Capitolo 32
~Lily~
Sono bloccata nel corridoio insieme ad Alice e Mary. Chiudo gli occhi, cercando di mantenere la calma, ma la verità è che non ci riesco. Sapendo che è il mio compleanno, e soprattutto sapendo che è una soddisfazione per me soprattutto quest'anno - dopotutto, una volta eravamo amici -, non può lasciarmi in pace? Farmi passare un po' di tempo con le persone a cui tengo senza venire a pregare inutilmente il mio perdono, ancora?
Almeno oggi, mi ripeto, con il dolore che mi squarcia il cuore. Una voce familiare risuona attraverso i miei ricordi, in lontananza.
Sanguemarcio.
— Lily, ti prego, guardami.
Mi giro, molto lentamente, e lo guardo negli occhi cercando di trapelare quanta più freddezza possibile.
— Perché? — chiedo, con un sibilo. — Perché continui, imperterrito?
— Lily, perdonami, ti scongiuro. — sussurra quello che un tempo era il mio migliore amico, con la voce immersa nella disperazione. — Mi è sfuggito, non lo volevo dire veramente. Mi dispiace. Mi dispiace molto.
Rido, senza allegria. — E pretendi che ti creda?
— Non puoi nemmeno dire che non è vero. — dice Severus, fissandomi con i suoi occhi neri e profondi. — Sei stata nel mio cervello? Sai cosa ho pensato in quel momento? Eravamo amici, migliori amici! Dovresti sapere come sono!
— E tu dovresti sapere come sono io. — sibilo, minacciosa. — Non mi lascio tradire per poi accettare una richiesta di perdono buttata al vento. Non mi farò trattare da pezza da piedi né da te né da nessuno.
Lo vedo sospirare, strofinarsi gli occhi in un gesto di irritazione. — Ancora mi rifiuti.
— Ancora ti rifiuto. — ripeto.
— Perché? — chiede, aprendo le braccia. — Perché mi tratti come se avessi mutilato tua sorella?
— In realtà se tu lo facessi mi faresti un gran favore... — mormoro, ridacchiando tra me e me.
— Cosa? — chiede lui, incuriosito.
— L'hai già fatto, in effetti. Ricordi il ramo che le hai fatto cadere in testa? — mi correggo, tossendo. — Avrei dovuto accorgermene già da allora di che persona saresti diventato.
— Oh, e cosa pretendi? Che io sia un principino, come nelle favole? — sputa con rabbia. — Mio padre picchiava me e mia madre, a scuola sono stato sempre bullizzato, e...
— Frena. — dico, alzando le sopracciglia. — Primo, non eri una vittima mentre ti bullizzavano. Basta vedere che incantesimi hai inventato. Non dirmi che quelli erano per "aiutare nella lotta contro i Mangiamorte"!
Nel mio tono di voce c'è una punta di sarcasmo che sono sicura lui abbia colto, e infatti lo vedo assottigliare gli occhi. Ma non dice nulla.
— Secondo, a casa mia sei sempre stato ben accetto, quindi non puntare sulla tua infanzia infelice, perché gran parte della tua giornata la trascorrevi con me. I miei genitori ti trattavano come un figlio. Ricordi la crostata di mia madre, quella che ti piaceva tanto? Le chiacchierate con mio padre, con cui spesso e volentieri leggevi tanti giornali? Ricordi quando giocavamo nel cortile? Ricordi? — chiedo, avvicinandomi sempre di più. Una lacrima gli scorre sulla guancia, mentre lui strizza gli occhi. — Eri come un fratello per me, Severus. Possibile che siamo diventati entrambi dei mostri, a modo nostro?
— COSA DEVO FARE PER OTTENERE IL TUO MALEDETTO PERDONO, ALLORA? — urla. Sento le mie amiche sobbalzare, dietro di me, e io stessa mi stupisco. — COSA DEVO FARE, ME LO SPIEGHI?
Sento dei passi, dalla stessa direzione.
— NON TI BASTA IL FATTO DI AVERMI UMILIATO PER MESI, — urla Severus, ancora. — NON TI BASTA IL FATTO CHE IO SIA VENUTO STRISCIANTE AI TUOI PIEDI. ANCORA NON TI BASTA!
— Che succede qui? — chiede una voce maschile, esattamente posizionata accanto a me.
Non bastava Severus. Anche Potter, ora.
— È una questione tra me e lui, Potter. — sibilo, senza girarmi. — Stanne fuori e smamma.
— Quindi? — chiede Severus, intransigente. — Avrò una risposta? Avrò pietà da te, un giorno?
Esito, squadrandolo per un'ultima volta.
— Non oggi.
E mi giro, dandogli le spalle.
— Perché mi respingi, Lils? Perché? — insiste Severus.
— Le parole possono far male, Severus.
— Ancora per quella storia? Per quanto a lungo ancora mi porterai rancore? — sussurra, dispiaciuto.
— Vattene. — sentenzio.
C'è un lungo momento di silenzio. Lo sento sbuffare, con una risata sarcastica.
— Sei solo una...
Prima che possa finire la frase, e prima che io possa sferrargli un gancio destro tanto forte da farglielo ricordare per il resto della sua miserabile vita, sento un fruscio accanto al mio orecchio, e uno schianto.
Mi giro di scatto. Potter ha la bacchetta alzata, mentre con l'altra mano mantiene una piccola scatola infiocchettata.
Severus, a terra, si rialza quasi subito.
— Me la pagherete, tu e lui! — urla, prima di correre via. Codardo.
Sto per alcuni secondi a fissare il vuoto del corridoio, e conto fino a dieci per cercare di non sparare insulti a raffica. Il problema è che nel frattempo me ne vengono in mente altri.
— Evans? — chiede il moro, esitante, posando la scatola a terra, accanto a sé. Io inspiro, tremando di rabbia.
— Tu. — pronuncio, quasi come se questa parola fosse l'insulto più terribile del mondo. — Ti avevo detto di starne fuori.
— Ma stava per... — esclama lui
— So cosa stava per fare, Potter, lo so! LO SO! — lo interrompo, urlando quasi, e sento il mio volto arrossarsi per la rabbia. — Ma era un tuo problema? NO!
— In compenso ho tolto di mezzo un problema.
— Un problema di cui dovevo occuparmi io, non tu!
Sembro un'isterica, ma non me ne importa. Quella testa bacata deve imparare a non immischiarsi negli affari altrui.
— Puoi lasciare che qualcuno ti aiuti per una volta, Evans? Che io ti aiuti? — chiede Potter, il cui tono è tutto l'inverso del mio. — So che non mi sopporti, che sono irritante per te, ma non poteva continuare così. Prima quella serpe di tua sorella, ora Mocciosus.
— Ce la facevo da sola, Potter. Ma tu volevi fare l'eroe, — esclamo, ridendo sarcasticamente. — e ora cerca vendetta anche per te!
— Non mi sorprende: cerca vendetta nei miei confronti da ancor prima dell'inizio del primo anno. — replica il moro, alzando un sopracciglio.
— Beh, ora è peggio! — ruggisco, mentre gli altri Malandrini accorrono.
— Ragazzi, calmatevi. — sussurra Remus, cercando di separarci assieme agli altri.
— Statene fuori! — esclamiamo io e Potter in coro, e tutto il gruppetto si ritrae.
Mi avvicino a Potter, rabbiosa.
— Ora sparisci, Potter.
— Ti volevo solo aiutare.
— Beh, non mi serve il tuo aiuto! — dico. — Non mi serve l'aiuto di un pallone gonfiato, di un arrogante rompiscatole!
Per sbaglio calpesto la scatola, e uno spiacevole rumore di spiaccichio si diffonde per il corridoio. All'improvviso mi salta in mente un ricordo.
— Non mi serve l'aiuto di una piccola, lurida Sanguemarcio!
Alzo lo sguardo su Potter, che fissa la scatola. Anche lui alza lo sguardo su di me, e mi rifiuto di credere che sembri ferito. Il grande James Potter. Ferito. Non può essere. Il suo esistere è di per sè un Patronus vivente.
Tuttavia, i fatti si ergono prepotentemente dinanzi a me, e il moro, dopo un'ultima occhiata, si gira e corre via, lungo il corridoio.
Mi inginocchio davanti all'oggetto spiaccicato per terra, aprendo accuratamente il coperchio. C'è una torta coperta di glassa bianca, all'interno. Si possono leggere solo due parole scritte in modo maldestro, mentre il resto è coperto dalla mia stupida impronta: "Buo" ed "ans!".
Forse avevo sbagliato stamattina.
I sensi di colpa sono tornati prima del solito.
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