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7 - Overthinking, again

7 – Overthinking, again

Giovedì

Abbandona la bicicletta in una rastrelliera all'ingresso del campus, accanto al muro coperto di edera. Si sente attraversato da un'energia irrequieta che non sa bene come sfogare, nonostante sia appena uscito da un allenamento massacrante. Gli vibrano le dita e la folla che abita il cortile davanti alla facoltà di Storia lo tiene sul chi vive, incapace di calmare il battito impazzito del cuore. Chiude e riapre i pugni, respirando piano. Marcus lo ha abbandonato per gli allenamenti e per la prima lezione – che avrebbero comunque saltato – e gli ha promesso che lo avrebbe raggiunto per latino.

Resta accanto alla rastrelliera, controllando di tanto in tanto il cellulare. Aidan non si è presentato perché è malato. Marcus non ha fornito una vera e propria motivazione per la sua assenza, ed è riuscito solo a innervosire di più Kieran. Intanto, sono riusciti a nominarlo capitano in seconda "perché sì" gli hanno detto, senza offrire una vera motivazione. È irrazionalmente nervoso. Inquieto. Come se avesse un alveare al posto del cervello, non riesce a trattenere un pensiero per più di trenta secondi di fila. Non lo aiuta nemmeno la solita playlist, quella con le otto canzoni che ascolta a ripetizione.

Intanto la folla aumenta, perché sono finite le lezioni del primo periodo, e chi può fermare un branco di studenti che vuole solo respirare aria fresca – e inquinata, ma pur sempre fresca. Stringe i denti, preme tra loro i molari. Respira piano, tende i muscoli. Dall'esterno, sembra pronto a saltare addosso a qualcuno. Sembra pericoloso, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi che lanciano sguardi di sfida, le mani strette a pugno e l'intero corpo in tensione. Per non parlare del cranio rasato e dei muscoli ottenuti in lunghi anni di rugby. Quello che non si vede, da fuori, è il battito cardiaco accelerato, la difficoltà a respirare correttamente. L'alveare che ha al posto del cervello che offre decine di possibilità diverse per il motivo del ritardo del suo migliore amico. Non gli è successo niente – lo avrebbe saputo. Si sta facendo prendere dal panico per un nonnulla– ne è consapevole, ma non può farci niente.

Vede Marcus da lontano. La testa bionda è inconfondibile, così come il caratteristico ondeggiare delle spalle. Sollievo gli scivola addosso, viscido e liquido come una biscia. Stringe ancora la mascella. Non può far dipendere la sua calma da Marcus. Non. Può.

Eppure, quando lo vede deve trattenersi dal lasciarsi abbracciare, dal respirare il profumo di ammorbidente della sua felpa e poi incazzarsi perché lo ha mollato da solo per l'allenamento della mattina. Così si incazza e basta. «Cristo, Marcus. Prima mi ignori tutta la sera, poi mi dici che non ti presenti agli allenamenti» stringe il collo del maglione tra le dita, sollevandolo verso di sé «mi sta bene che tu abbia bisogno dei tuoi spazi, ma riconosci che questa non è una situazione normale, sì?»

Marcus annuisce appena, stringendo a sua volta la mascella. «Sì, scusami.»

Lo lascia andare, dandogli una pacca sulla spalla. «Andiamo, dai.» Non è il momento per indagare, per capire cosa ha causato quell'ombra che è scivolata sullo sguardo altrimenti limpido dell'amico. Una cosa alla volta, e tutto sarà chiaro.

Kieran incastra le dita nei passanti della cintura di Marcus per non perderlo nella calca. La folla che si è accumulata lo tiene sul chi vive, troppo vicina, troppo rumorosa, troppo calda. Averlo vicino gli infonde un quieto senso di sicurezza, nonostante l'irritazione, nonostante l'evidente nervosismo di entrambi. Non è solo e la folla non è un animale pronto a fagocitarlo senza pietà. Stringe più forte il tessuto del passante tra le dita, seguendo la schiena di Marcus tra le persone. Non commenta i muscoli tesi sotto la felpa, e non commenta lo sguardo sfuggente. C'è qualcosa che occupa i pensieri del ragazzo, e Kieran ha ormai imparato che chiedergli le cose prima che sia pronto a dirgliele si conclude sempre in un nulla di fatto. Sbuffa piano, sciogliendo le dita dal tessuto per lasciarsi cadere sulla sedia. Deve mordersi la lingua per non chiedere. Così si limita a cercare di seguire, a sollevare lo sguardo su di lui, a cambiare posizione sulla sedia.

