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Chapter fifty-one: The Family I Choose

~Per questo capitolo, se vi va, ascoltate "Control" di Halsey~

Mi sembrava di essere di nuovo al punto di partenza, era sfiancante tornare a Hogwarts con più dubbi che risposte, come se tutto ciò fosse stata solo una perdita di tempo.
Per un attimo, mi ero illusa che parlando con la nonna di Megan avremmo potuto far luce su quale fosse il suo collegamento con la congrega, ma oltre a un emozionante e toccante storia, non c'era stato altro.

Però la compativo, ovunque lei si trovasse, mi sembrava di esserle più vicina di quanto non volessi ammettere.

Lei cercava disperatamente un padre, mentre io avevo appena perso il mio, forse neanche lo avevo mai avuto. Capivo davvero quanto profondo fosse il suo dolore, e speravo con tutto il cuore che in qualche parte del mondo magico, lei fosse ancora viva.

Thomas intanto si era rintanato nel silenzio più totale, proferendo a stento due parole per tutto il viaggio di ritorno. Ciascuno di noi aveva i propri demoni da affrontare e le proprie paure da sconfiggere, eppure per tutto il tempo che seguì, lui non mollò neanche per un istante la mia mano, tenendo le dita saldamente incrociate con le mie, come se fossero la sua ancora.

Una volta fuori dalla foresta, ci decidemmo a smaterializzarci, e in batter di ciglia eravamo di nuovo di fronte a quel grande e tenebroso portone nero.

Se ci riflettevo per un attimo, la vista sopra la collina su cui sorgeva il castello era davvero mozzafiato; a quell'ora del crepuscolo le ultime luci del giorno facevano risplendere l'acqua scusa del Lago Nero, potendovi scorgere qualche punto luce anche nelle profondità più inoltrate. Tutto il resto era verde e incontrastata natura, con gli alti alberi che si aprivano tutt'intorno all'area adiacente al castello, quasi fosse un piccolo angolo di paradiso circondato dall'acqua e dalla selva.
E sarebbe stato anche l'angolo migliore del mondo dove perdersi, se non fosse stato al tempo stesso il custode dei pericoli peggiori.

Avrei voluto sentirmi al sicuro tra quelle mura, certa che niente avrebbe potuto colpirci, ma sapevo bene che non era così, non fin quando la congrega aveva modo di esistere.

«Mi fai paura quando diventi così silenziosa.»

Thomas cercò di smorzare la tensione, regalandomi al meglio delle sue opportunità un sorriso rassicurante, e lo amavo solo per il modo che aveva di preoccuparsi costantemente.

«Stavo pensando che siamo andati lì a cercare risposte, ma abbiamo avuto in cambio solo altre domande» ammisi delusa, tirando un piccolo sospiro di sconforto, mentre ci affrettavamo a rientrare.

L'interno del castello era stranamente silenzioso, e mi chiedevo dov'è che fossero mai tutti gli altri. Mi sembrava che dopo la morte di James, ognuno avesse intrapreso strade diverse: Aurora si vedeva raramente in giro, e non riuscivo mai a capire dove fosse diretta, Morgana ormai viveva in infermeria, e quelle rare volte che avevo trovato il coraggio di andarci, vedere il corpo di Brandon così malconcio mi metteva una tristezza che in quel momento non riuscivo a reggere; perfino Lorelaine non era più la stessa, e quasi mi mancava averla attorno con le sue battute sempre velenose e puntigliose.

Mi mancava la mia famiglia, la migliore che potessi chiedere, dove i difetti non mancavano, ma erano altrettanti i pregi.

«Perché non andiamo al Pensatoio? Proviamo a vedere cosa contengono questi ricordi, e magari ne sapremmo di più. Forse qui dentro ci sono le risposte che tanto agogniamo.»

«Allora qualche volta sei anche intelligente, mi sorprendi giorno per giorno» mormorai ironica, mentre gli davo una piccola spallata amorevole, e lui ricambiò con una smorfia indispettita.

«Ti ricordo che devi preparare ancora una Pozione migliore della mia.»

«Tempo al tempo, piccola serpe.»

Era incredibile di come assieme, la tensione tendesse sempre a scemare, sentendomi irrimediabilmente più leggera. Sapeva esattamente come far breccia nel mio cuore, riportando a galla il buon umore senza il ben che minimo sforzo. Si mostrava sempre così spavaldo, così saccente, ma tremendamente attento a non farmi preoccupare più del dovuto.

