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8. You were a fire

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Fireside; Arctic Monkeys.

Dopo aver saputo che la cosa a tre di Blake in realtà era una cosa a quattro, l'avevo cacciato fuori in malo modo.

Alla fine mi ero ritrovata con la schiena premuta contro il portone d'ingresso, a chiedermi cosa fosse cambiato da quando eravamo solo due bambini.

Se la mia innocenza era rimasta tale, quella di Blake non lo era affatto.

Come poteva farlo con tre ragazze contemporaneamente? E come potevano loro permettergli di compiere un gesto simile? Era una cosa che non concepivo.

Caroline mi portò gli appunti delle lezioni in comune e mi chiese come mi sentivo; non le raccontai di ciò che era successo tra me e suo cugino e non dissi nulla riguardo all'aumento di persone che avevano popolato la camera da letto la sera prima.

Non sarei stata io la pettegola di turno.

Caroline se ne andò in fretta non appena i miei fratelli tornarono. Vincent non la guardò neanche, ma Victor si fermò sulla porta accanto a me e la squadrò da capo a piedi.

I cargo erano abbinati a un top nero, che lasciava scoperte le spalle e l'ombelico ingioiellato. I suoi occhi azzurri fulminarono mio fratello, capii che non le piaceva essere fissata in quel modo.

«Puoi prendermi la farina nel ripiano in alto?» chiesi a mio fratello. «Prenditela da sola» replicò lui passandosi la lingua sul labbro inferiore. «Non ci arrivo» insistetti fin quando, alla fine, non andò in casa, sicuramente pronto a tornare all'attacco.

Caroline, avendolo capito a sua volta, mi lanciò un bacio volante e scappò in auto.

«Ecco la tua farina» disse mio fratello, guardando la macchina della mia amica andare via. «Che farina?» chiesi confusa.

Mentalmente, mi sbattei una mano sulla fronte non appena vidi lo sguardo di Vincent farsi duro.

«Oh giusto... la farina.»

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Mi rigirai nel letto, immersa nell'oscurità.

Tentavo di dormire, ma le voci dei miei fratelli me lo impedivano: poche ore prima papà era partito per un viaggio di lavoro, di cui non conoscevo la meta, dunque loro avevano deciso di invitare qualche amico a casa.

Sentivo Joy ridere e anche altre voci confuse. Sbuffai.

Mentre servivo a Victor e Vincent la cena, una fetta di carne con dell'insalata, mi avevano intimato di rinchiudermi in camera mia e di non osare scendere.

Quindi ero chiusa a chiave in stanza, ma non riuscivo a prendere sonno.

Pensai che fosse il caso di mettermi a studiare ma, quando feci per alzarmi, qualcuno bussò.

Sospirai sollevata, probabilmente era un segnale da parte dei gemelli per darmi il via libera, così iniziai a fantasticare sui biscotti che avrei rubato in cucina.

Accesi la luce per evitare di inciampare e aprii la porta.

Ma non mi trovai Vincent davanti. E nemmeno Victor.

«Dovresti vestirti così più spesso» ridacchiò Blake con espressione maliziosa.

Indossavo un top aderente con dei pantaloncini larghi ma un po' troppo corti, visto che li portavo da anni... di certo non mi aspettavo una sua visita nella mia stanza.

Lanciò un'occhiata alle mie spalle, incuriosito. «È rimasto tutto uguale.» Annuii, ma rimasi paralizzata davanti alla porta in attesa che lui tornasse al piano di sotto, dal quale ancora provenivano le risate e il parlottare degli altri invitati.

«Abbiamo portato del gelato e ho pensato di portartene un po'.» Mi allungò una coppetta ricolma di gelato al cioccolato e al pistacchio. Non riuscii a trattenere un sorriso.

«Vuoi entrare?» proposi, pentendomene non appena lui sollevò un sopracciglio con fare allusivo. «E la regola del maschi in camera tua?»

Sollevai le spalle e mi sedetti a gambe incrociate sul letto, affondando il cucchiaino nel gelato. «Come mai così premuroso?» mi ritrovai a chiedere. «È stata un'idea di Joy» borbottò, tirando fuori una sigaretta.