Irrequieto.

Irrequieto, irrequieto, irrequieto. Affonda i denti nel labbro inferiore. Smette di mordere e affonda gli incisivi nella carne morbida dell'interno del labbro. Il lieve dolore lo tiene concentrato. Gli impedisce di guardare Marcus. Lo calma.

Marcus, al suo fianco, è così nervoso che gli tremano le mani mentre digita sul computer e copia la traduzione del compito che Kieran gli ha passato. L'interno della bocca brucia in maniera quasi piacevole, quando ci passa sopra la lingua. Ruvido. C'è un po' di sangue. Marcus trasalisce all'ennesimo morso. «Scusami» mormora Kieran. Si era dimenticato che può percepire il suo dolore. A mezz'ora dalla fine della lezione, gli chiede perché gli tremano le mani. «Tutto ok? Ti tremano le mani.»

Marcus guarda le dita, tese sulla tastiera del portatile, le sopracciglia che si sollevano per incontrare l'attaccatura dei capelli. «Non me ne ero accorto...» risponde, e seguita a studiare affascinato le proprie falangi, tremanti dove usualmente sono ferme e sicure come quelle di un chirurgo. Kieran gli prende il mento, voltandolo verso di sé. Non gli sfugge l'arrossamento delle guance, che si scaldano sotto le sue dita. C'è troppo poco tempo per poter ancora evitare di parlare, per continuare a ignorarsi e per non affrontare qualcosa a cui non sa dare nome. Ma che gli prende lo stomaco e gli fa fare le piroette, quando non gli infiocchetta il bassoventre.

«Che succede, Marcus?» Non avrà la risposta che cerca, ma pretende una risposta. Marcus si libera dalla sua presa. Scioglie i capelli, li raccoglie di nuovo. Le guance restano arrossate, il mento segnato dalle dita di Kieran. Deve aver affondato troppo i polpastrelli nella pelle rasata di fresco. Digita un paio di appunti, gli prende una penna dall'astuccio e la fissa per un po' prima di guardarlo di nuovo, prendere un respiro profondo e lasciar perdere, limitandosi a fissarlo, con quegli occhi di un verde impossibile oscurato dalle ombre degli alberi mossi dal vento gelido. «Marcus?» chiama di nuovo Kieran, senza toccarlo, questa volta. Una lama di luce gli illumina il viso, scolpendo ombre nette sugli altrimenti morbidi lineamenti di Marcus. Kieran chiude le dita a pugno, trattiene l'impulso di allungare la mano e tracciare le linee che prendono forma sulla pelle dell'amico.

«Scusa. Non ne ho idea. Ho un po' di ansia, tutto qui.» Evita la domanda, mente, non gli risponde. Kieran stringe più forte la mano a pugno. Prima lo abbandona da solo agli allenamenti, poi mente. Marcus stringe più forte la mascella, le guance ancora arrossate. «Va tutto bene. Forse ho solo bevuto troppo caffè.» La gamba di Kieran inizia a fare su e giù, segno evidente della sua irrequietudine. No che non va tutto bene, no, non quando Marcus a malapena beve il tè che Kayleigh fa a litri.

«Va bene» mormora Kieran, abbandonando per il momento la discussione per tornare a seguire il professore, che ha iniziato a guardarli storto. Sorride flebile all'ometto e tace, tamburella con le dita sul banco, riprende il filo del discorso. Non va niente bene. Mordicchia l'interno del labbro, si ferma quando si ricorda che sta facendo del male anche a Marcus, riprende per lo stesso motivo.

Controlla l'orario sull'angolo dello schermo di Marcus. Meno mezz'ora alla fine della lezione. Guarda fuori dalla finestra: per una volta il sole splende luminoso, gli alberi del chiostro agitano le fronde sempre più spoglie spinti dal vento forte e gelido che scende dalle montagne.

