Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Chapter forty-four: The last step

Non credevo che ci potesse essere qualcosa o qualcuno in grado di spaventarmi, non avevo mai avuto paura di nulla Neanche del buio quando ero più piccola. Più precisamente, non mi era mai capitato di temere per la vita di una persona. Eppure fu ciò che sentii quando il corpo di Theo cadde inerme al terreno; come se mi avessero colpito direttamente alla bocca dello stomaco, con un pugno così violento da spezzarmi il respiro.

E prima di lui, mi trovai a trattenere il fiato anche per lo scontro di James. Troppo dolore, troppa sofferenza, mi scoppiava la testa.

I sentimenti facevano schifo, e se avessi potuto, avrei preferito spegnere tutto, smettere di provare qualsiasi cosa. Tutte quelle sensazioni nuove giocavano sporco contro di me, mi sentivo indifesa, esposta e fin troppo fragile.

Non avrei dovuto affezionarmi a nessuno, da sola sarei stata meglio, niente avrebbe potuto farmi male.

Le emozioni, quelle grandi bastarde io le vedevo soltanto come lame affilate pronte a tramortirmi.

Ma poi tutto crollava nel momento esatto in cui Theo mi guardava, con il cuore iniziava a scalpitare ogni qual volta mi sorridesse, come se le voci che giravano sul mio conto non gli interessassero. Parlavamo di tutto e niente, e avrei giurato che per la prima volta, avrei potuto essere vista per ciò che ero davvero anche io.

I giorni trascorsi in sua compagnia, erano stati probabilmente i più spensierati della mia vita. Da lui non mi sentivo giudicata, criticata o perfino insultata. Theo era l'unico che pareva vedermi veramente, andando aldilà di quella che era la reputazione che mi ero costruita attorno, collezionando nient'altro che scelte sbagliate.

In quei momenti, in quelle flebili conversazioni che intrattenevamo, una piccola parte di me mi sussurrava che forse non era sbagliato aprire il proprio cuore a qualcuno, che non avrebbe fatto così male.

Tutte stronzate.

Quel peso opprimente allo stomaco non se ne andava, e l'ansia cresceva per ogni secondo che i suoi occhi continuavano a essere chiusi.

L'infermeria in quei giorni era stata un delirio, un via vai incessante di feriti che non faceva altro che aumentare, e mi chiedevo davvero se con una minaccia così incombente fosse saggio avere più studenti malconci che sani.

«Non mi dire, adesso la mia Loly si preoccupa anche per suo povero cugino» tossì James a pochi passi da me.

La brandina sua e di Theo erano quasi parallele, una seguente all'altra, e ciò rese un po' meno ovvie le mie intenzioni. Non che comunque non fossi preoccupata anche per mio cugino.

«Volevo solo assicurarmi che fossi tutto intero, non ti montare la testa adesso» gli risposi con finta nonchalance.

«Ci mancherebbe altro. Come è stata la finale?»

Non ci fu neanche il tempo di rispondere, che con un rumore assordante ed eclatante, Thomas spalancò le porte dell'infermeria, tenendo tra le braccia il corpo privo di sensi di Clarissa, ricoperto interamente da lividi e piccoli graffi.

«Oh Merlino...» sussurrai tra me e me, sgranando di colpo gli occhi.

Seppur ancora dolorante, James balzò dal suo lettino, muovendo veloce dei passi incontro Thomas, volendo a ogni costo assicurarsi delle condizioni di Clarissa.

Potevo solo immaginare cosa le fosse capitato, e seppur fosse da tremendi egoisti, approfittai del fatto che stessero tutti volgendo le loro attenzioni verso Clarissa, per avvicinarmi un po' di più a Theo, senza destare troppo scalpore.

Il suo volto era rilassato, non c'era ombra di sofferenza. Se non avessi visto con i miei occhi ciò che gli era successo, avrei giurato stesse dormendo.