Aveva varcato la soglia. Tornammo improvvisamente bambini. Mia madre era morta e non poteva più impedirgli di entrare. Mi si strinse il cuore.

Si avvicinò alla finestra e, dopo averla aperta, la accese.

«Perché sei qui Blake?» Sbuffò il fumo davanti a sé. «Non lo so Cenerentola, tu perché mi hai aperto?» Sollevai gli occhi al cielo e dissi che pensavo fosse uno dei miei fratelli.

«Sei ancora arrabbiata con me?»
«Parli per la storia di Stacy eccetera?»

Lui scosse il capo e aspirò a lungo. «Sì» risposi. Rimase inespressivo, come se non mi avesse appena posto una domanda. Io finii il mio gelato in rigoroso silenzio e poi mi misi sotto le coperte, in attesa che mi lasciasse sola.

«Vorresti delle scuse?» domandò ad un certo punto, «Ho smesso di sperarci nel momento in cui sei salito in auto.»

Si limitò ad annuire, buttò il mozzicone fuori dalla finestra e prese la coppetta ormai vuota abbandonata sul comodino.

«Fate silenzio, vorrei dormire.» Ridacchiò, sapevo che al massimo avrebbero solo alzato la voce. Premetti la faccia contro il cuscino e chiusi gli occhi, ma percepivo ancora la sua presenza.

«Quattro anni.» Aggrottai la fronte, «Di che parli?» domandai. «Oggi sono quattro anni da quando me ne sono andato.»

Annuii, me lo ricordavo ma non sapevo cosa dirgli. Cosa si aspettava? Che l'avrei accolto a braccia aperte appena arrivato?

Durante la sua assenza si era perso la morte di mia madre e tutto ciò che ero stata costretta a subire da mio padre e dai miei fratelli; inoltre, prima di partire, mi aveva ferita.

Lo odiavo con tutta me stessa e non capivo cosa si aspettasse da me, cosa ci facesse ancora fermo sulla soglia della mia stanza. «Non ti chiederò scusa.»

Lo ignorai. Era uno stronzo e lo sarebbe rimasto.

«Voglio che tu reagisca.» Sbuffai sonoramente e mi misi a sedere, provando a guardarlo negli occhi; fallii miseramente e abbassai lo sguardo. «Da bambina eri un fuoco, un fuoco che mi bruciava dentro.»

Sospirai e mi passai le mani tra i capelli, «Non sono più una bambina!» sbottai.

Il suo restare ancorato al nostro passato mi innervosiva: lui non era più lo stesso bambino, era cresciuto e cambiato, e io avevo, inevitabilmente, fatto lo stesso.

«Sei morta» asserì serio. «Non sono affari tuoi cosa sono» replicai semplicemente, spostando lo sguardo verso la finestra. «Se ti tocco ti trovo fredda?»

Mi coprii maggiormente. La verità è che sapevo di essere incandescente, il suo sguardo mi scaldava.

«Credo sia meglio che tu vada, gli altri si staranno chiedendo dove sei finito» sussurrai. «Io mi chiedo dove sei finita tu!»

Sbatté con forza il pugno contro lo stipite in legno, facendomi sobbalzare. Mi rannicchiai su me stessa e lo guardai diffidente. «Vattene» ordinai.

«Ero solo venuto ad avvertirti che sentirai rumori molesti provenire dalla stanza di Victor... l'ha lasciata a me e Mary.»

Trattenni uno sbuffo e lo ignorai, rimettendomi sotto le coperte. Rimase ad aspettare una mia reazione per qualche secondo, poi se ne andò con passi pesanti.

E non riuscii a dormire, poiché mio fratello gli aveva davvero lasciato la stanza e Mary, che frequentava letteratura inglese con me, si stava impegnando a dir poco ad urlare come se nessuno potesse sentirla.

Quattro anni da quando Blake è partito... ma cosa sarà successo tra loro prima?
Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto🩵

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