E mi chiedevo se fosse mai possibile amare più di così, al punto tale di mettere i bisogni della persona che si ama sopra ogni cosa.

Arrivammo al Pensatoio più in fretta di quanto non mi fosse sembrato, e sperai vivamente che quel pozzo giallognolo e luminoso potesse darmi le risposte che cercavo.

Col passare degli anni, questo era stato spostato in una sala più appartata, che si teneva nella parte Ovest del castello, considerando che non veniva usato più di tanto, e per anni questa sorgente che dava vita ai ricordi delle persone, fu tenuta lì abbandonata e inutilizzata.

Immersi il contenuto della boccetta nell'acqua trasparente, che iniziò a brillare di luce propria, invitandomi a guardare all'interno, immergendo la testa in quella che all'apparenza poteva sembrare solo della banale acqua luminescente.
*
Presi un profondo respiro, e senza pensarci su due volte, mi lasciai avvolgere dalle immagini di Megan e della sua famiglia.

Da sopra le cime di una piccola collina, vedevo scendere una ragazzina dai vispi occhi azzurri brillanti, alta non più di qualche metro, che saltellava allegra in quella distesa verde, facendo svolazzare i suoi lunghi capelli biondi lungo tutto il campo, mentre trotterellava e si chinava a cogliere qualche piccolo fiorellino che incontrava per la strada.
Si avvicinò a me, o più precisamente, a sua nonna, continuando ad avanzare veloce come una trottola.

«Nonna! Oggi è venuto a trovarmi un uomo, dice di essere il mio papà, ma io non l'ho mai visto prima!»

Avvertivo la paura e l'agitazione della padrona di quel ricordo come fosse la mia, sentivo il tremore delle sue mani e perfino l'esitazione della sua voce.

«Tesoro di nonna, non credere agli sconosciuti. Il tuo papà non è qui, è da un'altra parte molto speciale.»

La piccola fece spallucce, voltandosi ancora una volta con lo sguardo puntato all'orizzonte.

«Mi ha dato un regalo speciale. Ha detto che era un cimelio di famiglia, qualcosa di unico, in modo che mi potessi sempre ricordare di lui.»

Quelle erano le fantasie di una bambina che non aveva mai smesso di rincorrere il sogno, sperando che prima o poi, il suo vero padre avesse fatto capolinea sull'uscio della porta, regalandole la gioia che cercava così tanto disperatamente. Coglievo la luce nei suoi occhi, mentre con le mani posate nella tasca, stringeva forte quell'oggetto che però mi era impossibile scorgere. Doveva essere qualcosa di piccolo, di poco visibile, tanto da poter entrare nelle sue piccole tasche ai lati del piccolo vestito rosato che indossava.

«Allora conservalo pure, ma non credere mai a quello che ti dice la gente. Il mondo è un bugiardo Megan, lo capirai molto presto.»

Dopo di ciò, le immagini divennero piano a piano sempre più sfocate attorno a me, segno che il ricordo stava per terminare; Megan diventava sempre più incorporea, e mi era sempre più difficile tentare di vedere il piccolo oggetto tra le sue mani.
*
Frustata e infastidita, rialzai il volto da quella distesa d'acqua, tornando a respirare di nuovo, mentre Thomas mi passava un piccolo tovagliolo di stoffa per asciugarmi la faccia ormai zuppa.

Chi mai poteva essere l'uomo collegato alla congrega? Che fosse proprio questo Cassian?

Avrebbe potuto aver senso, anche se l'età di questo famigerato Cassian era ancora incerta.

Si era nascosto nei panni di Riccardo, un ragazzo nostro coetaneo, ma avrebbe potuto essere chiunque, avere qualsiasi volto, e a questo punto, qualsiasi età.

Era tutto troppo confuso, ma era l'unica pista che paresse avere un minimo di senso. Avrebbe collegato tutto.

«Cosa hai visto, Clary? Sai chi è il padre?» domandò in fretta Thomas, con una certa ansia nella sua voce.

Scossi il capo nervosamente, buttando fuori un sospiro alquanto frustato.

Non avevamo altro che teorie, e le certezze venivamo sempre meno.