Gli carezzai piano i morbidi capelli corti, tentando di nascondere perfino a me stessa la scossa che sentii lungo tutta la mia colonna vertebrale, non appena le mie lunghe e affusolate dita fredde si posarono sulla sua pelle così chiara e candida.

«Non affezionarti troppo a me, sono un tremendo casino.» gli sussurrai, credendo che fossi l'unica che avrebbe udito quelle parole.

Mi allontanai in fretta, o almeno ci provai, perché improvvisamente avvertii una presa stretta sul mio braccio che mi impedii di proseguire.

«Troppo tardi, dovevi avvisarmi prima.»

Era la voce di Theo. Ancora un po' flebile e impastata, ma era lui.

Cercai di apparire quanto più composta possibile, fingendo che le sue parole non mi avessero scalfito quel cuore che ormai credevo di pietra.

«Non essere troppo avventato, è la morfina che parla per te» gli risposi, fingendomi indifferente, quando in realtà sapevo bene come il mio cuore avesse cominciato a battere un po' più veloce, e le guance si fossero colorite più del normale.

Che infami i sentimenti, me ne sentivo già totalmente sopraffatta.

**

Mi sarei vendicato di quel bastardo. Per ogni singola ferita che aveva procurato alla mia Clarissa, io gliene avrei causate cento in più. Ogni colpo che aveva accusato, lo avevo sentito forte nello stomaco, come se fossi stato io quello tramortito, e non lei.

Eppure, io non potevo essere fiero di ciò che era diventata, assieme alla sua forza inarrestabile. Anche se ridotta allo stremo, al culmine del dolore sopportabile, era riuscita a raccogliere le forze per scagliare l'incantesimo più complesso e potente di tutti. Ma io non ne avrei dubitato neanche per un istante.

«Signorino Malfoy, si tranquillizzi. La signorina Brave è solo svenuta in seguito a uno sforzo troppo eccessivo, è in perfetta salute. Ha solo qualche brutto livido che verrà via col tempo.»

Soltanto dopo le parole confortanti dell'infermiera della sala, permisi a me stesso di tirare un profondo sospiro di sollievo, crollando sulla poltrona in velluto blu posta proprio al fianco del suo lettino.

«Chi l'ha ridotta così? Cazzo, qualcuno può dirmi quello che è successo, o devo tirare a indovinare?»

La voce nervosa e stanca di James mi fece voltare di scatto, e ancor prima che potessi rispondere, Morgana gli fece un veloce ma efficiente riassunto della situazione, arrivando dritta al punto della situazione.

«Ringraziando Merlino, anche questa è passata.» sospirò Brandon, chinandosi a posare un dolce bacio sulla tempia della sua amata, sussurrandogli qualcosa all'orecchio che per tutti noi fu impercettibile.

Morgana annuì, ed entrambi si congedarono in fretta, facendo probabilmente ritorno ai dormitori. Avevamo decisamente tutti bisogno di riposare.

«Thomas, io credo che stia accadendo qualcosa di strano. Qualcosa sotto tutto questo casino mi puzza.» esclamò James, sedendosi ai piedi del letto di Clarissa.

«Non soltanto tu hai avuto quest'impressione, ma al momento l'unica possibilità che ci hanno dato è quella di sopravvivere a questi dannatissimi giochi del cazzo.» ringhiai, esausto di tutta questa ridicola e patetica situazione.

Dovevamo uscirne, e dovevamo vincere.

Era l'unica opportunità che ci era rimasta. Arrendersi non era un'opzione, non per me.

Dopo la prova appena conclusa, la preside ci regalò quattro giorni di apparente riposo. Ma trascorsero in modo tutt'altro che rilassante; Clarissa si riprese abbastanza velocemente, e questo alleggerì di molto il peso opprimente che sentivo alla bocca dello stomaco.

Ciò che però pose fine alla nostra tranquillità ancor prima che cominciasse, fu l'annuncio prematuro dell'ultima e sfiancante prova che ci avrebbe atteso.

