41. Enemies as before
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we can't be friends (wait for your love); Ariana Grande.
La sala della colazione era gremita di giocatori di basket e cheerleader, pronti all'ultimo allenamento prima della partita contro i Serpents.
Riuscivo a percepire la tensione alleggiare nell'aria: la squadra avversaria era ancora imbattuta e, l'anno prima, erano stati loro a buttare fuori i Gators dal campionato.
Blake non l'aveva vissuto sulla sua pelle, ma ricordavo la delusione dei miei fratelli e in generale di tutta la scuola. Per giorni l'atmosfera era stata tetra e, il weekend successivo, non era stata organizzata alcuna festa per rispetto verso i giocatori.
Aveva senso? Assolutamente no. Ma di certo non ero io a decidere come superare il "lutto".
Ci sedemmo nei posti liberi al tavolo occupato da Caroline, Victor, Vincent, Joy e un'altra cheerleader amica di quest'ultima che, se non ricordavo male, si chiamava Valerie. Eravamo compagne al corso di storia e non era una gallina come la maggior parte delle sue compagne.
Victor aveva l'aria di uno intenzionato a distruggere chiunque. Gli occhi erano velati da una patina di rabbia che mi fece rabbrividire.
«Avete dormito bene?» domandò guardando solo me.
«E voi?» si intromise Blake. «Sto parlando con mia sorella» replicò burbero.
Il ragazzo seduto al mio fianco buttò la testa all'indietro in una risata sguaiata.
«Non puoi incazzarti. Sei tu che hai voluto che noi due dormissimo insieme.»
Mi alzai, stanca dei loro battibecchi. Oggettivamente, Blake aveva ragione da vendere: Victor era un coglione patentato che si stava incazzando senza un motivo valido. Ma sapevo che Blake stava rischiando di oltrepassare il labile confine che lo separava dal diventare un nemico giurato dei gemelli Williams.
Percorsi il corridoio a passo svelto fino a raggiungere la porta della camera che condividevo con Caroline; o meglio, che avrei dovuto condividere con lei.
Sentivo dei passi dietro di me, e pensai che non avevo davvero voglia di discutere con Blake Davis. Lo avevo sopportato abbastanza nelle ultime dodici ore, e il pensiero di respirare ancora la sua stessa aria mi faceva venire voglia di trattenere il fiato fino a morire... maledetto istinto di sopravvivenza.
Una mano si posò sulla mia spalla e fece pressione per farmi girare.
Percepii all'istante che il tocco non apparteneva a Blake. Infatti, quando mi voltai, trovai Victor a guardarmi. Le sue mani erano molto più fredde e possenti, la presa meno delicata.
«Apri, dobbiamo parlare.»
Eseguii senza indugi. Ci trovammo nella stanza in cui ancora alleggiava il profumo di Blake.
Ma Victor non parve facci caso, concentrato com'era sul letto: sfatto da entrambe le parti.
«Quando ho detto che poteva stare nella tua stanza, intendevo sul pavimento» sibilò a denti stretti. Sentivo che da un momento all'altro avrebbe potuto fare a pezzi l'intera camera.
«Non è colpa mia se hai chiesto a Caroline di venire per farmi compagnia e poi l'hai portata via.»
Non sapevo davvero da dove mi fosse venuto tutto quel coraggio di rispondere a testa alta, ma sapevo che l'avrei pagata per avergli mancato di rispetto in quel modo.
Victor si voltò verso di me e i nostri visi si trovarono troppo vicini. Sentivo l'odore della sua furia.
Fu rapido e per nulla indolore.
Lo schiaffo che mi diede mi fece voltare la testa di lato e, prima ancora che potessi riprendermi, me ne diede un secondo sulla guancia opposta. Il sapore del sangue mi invase la bocca e le lacrime iniziarono a scorrere sulla mia faccia.
Mi afferrò il mento con poca delicatezza, costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Hai fatto la troia?»
