte, neanche nelle pergamene più antiche. Il loro nome era una leggenda che aleggiava soltanto da una bocca all'altra, rimanendo sempre bloccato in un mistero irrisolvibile, tramutandosi nelle versioni che ogni uomo dava di quella oscura storia.

«Dobbiamo pensare fuori dagli schemi, colpirli dritto al cuore» mormorò Clarissa, mentre chiudeva infastidita con un tonfo sordo l'ennesimo inconcludente manoscritto.

Si portò due dita alle meningi, muovendole in senso circolare come a voler sforzare la mente a farsi sovvenire qualche dettaglio che ci era sfuggito.

«Come potremmo fare? Non sappiamo niente di loro. Potter e Berkey sono dei leccapiedi, non credo abbiamo informazioni utili.»

L'istante dopo che pronunciai quelle parole, Clarissa balzò improvvisamente in piedi, come se avesse avuto un'idea fulminea e geniale.

«Ma potremmo sfruttare Megan! Insomma, ci sarà un motivo se hanno scelto proprio lei per il macabro sacrificio. Io non credo avvengano per puro caso, ci deve pur essere un collegamento tra lei e la congrega. Ci basterà trovarlo, e ne potremo sapere di più su questi maledetti!»

Parlò così in fretta che non subito capii il filo del suo discorso, ma aveva senso.

Per la prima volta, qualcosa che riguardava quei bastardi senza scrupoli aveva davvero un filo conduttore.

Mi avvicinai a grandi passi verso di lei, gettando per aria qualsiasi cosa ostacolasse il mio cammino, e quando le fui tanto vicino da poter sentire il suo respiro sulla pelle, le presi il volto tra le mani, stampandole un bacio sulle labbra così forte e improvviso, che per una frazione di secondo fu colta alla sprovvista, eppure si lasciò immediatamente confortare dalla sensazione appagante di poter far scontrare ancora le nostre labbra.

«Tu sei un genio, Clarissa Brave.»

«Cosa ti aspettavi, sono una Corvonero» disse ridacchiando soddisfatta.

Finalmente avevamo una pista da seguire, qualcosa in cui credere, e il merito era soltanto il suo e della sua caparbia a non voler lasciar perdere.

«Forse dovremmo ritornare a Portnahaven. Era la città natale di Megan, e quella misteriosa figura mi disse lì avrei trovato delle risposte, probabilmente è lì che si trova il collegamento che cerchiamo. Come uno stupido ho pensato soltanto a volerla ritrovare, non pensando che avrei potuto invece cercare dei veri e propri indizi.»

Clarissa mi carezzò il volto, tentando di confortarmi in qualche modo, e io non le sarei mai stato abbastanza grato per tutti quei piccoli gesti che involontariamente mi stravolgevano l'umore.

«Perché ragionavi da solo. Adesso siamo un team, lavoriamo insieme, ed è proprio collaborando che troveremo Megan, e sconfiggeremo quei bastardi.»

Dopo più di una settimana di dolore e struggimento, un velato ottimismo le contornava il volto, con quegli occhi che trasudavano di nuovo vita e speranza, come una piccola fiamma che improvvisamente appiccava il più alto degli incendi.

«Vado ad avvisare mio padre, e mando un messaggio a Morgana. Abbiamo un viaggio da fare.»

Poche ore dopo aver avvertito tutti della nostra imminente partenza, preparammo alla svelta un piccolo zaino con tutto ciò che ci sarebbe potuto tornare utile, non sapendo con certezza quanti giorni avremmo trascorso in quella piccola città di periferia. Non appena tutto fu pronto, ci smaterializzammo alla svelta, poggiando piede nella piccola e umida Portnhaven.

Era un piccolo paesino ai confini della Scozia, che sorgeva nella zona costiera di uno dei tanti arcipelaghi di quello Stato. Proprio la sua vicinanza al mare, era ciò che rendeva il clima di quel piccolo luogo tremendamente umido e uggioso.

Le strade erano tutte ricoperte in ghiaia e roccia, contornate dal verde della radura verso est, e dal fragore salato e azzurro delle sponde del mare verso ovest. Non contava più di diecimila abitanti, e ciò lo rendeva un piccolo posto caratteristico in cui tutti conoscevano tutti.

Le case, rivestite in calce bianca e roccia e mattoni grigiastri, sorgevano l'una accanto all'altra, mentre c'erano due intere vie principali dedicate soltanto ai negozi e al turismo.

Era uno di quei tipici posti che trovavi raffigurato nelle cartoline, quelle che si spedivano agli amici nel pieno dell'estate e delle vacanze.

Lungo le vie, ti capitava di incappare in qualche piccolo ruscello, dove un paio di bambini si incontravano per giocare, saltellando da una parte all'altra delle sponde, attenti a non bagnarsi.