La prova finale, quella che avrebbe decretato la conclusione, e che ne avrebbe proclamato il vincitore.

Le sue parole però, furono tutt'altro che rassicuranti.

«Lo so che siete affranti, stanchi e anche arrabbiati. Ma siete arrivati comunque fin qui, tanto vale concludere la sfida. C'è un ultimo ostacolo da superare, e non sarà di certo privo di pericoli, ma so che sarete pronti ad affrontarli. Sarà di abilità e intelligenza l'ultima prova. Ci saranno quattro oggetti da ritrovare, sparsi nella coltra radura della Foresta Proibita: saranno diversi per ognuno di voi, e solo il diretto interessato potrà vederli. Dovrete superare trappole, coalizzarvi col vostro alleato, giocare d'astuzia per poterli ritrovare il prima possibile, e uscirne indenni. Semmai sarete in pericolo, o crediate di non poter proseguire oltre, vi basterà segnalare la vostra posizione con una luce rossa, e verrete immediatamente soccorsi.»

Questo era stato l'annuncio della prova, che aveva portato dietro di sé soltanto altro scompiglio nella Sala Grande, sentendo di alcuni partecipanti che già stavano ipotizzando di mollare.

Codardi.

La paura lentamente s'impossessò di me, nonostante cercassi di apparire sicuro e spavaldo. Quell'ultima sfida portava con sé due delle cose che più mi spaventavano, e non sapevo se sarei stato davvero in grado di superarla senza crollare: il terrore e il dolore che i ricordi nella Foresta Proibita mi provocavano, e ancor di più, il panico che mi avrebbe causato sapere di non poter avere Clarissa sotto i miei occhi, affrontando tutto il percorso con l'ansia di non sapere se l'avrei rivista al traguardo. Sarebbe stato insopportabile, e sapevo ancor prima di cominciare, che non avrei mai potuto essere lucido. Ogni scelta che avrei compiuto, ogni strada che avessi scelto di intraprendere, avrebbe avuto l'unico scopo di proteggerla, anche se non avevo idea di come sarebbe stato possibile. Ma per lei avrei affrontato l'inferno in persona, l'ignoto e qualsiasi male esistente.

E fu tra piani strategici, cospirazioni e coalizzazioni, che tutti noi scegliemmo di passare quei giorni, tentando in ogni modo di trovare un modo per poterci proteggere a vicenda. Pensando come una famiglia, agendo come fossimo tutti una sola persona. Non c'era aria di competizione tra di noi, e per la prima volta in assoluto, nessuno voleva prevalere sull'altro, nessuno voleva averla vinta. Contro ogni previsione possibile, eravamo più uniti che mai, differenze e discussioni comprese.

Fu James a proporci l'idea migliore.

«Thomas, ragazzi, pensate un attimo: tu hai regalato a Clarissa una collana che vi permette di essere sempre in contatto l'uno con l'altro. Potremmo farlo tutti» guardò verso Brandon e Morgana, che avevano alzato lo sguardo dai libri incuriositi, e James si rivolte a loro «Voi due potreste usare lo stesso metodo per essere in contatto tra di voi, mentre io avrò un oggetto che mi colleghi a Clarissa. È il bersaglio principale di quella congrega di pazzi, mi sembra giusto che nel caso Thomas sia troppo lontano, io possa accorrere prima possibile ad aiutarla.»

Il Grifondoro aveva ragione, e la sua idea poteva davvero funzionare.

E così facemmo: Morgana e Brandon incantarono un piccolo anello, che pareva essere l'intreccio e il fondersi di due anelli in uno, con un cerchio bianco e l'altro nero e nel cui punto in cui questi si incrociavano, sorgeva un piccolo diamantino lucente.

Sorrisi compiaciuto allo sguardo sognante di Morgana, che guardava quell'anello come se fosse più di un semplice oggetto, attribuendogli un significato molto più profondo.