Provai a scuotere il capo nella sua presa ferrea e il terrore nei miei occhi lo fece ghignare soddisfatto.
Pensavo che Victor se la sarebbe presa con Blake? Certo che sì. D'altronde, era stato lui a dormire nel mio letto. Ma avevo dimenticato un dettaglio importante: la colpa era sempre mia e, oltre a questo, ero donna.
In una società sviluppata non si dovrebbe più sentir parlare di questa disparità di genere, ma
la verità è che in casa mia vigeva un forte maschilismo per il quale gli uomini erano sempre più forti e dovevano essere protetti e le donne, il sesso debole, avevano la colpa di tutto.
Blake avrebbe potuto anche stuprarmi: avrebbe subito certe conseguenze ma, poiché era entrato nella cerchia, la colpa sarebbe sempre e comunque stata mia.
Grazie a questa ideologia la colpa era mia anche quando non facevo nulla. Quella era solo l'ennesima prova di uno schema ben definito.
Ovviamente, c'erano categorie di maschi separate: quelli come George Sullivan potevano essere picchiati per difendermi; ma Blake Davis non era insignificante come George, per Victor e Vincent era un loro pari e, per quel motivo, meritava un trattamento privilegiato.
Quando il terzo schiaffo mi colpì sentivo di essere sul punto di crollare, ma sapevo che Victor, proprio come mio padre, si innervosiva nel vedermi disperata.
Qualcuno bussò alla porta.
«Chi è?» domando Victor. «Io.»
La voce del fratello Williams mancante all'appello.
Vincent entrò e si sedette sul letto a guardarci. «Perché l'hai lasciata dormire con Blake?» chiese ad un certo punto. Quasi sospirai di sollievo quando lo sentii dire quelle parole.
«Avevo da fare e non pensavo che lei lo adescasse.»
Non aveva voluto che restassi a casa perché sarei rimasta sola con nostro padre, ma in quel momento desiderai tornare nella mia camera da letto e subirmi un intero weekend da sola con lui.
Invece, ero chiusa in una stanza d'albergo con i gemelli e Victor sembrava in preda ad una furia omicida, che pensavo avrebbe sfogato su di me.
Qualcun altro decise di voler entrare nella stanza e Victor decise di mollare la presa sul mio viso, che aveva afferrato pochi istanti prima.
Le lacrime mi pizzicarono maggiormente gli occhi al pensiero che qualcuno ci avrebbe scoperti: non volevo assolutamente che Victor e Vincent finissero nei guai per colpa mia.
Mi passai le mani in fretta sul viso, nel tentativo di asciugare le lacrime. Ma sapevo di avere il viso arrossato, sapevo che le dita di Victor mi avevano lasciato il segno... ogni tentativo di nascondere tutto sarebbe stato inutile.
«Victor, apri.»
La voce di Blake mi fece iniziare a tremare. Non era stupido, affatto.
Ma mio fratello, a quanto pare, non la pensava come me, perché decise di aprirgli e aspettò che il numero sessantasette parlasse per primo.
Ma Blake non si curò per niente di lui. Decise di venire immediatamente da me e, senza sfiorarmi, mi rimase alle spalle, in attesa che io mi voltassi e gli parlassi.
«Cenerentola, stai bene?»
Provai ad annuire nonostante il tremolio, causato da tutto quel mix di emozioni.
«Davis, lascia stare mia sorella.»
«E tu lascia stare mia cugina.»
Mi girai per guardare la discussione dopo essermi assicurata che l'attenzione di Blake non fosse più focalizzata su di me.
«Ti sei comportato così con lei solo perché io ero con Caroline?»
Blake scosse le spalle, poi si lasciò sfuggire un risolino.
«Non mi piace che si tocchino le mie cose» asserì.
«Caroline non è un oggetto e tu sei un coglione maschilista» sputai. Quella frase mi sarebbe di certo costata uno schiaffo se Blake non fosse stato; ma decisi di non curarmene e abbandonai la stanza.
