5. Starting the overthinking
Martedì, dopo pranzo
Kieran si abbassa sulla spalla di Marcus e incastra le dita della sinistra sotto l'elastico che gli tiene fermi i capelli. Con uno sbuffo controlla la traduzione del ragazzo, confrontandola con la propria e con quella che ha trovato su Google. Chi gliel'ha fatto fare a Marcus di scegliere latino, quando sa coniugare due verbi in croce e non è in grado di tradurre? La voce malefica di Aidan si insinua nei suoi pensieri. «È colpa tua. Lo volevi con te quanto più tempo possibile.» Kieran scuote il capo e tenta di tornare a concentrarsi sul pezzo di carta che ha in mano. Non sono costretti a passare così tanto tempo insieme.
Il corpo di Marcus, premuto contro il suo fianco, si irrigidisce di colpo. Kieran solleva lo sguardo dai fogli e osserva l'ambiente circostante, alla ricerca di ciò che ha scatenato quella reazione nell'amico. Al tavolo della biblioteca su cui si sono accampati per studiare sono sedute due ragazze e un ragazzo le ha appena raggiunte. Le due li guardano con un sorriso allegro, quello che le persone – soprattutto le ragazze – hanno prima di scambiarsi pettegolezzi sulle persone sedute davanti a loro.
«Cazzo volete?» sbotta Kieran, saltando tutti i convenevoli e già innervosito senza sapere il motivo degli sguardi. Quella è un'università piccola, e se il giorno prima il pilone si atteggiava come se sapesse quello che era successo tra Kieran e Jeremy due estati prima, la voce doveva essersi diffusa in fretta.
La più bionda delle due gli sorride, con il tipo di gentilezza che si riserva ai matti, di solito. «Niente» risponde, la voce più dolce del miele «volevamo solo sapere di che club sportivo fate parte.» Si allunga sul tavolo, appoggia il mento sulla mano «Non ho potuto fare a meno di notare i muscoli delle vostre braccia.»
Kieran solleva un sopracciglio, stringendo il pugno tra i capelli di Marcus. Il ragazzo si lascia sfuggire un sibilo di dolore ma non parla, preme con forza le dita sulla coscia di Kieran, che non allenta la presa. «Rugby, U20» le risponde, laconico. Riporta lo sguardo sul foglio, cerca di tenere a bada l'adrenalina che gli ha appena invaso il corpo. Se qualcuno dovesse parlargli, lui avvertirebbe solo il rombo del sangue nelle orecchie. Una sottile lama di sollievo si fa strada nei muscoli tesi, quando si rende conto che non hanno chiesto se sa di quella storia che vanno dicendo, quella del ragazzo che è stato quasi cacciato dalla squadra di rugby della scuola perché è finito a letto col capitano. Poi il battito del suo cuore impazzito si affievolisce quel tanto che gli serve per capire cosa sta dicendo il tizio alla bionda.
«Dory, è inutile che ci provi. Preferiscono il cazzo, non vedi?»
Marcus stringe di nuovo le dita attorno al retro del ginocchio di Kieran, per fermarlo e impedirgli di lasciarsi trascinare dalla rabbia. Kieran può sentirlo quasi sussurrare «Non ne vale la pena, sono solo dei coglioni e non ne ricavi niente a litigare con loro, Kieran, per favore, taci». Kieran respira a fondo e ignora il tipo, preferendo raccogliere i suoi quaderni e mettere in ordine. Ignorare e tacere, ignorare e tacere. Marcus lascia la presa sul suo ginocchio e riordina con lui.
Abbandonano la biblioteca in silenzio per dirigersi all'appuntamento con Aidan, immersi ognuno nella propria bolla di quiete nervosa. Kieran trema, non sa se di rabbia o freddo, e si stringe agli edifici per evitare il vento gelido che soffia dalle colline. È già la seconda volta in due giorni. Tutt'intorno il campus è silenzioso, immerso nella luce calante del pomeriggio. Gli unici suoni che si avvertono sono quelli delle scarpe dei due ragazzi sull'asfalto e il vento che ulula, facendo sventolare le foglie degli alberi. Avrebbe dovuto far vedere al tizio che è solo stupido dargli fastidio, altrochè. Dirgli che non gliene deve fregare di meno di quello che fanno lui e Marcus, e che Marcus è solo il suo migliore amico, grazie tante. Beh? Non può dimostrare un po' di affetto e tutti pensano che sia gay? Che poi, che male c'è ad apprezzare i maschi? I loro corpi sono così semplici. Non c'è il rischio di gravidanze. Anche se le ragazze hanno corpi morbidissimi. E non perchè siano grasse, per carità. È che c'è qualcosa in loro che gli evoca l'idea di morbidezza. Sofficità. Ma Dio, alcune di loro sanno essere veramente crudeli. Marcus gli direbbe di non fare tutta l'erba un fascio, e che a conti fatti chi è stato più bastardo con lui sono stati i maschi. Sì, ma difendersi dalle ragazze – Clare – è sempre stato più complicato.