Il cellulare vibra nella tasca. Una, due, tre volte. Alla quarta cede alla tentazione. Tanto, per quella lezione dovrà chiedere appunti e registrazione a qualcun altro comunque. Ha scritto sì e no cinque righe, e il resto del foglio è ricoperto di scarabocchi privi di senso. Le notifiche sono da parte di Calvin e Aidan, che a quanto pare hanno deciso che lui e Marcus quella sera usciranno con loro. "Dobbiamo fare bonding pre partita", questa la loro motivazione. Mostra lo schermo all'amico, che annuisce distratto. Va bene, sì, andranno a bere e mangiare patatine con Calvin e Aidan. E la ragazza di Calvin. E forse mezza squadra.

Ma va bene così, pensa Kieran. Va bene, così Marcus ha altro tempo per ignorarlo e non dirgli che gli passa per la mente, così hanno tempo per distrarsi un po' dalla svolta tragica che ha preso la loro vita. Sospira. Un po' gli manca l'allegria e la mancanza di responsabilità con cui ha attraversato l'estate. Gli manca anche quel Marcus lì. Felice. Senza quelle perenni occhiaie che gli affossano ancora di più gli occhi, e quando le occhiaie c'erano, era per un buon motivo.

Le persone attorno a lui cominciano a rumoreggiare, computer vengono messi a posto, quaderni e astucci richiusi, amici vengono salutati. Solleva lo sguardo dalle pagine del quaderno, immergendosi nuovamente nello scorrere degli eventi. «Quindi do la conferma a Calvin?» I capelli oscurano il viso di Marcus, che annuisce silenzioso. «D'accordo... Guido io, tranquillo.»

In qualche modo, questo sembra risvegliare Marcus. Che lo segue fuori dall'aula lamentandosi sonoramente. «Che cazzo, K, no! Guidi sempre tu. Non mi fido a farti guidare brillo» strepita, le braccia strette attorno al computer e i capelli sciolti che gli incorniciano il viso. Kieran sorride, si appoggia al muro del corridoio, in un punto dell'università in cui non si è ancora perso, e continua a dare fastidio all'amico, il malumore per il momento dimenticato.

«Dimentichi che l'ultima volta che hai guidato tu, brillo, nemmeno ubriaco, brillo e basta, stavamo per andare addosso a un albero.»

«Tu hai fatto a gara con Jeremy con la mia macchina!»

Kieran stringe la mascella. Non gli piace parlare di Jeremy, né tanto meno ripensare a quei mesi d'inferno. «E con questo? Non ho rotto niente.» Il malumore e il nervosismo gli scendono di nuovo addosso, ottundendo i sensi. Stringe la radice del naso tra le dita e sospira. «Senti, lasciamo perdere. Se vuoi guidare tu, guida tu. Avvisami quando passi a prendermi. Calvin diceva che saremmo andati a Killarney, tanto per cambiare scenario.»

Volta le spalle a Marcus, lo lascia in un corridoio dell'ultimo piano davanti a un'aula minuscola in cui il ragazzo dovrebbe seguire un corso dal titolo strano.

La giornata è iniziata di merda, è andata avanti di merda, e si augura che non finisca altrettanto di merda. Anche se le chance che faccia comunque schifo ci sono tutte. Un'ora e mezza di strada stretta per raggiungere Killarney, l'intera serata appiccicati assieme, un'ora e mezza – ma anche di più, se devono portare Aidan – per tornare. Ci sono tutte le chance per far sì che Kieran perda la pazienza. Tutte. Così lo molla lì. E lo ignora per il resto della giornata.

//

Lo lascia guidare, in silenzio. In religioso silenzio per un'ora e mezza. Kieran potrebbe esplodere. O implodere. Insegue scenari fantastici nella sua testa, immerso nel rumore ripetitivo del motore. Cerca di fare conversazione, solo per essere ignorato. Cerca di accendere la radio, ma questa viene prontamente spenta. «Ma che cazzo hai, Marcus?» Resiste appena mezz'ora, prima di sbottare. Tacere non è mai stato il suo forte, in fondo.