Volevo raggiungere la mia amica e parlarle e avere delle spiegazioni riguardo alla notte precedente. Certo, eravamo stati io e Blake a scappare dal ristorante per lasciarla sola con Victor, ma ciò non era una giustificazione per mollarmi da sola e, sopratutto, in compagnia di Blake, anche perché Caroline sapeva benissimo della situazione tra me e suo cugino.
La trovai seduta sulla panchina davanti all'hotel, intenta a fissare il vuoto. Mi sedetti senza proferire parola e restammo così per qualche minuto.
Poi, accese una sigaretta e me ne offrì una che, nonostante la titubanza, afferrai prontamente.
«Non ho fatto sesso con Victor» mormorò infine, sbuffando una nuvola di fumo davanti a sé.
«A me non interessa cosa avete fatto. Se ti piace mio fratello è ok.»
Non lo capivo, come non capivo come Joyce potesse stare con Vincent, nonostante fosse diverso e meno violento di Victor. Ma loro due non li conoscevano come li conoscevo io. Caroline non sapeva degli schiaffi ricevuti da Victor, non sapeva che avevo perso il conto di quante volte mi aveva tirato addosso la cena che avevo preparato perché gli faceva schifo, di quanti compiti avevo dovuto fare al suo posto per non essere percossa. E Joy non sapeva della negligenza del suo ragazzo e nemmeno del fatto che, spesso e volentieri, ridesse mentre il suo gemello si accaniva su di me.
Loro non sapevano chi erano davvero Victor e Vincent, ma andava bene così. Nessuno lo avrebbe mai saputo. Sarebbe stato un segreto che avrei portato nella tomba.
Se Caroline voleva stare con Victor non erano affari miei, potevo solo sperare che lui non si comportasse male, ma non potevo avvertirla.
Avvertirla significava svelare tutti i segreti della famiglia Williams, una cosa che mi ero promessa di non fare nemmeno sotto tortura.
«Che hai fatto?»
I nostri occhi si incrociarono violentemente e fui assalita da un potente brivido lungo tutta la schiena.
Caroline, però, distolse subito lo sguardo per concentrarsi su un altro punto del mio viso: le guance.
Mi ricordai dei colpi di poco prima e pensai che, probabilmente, ero rossa. Avevo rovinato tutto.
«Oh... ho preso un colpo.»
«Su entrambe le guance?»
Deglutii rumorosamente.
«E io vedo cinque di-»
Caroline venne interrotta da suo cugino.
«Caroline, puoi lasciarci un secondo?»
La mia amica mi scrutò con occhi assottigliati, cercando di scovare la mia bugia, ma quando Blake si schiarì la voce per incitarla, decise di alzarsi e lasciarmi di nuovo sola con Satana in persona.
Dopo quella notte trascorsa con Blake Davis avevo ricevuto la conferma di quanto fosse un idiota e di quanto lo odiassi.
Sapeva essere carino, gentile e addirittura dolce, se pensavo alla tinta e alla torta di mele che mi aveva regalato; ma poteva essere anche tutto l'opposto, e quelle caratteristiche mi portavano a volergli stare lontano.
Si sedette dove fino a pochi secondi prima si trovava sua cugina. Gli offrii la mia sigaretta ancora a metà, mi stava venendo la nausea. Vedere le sue labbra rosate sfiorare il filtro mi fece rabbrividire.
«Blue?» mi richiamò lei. «Stai meglio bionda» ammiccò, facendomi arrossire leggermente.
«Un colpo, eh?»
Annuii piano. «Stranamente subito dopo essere entrata in camera con Vic?» Il suo tono accusatorio mi fece pensare che, forse, facevo davvero schifo a raccontare le bugie.
Trattenni il fiato. «Blue, dimmi la verità.»
Ma rimasi in totale silenzio, spaventata. Mi sentivo gli occhi di mio padre e dei miei fratelli addosso, come una tacita minaccia.