«Nel ricordo, c'era Megan da piccola che diceva di aver visto il padre, gli aveva dato una sorta di cimelio di famiglia, ma non ho visto cos'era. Mi viene da pensare che potrebbe essere Cassian il padre, ma non avrebbe comunque senso.»

Thomas ebbe un attimo di esitazione, come se qualcosa gli fosse balenato in testa, un flash improvviso che gli si parò in volto, eppure fu così veloce che parve di essermelo solo immaginato, in meno di un secondo era tornato di nuovo impassibile. Ma io avevo visto i suoi occhi sgranarsi e le sopracciglia alzarsi, e la tipica espressione di chi era arrivato a una conclusione.

«Thomas, a cosa stai pensando?»

«Nulla, nulla. È stato solo un flash stupido, niente di rilevante, te lo direi.»

Non ero ancora propriamente convinta, e sapevo che nella sua complessa e misteriosa mente, aveva pensato a qualcosa di ben preciso, e sicuramente importante. Ma ancora non capivo perché non riuscisse a essere sincero con me. Continuava disperatamente a volermi proteggere, e io ero stanca di sentirmi come la principessa sola e indifesa che non poteva affrontare la realtà dei fatti.

Ma ero comunque troppo stanca e spossata per poter affrontare l'ennesima lite, l'ennesimo scontro. Per una volta, soltanto per questa, mi sarei accontentata di quella piccola bugia, senza tentare indagare oltre.

«Va bene, se lo dici tu» mormorai poco convinta, e sono sicura che lo avesse notato anche lui.

Ce ne andammo alla svelta da quel posto così solitario e umido, per tornare alla parte pulsante del castello. Eravamo entrambi esausti dal viaggio, e data l'ora di tarda sera, probabilmente l'unica cosa che volevamo era poggiare la testa sul cuscino e spegnere la testa per un po', nella speranza di trovare almeno nel sonno la tanto agognata quiete.

Prima di dirigerci verso i dormitori, passammo per l'infermeria, notando di come stranamente né Morgana né Brandon fossero lì, ma anzi il letto fosse rimasto disfatto, e le coperte gettate al tappeto senza troppa cura, come se avessero avuto una certa fretta di andarsene.

Tutto il resto era rimasto immacolato, e il dubbio che potesse essere successo qualcosa di serio s'insinuò nella nostra testa, e le pulsazioni del cuore iniziarono a diventare lentamente più pressanti e continue, sentendo perfino il sangue farsi gelido nelle vene.

Gettando la stanchezza in un piccolo angolo della nostra mente, voltammo in fretta le spalle a quella anemica e vuota stanza, per aumentare vistosamente il passo nelle loro rispettive camere, e successivamente in ogni possibile posto dove potessero essersi diretti.

«Dove credi che possano essere andati?» chiesi frettolosamente.

«Non ne ho la più pallida idea. Potrebbero essere ovunque, manchiamo qui da quasi una settimana.»

Anche questa era un'amara realtà. Ci eravamo rinchiusi in un mondo tutto nostro, illudendoci di poter scampare per un po' ai problemi e le situazioni che ci circondavano, ma come ogni volta, queste ci piombavano addosso nel modo più drastico possibile. Arrivai alla conclusione che non ci poteva essere pace, riposo o perfino tranquillità, non finché non avremmo messo la parola fine a tutto quest'incubo tremendo.

Proseguivamo a passo deciso e svelto, svoltando ogni angolo e ogni corridoio con un senso opprimente allo stomaco, mentre entrambi smaniavamo di sapere cosa mai fosse capitato in nostra assenza.

Fortunatamente, almeno per una volta, le nostre preghiere vennero accolte, e furono stesso Morgana, Brandon e Lorelaine a venire incontro a noi, scontrandoci violentemente petto contro petto, nel momento esatto in cui loro si apprestavano a svoltare l'angolo della sala, e noi ci stavamo arrecando nella direzione inversa.

Per via della nostra simile altezza, io e Morgana battemmo addirittura fronte contro fronte, provocandoci una bella botta dritta in faccia.

«Ma esattamente, dove guardate quando camminate? Agli ippogrifi che volano?» sbottò nervosa Lorelaine, mentre si risistemava nervosa la mantella.

L'ironia passò però in fretta, perché nello stesso esatto momento, sia io che Morgana, senza curarci nemmeno del dolore alla testa, ci stringemmo in un abbraccio quasi disperato, aumentando la pressione sulle braccia come se volessimo stritolarci a vicenda. Avevo sentito la sua mancanza più di quanto non mi fossi realmente resa conto, e vederla lì fece scemare tutta la stanchezza e la preoccupazione che provavo, anche se solo per un breve istante.