«Niente, non c'è niente.» Lo dice voltando la testa, lo sguardo concentrato sul paesaggio – rocce, perlopiù – che scorre fuori dal finestrino. Kieran stringe più forte il volante, fa attenzione alla strada. Respira a fondo. Non deve sbottare. Non. Deve.

«Palle. Abbiamo ancora un'ora in macchina, parla ora o taci per sempre» poi, addolcendo appena la voce «davvero, Marcus. Non ho avuto una gran giornata e vorrei davvero sapere cosa ti passa per la testa. Almeno per fare conversazione.» Ha perso la pazienza. Pace.

Marcus sospira. Trascina le mani sui jeans, si sistema le maniche della camicia. Scioglie i capelli e li raccoglie di nuovo. «Non so da dove iniziare, né come parlarne. E non sono pronto per farlo ora.»

Qualcosa, nel petto di Kieran, fa un balletto strano, prima di scendere verso lo stomaco. Si concentra sulla strada per non guardare Marcus, fa particolare attenzione a un incrocio pericoloso in cui si butta sempre senza guardare sperando nella fortuna. Dio, quel pezzo di strada è terribile. Scendi dai tornanti e via in un incrocio con uno stradone. Non è del tutto sicuro di sapere cos'è che non vuole dirgli l'amico, considerando che l'ultima volta gli ha detto che delle banshee gli occupavano il cranio. Più o meno. «Hm» commenta, incapace di pensare altro. «Ne vuoi parlare con più alcol in corpo?» Abbandona il cambio per incastrare brevemente le dita sotto l'elastico che tiene legati i capelli di Marcus. Ha uno strano effetto calmante su entrambi.

«D'accordo. Sì. Ci può stare. Ci provo», acconsente Marcus, le spalle meno tese rispetto a prima.

«Perfetto. Ora posso accendere la musica?»

«Sì, Kieran, sì.»

Non vorrebbe sentirsi così felice, così di buon umore, così contento perché Marcus gli lascia accendere la musica. È come se il mondo acquisisse un sapore tutto diverso, tutto nuovo, con una colonna sonora decente. In particolare quando guida. Preme sull'acceleratore, sorridendo allegro, mentre in sottofondo i Depeche Mode iniziano la loro ripetitiva cantilena – Wrong è una delle sue canzoni preferite, anche se è tutta uguale.

Accelera ancora un po'.

//

Marcus, Calvin, Kieran e Aidan sono seduti attorno al tavolo del pub, sgranocchiando le patatine mentre aspettano le birre. E il resto della squadra, perché a quanto pare i due ragazzi hanno invitato tutti i giocatori di rugby della U20. Lo sguardo omicida che Kieran ha riservato a Aidan gli ha fatto guadagnare un pugno sulla coscia da parte di Marcus. «Non fare quella faccia, Aidan non sa che odi la gente, d'accordo?» ha sibilato Marcus nel suo orecchio. L'irrequietudine di quella mattina gli scende di nuovo addosso. Irrequieto, irrequieto, cantilena la voce di sua madre nella sua testa.

Un altro pugno sulla coscia lo distrae dal complesso compito di sgusciare le arachidi che ha impilato davanti a sè. «Cosa cazzo c'è ora?»

Marcus lo guarda male.

«Smettila di fare quella faccia, siamo usciti per divertirci e non per vederti innervosito in un angolo, d'accordo?»

«Che faccia sto facendo?», chiede, genuinamente confuso. Non è che può controllare la quantità di desiderio omicida che gli si disegna sulle sopracciglia e i muscoli facciali.

Marcus sospira, seguito da una risatina di Calvin. «Quella di qualcuno che sta organizzando un omicidio, K.» Ruba una nocciolina dalla pigna che Kieran ha accuratamente sgusciato e interroga l'amico con lo sguardo, aggrottando appena le sopracciglia. Kieran scuote la testa. Va tutto bene, va tutto bene. C'è solo troppa gente e troppo rumore, ma va tutto bene.

«Non voglio uccidere nessuno, ma vorrei davvero quella birra.»

Aidan si appropria di un'altra nocciolina, guadagnandosi un'occhiataccia. Quelle sono le sue noccioline. Sue. «Ma tu non guidi?» gli chiede, «E soprattutto, di chi è la macchina? Ogni volta vedo una persona diversa alla guida e non riesco a capire.» Kieran scuote la testa. No, non guida lui al ritorno. Fa per aprire la bocca, rispondere al resto della domanda, salutare con un cenno la ragazza che ha appena baciato Calvin. Sta per farlo. Poi dalla porta di legno del pub entra una sagoma familiare.

Spalanca gli occhi, cerca di capire se è chi pensa che sia. La camminata è inconfondibile, una lievissima zoppìa lasciata da una tibia rotta e mai guarita correttamente. Stringe il pugno sinistro, ignora la chiave della macchina che gli scava la pelle. Ignora le voci attorno a lui.

Jeremy.

Un lungo fischio gli riempie le orecchie. Non lo ha ancora notato, nascosto com'è tra Marcus, Calvin, Kim. Marcus deve aver notato qualcosa, oppure il palmo della mano destra deve aver cominciato a fargli davvero male, perché gli sta toccando le nocche con delicatezza, come a cercare di risvegliarlo. Dagli altoparlanti del pub sta passando Wrong, dei Depeche Mode, e tutto quello che Kieran riesce a pensare che sì, è tutto sbagliato, tutto sbagliato. Poi Marcus gli tira un calcio sul ginocchio.

«Kieran» lo chiama.

Prende un respiro profondo e allenta la presa sulla chiave dell'auto. «Jeremy» soffia, «dietro di te. Non girarti.»

Marcus fa uno sforzo visibile per non girarsi, al contrario di Calvin, che volta il capo per scandagliare la folla e capire di chi stanno parlando. «Sei sicuro che sia lui, K?»

Il ragazzo annuisce.

«Che succede?» si intromette Aidan, prima di distribuire le birre. Li stanno raggiungendo poco alla volta anche alcuni degli altri compagni di squadra, gente del dipartimento di Scienze che Kieran non è ancora riuscito a collocare. Risponde Marcus al posto suo, un sorriso rilassato dipinto sul volto e nessuna traccia del nervosismo che sta rendendo i muscoli di Kieran tesi come corde.

Solleva le spalle. «Una persona che Kieran avrebbe preferito continuare a evitare.»

«Oh, volete che cambiamo posto?» chiede Keith, uno che viene da chimica ed è tremendamente bravo con i calci.

Kieran scuote la testa. «Siamo qui, beviamo la birra. Sto bene, non è nessuno di importante.»

«Ne sei certo?» interviene Calvin, preoccupato. «Sei pallidino.»

Gratta una foglia di edera che spunta dall'orlo della camicia. Salterebbe meno all'occhio se non avesse fatto quel tatuaggio tanto complicato, ma tant'è. «Sto bene. Non mi mangiare altre noccioline e starò meglio, d'accordo?»

//

Può quasi sentire la voce di Marcus che gli dice di respirare, e di contare fino a cinque, e di continuare a respirare. L'amico gli sorride gentile dall'altra parte del tavolo, senza parlare perché tanto non sentirebbe niente comunque. Il pub è stato preso d'assalto da tre quarti della squadra di rugby del Prionsa College. Kieran è decisamente brillo quando decidono di tornare a casa, al contrario di Marcus, che sembra sobrio, le guance appena arrossate dal caldo della stanza.

Kieran gli si appoggia addosso mentre si avviano all'auto, l'equilibrio scombinato da tutto l'alcol che si è scolato. Gli tiene un braccio intorno alle spalle, il corpo premuto contro quello dell'amico che tace e lo trascina con sé fino alla Subaru blu acceso. Non gli chiede perché tace. Sa perfettamente che se Marcus vuole dirgli qualcosa lo fa, senza porsi troppi problemi. Quindi aspetta, aspetta mentre si siede al sedile del passeggero, aspetta quando si immettono in strada e quando preme a fondo sull'acceleratore.

Si crogiola nel silenzio, nella musica, nella voce di Johnny Cash e nel suono della sua chitarra. Qualcosa nel suo petto si srotola, fa le fusa e si risveglia. Non riesce a identificare la forma di questa emozione appena risvegliata, non nel dormiveglia, non così immerso nel rumore soffice e ripetitivo del rumore dell'auto. È qualcosa coi contorni soffici, della stessa forma che hanno i suoi sogni quando lui e Marcus dormono insieme. Deve sapere di zucchero filato e di shampoo al pino, decide. Di noccioline e di birra chiara. Allunga le dita sopra il cambio, sfiora appena le nocche di Marcus. Ritira la mano, manda avanti la musica.

//

«Kieran» comincia Marcus. Stringe le dita più forte sul volante, non gira il capo. Gli occhi sono ancora una volta coperti dai ciuffi che sono sfuggiti alla coda, impedendo a Kieran di leggere l'espressione dell'amico. È teso, e se possibile ancora più inquieto di lui. La tensione crepita, addensando l'aria. Come quando sta per scoppiare un temporale. Inquieto, inquieto, inquieto. Kieran non si definirebbe metereopatico, ma riesce sempre a capire quand'è che un temporale è in arrivo. Gli formicola sotto la pelle l'elettricità che si raccoglie nell'aria. La stessa sensazione gli accappona la pelle, lo rende incapace di restare seduto fermo. C'è qualcosa che non gli torna in Marcus, e il suo linguaggio corporeo, che gli è sempre così facile da comprendere, gli racconta di una tensione mai vista prima, in nessun caso. Tace, e aspetta che parli. «Ci sono un sacco di cose che vorrei dire, e non so da dove cominciare. Anzi. Sì. Tutta questa situazione è un cazzo di casino e avrei preferito non succedesse. Avrei preferito non dover sapere di dover morire. Ma da un certo punto di vista posso dire che mi sia stato utile? Ho capito delle cose che probabilmente non avrei capito senza l'incentivo di una morte imminente.»

«Che tipo di cose?» Stringe le dita, sistema l'anello che porta all'indice sinistro, lo gira di nuovo. Inquieto.

Marcus gira a sinistra, e poi a destra, entrando ufficialmente in città e avviandosi verso la stretta periferia in cui abitano. «Uh» arrossisce, le guance di un gentile rosso «è complicato.»

«Eh no, cazzo, hai iniziato e adesso finisci. Non abbiamo tempo per attraversare le tue crisi di "è complicato", d'accordo?»

Marcus stringe più forte il volante, cambia marcia. Kieran vorrebbe strizzargli ancora una volta le dita, per ricordargli che lo sta trattando male sì, ma per il suo bene.

«È davvero complicato, ed è tardi, e lo so che ti avevo promesso una specie di spiegazione ma è davvero tutto un casino. E non ci sto capendo più niente.» Frena davanti a casa di Kieran, la tensione che teneva insieme il suo corpo improvvisamente sciolta. Ora, nota il ragazzo, gli sembra solo molto, molto stanco. E allora tace. Gli stringe le dita, e non dice nulla. Non prova nemmeno a dare voce a quella cosa che gli sta avviluppando il petto, stringendogli sempre più stretto il cuore e lo stomaco. Tace, tace e basta. Lascia che Marcus appoggi la testa sulla sua spalla, e guarda l'orologio dell'auto segnare l'una, l'una e mezza. Sono quasi le due quando Marcus apre di nuovo la bocca. «Scusami. Kieran, ce la caveremo in qualche modo, no?»

«Sì, Marcus. Sì. In qualche modo, ce la caviamo. Come, non lo so. Ma ce la facciamo.»


//

NDA

Finirò mai di dimenticarmi di pubblicare? Non credo. Spero anche di riuscire a finire di scrivere la storia (siamo a buon punto, ho appena superato tipo la metà) prima di farmi risucchiare da un fantasy che sto progettando da due anni. Quindi devo darmi una mossa a scrivere tragicumi prima di passare alle cose divertenti.

M&K - wise, qui stiamo raggiungendo livelli di DevoDirtiQualcosaMaNonVoglioPerchèHoPaura improponibili. Giuro che i prossimi capitoli saranno più divertenti. Promesso. Prrrromesso.

Lemmeknowwaddyathink


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