«Brucerò tutto l'hotel se mi dici che lui ti ha fatto del male. Lo rinchiuderò in una stanza senza finestre in modo che non possa scappare e lo guarderò bruciare vivo.»
Rabbrividii, ma, per assurdo, non mi sentii minacciata dalla violenza che trasudava dalle sue parole.
«O se preferisci sarò più fisico. Gli taglierò le mani che ti hanno toccata. Lo ucciderò. Lo farò pentire di aver anche solo pensato di avere il diritto di sfiorarti.»
Se quella frase fosse stata pronunciata da Victor mi sarei di certo spaventata, ma Blake mi trasmetteva uno strano senso di sicurezza.
«Non mi ha fatto niente» risposi.
«Non mentire.»
«Non sto mentendo.»
Invece sì. Le due bugie appena pronunciate mi strisciarono addosso come serpenti, facendomi sentire uno schifo.
Blake si alzò, porgendomi la mano, ma scossi il capo.
«Torniamo come prima. Questa pseudo-amicizia non fa bene a entrambi.»
Prima del suo ritorno la sua amicizia era la cosa che più desideravo al mondo, nonostante mi avesse tremendamente ferita; in quel momento mi resi conto che io e Blake eravamo una bomba a orologeria pronta a esplodere e distruggere tutto, non potevamo assolutamente permetterci debolezze.
Ma soprattutto sapevo che non potevamo essere amici perché non ero affatto sicura che mi sarebbe bastato.
Blake chinò il capo lateralmente. «Non verrai alla partita con la mia maglia?»
Risposi di no. Non volevo montarmi la testa.
Blake aveva di sicuro le idee chiare sul nostro rapporto, ma i suoi atteggiamenti mi confondevano. Perché mi aveva dato la sua maglia? Perché continuava a trattarmi bene e poi, l'attimo successivo, tornava il solito stronzo?
«Devi indossarla» ridacchiò. «Falla indossare a Cindy» proposi. Mi sembrava l'idea migliore.
Scosse la testa, «Lei è una cheerleader e penserà che finalmente mi sono deciso a sposarla.»
Mi alzai a mia volta per fronteggiarlo, ma l'eccessiva differenza d'altezza rendeva il tutto ancora più imbarazzante.
Blake sfiorava il metro e novanta, mentre io superavo di poco il metro e sessanta. Dovetti inclinare il capo per guardarlo in volto.
«E io?»
«Tu mi odi.»
Mi sfuggii un sorriso che faticai a reprimere.
«Hai ragione.»
Mi porse la mano, «Nemici come prima?»
Annuii e la strinsi, come a suggellare quel patto.
Poi mi voltai per raggiungere la mia stanza e fare una doccia, di cui sentivo davvero il bisogno: il contatto fisico subito nelle ultime ore era davvero eccessivo e dovevo lavarmi di dosso tutto quello sporco.
«Cenerentola?»
Mio malgrado, mi voltai a quel nomignolo che dicevo di odiare, facendo sorridere Blake sotto i baffi.
«Metti la mia maglia. A nessuno starebbe bene come a te.»
«Sono tutte uguali, anche se mettessi quella di Victor.»
Fece un passo verso di me, mantenendosi comunque a distanza di sicurezza.
«Non dire cazzate Blue. Sei mia, non dei tuoi fratelli. Metti il sessantasette.»
Buongiorno e buon sabato... capitolo intenso e finale che fa sclerare.
Come state? Natale è sempre più vicino, come lo passerete?
Ora devo scappare, devo mettermi a studiare, ma vi auguro un buon weekend.
Ultima cosa: so che spesso le notifiche degli aggiornamenti non arrivano, per questo vi consiglio di seguirmi su Instagram (giuliascrive4) per vedere quando aggiorno o se, per qualche motivo, non posso farlo. Di solito scrivo tra gli annunci di Wattpad, ma non sono sicura arrivino sempre le notifiche.
Vi mando un enorme abbraccio, alla prossima❤️
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