«Attento Bran, noi ragazze prendiamo queste cose sul serio! Potrebbe avere tutta l'aria di una proposta di matrimonio!» scherzò Clarissa, ironizzando sulla sintonia dei nostri amici.

James invece, regalò a Clarissa un piccolo bracciale in pelle di camoscio, formato da piccoli e fitti intrecci di fili, e se all'apparenza poteva apparire ordinario, c'era un piccolo dettaglio che lo rendeva davvero unico: proprio al suo centro, c'era incastonata una piccola pietra bianca dall'aspetto di un rombo tridimensionale, pallida e trasparente ma comunque bellissima.

Clarissa l'adorò, e un pizzico di gelosia non mi abbandonava mai ogni qual volta li vedessi interagire.

«Mio padre mi diceva sempre che questa pietra era speciale. Gliela regalò il suo migliore amico, e mi sembra poetico che adesso sia io a darla alla mia migliore amica» così disse, mentre Clarissa si gettò le braccia al collo, abbracciandolo con un certo affetto.

Okay, ero geloso marcio, e da buona e brava serpe, intervenni prontamente e in maniera aggraziata.

«Sì, tutto molto commovente, ma è il momento di prepararsi ad andare.» risposi in fretta, mentre Clarissa mi rivolse uno sguardo divertito, capendo all'istante le mie intenzioni.

Ma ciò che avevo detto non era molto distante dalla realtà: il momento di andare era davvero giunto.

Uscimmo fuori dal castello avvolti nel crepuscolo della giornata; il cielo si pitturava di varie sfumature d'arancio, mentre qualche nuvola più grigiastra minacciava pioggia per la sera che sarebbe venuta, ma nonostante ciò lasciavano abbastanza spazio agli ultimi raggi di sole di splendere.

Illuminati da quella flebile luce, camminavamo diretti verso l'inizio di quell'ennesima tortura. Almeno sarebbe stata l'ultima, e dopodiché avremmo potuta lasciarcela alle spalle quasi fosse un ricordo passato.

Gli alti alberi sembravano ancor più minacciosi del normale, sempre così fitti e poco distanti tra di loro, dando quasi l'idea che si potesse soffocare dentro quella foresta; l'odore di selvaggina era così pungente, che non si riusciva a percepire altro. La morsa gelida dell'inverno stava diminuendo la sua presa, proprio per questo il suolo non era più ricoperto dalla solita neve, ma più che altro umido e fangoso.

Persi in quella radura così arida e tetra, eravamo tutti pronti a giocarci ogni carta possibile, a correre più veloce del vento, a combattere senza sosta fino a che non fossimo arrivati alla fine.

Aleksander e gli altri ragazzi della scuola arrivarono subito dopo di noi, e non sarei stato Thomas Malfoy se non avessi ammesso che vedere i lividi sui volti di Vlad e Riccardo mi fece sogghignare leggermente.

Il norvegese mosse qualche passo per posizionarsi vicino a Clarissa, ma la forte pressione della mia mano sul suo braccio lo bloccò immediatamente, lasciandogli una lieve chiazza rossa sulla pelle.

«Sarà meglio per te che Clarissa ne esca illesa, non vorrai farmi arrabbiare ancora» gli ringhiai.

«Non spettava a te proteggerla?»

La sua risposta provocatoria mi diede più fastidio di quanto non immaginassi, ma non per questo mi spaventò.

«Quello sempre.»

Per le chiacchiere e le minacce ci fu poco tempo, e ben presto la preside ci richiamò all'ordine.

Il percorso che si parava di fronte a noi faceva sì parte della foresta, ma pareva quasi contraffatta, ed ero sicuro che qualche modifica gli fosse stata opportunamente scagliata.

La nebbia proseguendo da lì si faceva più densa e fitta, che ci era difficile scorgerne la via. Da quel momento in poi, saremmo stati completamente soli.

Ancora una volta fu il frastornante suono della campana a darci il consenso di partire, e tutti quanti veloci come delle furie ci catapultammo verso l'ignoto.