«K? Sei ancora vivo?» Marcus lo chiama stringendogli piano il gomito. Kieran solleva lo sguardo da terra, di colpo conscio di aver raggiunto l'edificio gotico in cui ha le lezioni di greco. Era così sovrappensiero da non aver realizzato di aver camminato in silenzio per dieci minuti abbondanti. Annuisce, sorridendo flebilmente.
«Ci sono, ero solo sovrappensiero.»
Marcus mordicchia la punta di un dito. «Hai fatto bene a non rispondergli, lo sai?»
«Hmm.»
«Lo so che non ti piace lasciare in sospeso le cose. Ma ricordati com'è andata con Clare, per favore. Ci sei stato malissimo. Qui hai la possibilità di ripartire senza quella manica di deficienti.»
Kieran solleva lo sguardo dalla punta consunta degli anfibi. «Almeno tre di quei deficienti stanno ancora facendo il provino per entrare in squadra e tu venerdì sei andato a un rave con Clare e il suo ragazzo» commenta monotono.
«Sì, ma» inizia Marcus.
«Ma, un cazzo, Marcus. Lo so che non c'era nessun altro, ma potevi dirmelo, no?» Marcus sospira, appoggiando la testa al muro accanto a lui. C'è una generale stanchezza nei suoi movimenti che Kieran non aveva del tutto registrato. Lo sa. Lo sa che anche se gli è stato impedito di morire – in che modo, ancora non si è capito – prima o poi Marcus deve morire. L'idea lo fa solo più incazzare. Improvvisamente, voler continuare a fare lezione gli sembra solo un capriccio. Non sai quando l'incantesimo, se incantesimo si tratta, smetterà di avere effetto? Prendi la macchina e corri. Assorbi tutto quello che puoi e sii felice. Stringe i pugni nelle tasche del giubbino. Gli vibrano le dita. Prende un respiro profondo, poi un altro. Il cuore batte troppo forte, troppo veloce. È a un passo dal mollare tutto e tirarsi dietro Marcus, salire in montagna, esplorare un castello. Sparire finché non finisce tutto.
Marcus lo colpisce con un calcio sullo stinco. «Ti sei distratto di nuovo» lo informa, «Va tutto bene?»
«Sì. C'è Aidan, penso di dover andare a lezione ora. Ci vediamo dopo?» chiude la conversazione, senza voler continuare a discutere o a farsi del male per niente. Prendersela con Marcus per la sua personale irritazione con il mondo non lo porterà da nessuna parte. Ci sono momenti in cui avere a che fare con lui lo innervosisce più del normale e non riesce a identificarne il motivo. La luce del sole calante compie strani giochi di luce sul viso del suo amico, trasforma gli occhi chiarissimi in pozze di vetro trasparente.
È così bello da innervosirlo.
Lo saluta, lasciandolo in piedi sul marciapiede con un mezzo sorriso un po' triste, e raggiunge Aidan, che lo stava aspettando in cima agli scalini.
Il ragazzo si ravvia i corti ricci e lo tira per il gomito verso l'aula. «Che avevate da discutere voi due? Problemi in paradiso?»
Kieran socchiude appena gli occhi, raccogliendo le energie per avere a che fare con l'esuberante energia di Aidan. «No. Cioè, sì. Ma non mi va di parlarne ora.»
Aidan gli tira una pacca sulla spalla che quasi lo fa cadere a faccia in giù sulle scale, e poi procede a blaterare di qualunque cosa gli passi per la testa nei minuti precedenti all'inizio della lezione. Lo informa delle statistiche della squadra, gli dice che sono aperte le candidature per diventare capitano – non che a lui interessi, ma gli pare che Kieran sia adatto al ruolo. «Hai la faccia del carismatico, sai?» - gli passa gli appunti di una lezione di storia dell'arte che Marcus ha chiesto e gli rovescia addosso una quantità tale di pettegolezzi sui loro compagni di squadra che Kieran si trova a fissare stordito lo schermo su cui il professore sta proiettando alcuni testi.
Poi gli torna in mente una cosa.
«Aidan» lo chiama «in merito a quello che stava dicendo Conor l'altro giorno. Il tizio che è quasi stato cacciato dalla squadra sono io.»
Il ragazzo si volta verso di lui, spalancando gli occhi. «Davvero? È perché è successo qualcosa con Marcus?»
Kieran scuote la testa. Non è possibile. Non è mai possibile che continuino a pensare che lui e Marcus possano avere qualcosa tra loro. Diamine, non è possibile. Ci manca solo che anche sua madre cominci ad insinuare qualcosa, ed è a posto. Perché non può essere solo il suo migliore amico, eh? «No, Marcus non c'entra niente. Non è mai nemmeno stato il capitano. No, sono stato a letto un paio di volte con il nostro capitano, che era anche il figlio dell'allenatore» sospira, mentre le lentiggini sul viso di Aidan fanno una buffa danza di sorpresa. «Mi hanno tenuto in squadra anche se nessuno voleva davvero avere a che fare con me. In qualche modo però siamo arrivati in finale e sempre in qualche modo hanno preferito tenermi.» Aidan commenta sotto voce con qualche parolaccia, strappando un vago sorriso a Kieran. «È tutto finito. Di quel gruppo lì ho visto in giro solo due persone, quindi non ci sono problemi.»
«Se lo dici tu...»
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Martedì sera, circa le dieci.
Marcus si sdraia sul letto, appoggiando i piedi scalzi alla parete sopra la testata. Ha messo il cuscino sotto la schiena per alleviare il dolore ai muscoli: che altro si aspettava, dopo mesi passati a far nulla dopo la fine del liceo? Tre mesi passati a correre e a mangiare. Un ghigno gli si dipinge sulle labbra: per una volta, anche Kieran è arrivato alla fine dell'allenamento distrutto. Tutta la scena messa in piedi fino a quel momento non è sopravvissuta al livello di una squadra universitaria, e quando lo ha mollato davanti a casa, con la promessa che si sarebbe ripresentato dopo cena e una doccia, stava borbottando qualcosa in merito a un bagno di sali.
Avverte dei passi davanti alla porta della camera, quelli leggeri di sua madre. La donna cerca sempre di muoversi silenziosamente sul carpet che riveste i pavimenti, ma dato il generale silenzio che avvolge la casa, non è difficile sentirla avvicinarsi. La chiama, allungando il braccio verso di lei quando si affaccia all'interno. «Ma', dopo viene Kieran. Forse resta anche a dormire, non lo so. È un problema?»
Il naso di Kayleigh si arriccia, dimostrando la sua disapprovazione prima ancora che apra bocca. «Mi auguro che non dormiate insieme, uh? Non vorrei che ti succeda qualcosa...»
Marcus appoggia una mano sul viso, nascondendo alla madre l'espressione di disgusto. «Mamma, per favore. Vorrei che tu distinguessi tra amicizia e amore, e tra cose che sono davvero sbagliate e cazzate.»
«Marcus, le parole.»
«Mamma, per favore.»
«Sai che io e tuo padre non siamo d'accordo. Evitiamo che succedano cose strane, e tira fuori il materassino, sì?»
«Sì mamma, sì. Quando arriva lo tiro fuori.» Si gira sul letto, voltandole le spalle. Quel modo odioso che ha sua madre di comportarsi con Kieran lo farà impazzire, prima o poi. E prima o poi sarà costretto ad assistere a un litigio tra il suo migliore amico e i suoi genitori, che fanno buon viso a cattivo gioco ma non nascondono la loro disapprovazione. Sua madre sembra una strega e lui non è etero. E suo padre è morto. Ovvio, che non piace loro. Ci manca solo che li costringa ad andare a messa e imponga a Kieran di confessare tutti i suoi peccati. E magari chiedere la scomunica del ragazzo. «Tanto non è manco battezzato» mormora fra sé e sé, controllando che Kieran gli abbia scritto che sta arrivando.
Sullo schermo brilla una notifica da parte sua. Conoscendolo, non avrà intenzione di suonare il campanello. Infatti. "Apri", gli ha scritto. Un'unica parola, una richiesta. Grugnendo per lo sforzo di scendere dal letto, sciabatta giù per le scale, rischia di inciampare sul suo stesso borsone abbandonato nel mezzo del corridoio e gli apre la porta. Kayleigh e Declan, suo padre, non sono in vista, probabilmente ritiratisi nella loro stanza.
«Yo» lo saluta l'amico, «mi fai entrare? Se resto in piedi altri trenta secondi mi si bloccano i muscoli in questa posizione.» Kieran se ne sta appoggiato alla cornice della porta con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra. Si è presentato con addosso l'ennesimo maglione di lana di suo padre, una tuta consumata e lo zaino coi libri. Il maglione gli va un po' stretto sulle spalle, evidenziando i muscoli accumulati in anni di sport. «Oi» lo chiama «smettila di farmi la radiografia, fammi entrare.»
Marcus si riscuote. Non se ne era accorto «Sì, scusa. Vieni.» Il ragazzo gli passa accanto nello stretto corridoio, sfiorando la spalla con la sua.
Gli si rovescia addosso una quantità di dolore e stanchezza fisici che non si aspettava. Aveva quasi dimenticato che può sentire il dolore di Kieran, e averlo così vicino dopo un allenamento così tosto rischia di mandarlo a terra dalla fatica. In camera Marcus si sdraia di nuovo a letto, mentre Kieran prende posto nella poltrona sacco che è il suo trono quando passa i pomeriggi da lui.
«Ho parlato con Edith» comincia, abbracciando il cuscino. Kieran abbandona il cellulare sul carpet, sistemandosi meglio per ascoltare. «ancora non hanno capito com'è che non possono più piangere per me. Però pensano che io debba comunque morire, in un modo o nell'altro.» Non gli piace indugiare su quel pensiero. Edith è stata chiara: qualcuno gli ha dato del tempo in più, ma quel tempo in più non è infinito. Stringe più forte il cuscino, combattendo contro l'impulso di mangiarsi le unghie. Un lieve dolore gli stringe il petto, e non sa se appartiene a lui o a Kieran, che lo guarda in silenzio.
«Ti hanno detto come fare?»
«Fare che?»
«Morire. Mettere fine alla tua vita. Smettere di essere incastrato con tutto questo.» La voce di Kieran è tesa, così come il suo intero corpo. «Perché mia mamma mi ha detto che se in qualche modo la tua anima è legata a quella di qualcun altro, anche quell'altra persona è nella merda. Perché ci vuole uno specifico pugnale e uno specifico rituale per smontare tutto.» Abbassa lo sguardo, evita Marcus. Tace. Gli tace qualcosa, probabilmente doloroso. Sicuramente. Stringe la mascella, come quando vorrebbe dire qualcosa che non può.
«Ti ha detto altro?»
Kieran scuote la testa. «Non molto. Credo stia cercando di capire cosa può dirmi e cosa no senza dirmi chiaramente che è una strega.» Mente. Cos'altro gli ha detto Leah?
«Possiamo fare qualcosa contro tutto questo?» mormora.
«Puoi scegliere quando morire, Marcus. Non è una cosa da poco. Puoi anche scegliere come, fino ad un certo punto.» Hanno abbassato entrambi la voce, spaventati dall'idea che i genitori di Marcus possano sentirli parlare di morte o chissà che altro. Certi argomenti sono meglio discussi a voce bassa, pensa Marcus. Non hanno il coraggio di parlarne come se stessero discutendo delle classifiche delle loro squadre preferite, o delle materie da studiare.
«Lo so che posso scegliere, K. Solo che vorrei non dovesse succedere. È» si interrompe, trattenendo un singhiozzo che si è fatto strada fino alla gola «triste.» Ci sono mille altre cose che vorrebbe dire, mille altre definizioni che questa sentenza imminente meriterebbe. Ma riesce a mormorare solo quello, solo quella semplice parola, senza scoppiare a piangere. Kieran abbandona la palla da pilates per abbracciarlo, stringendolo contro il suo petto. «Non voglio, Kieran» gli esce, la voce soffocata dal tessuto del maglione.
Kieran non parla per un lungo momento indefinito. Si tiene Marcus stretto addosso, gli incastra le dita tra i capelli e restano così, nonostante Marcus sia ancora abbracciato al cuscino, nonostante siano in una posizione scomodissima. Non gli offre conforto a parole, e di questo gliene è grato.
«Ma se guardiamo un film? Mi sta venendo mal di schiena» dice Kieran, sciogliendo appena l'abbraccio.
Marcus si lascia sfuggire una risatina. Sì, il modo migliore per smettere di pensare è guardare qualcosa, possibilmente qualcosa di molto stupido. «Guardiamo i cartoni animati?» borbotta, lasciando il rifugio delle braccia di Kieran. Ci è rimasto più di quanto sarebbe accettabile, più di quanto i suoi genitori – nel caso in cui aprissero la porta in quell'esatto momento – approverebbero.
«Per me può andare. Ma prima fammi mettere il pigiama. Ti rubo un paio di pantaloni.»
«Ma che cazzo, non potevi portarti vestiti tuoi?» Non porta mai con sé nulla per dormire, dando per scontato di poter prendere in prestito qualcosa. E lo sa, che Marcus gli presterà un paio di pantaloni, o una maglietta, perché è confortante sapere che il suo migliore amico indossa qualcosa di suo.
«No, i tuoi pigiami sono più comodi. E poi» la voce gli arriva soffocata dai vestiti «ci sono ancora un paio di mie magliette qui, sto cercando quelle.»
Marcus sospira. La tristezza di poco prima è cacciata in un angolo, ignorata, messa da parte, in favore del sorriso ampio del suo migliore amico mentre apre le ante dell'armadio e cerca un paio di pantaloni per il pigiama. Quando è successo che avere Kieran accanto ha iniziato a scacciare tutti i pensieri più cupi? Quando è successo che solo l'idea di dormire vicini, nemmeno nello stesso letto, lo rende così nervoso? Perdiana, quando è successo che ha iniziato ad avere bisogno di lui? Lo guarda spogliarsi, ignaro della tempesta che in quel momento si sta svolgendo nei pensieri di Marcus. La muscolatura solida affiora appena sotto la pelle quando si muove, quando toglie la maglietta per indossarne una pulita, rubata anche quella dall'armadio accanto al letto di Marcus. Ne ha scelta una rossa, a tinta unita, con la stampa di un dito medio, e l'ha abbinata a un paio di pantaloni verde prato appartenenti a un vecchio pigiama. Probabilmente appartiene davvero al mucchio di magliette dimenticate a casa di Marcus. Ormai i loro guardaroba sono divisi equamente tra le rispettive stanze.
Gli scappa da ridere, così nasconde il sorriso dietro lo schermo del computer che ha tirato fuori dallo zaino. «Cazzo ti ridi, uh?» Kieran si volta verso di lui, mettendo i pugni sui fianchi. Solleva un sopracciglio, scrutandolo con un mezzo sorriso a malapena trattenuto.
«Niente, niente.» Gli fa spazio sul letto, sistemando i cuscini in modo da permettere a entrambi di stare seduti comodi e di lasciare il computer precariamente in equilibrio sulla palla da pilates.
Prendono sonno a un orario improbabile, dopo aver consumato due stagioni di una fiction per bambini ambientata in un maneggio e aver deciso di essere troppo stanchi per lasciare il calore delle coperte e cercare il materassino gonfiabile su cui avrebbe dovuto dormire Kieran. Prendono sonno incastrati, mezzi abbracciati perché il letto di Marcus è troppo stretto per i corpi di due giocatori di rugby di diciannove anni.
Marcus si sveglia un numero imprecisato di volte, costantemente pungolato dai gomiti ossuti di Kieran o dal suo braccio sulla faccia, oppure ancora dai piedi gelidi che si incastrano tra le sue caviglie. Quando il sole comincia a filtrare dalla finestra accanto al letto, Marcus ha perso la voglia di cercare di dormire. Fissa il soffitto, punteggiato dalle lame di luce che filtrano attraverso le persiane, e ascolta il respiro pesante di Kieran. Gli ha appoggiato la testa sulla spalla e gli tiene stretta la maglietta tra le dita, mormorando parole sconnesse di quando in quando.
Conta le lame di luce e cerca di ricordare con precisione gli avvenimenti del venerdì precedente. Ha smesso di sentire le voci delle banshee prima o dopo il bacio del tizio, l'amico di Josh?
///
NDA
Un biscotto a chi becca la frase che ho sottolineato su word perchè non mi piaceva, e che ho lasciato così perchè non sapevo nemmeno come sistemarla.
Detto ciò: con il prossimo capitolo (dopo l'intermezzo, che è molto intelligentemente intitolato "Leah fa cose") si parte con una immersione nei pensieri di Marcus prima e Kieran poi. È stato divertente scriverli? Di brutto. Kieran in particolare, non ce la può fare.
(Non che Marcus ce la faccia molto di più, ma almeno quando è in crisi PARLA CON QUALCUNO) (se volessi fare un'analisi dei personaggi direi che Marcus è me quando ho del sale in zucca e Kieran è me quando rifiuto di dare un nome alle cose che penso così non esistono)
lemmeknowwaddyathink, buon natale!
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