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11.

«Allora... Ci vediamo dopo.» disse Denise prendendo le ultime cose e riponendo il telo da bagno nel suo zainetto bianco.

«Sì, a dopo.» annuii afferrando "Il piccolo principe" dalla mia biblioteca, consapevole di doverlo restituire da fin troppo tempo.

«Ciao!» urlò con voce stridula la mia amica, uscendo dalla porta e chiudendosela alle spalle, lasciandomi finalmente da sola.

Cambiai i miei vestiti un'altra volta, mi liberai velocemente dei pantaloni della tuta indossando un paio di jeans neri, molto più consoni per girare nel campus.
Fuori non c'era il sole, ma fortunatamente non faceva per niente freddo, così presi il cellulare, il libro e mi diressi fuori dalla porta con ancora la felpa grigia addosso.

Chiusi a chiave la porta della stanza e mi avviai lungo i corridoi infiniti del dormitorio.
Ci avevo messo parecchi mesi a memorizzare tutte le parti del dormitorio, e anche se a fatica, ora riuscivo ad orientarmi piuttosto bene.
Era molta la gente che trafficava per i corridoi, e la varietà fra maschi e femmine era ampia, ma da parte di entrambi i sessi ricevevo occhiatine strane e commenti poco gradevoli riguardo chissà che cosa. L'unico lato positivo era che questi commenti rimanevano sempre fuori portata dalle mie orecchie, non avevo realmente intenzione di sapere cosa la gente dicesse o pensasse di me.

Uscii dal dormitorio e camminai lungo la strada fino ad arrivare di fronte al campo atletico, dove ragazzi e ragazze si stavano allenando.
Io non rientravo in quel cerchio, lo sport non faceva proprio per me, anche se ogni tanto giusto per tenermi in forma andavo a correre.

Era carino vedere come il campus fosse pieno di vivacità durante la domenica, di solito al mattino la gente dormiva fino a tardi, e l'avrei fatto pure io se non fosse stato per la mia sgradevole compagna di stanza.

Raggiunsi il grande edificio che comprendeva le varie aule per le attività "extra scolastiche", fra le quali avevano deciso di situare anche la biblioteca.
Quando entrai, come ogni volta, trovai Lillian seduta al suo solito posto dietro al piccolo bancone in legno, dove vi era appoggiato un computer molto antico sul quale sicuramente c'era segnalato il mio terribile ritardo della riconsegna.
Lillian era la bibliotecaria di fiducia, era una donna piccolina e di mezza età, con un buffo paio di occhiali sopra al viso e dei capelli sempre legati in modo impeccabile. Era una signora molto dolce, mi sentivo a mio agio in sua compagnia, forse perché anche lei pareva avermi preso in simpatia.

«Salve Lillian.» mormorai mordendomi il labbro e socchiudendo gli occhi, già pronta a ricevere una severa sgridata da parte sua.

«Guarda guarda... Qualcuno ha deciso di farsi vivo.» esclamò sarcasticamente la donna senza staccare gli occhi dal computer.
Brutto segno.

«Ho avuto... da fare.» inventai sforzando un sorriso colpevole, sperando che mi venisse incontro risparmiandomi la tortura di dover inventare altre scuse poco credibili.

«Ah sì?» chiese con sufficienza, masticando ininterrottamente una gomma e muovendo rapidamente le dita sulla tastiera.

«Mi spiace del ritardo, ma eccolo qui.» sorrisi cordialmente appoggiando il libro sul bancone, aspettando una risposta.

«Grazie stella, mettilo pure lì.» disse velocemente indicando con un cenno il carrellino vicino a lei già pieno di altri libri.
Lo riposi delicatamente sopra la pila di volumi e salutai Lillian con un cenno della mano, ricevendo da parte sua un veloce gesto del capo. Doveva essere molto impegnata.

Mi allontanai dal bancone ed iniziai a vagabondare per l'enorme biblioteca.
Non era una di quelle biblioteche con scaffali di metallo altissimo che sembravano la brutta copia di quelli dell'Ikea, qui gli scaffali erano in legno scuro e davano alla biblioteca un aspetto molto antico ma raffinato.
Venivo spesso qui quando volevo allontanarmi dalla confusione che c'era all'esterno, magari per isolarmi un po' e starmene in pace, anche se non ero una gran lettrice. Anzi, ricordo ancora molto bene che in terza elementare, per evitare di leggere un libro obbligatorio datomi dalla scuola, finsi di averlo perso nascondendolo sotto al letto dei miei genitori, e quando mia madre me lo ricomprò per la seconda volta nascosi anche quello. Alla fine, alla quarta volta mia madre si stufò di comprarmi continuamente quel maledetto libro, e così cercò un riassunto su internet della storia che poi mi raccontò molto sufficientemente.