Così come successe la prima volta che mi trovai a vagare tra quelle vie, chiesi a qualunque passante se conoscesse qualcosa su Megan, la figlia dei Dugger. Ma niente, in un paese di provincia dove ogni volto non passava per sconosciuto, la figura della mia amica era come un fantasma.

«É tutto inutile! Qui o tutti sanno, e nessuno parla, o davvero stiamo solo perdendo tempo» borbottai infastidito, quando l'undicesima persona ci rifilò a stessa versione delle precedenti dieci.

Clarissa meditò un attimo sul da farsi, lo notavo dal modo che aveva di accigliare gli occhi e muovere nervosamente le dita su e giù, che stava riflettendo il più rapidamente possibile alla soluzione migliore. E quando spalancò di colpo gli occhi, seppi che l'aveva trovata.

«So esattamente a chi possiamo chiedere, ma mi servono delle caramelle gommose!»

La sua risposta non mi fu del tutto chiara, ma a lei pareva essere perfettamente sensata, e per questo mi fidai ciecamente.

Ci recammo in un negozio poco più distante, dove Clarissa comprò una dozzina di dolciumi tutti diversi, e io aspettavo pazientemente di capire quale sarebbe stata la sua mossa.

Con un passo svelto e spedito, tornammo indietro verso la foce del ruscello, dove quei piccoli marmocchi stavano ancora giocando, e non appena li scorsi, capii esattamente quali fossero gli intenti di Clarissa.

«Lascia fare a me, tu metti soggezione» mormorò divertita

«Non è assolutamente vero» ribattei, ma la lasciai comunque avanzare.

Si avvicinò piano ai bambini, cercando di approcciarli con dei banali discorsi sulle loro bellissime spade giocattolo, scoprendo pian piano anche i loro nomi, mentre lentamente si conquistava la loro fiducia.

«Ditemi, vi andrebbe qualche buona e dolce caramella? Ne ho un paio che mi avanzano» disse dolcemente, e subito i bambocci abboccarono come pesci all'amo, allungando le loro mani verso il sacchetto di golosità.

«Facciamo un nuovo gioco!» disse esaltata. «Darò queste caramelle al primo che mi riuscirà a dire dove posso trovare la famiglia Dugger, avevano una figlia che si chiamava Megan.»

I bambini si guardarono un attimo tra di loro, e finalmente una di loro parlò.

«Ho sentito i miei genitori parlarne qualche volta, ma mi dicevano sempre che era una brutta storia. Però io una volta ho visto una vecchia signora, diceva di essere la nonna di una dolce ragazza che si era persa tanto tempo fa. Abita proprio alla fine della via del mare, in una casa giallastra» disse impacciata e non tanto sicura.

Clarissa le sorrise ancora una volta amorevolmente, e allungo il braccio per lasciarle il sacchetto di caramelle, che la bambina prontamente condivise con tutta la sua combriccola.

«Grazie mille, Giselle.»

Tornò verso di me gongolando, facendomi segno di proseguire verso la strada che ci aveva indicato la bambolina, e in cuor mio non potevo che essere più fiero della ragazza di cui mi ero perdutamente innamorato.

C'incamminammo a passo spedito per la via che la piccola Giselle ci aveva suggerito, notando di come pian piano ci stessimo inoltrando sempre più a fondo nella radura più verde e selvatica. Delle palme alte e rigogliose erano poste lungo ambo i lati dello stretto e tortuoso sentiero, assieme a dei piccoli e folti cespugli ripieni di frutti esotici e colorati che sbucavano come piccole chiazze violacee e rossastre nel bel mezzo di quel verde smeraldo; il terreno era un po' fangoso, colpa della vicinanza alla scogliera, e dovemmo più e più volte scansare qualche ampia pozzanghera che si espandeva sul terreno, frutto probabilmente della pioggia dei giorni scorsi.

Proprio verso la fine di quel viottolo, scorgemmo la fatidica casa di cui ci parlava la ragazzina. Era esattamente come ce l'aveva descritta, un'abitazione solitaria nel bel mezzo della radura, con le mura in cemento giallastro e un po' olivastro, dove sui muri si scorgeva anche un filo crescente di muschio selvatico, dovuto probabilmente alla trascuratezza della casa; anche l'erba era alquanto alta, lasciata incolta e disordinata. Se non ci fosse stato detto che lì dentro viveva davvero qualcuno, non ci avrei mai creduto.

Ci avvicinammo cauti al porticato un po' arrugginito, bussando delicatamente un paio di volte sul legno della porta marroncina, in attesa di una risposta.

Sentimmo dei passi provenire dall'interno, e pochi attimi dopo ad aprirci la porta fu un'anziana signora: i capelli erano grigiastri e spettinati, raccolti in una crocchia disordinata dietro il capo, gli occhi verdastri ormai spenti e cupi, e una faccia alquanto sorpresa nel vederci all'uscio della sua porta. Alzò un sopracciglio confusa, piegando la testa leggermente su un lato, per sporgersi poi a guardare furtivamente oltre le nostre spalle.