«Dove eravate finiti? Vi stavamo cercando.» dissi in fretta, mentre lentamente mi scioglievo dall'abbraccio, tornando a guardare sia Brandon che Lorelaine.

«È una lunga storia, dobbiamo aggiornarvi su alcune novità.» disse seria Morgana, ma io mi preoccupavo più di Brandon che fino a quel momento non aveva proprio aperto bocca.

Era pallido in viso da far spavento, due occhiaie profonde proprio sotto gli occhi, e un'aria così distrutta e affrante, che poche e rare volte gli avevo visto in volto.

«Anche noi. Dai andiamo in camera di Thomas, così facciamo il punto della situazione.»

Annuirono tutti silenziosamente, mentre notavo di come il mio spavaldo Serpeverde si fosse già accorto del malessere del suo migliore amico, mentre gli posava il braccio amichevolmente sulla spalla, e si tenevano di qualche passo più indietro rispetto a noi, per poter parlare più tranquillamente.

Nelle ore che passammo chiusi in camera di Thomas, ci aggiornammo di tutto ciò che ciascuno di noi aveva scoperto, cercando di dare un senso comune a quello che ci circondava, mettendo insieme tutte le informazioni.

Potevo capire il dolore di Brandon, ero l'unica che poteva davvero, più di chiunque. Ciò che avevamo dovuto passare equivaleva alla perdita di un genitore, nel modo più atroce possibile, ti spazzava via le certezze di una vita, le convinzioni e le radici con cui eri cresciuto, e faceva male, ti bruciava la pelle, ti corrodeva l'anima.
Ti sentivi sbagliato, come se quello in cui avessi creduto fino ad adesso fosse una menzogna, nient'altro che una falsa apparenza, come se nulla apparisse reale.

Ma accanto a questo, nasceva contemporaneamente un'altra convinzione, quella che la famiglia non erano solamente i legami di sangue, ma era composta da quelle persone che nonostante tutto c'erano, che non ti lasciavano, che ti stringevano la mano per tutto il tragitto, aiutando a rialzarti dopo ogni caduta; coloro che con tutti i difetti, non smettevano mai di combattere per il giusto, per un qualcosa di ancor più profondo, rendendosi migliori a vicenda. La famiglia si creava, essa era tutto ciò che ti rendeva felice, che ti dava vita, non te la levava. E io avrei combattuto per la mia, per quella bellissima e imperfetta combriccola che mi ritrovavo, ma per cui avrei dato la vita mille e una volta.

Mi avvicinai silenziosamente a Brandon, che in quel momento se ne stava un po' in disparte, il viso rivolto verso l'esterno della finestra un po' appannata, e lo sguardo perso di chi non sapeva più da che parte dirigersi.

«Bran, lo so che ti sembra di aver perso tutto, chi meglio di me lo può sapere. Ma tu una famiglia, un posto in cui tornare ce l'hai, ed è proprio qui» dissi flebilmente, mentre gli posavo una mano sulla spalla, e in quel momento si voltò verso di me.

«Lo so, ma la realtà è che mi sento stupido. Sono cresciuto una vita intera con lei, sapevo quanto le sue convinzioni fossero sbagliate, antiquate. Basti pensare a ciò che aveva fatto a 'Gana. E io me lo sarei dovuto aspettare, lo avrei dovuto prevedere.»

Scossi il capo contrariata, arrivando a poggiare entrambi i palmi sulle sue spalle larghe, guardando dritta verso di lui.

«Cerchiamo sempre di vedere il meglio di tutto, specialmente delle persone che ci sono vicine. Ed è questo che ci rende migliori di loro. Abbiamo la nostra famiglia, e combatteremo per quello.»

«Assolutamente sì» mi disse in un sospiro, accennando anche un flebile sorriso, che rese il mio cuore più leggero.

Morgana gli si avvicinò subito, e sicuramente lei meglio di me avrebbe potuto essere il rimedio che gli serviva. Si completavano a vicenda, ed ero grata che entrambi avessero trovato la propria metà su cui fare affidamento in momenti come questo.

Dopo un altro po' di tempo, fecero ognuno ritorno alle proprie stanze, ma è inutile dire che io e Thomas ormai ne condividessimo una singola, e neanche ricordavo quando fosse stata l'ultima volta che avevo dormito nella mia camera.
La verità è che assieme a lui mi sentivo protetta, come fossi in una bolla, e in un momento di tale incertezza, di cotanta paura, mi serviva un po' di serenità, e solo con lui io riuscivo a trovarla.

Quando tutti se ne furono andati, indossai velocemente una delle sue felpe dal suo cassetto, inebriandomi nel suo profumo fresco di colonia fino allo sfinimento.

«Non mi stancherò mai di vederti le mie cose addosso.»

«E io non mi stancherò mai di indossarle, e non mi stuferò mai di te.»

Lui mi sorrise, stringendomi un po' più vicino a sé, fino a quando i miei capelli non gli solleticarono il volto, a un palmo dalle sue labbra.

«Spero proprio di no. Non ti lascerò andare così facilmente.»

«Sono esattamente dove vorrei essere. Il mio posto nel mondo.»

Suggellammo quella sacra promessa con un bacio così sentito, così profondo, da avvertirne la potenza fin dentro le viscere. Il modo in cui le sue labbra si mischiavano alle mie, la sensazione delle sue mani che mi carezzavano la pelle, senza malizia, senza ingordigia, ma con un amore così profondo che soltanto pochi avevano avuto la fortuna di vivere, mi faceva sentire felice, anche se tutto intorno a noi era ombra e oscurità. Avvolta in quelle braccia per me tanto familiari e confortanti, sprofondai in un sonno profondo, che però non fu del tutto tranquillo.

Mi trovavo in una stanza buia, senza la possibilità di vedere niente intorno a me, non sentivo nulla. Solo l'eco dei miei passi che avanzavano precipitosamente, come se mi trovassi a camminare su una superfice bagnata, mentre il rumore dell'acqua era l'unica cosa percepibile, il solo elemento che mi pareva di riconoscere. Mi voltavo, mi guardavo intorno, correvo senza sosta, ma non c'era nessuno.

Ero sola.

''Clarissa.''

Una voce femminile risuonò nell'ambiente, ma non c'era nessuno nei paraggi, era solo nella mia testa, come se ci fossi direttamente collegata.

Il suo timbro di voce non mi sembrava cattivo, ma disperato avrei osato dire, preoccupato.

''Chi sei?'' domandai, urlando a squarciagola, anche se sapevo che fosse del tutto irrilevante.

Odiavo il buio e la solitudine, e tutte quelle paure adesso giocavano sporco contro di me, facendomi sentire intrappolata.

''Non è questo l'importante. Lui sta arrivando, e ti troverà. Siete in pericolo, in tremendo pericolo.''

Troppe domande in quel momento mi balenavano nella testa, e mi domandavo se tutto ciò fosse reale, o se non fosse tutto frutto delle mie fobie.

''Chi sta arrivando?''

''Lo scoprirai presto. Non sarete mai pronti a pagarne il prezzo.''

Mi alzai dal sonno urlando, mentre la fronte e la schiena erano madide di sudore, la felpa completamente zuppa, e il respiro così corto che mi pareva di aver corso una maratona di decine e decine di chilometri.

Thomas si alzò quasi contemporaneamente a me, stringendomi tra le sue braccia ancor prima che potessi proferire anche una singola parola.

La sua voce ancora mi risuonava nella testa, dimenticarsela era impossibile.

Ma non era questo a terrorizzarmi, ma la sensazione pressante che qualcosa di sbagliato fosse appena capitato, un sesto senso che non mi faceva stare tranquilla, anzi mi rendeva irrequieta.

Quello era un avvertimento, e sono sicura che non fosse soltanto un banale incubo.

«Ehi occhioni, stai tranquilla, era solo un incubo. Ci sono io.»

Scossi il capo nervosamente, balzando dal letto in un baleno, mentre notavo che le prime luci dell'alba già si facevano spazio nel cielo sereno, lasciando la luna all'orizzonte.

Thomas ancora mi guardava sbigottito, e io sentivo il pressante bisogno di dirigermi nella Sala Grande, come se sapessi che qualcosa di tragico fosse appena capitato. Era una sensazione che non mi spiegavo, anzi era una certezza.

«Thom, dobbiamo andare in Sala Grande, ho un brutto presentimento.»