«Quali credi che saranno gli oggetti da trovare?» domandò Alissa al mio fianco, che astutamente aveva evocato un Lumos per far luce attorno a lei. Feci la stessa cosa.

«Sono sicuro che riguardino personalmente ognuno di noi. In qualche modo saranno oggetti che ci rappresentano.» le risposi velocemente.

Lei annuì velocemente, focalizzando la sua attenzione davanti a sé. La strada che ci si parava davanti era tutt'altro che semplice, e notai a mie spese che non mancavano le trappole e le esce messe lì appositamente per renderci l'avanzare ancor più difficile. Fu per un pelo che mancai la tenaglia di ferro nascosta tra le foglie rinsecchite al terreno. L'ambiente attorno a noi era ormai immerso nel buio più totale, e segretamente pregavo che il primo oggetto si fosse materializzato a noi il prima possibile.

Proseguendo poi avanti, un bivio si pose davanti a noi, mettendoci in condizione di dover scegliere in che direzione proseguire. Proprio al suo centro, sorgeva un piccolo cartello in legno, leggermente ammaccato su un lato; due frecce erano poste su di esso, una opposta all'altra. Su ciascuna delle due era posto un indizio diverso, e la freccia di destra citava queste parole:

''Per l'oggetto legato al passato.''

La freccia di sinistra invece mostrava tutt'altra cosa:

''Per l'oggetto legato al futuro.''

E in quel momento mi fu chiaro: i quattro oggetti da trovare rappresentavano sia me che Alissa, proprio per questo eravamo gli unici in grado di poterli scovare. Il che mi fece giungere alla conclusione che avremmo dovuto dividerci. Sarebbe stato più rischioso, ma sicuramente più veloce.

«Credo che dovremmo dividerci, saremmo più veloci così.»

«Ma anche più avventati» aggiunse lei.

Era vero, ma la realtà era che non avrei sopportato di camminare in quella selva ancora per molto. Non senza sapere come stesse Clarissa, avevo un disperato bisogno di assicurarmi delle sue condizioni, che il resto passava in secondo piano.

«Ce la faremo. Sei abbastanza scaltra e veloce. Non ci conviene rimanere a gelarci le chiappe più del dovuto» le risposi prontamente.

Con riluttanza mi diede ragione; entrambi consci della strada che ognuno dovesse intraprendere. Era più di una semplice prova, si trattava di prendere coscienza di ciò che eravamo, accettare i propri trascorsi e saperli superare. Una sfida contro noi stessi, alla fine di tutto l'avversario peggiore che dovevamo affrontare non erano altro che le nostre paure. E sapevo bene che non era il futuro a farmi paura, quanto il peso delle colpe passate.

Occhioni, tutto bene?

Feci volare i miei pensieri verso Clarissa, mentre andavo incontro a ciò che mi sarebbe aspettato.

Finora sì, ma non voglio cantare vittoria.

Quella conferma mi sembrò sufficiente, e almeno per il momento, potevo andar avanti con l'anima più leggera.

La strada mi condusse ad un albero alto e rigoglioso, e proprio sopra il ramo più alto e fragile, scorsi immediatamente qual era l'oggetto del mio passato: la foto mia e di Megan. L'unica che avessi con lei. La mia colpa e il mio risentimento più grande, l'unica ferita che ancora pulsava, quella che non aveva mai smesso di far male.

L'incantesimo 'Accio' non mi avrebbe permesso di acciuffare la fotografia così da lontano, dovevo avvicinarmi. E fin qui pareva essere semplice, se non fosse per il suolo ricoperto di piccole spine che dovetti superare. Invocai un incantesimo 'Incendio' per far sì che queste venissero bruciate ed essiccate, ma nonostante ciò qualche piccola punta sopravvisse, causandomi piccole fitte di dolore ad ogni passo che muovessi. Affrontare il passato faceva male, faceva sanguinare, andare avanti non era così semplice come si poteva pensare. Ma era giunto il momento. Mi sentivo pronto a lasciar andare quella colpa, a non ritenermi più responsabile. E fu con la forza sprigionata da quella convinzione che la foto si librò tra le mie mani, senza bisogno di usare alcun tipo di magia.

