53. Sherlock Holmes
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Crazy Love; Marracash.
Il giorno seguente Blue non si presentò a scuola, quindi non potei interrogarla sull'accaduto.
Vidi Victor, che mi disse che l'auto era pronta. Quella sera avrei gareggiato.
«Blue verrà con noi, stasera» lo avvertii, chiudendo l'armadietto con un tonfo.
Avevo un forte mal di testa e nessuna voglia di discutere, ma sapevo che, con la mia frase, avevo fatto incazzare il mio amico e meccanico di fiducia.
Quella non era affatto la mia giornata.
La mattina mi ero risvegliato con la voce di Joy a martellarmi nelle orecchie, visto che mi ero addormentato nel letto dei suoi genitori, lasciando nella stanza un odore nauseabondo: non ricordavo molto della sera precedente, solo che avevo rubato una bottiglia di gin dalla cucina, fatto sesso con una ragazza che la mattina era sparita e vomitato in un vaso.
Arrivato a casa dieci minuti prima dell'inizio delle lezioni, mi ero subito la ramanzina di Caroline e dei miei nonni: non sapevano più cosa farne di me, ero irresponsabile e bla bla bla.
Ma i miei genitori erano morti. Quindi tutto ok. Ero un cazzo di martire per tutti loro.
Fui tentato di usare quella scusa anche con Victor, per convincerlo a portare sua sorella, ma non avrebbe abboccato: anche sua madre era morta e anche lui era stato trattato per mesi come me.
«Ha il viso tumefatto, non credo voglia farsi vedere in giro» spiegò, mantenendo una calma che non gli apparteneva.
Ci sedemmo vicini a lezione di spagnolo, e vedere il banco vuoto di Blue mi fece innervosire ulteriormente.
Avevo bisogno di sapere.
Victor nascondeva qualcosa ma era difficile da raggirare, troppo furbo; quindi decisi che avrei rimandato le mie scoperte alla Sherlock Holmes a più tardi e che lo avrei convinto a tutti i costi, ideando un piano diabolico.
Vincent si sedette dietro di noi con Cody, un nostro compagno di squadra.
«Sai, Davis, stamattina ho dovuto saltare la mia scopata mattutina per colpa tua.»
Mi diede un colpetto sulla testa, così mi voltai e gli sorrisi.
«Joy ha bruciato più calorie grazie a me.» Gli feci l'occhiolino.
E non mentivo affatto. Quella mattina la sua ragazza era diventata un dittatore: aveva urlato, mi aveva lanciato di tutto, poi mi aveva costretto a pulire, mentre continuava a urlare, e, dopo essersi accorta che ero ancora troppo fatto per essere utile, aveva pulito al mio posto senza smettere di lamentarsi.
Mi meritai un altro colpo, prima che si mettessero a chiedere a Romilda, la secchiona della classe che sedeva proprio davanti a me e Victor, i compiti da copiare.
«Sai Vince, stasera ho una corsa... Pensavo di far venire Blue.»
Vincent si rabbuiò immediatamente e passò il quaderno di Romilda a Cody, già pronto con la penna in mano. Lo vidi lanciare un'occhiata d'intesa al suo gemello.
Ignorai ciò che stava per dire.
«Caroline.» Mia cugina si voltò con espressione scocciata in volto. Credo che mi odiasse, almeno in parte. «Stasera devi venire con me in un posto.»
Inclinò il capo con un sorriso divertito. «No, non credo proprio» replicò, prima di tornare con la testa sul libro che stava leggendo. Mia cugina era un'appassionata di thriller psicologici: sapevo di non doverla far incazzare perché conosceva almeno cento modi per uccidermi senza farsi beccare.
«Ma Victor vuole così tanto che tu venga.» Il mio amico mi colpì con un pugno che mi fece ridacchiare.
«Se Victor mi vuole così tanto, tirerà fuori la palle e verrà a chiedermi scusa, poi potrò pensarci.»
Mi voltai verso il diretto interessato, che aveva lo sguardo di chi era decisamente pronto ad uccidermi.
Pensai che sapeva che tenevo una pistola nascosta nell'armadietto, poteva sempre rubare quella.
«Perché ce l'ha con te?» chiesi ingenuamente.
La verità è che sapevo benissimo perché Caroline era così arrabbiata: la sera prima, lungo il tragitto fino alla festa di Joy, si era lamentata di Victor e di quanto fosse indisponente.
Credevo le piacesse e per quello lui la innervosiva così tanto, ma mia cugina era un tornado imprevedibile, quindi era sempre meglio non saltare a conclusioni affrettate.
«Credo per Blue, per il fatto che volessi tenervi lontano da lei» borbottò chino sul libro.
«Beh... in effetti è stato strano» ammisi. «Blue vuole stare sola quando sta male.»
Aggrottai le sopracciglia. «Blue ama avere qualcuno che la consola» controbattei.
«Scusa, Davis, sei stato via per anni, dopo aver trattato di merda mia sorella, torni e pensi di conoscerla ancora? Blue è cambiata radicalmente da quando ti sei trasferito. Quindi taci e porta rispetto per le sue decisioni.»
Volevo credere alle parole di Victor. Volevo credere che fosse solo un fratello protettivo.
Ma ripensai alle parole pronunciate da Blue durante la trasferta, quando eravamo stati costretti a condividere la stanza d'hotel e ci eravamo aperti l'uno con l'altra. Quando lei aveva visto uno dei miei soliti scatti d'ira.