«Chi siete, e chi vi ha mandati qui? Vi siete per caso persi?» domandò rude e scocciata, era evidente che non attendesse visite.

Fui io questa volta a parlare, riconoscendo immediatamente la vaga somiglianza della signora con quella che una volta era la mia migliore amica, Megan.

Gli occhi erano gli stessi, e si sa, lo sguardo non mente mai.

«Noi siamo degli amici di Megan... La stiamo cercando. Lei è viva, lo sappiamo, ma ci serve un aiuto per poterla trovare» sentenziai tutto d'un fiato.

La figura dinanzi ai nostri occhi sgranò gli occhi aguzzi, e con un cenno veloce della mano ci fece segno di entrare, accomodandoci all'interno.

L'interno della casa era tutt'altra storia rispetto all'esterno: era più curato, più ordinato.

C'era un'unica sala che fungeva sia da sala da pranzo che da salone, al cui centro sorgeva un grande e caldo camino, e di fronte un piccolo sofà in velluto olivastro, con qualche comodo cuscino posato sopra; tutt'intorno alle pareti e sulle piccole mensole che si scorgevano, c'erano una dozzina di foto differenti, e in alcune di queste ci potetti scorgere la piccola e minuta figura di Megan. L'avrei riconosciuta ovunque.

Al lato del divano sorgeva un piccolo tavolo da pranzo, su cui vi era poggiata una piccola teiera per il thè, e una tazzina ormai vuota.

La signora ci fece accomodare sul divano, sedendosi anche lei a sua volta sulla poltrona a dondolo che vi si trovava proprio affianco.

«Le vostre sono promesse pesanti, ma se non fossero vere non sareste venuti fin qui» mormorò a bassa voce, tentando di nascondere l'emozione che si percepiva nel suo tono di voce.  «Ditemi dunque, cos'è che vorreste sapere?» domandò infine con calma.

«Sospettiamo che la sua scomparsa sia legata a una malvagia congrega, e se potessimo sapere qualcosa in più sulle sue origini, forse riusciremmo a trovare un nesso che la colleghi a loro.»

La signora annuì, come se le nostre parole non fossero soltanto assurde teorie. Si chinò poi a prendere un oggetto da una piccola scatola al lato della sua sedia, rivelando la propria bacchetta, assieme a una piccola boccetta vuota. Lentamente, puntò il suo legno di frassino bianco dritto alla tempia, e ne fuoriuscì una scia di luce giallastra e luminosa, che si posò proprio all'interno del recipiente che teneva tra le mani.

«La storia della mia piccola Megan è davvero tanto complessa, è la storia di una piccola bambina che si è ritrovata a crescere senza un padre, non si è mai saputo chi fosse. Più Megan chiedeva di lui, più le risposte di sua madre si facevano vaghe e confuse. Era la cocca di casa, amata da tutti e quando sapemmo della sua scomparsa, mia figlia non riuscii a gestire il dolore. Aveva perso tutto, e con la consapevolezza che la figlia da lei tanto amata non sarebbe più tornata, si tolse la vita» pronunciare le ultime parole, fu un peso più eccessivo di quello che non volesse dar a vedere, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Poi continuò. «Nella boccetta vi ho messo tutti i vari ricordi che ho di lei, e spero che questo vi possa aiutare. Vorrei soltanto riabbracciare la mia nipotina, non chiedo altro.»

Sapere di quel lato di Megan mi devastò. Mi aveva sempre detto che la sua famiglia non fosse molto unita, ma non avrei mai immaginato fino a questo punto. I miei occhi si fecero immediatamente lucidi, la voce che mi tremava.

«Ve lo prometto, ve la riporterò.» dissi mentre prendevo le sue mani tra le mie, stringendole in una tacita promessa.

«Mi parlava spesso di te, ti definiva come il ragazzo più bello che avesse mai visto, adesso capisco perché» mormorò in un sorriso malinconico.

«Avrei voluto essere all'altezza delle sue aspettative» le risposi, chinando di poco il capo.

I sensi di colpa non mi lasciavano tregua, ora più forti che mai, e fingere di essere andato avanti era la stronzata più grande che potessi dire a me stesso.

Avremmo trovato Megan, e avremmo messo fine a tutta quella storia, sperando che così avrei finalmente avrei trovato un po' della pace che tanto agognavo.

Buonasera ragazzi, e buon weekend!

Scusate per il ritardo a postare il capitolo, ma sono praticamente in piena sessione e quindi i momenti per poter scrivere si sono drasticamente dimezzati! Ma insomma, ce l'ho fatta!

Abbiamo scoperto finalmente un po' di più sul passato di Megan. Sarà davvero legata a qualcuno della congrega? Chi lo sa, lo scopriremo.

Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, e aspetto scalpitante le vostre teorie e i vostri commenti! Grazie davvero per tutto l'immenso supporto che mi date ogni volta!

Spero di aggiornare il prima possibile!

Un bacio!

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