E il primo era preso, adesso toccava agli altri.

Percorsi la strada verso nord, dovendo però fare attenzione allo stormo di corvi che tentò di attaccarmi.

I corvi, altra mia grande paura, mi ricordo ancora quando mia madre cercava di convincermi che fossero soltanto dei miei silenziosi custodi, e che non avevo da temere da loro. Proprio per questo sapevo che quel dettaglio non era casuale, e il mio cuore si strinse al solo ricordo soave della sua voce. Mi mancava, era forse la persona di cui avessi sentito più la mancanza in tutti quegli anni. Il tempo aveva giocato sporco contro di me, privandomi della mia gioia più grande, di colei che aveva creduto in me prima di ogni altro. Non avrei saputo esprimere quel dolore neanche con un milione di parole, proprio per questo non riuscii a reprimere la lacrima solitaria che mi scese dal volto non appena vidi la nostra foto appesa a uno spaventapasseri, circondata da corvi grossi e neri che mi guardavano minacciosi, muovendo meccanicamente la testa da un lato all'altro.

Ecco l'altro grande macigno che dovevo affrontare, l'altro dolore di cui mi dovevo liberare, dando voce a pensieri che non ero mai riuscito a esprimere a nessun'altro.

«Mamma, mi manchi. Non sono mai riuscito a ricomporre i pezzi del mio cuore senza di te. Venderei l'anima al diavolo stesso per poterti riabbracciare solo per un attimo, non c'è cosa di cui non mi priverei, non c'è montagna che non scalerei. Mi basterebbe un minuto, soltanto un flebile attimo per poterti riabbracciare ancora, per poter sentire di nuovo la tua voce. Ti voglio un bene indistruttibile, sarà così sempre. Grazie di essere la mia forza, ovunque tu sia.»

Lacrime salate mi bagnavano il volto. Quella era la verità più ardua con cui fare i conti: la mancanza di mia madre nella mia vita. Il dolore che avevo provato e che mai mi aveva abbandonato, il senso di vuoto incolmabile.

La foto posta al centro di quel pupazzo malconcio cominciò a brillare, liberandosi dai fili di paglia che la coprivano e la trattenevano, per giungere dritta tra le mie mani.

Il passato era ciò che mi aveva straziato di più l'anima, ma era anche ciò che mi aveva reso ciò che ero. Non l'avrei rinnegato, non l'avrei dimenticato.

Continuai a camminare verso est, facendomi spazio tra i rami e le foglie della natura, dovendo continuamente stare attento a non incappare in qualche trappola.

E poi un urlo, così forte da far tremare i tronchi, così terrificante da far scappare anche gli stormi di uccelli.

La paura regnò sovrana su di me, e la mia mente perse ogni ragione possibile.

Iniziai a correre, tentando invano di trovarne l'origine, ma il risultato fu quello di finire perso nelle viscere della foresta, perdendo completamente il senso dell'orientamento.

Clarissa ti prego, dimmi dove sei. Sto già correndo di te.

Gli attimi che passarono nell'attesa della sua risposta, fu come rivivere un incubo a occhi aperti. Purtroppo questa volta non mi sarei risvegliato nel mio letto. Questa volta era reale.

Tutt'intorno a me era oscurità e ombre, e sentire la voce di Clarissa era l'unica cosa che mi avrebbe dato luce.

Thom. È stato orribile, qualcuno ha cercato di attaccarmi. C'è James con me, era vicino.

Caddi di peso con le ginocchia al terreno, mentre tentavo di riprendere fiato, ripetendo a me stesso che lei stava bene, che era al sicuro. Ma al tempo stesso, non grazie a me.

Usciamo da questa fottuta foresta.

La sua risposta arrivò l'attimo dopo.