Puoi usare me, se vuoi. Per sfogarti.
In più, la gamba destra di Victor Williams tremava e io l'avevo osservato con cura: stava mentendo.
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Nell'ultimo periodo gareggiare era diventato il mio nirvana e per non distruggere ciò che avevo costruito con estrema cura avevo una sola regola: nessuna distrazione.
Premetti ulteriormente il piede sull'acceleratore. «Non voglio morire, puoi rallentare?» gridò Caroline, tentando di sovrastare la musica assordante.
Mi aveva fatto un favore: era venuta nonostante non fosse riuscita a capire se Blue sarebbe venuta o meno. Aveva parlato con Victor, che però era sembrato irremovibile.
Ma mia cugina non si era lasciata abbattere: aveva indossato un vestito corto e scollato da far girare la testa e, se Blue non ci fosse stata, l'avrebbe di certo fatta pagare a Victor... O forse l'avrebbe fatto anche se la piccola Williams fosse venuta alla gara, giusto per il gusto di farlo.
Risi sinceramente ed eseguii.
Ero stranamente sobrio, cosa rara prima di una corsa, quindi mi sentivo più leggero ma al contempo più pesante del solito.
Volevo essere lucido quando avrei indagato. Quella sera sarei entrato nei panni di Sherlock Holmes, compito rimandato quella mattina, e avrei scoperto se e perché Blue mi stava mentendo.
«Credi che ci sarà?» mi chiese. «Non ne ho idea.»
Caroline si schiarì la gola e sentivo che voleva dire qualcosa, ma le mancava il coraggio.
«Pensi che lei e Victor abbiano mentito? Sull'aggressione, intendo.»
Scossi le spalle. «Devo ancora capirlo.»
Sospirò e tentò di rilassarsi, dopo aver sistemato il vestito sulle cosce.
«Sei molto carina» le dissi infine. «Lo pensi davvero?»
Annuii senza alcuna esitazione.
Caroline era sempre positiva, ma io conoscevo tutte le sue fragilità, che mai avrebbe confessato ad anima viva: i suoi genitori erano assenti, così lei non si sentiva mai abbastanza perché non riusciva ad attirare la loro attenzione per farli restare con lei. Era piena di insicurezze che non avrebbe svelato.
Ma sapevo che si curava così tanto per ottenere l'approvazione della madre, ma che portava le punte dei capelli tinte di blu per farle un dispetto e farle credere che non le importasse della sua opinione. E sapevo che restava a studiare notti intere per avere i voti più alti per sentirsi dire un "brava" da mio zio.
Ma i suoi genitori, sfortunatamente, erano degli stronzi, e suo padre non somigliava affatto a mia madre.
Le strinsi le mano per infonderle forza e lei ricambiò.
«Quando non fai lo stronzo non sei male» ammise.
«Sai, sei l'unica che se ne frega del fatto che i miei genitori siano morti» le dissi, interrompendo il nostro contatto e passando una mano tra i capelli per trovare un diversivo.
«Ti dà fastidio?»
Scossi il capo. «In realtà lo adoro. So di essere un coglione, ma tu non me ne fai passare una... Le somigli tanto.»
Sorrise, «A tua madre?»
Risposi affermativamente, «E a Blue.»
Caroline non proferì parola e passammo l'ultimo tratto del viaggio in religioso silenzio.
Quella sera la corsa si sarebbe tenuta tra dei vecchi capannoni abbandonati e c'era più gente del solito. Per fortuna, Victor aveva riservato un posto per mia auto e se ne stava a chiacchierare con suo fratello e Joy.
Quest'ultima si guardava intorno un po' impaurita, ma, nonostante ciò, non appena vide mia cugina le rivolse un sorriso caloroso, tipico di Joy.
A me, invece, riservò un'occhiataccia e, come promesso a Caroline, mi scusai per il casino che avevo combinato la sera prima e lei si sciolse in un sorriso. Avevo capito com'era fatta: non riusciva a stare arrabbiata per troppo tempo.
Victor mi mostrò i cambiamenti apportati al motore, spiegando quali conseguenze avrebbero avuto.
«Vincerò?» chiesi infine. Poteva parlarmi in termini tecnici quanto voleva, ma a me interessava solo della vittoria. Di macchine non ne capivo quanto lui.
Victor era la mente, io il braccio. Lui mai sarebbe stato in grado di guidare come me.
Presi un respiro profondo accarezzando la carrozzeria.
«Nessuna distrazione» mormorai tra me e me.
Ma, tra il rumore generale, sentii lo sportello di un'auto chiudersi.
E Blue Williams fu davanti a me in pochi istanti: bella da mozzare il fiato, con un vestito viola scuro che la fasciava fin troppo bene e i lividi coperti da un trucco perfetto.
Mi rivolse un timido sorriso, mantenendo gli occhi bassi.
Così il mio sguardo si spostò sulla pelle scoperte, specialmente sulle gambe.
E tutti i miei buoni propositi andarono a puttane.
Buongiorno a tutti, come va? Secondo capitolo dal punto di vista di Blake, che inizia ad avere un po' di sospetti sulla famiglia Williams.
Vi avverto, ne vedremo delle belle d'ora in poi.
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro un buon weekend❤️
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