Posai delicatamente le mie dita su dei volumi leggermente impolverati, feci scorrere i polpastrelli lungo tutta la striscia di libri ordinati in modo allineato e respirai intensamente l'odore familiare quanto confortevole che trovavo solo in questo posto.

Ero arrivata ad una parte un po' più isolata della biblioteca, quella dove giacevano soltanto i volumi più antichi e grossi, probabilmente scritti nelle epoche più lontane da scrittori di cui non si sa più altro che il nome, eppure era la mia parte preferita.

Raggiunsi la fine dello scaffale arrivando ad un vicolo cieco, dove il silenzio sembrava quasi più opprimente.
Stavo per fare marcia indietro quando mi accorsi di un piccolo libro privo di colori sgargianti giacente a terra, aperto.
Mi avvicinai a quello che sembrava essere proprio un taccuino e mi chinai per raccoglierlo, tirandomi poi su ed analizzandolo per bene.
Si distingueva dagli altri libri per la sua dimensione e per la "fantasia" della copertina. Era grigia e nera, sfumata sui bordi, ed era priva di qualsiasi scritta o titolo.

Studiai attentamente lo scaffale davanti a me, in cerca di qualche foro dal quale potesse essere caduto il libro, ma sembravano non esserci spazi vuoti fra i volumi. Tutti i libri erano presenti ed al loro posto.
Non era della biblioteca, doveva averlo perso qualcuno.

La voglia di aprirlo era davvero elevata, la curiosità mi stava bruciando dentro, ma qualcosa comunque me lo impediva. Forse il buon senso, non era roba mia e sicuramente qualcuno doveva averlo perso, ma perché proprio in questa parte della biblioteca?

«Quello, è mio.» una voce alle mie spalle mi colpì, e non tanto per lo spavento ma più per il tono, mi spaventai.

Mi girai lentamente e sgranai gli occhi, timorosa e consapevole di aver già sentito quella voce, trovandomi davanti al ragazzo che aveva appena parlato.
Non poteva essere.

«Wesley?» dissi stupita con la bocca spalancata, mentre riconoscevo perfettamente la sagoma davanti ai miei occhi.
Lui era stato il mio accompagnatore al ballo del liceo, l'ultimo anno. Un bel ragazzo, alto e con un paio di occhi azzurri incastonati perfettamente nel viso, che gli davano l'aria di un angelo.
Si era dichiarato a me pochi giorni prima, dicendo di amarmi da quasi due anni e di aver trovato il coraggio per confessarmelo solo dopo così tanto tempo, e colpita dalle sue parole avevo accettato l'invito.

Io ballo era andato bene, ci eravamo divertiti insieme nonostante io lo conoscessi di gran lunga molto meno di come lui conosceva me. Ad essere sincera, mi aspettavo qualche sua mossa nei miei confronti, ma lui non fece mai alcun passo avanti se non stando nei suoi limiti.
Capii solo pochi giorni dopo che la vera ragione per cui si era avvicinato a me, era avvicinarsi anche a Denise, e lo capii in uno dei modi più drammatici.

Quando lo scoprii, tagliai i ponti con lui, e nonostante non fossimo fidanzati e fra di noi non ci fosse niente, ci rimasi male.
Mi faceva sentire come l'ombra di Denise, e questa mia paranoia ci aveva anche portate a litigare più volte.

«Non sapevo ti fossi iscritto a questo campus.» parlai ancor prima che potesse farlo lui, guardandolo negli occhi con una espressione smarrita.

«Beh, c'è tanta gente no? Non mi sembra poi così strano.» rispose con disinvoltura scrollando le spalle, come se in passato fossimo stati buoni amici.

«Non ti sembra strano cosa? Che non ti avessi ancora visto prima?» chiesi confusa, avendo perso metà parte della sua frase precedente.

«Esatto. Ora mi daresti il mio taccuino?» chiese allungano il braccio verso di me, indicando con un cenno del capo il piccolo libricino fra le mie mani.

«Oh, quindi questo taccuino è tuo.» dissi ingenuamente, arrivando ad una palese conclusione.
Dio, dovevo sembrare un'idiota.

«Proprio così, non è che me lo ridaresti?» sforzò un sorriso, quasi impaziente di andarsene via.

«Cosa ci faceva qui per terra?» insistei. Non che mi interessasse veramente, ma andiamo, il modo in cui io e lui avevamo chiuso tutti i nostri rapporti era stato davvero imbarazzante, e ora lui mi parlava come se fossimo sempre andati d'accordo, come se non fosse mai successo nulla.

«Non saprei, me lo dai per favore?» si spazientì.

Annuii silenziosamente, passandogli con mano insicura il taccuino.
Lui lo afferrò saldamente e lo strappò dalla mia mano, quasi timoroso di non riaverlo del tutto.

«È stato un piacere vederti.» mi mostrò il suo sorriso sghembo per poi darmi le spalle ed allontanarsi lentamente, con un'andatura sciolta e completamente rilassata.

«Lo immagino.» mormorai alla sua figura alta e slanciata, ormai troppo distante da me per sentirmi.

-

Dopo lo strano incontro avvenuto nella biblioteca, decisi di passarci sopra e di fare finta che non fosse mai accaduto, anche se sicuramente lo avrei detto a Denise.

Raggiunsi a passo svelto uno dei piccoli bar nel centro del campus, mentre il sole cocente di mezzogiorno faceva sentire sempre di più la sua presenza.

Ordinai un panino da portare via al ragazzo che lavorava dietro al bancone e dopo aver pagato e mangiato comodamente seduta ad uno dei tavolini del bar, tornai verso il dormitorio con l'intenzione di iniziare a ripassare gli appunti di chimica.

Stavo camminando a testa bassa e con il cellulare in mano lungo i corridoi del mio piano, e giusto prima di girare per svoltare a destra, una mano afferrò il mio avambraccio, facendo così fermare i miei passi.

Trasalii all'improvviso ed inaspettato contatto, girandomi bruscamente verso la persona che stava tenendo saldamente la presa sul mio braccio.
Feci salire lentamente lo sguardo, arrivando fino a vedere una grande mano sicuramente maschile appoggiata ormai lievemente su di me. Continuai a salire lungo il braccio della persona fino ad arrivare a due occhi verdi smeraldo per niente sconosciuti, che mi guardavano impassibili.

«Ashton?» sussurrai flebilmente, guardandolo con un cipiglio sul volto, stupendomi di trovarlo così vicino a me.

Lui lasciò andare il mio braccio, facendo scendere la sua mano lungo il suo fianco e guardandomi con labbra serrate.

«Volevo ringraziarti.» disse soltanto, accennando un piccolo sorriso.

«Per?» sorrisi mentalmente come un ebete, fin troppo felice di vedere Ashton parlare con me quasi come un comune mortale.

«Per avermi coperto.» disse guardando altrove e facendo girare gli occhi per tutto il corridoio, eccetto su di me.

«Lo dici come se per te fosse una cosa... insolita.» ammisi furbamente, guardandolo come in attesa di una spiegazione. Questa volta lo avrei fatto parlare, o comunque gli avrei fatto notare della sua eccessiva cattiveria nei miei confronti.

«Un po' lo è.» esordì mordicchiandosi il labbro nevroticamente, rendendomi ancora più bisognosa di risposte da parte sua.

«Perché secondo te?» forse perché di solito mi tratti sempre uno schifo? Sorrisi consapevole, incrociando le braccia al petto.

«Oh andiamo, lo sai.» si appoggiò alla parete del corridoio, sbuffando sonoramente e mettendo le mani in tasca, continuando a puntare lo sguardo altrove.

«No, non lo so.» feci una faccia innocente.

«Mi dispiace per te, in ogni caso, grazie.» disse guardandomi negli occhi per un nano secondo, facendo poi per andarsene.

«Tutto qui?» chiesi forse fin troppo delusa, mentre lui alzò gli occhi al cielo facendomi innervosire non poco.

«Beh, che altro ti aspettavi scusa?» chiese acidamente e sorridendo strafottente, prima di voltarmi le spalle.

«Da te? Effettivamente io da te non dovrei aspettarmi nulla.» parlai a denti stretti, stringendo i pugni nascosti nelle grandi maniche, perfettamente consapevole che Ashton avesse sentito. Non era andato poi così lontano, e in ogni caso, non appena avevo detto quella frase, lui si era bloccato sul posto, fermando la sua camminata.

Guardai con la punto dell'occhio la sua schiena, girandomi completamente verso di lui, ma quando Ashton continuò la sua camminata senza girarsi e degnarmi di una parola, sentii una morsa dentro di me terribile.
Mi aveva sentita, probabilmente aveva anche capito le mie parole, e mi aveva ignorata, andandosene così come era arrivato. Non gli importava nulla di me, neanche minimamente.
E la parte più brutta era che, non ne conoscevo la ragione.

Improvvisamente mi pentii di averlo coperto, mi pentii di aver mentito ai miei amici per uno stronzo come lui, mentre sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene.

"Almeno ti ha ringraziata" cercai di migliorare la situazione, nonostante la delusione si facesse spazio sempre più dentro di me.

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