Concordo.

Rivederla era l'unico mio obiettivo, non ne esisteva un altro. Non m'importava di vincere, di essere il primo, di portare la vittoria a casa. Volevo soltanto riabbracciarla, stringere le mie braccia attorno alla sua pelle, baciarla fino a sentirmi male, fino a che non avessi più avuto ossigeno, incrociare il mio sguardo al suo e perdermi ancora nelle sue iridi caramellate. Rimanere tutta la vita così, tenerla vicino a me per ogni istante che avrei vissuto.

E fu quel sentimento così devastante a darmi la forza necessaria di alzarmi dal suolo e tornare a muovere passi in avanti, sapendo che più avrei avanzato, più sarei stato vicino a riabbracciarla. Non potevo crollare, non potevo demordere. Lei valeva questo e anche di più. Per lei avrei combattuto fino allo stremo delle forze. Perché valeva tutto, perché era tutto.

Non percepivo più neanche il dolore dei rami che urtavano contro la mia pelle, né il vento gelido che mi tagliava la faccia. Niente mi causava dolore, non più di quanto non mi urtasse saperla lontana da me.

Sto arrivando amore, un altro poco e sono lì.

Dopo quella che mi era parsa un'eternità, potevo scorgere la fine della foresta, chiaro segno che c'ero quasi. Bastavano un altro paio di passi e sarebbe finito tutto. Potevo farcela.

Costrinsi le mie gambe a non cedere, avanzando lungo quella coltre di nebbia e fumo, affidandomi completamente ai miei sensi e al bagliore sempre più forte e pulsante che proveniva da lontano.

Altri dieci passi.

Poi altri cinque.

Ce l'avevo fatta, ero fuori. Ero arrivato.

Sbattevo i miei occhi velocemente, tentando di mettere a fuoco l'ambiente attorno. La differenza di luce fu accecante, e ci vollero un paio di secondi prima che riuscissi ad abituarmi; vedevo tutto a macchie, ma due braccia mi saltarono al collo ancor prima che potessi capirne l'identità. Fu il profumo sprizzante di lavanda, e la scossa che mi diede il tocco con la sua pelle, a confermarmi che quella figura non poteva essere altro che Clarissa.

La strinsi più forte contro di me, crogiolandomi nella bellezza di poterla riabbracciare veramente, mentre tutte le mie paure lentamente si dissipavano.

«Merlino Thom, hai ferite ovunque.» mi sussurrò, passando la mano lungo la mia guancia tramortita.

«Non m'importa. Sei qui, stai bene. Mi basta.»

La baciai con una forza quasi disperata, non sopportando più l'idea di essere separato dalle sue labbra, e il contatto con lei mi sembrò la poesia più bella che potesse esistere.

Man mano che il tempo passava, anche gli altri cominciarono a fare ritorno.

Però era trascorso fin troppo, e di Morgana e Brandon non c'era ancora traccia, scomparsi assieme a Riccardo, Helena e Alissa.

Dove cazzo erano finiti?

Perché ancora non erano tornati?

Clarissa parve leggere nei miei pensieri, e sapevo che nutriva la mia stessa preoccupazione. Era sempre più pressante nei cuori di ciascuno di noi.

«Perché Morgana e Brandon non tornano?» lo disse con una voce tremante, che minacciava pianto, un crollo imminente. Gli occhi le si erano fatti ancor più gonfi e arrossati. Tutta la sofferenza che dovevamo patire era soffocante.

Trascorse altro tempo, e di loro ancora nulla. E l'ansia aumentava, il terrore negli occhi di Clarissa era sempre più grande, il respiro che le si faceva man mano più corto.

E poi ecco che qualcosa cambiò.

Dal fondo della foresta, la figura ferita ed esausta di Morgana si scorse, ma il suo volto era tutt'altro che sereno: il suo viso olivastro così come tutto il suo corpo erano contornati da graffi e lividi, mentre stringeva tra le mani una boccetta vuota; i suoi occhi erano spalancati, il labbro le tremava visibilmente, e una tale espressione di panico non gliel'avevo mai vista.