Lui non proferì altro, senza dubitare neanche per un secondo di ciò che stessi dicendo, mi seguì a ruota, scendendo giù dalle coperte e rivestendosi in fretta, mentre recuperava tutto ciò di cui aveva bisogno.

Per ogni passo che muovevo in direzione del centro pulsante del castello, il peso soffocante che mi premeva dritto al petto non faceva che aumentare, e buttare l'aria fuori diventava sempre più difficile. Mi sentivo le dita gelide, e le gambe faticavano perfino a muoversi in avanti, come se si fossero tramutate improvvisamente in gesso.

Spalancai rumorosamente le porte della sala, trovando di fronte a me volti che mai mi sarei immaginata di vedere: tutti i personaggi più influenti del mondo magico erano proprio lì, non mancava nessuno. C'era il padre di Thomas, il famigerato Harry Potter e sua moglie, la famiglia di James, e tanti altri volti che avevano fatto la storia di quelle mura. I loro nomi erano storia, e la loro presenza lì non poteva che significare guai in vista.

Non mi sbagliavo, mi avevano avvertita.

Il mio non era solo un sogno, era un campanello d'allarme.

Ci guardavano tutti come se fossimo noi gli estranei in quel posto, supponendo che non si aspettavano di certo la nostra comparsa all'uscio del portone.

«Papà, che sta succedendo? Che ci fate tutti qui?» domandò Thomas preoccupato.

L'uomo stretto in una giacca di seconda mano e una vistosa cicatrice sulla fronte si fece avanti, sistemandosi velocemente gli occhiali rotondi e neri che gli erano scivolati sulla punta del naso, i capelli scuri e castani leggermente brizzolati, e l'aria di chi non portava buone notizie.

«Siamo tutti qui per proteggere voi e tutto il mondo magico. La minaccia di Cassian è più reale che mai, e ci ha presentato un ultimatum: ha preso in ostaggio cinque ragazzini, li tiene prigionieri, e se entrò altrettanti cinque giorni non consegneremo Clarissa nelle sue mani, li ucciderà a sangue freddo, e verrà comunque per te.»

''Non sarete mai pronti a pagarne il prezzo.''

Tutto trovava una logica, e niente era stata vana immaginazione.

Mi si gelò il sangue nelle vene, e le parole mi si bloccarono in gola, non ero in grado più di proferire anche una singola lettera. Mi sentivo l'intero peso del mondo sulle spalle, ed ero davvero stufa che le persone dovessero pagare il prezzo della mia vita.

«Non accadrà mai. Dovranno passare sul mio cadavere per arrivare a lei. Clarissa non è un oggetto di scambio» ringhiò furioso Thomas, mentre protettivamente si parava di fronte a me, come se volesse difendermi da ogni pericolo incombente.

Draco Malfoy avanzò verso di lui, mentre stringeva forte la mano di suo figlio tra la sua, tentando in qualche modo di calmare la tempesta che gli bruciava dentro.

«Nessuno la baratterà. Siamo qui per combattere, per rispondere colpo su colpo. Sono già scappato da una guerra una volta, non commetterò lo stesso errore.»

Avvertivo tutto troppo a fondo, e ogni loro parola era una coltellata al cuore.

Troppe responsabilità, troppo dolore, troppo tutto.

Non avrei lasciato morire nessun altro per me, non avrei permesso ad altri di assumersi un tale rischio.

E allora trovai il coraggio di parlare, e le mie parole risuonarono in quel silenzio assordante.

«Non morirà nessun altro per colpa mia. Se dovesse essere l'ultima possibilità, mi consegnerò, e nessuno potrà fermarmi. Io non scappo più, non mi nascondo più. Sono qui, e combatto fino allo stremo, fino all'ultimo battito.»

Buon pomeriggio ragazzi, eccoci trovati a questo nuovo capitolo.
La storia sta arrivando ai suoi momenti più tesi, e il finale è sempre più vicino! Ne sono spaventata perfino io!
Man mano la storia di Megan sta arrivando a una conclusione, e piccoli tasselli vengono fuori.

Sono davvero curiosa di sapere le vostre supposizioni, come al solito aspetto le vostre teorie nei commenti, adoro leggervi, e non vi ringrazierò mai abbastanza per tutto il supporto che mi date!

Spero di poter postare il seguito appena possibile, purtroppo con la sessione non è sempre facilissimo, ma faccio del mio meglio.

Un bacio!

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