«Bran... Il mio Bran... La pozione Polisucco...» continuava a blaterale cose senza alcun senso, e immediatamente Clarissa le fu vicino, tentando di capire in qualche modo cosa volesse dire.

«Morgana!» le tuonò con severità, e ciò parve farla riprendere, quasi si fosse risvegliata da uno stato di trance «Cosa è successo?»

Lei guardò dritto negli occhi della sua amica, prendendo un attimo di respiro, tentando di trovare il coraggio di proferire parola.

«Io e Brandon siamo stati attaccati, era venuto per aiutarmi, ma Riccardo ed Helena ci hanno attaccati di sorpresa alle spalle. Hanno tentato di prenderci entrambi, dicevano che tu e Clarissa sareste corsi come polli. Dalla tasca di Riccardo è caduta questa boccetta, l'odore è quello della Pozione Polisucco. Bran è riuscito a farmi scappare, mi ha detto di correre più veloce che potevo, ma credo abbiamo preso anche Alissa. Solita persona che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. È stato orribile.»

Troppe informazioni, troppo panico, tutto troppo.

Lo sapevo cazzo, lo sapevo che quella situazione ci sarebbe esplosa tra le mani. E a rimetterci era stato il mio migliore amico, mio fratello.

«Io vado a riprendermi mio fratello» fu l'unica cosa che dissi, non c'era nient'altro da aggiungere.

Immediatamente Clarissa balzò in piedi, avanzando veloce verso di me.

«Vengo con te, non transigo.»

«No, ma non l'hai sentita Morgana? Portarti con me sarebbe la cosa più stupida che possa fare» tuonai severo.

«Verrò io. Bran è il mio ragazzo, ha dato la sua vita per salvarmi, e non intendo tirarmi indietro.»

La voce di Morgana tuonò alle nostre spalle, con un tono che non ammetteva repliche, e io non potevo biasimarla.

James arrivò vicino a noi, poggiando una mano sulle spalle di Clarissa.

«Cla, andare tutti sarebbe un errore. Specialmente tu. Thomas e Morgana sanno quello che fanno.»

I suoi occhi si fecero ricolmi di lacrime, mentre stringeva forte le labbra tra i denti, tentando di respingere un pianto soffocato.

«Promettimi che tornerai da me.» disse in un fiato, mentre si allungava per baciarmi ancora.

«Tornare da te è l'unica cosa che mi permette di andare avanti.» le risposi, portando ancora con prepotenza le sue labbra sulle mie.

Mi rivolsi poi verso James, con parole che mai avrei pensato di poter pronunciare, ma in cui credevo profondamente.

«Proteggila James, sei l'unico di cui mi fido. Sei l'unico a cui posso affidarla.»

«A ogni costo.»

Buonasera ragazzi! Ebbene... Questi giochi sono volti al termine, non felicemente per tutti però!

Non mi ammazzate! Abbiate pietà! Giuro che scrivere questo capitolo non è stato semplice neanche per me. Questi personaggi sono parte di me, e scrivere delle loro sofferenze fa patire anche me, ma purtroppo raramente le cose sono tutte rose e fiori.

Vi aspettavate un finale del genere? Chi credete che siano i responsabili?

Vi avviso, il prossimo capitolo sarà fondamentale, quindi rimanete aggiornati! Credo sia il più importante di tutti, anche dello stesso finale! (poca ansia per me insomma!)

Aspetto le vostre supposizioni con ansia.

Inoltre, spero di avermi saputo emozionare o quanto meno trascinare nel passato di Thomas, e del dolore che ha dovuto sopportare. Credo che sia la parte più difficile che abbia dovuto scrivere, spero di aver trasmesso almeno un po' delle sue emozioni anche a voi!

Se vi va, lasciate pure una stellina, io vi leggo tutte!

Un bacio

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro