3. You liked it as a child
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Somebody That I Used To Know; Gotye ft. Kimbra.
A Caroline sembravo piacere.
In mensa si era seduta accanto a me e mi aveva offerto un po' delle sue patatine in cambio di un pezzo della mia torta al cioccolato.
Ero all'ultimo anno e quella era la prima volta che mangiavo in compagnia con qualcuno.
Victor e Vincent avevano gli allenamenti e quel giorno nessuna lezione in comune con me, dunque non avevano ancora incrociato la mia nuova amica.
Mi sentivo stranamente a mio agio, nonostante le diverse occhiate che Caroline aveva ricevuto per essersi seduta con me a pranzo e aver mantenuto un sorriso per tutta l'ora.
Per me era strano, ma al contempo piacevole.
Dopo la figuraccia con Blake, avvenuta tre ore prima, non avevo più visto neanche lui, ma, avendo spiato il suo orario, sapevo che l'ora dopo ci saremmo incrociati a storia. Caroline mi disse che sarebbe stata con me, e ne fui felice.
La felicità durò ben poco, fino a quando i miei fratelli non comparvero in mensa per mangiare un sandwitch e, sfortunatamente, decisero di sedersi pochi tavoli distanti dal nostro.
Sentivo i loro occhi bruciarmi addosso mentre mi sforzavo di finire la torta.
Alla fine, la regalai a Caroline, che non la smetteva di raccontarmi del suo ultimo viaggio a Tokyo. La ascoltavo interessata, nonostante i gemelli mi distraessero e mi facessero provare un disagio che, fino a quel momento, mi aveva lasciata in pace.
Per fortuna Blake non si era unito a loro, cosa che mi diede un leggero sollievo.
Ma non fu abbastanza, perché, finito di mangiare, i miei fratelli decisero di sedersi con noi.
Nonostante potesse sembrare il contrario, loro non fingevano mai di non conocermi, anzi: amavano marcare il territorio, far sapere al mondo a chi appartenevo. Non avevano mai negato la nostra parentela per vergogna, perché magari sembravo strana, al contrario: ci tenevano a ricordare a tutti che ero una Williams e che per questo dovevo essere rispettata, ma anche ignorata.
Se loro ottenevano la sottomissione di chiunque, io ottenevo anche l'indifferenza.
Potevo chiedere a qualcuno di farmi i compiti di matematica o di passarmi le risposte del test e sarei stata accontentata, ma niente di più. Non potevo essere invitata alle feste, non potevo mangiare in compagnia e non potevo partecipare alle conversazioni.
Se io conoscevo bene la regola, gli altri la conoscevano ancora meglio di me: Victor e Vincent ci tenevano particolarmente a punire chi decideva di disubbidire.
La cosa mi terrorizzava la stragrande maggioranza delle volte, ma al contempo sapevo di essere protetta. Nessuno mi avrebbe presa in giro, nessuno mi avrebbe fatto scherzi. Ero una Williams e meritavo di avere tutti ai miei piedi, seppur essendo ignorata del tutto.
Non che mi piacesse, avrei preferito essere trattata come tutti gli altri, ma, nel corso degli anni, mi ero abituata alla situazione.
Proprio per questo sapevo perché i gemelli si erano seduti con me e Caroline e ora mi ritrovavo stretta tra le loro spalle muscolose con la mia nuova amica, che presto sarebbe scappata a gambe levate, che continuò tranquillamente a divorare il resto della torta.
I miei fratelli emanavano lo stesso profumo di gelsomino, il bagnoschiuma che avevo messo nel loro borsone la sera prima, e la fissavano intensamente.
Mi sentivo soffocare, ma andarmene non era tra le opzioni: volevano sì far desistere Caroline, ma anche ricordare a me che non dovevo permettere di infrangere la regola.
Era tutto assurdo. Lo sapevo e non potevo farci niente.
«Ciao, sei nuova?» chiese Victor, appoggiando svogliatamente la testa sulla mano.
In quell'istante Caroline accettò le loro attenzioni e sollevò gli occhi azzurri, chiedendomi con lo sguardo se andasse tutto bene. Annuii impercettibilmente.
«Ti ho fatto una domanda» insistette mio fratello, «Se lo stai chiedendo è perché sai già che lo sono, quindi è inutile.»
Victor reclinò la testa verso di me, ma, proprio quando stava per aprire bocca, probabilmente per riservarle una risposta tagliente, venne interrotto.
«Ehi ragazzi!» esclamò Joy.
Come da copione, Joy era una cheerleader e, per questo motivo, indossava la sua divisa verde, il colore della nostra scuola.
Durante le partite, a cui io non avevo mai partecipato, urlava e saltava incitando i Gators, la nostra squadra di basket, a portare a casa la vittoria.
Il vestitino le stava divinamente. Le sue gambe lunghe e abbronzate distrassero anche mio fratello che, ben presto, fu costretto a ridestarsi.
«Che state facendo?» domandò sospettosa, guardandoli con gli occhi assottigliati.
«Smettetela subito» disse quando comprese, guardandomi con compassione. Odiavo sentirmi un cucciolo indifeso: c'era chi si dispiaceva per me e chi voleva divorarmi. Joy apparteneva alla prima categoria.
«Vince, dì alla tua ragazza di tacere» borbottò Victor. «Perché non taci tu una buona volta?» rispose la diretta interessata, precedendo l'altro gemello, che si alzò per scortarla via.
«Lasciami!» si lamentò lei, sottraendosi alla sua presa. Erano una coppia quasi perfetta, ma sapevo che mio fratello non poteva fare il prepotente con Joy perché lei era una dura: dolce e gentile, ma anche forte.
La adoravo. Desideravo essere come lei. Essere lei.
Vincent la guardò senza pronunciare parola. «Con me non funziona lo "sguardo minaccioso dei fratelli Williams"» mimò le virgolette con le dita e sorpasso mio fratello per sedermisi accanto. «Lasciate in pace Blue per una buona volta e fatevi una vita.»
Vincent strinse i pugni e, dopo aver fatto un cenno al gemello, si tolse di torno sotto lo sguardo soddisfatto di Joy.
«Perché l'hai fatto?» chiesi una volta rimaste solo noi tre, «Caroline mi piace e non è giusto che tu stia sempre sola per la loro iperprotettività.»
Avrei tanto voluto che fossero solo iperprotettivi...
Ma sapevo che c'era di più, molto di più. Ma ero l'unica. Joy non sapeva nulla. Nessuno sapeva nulla.
Alla fine la ragazza restò poco seduta con noi, poiché raggiunse le sue compagne di squadra saltellando allegra.
Io e Caroline ci dirigemmo in classe prima del suono della campanella e ci accaparrammo due posti centrali, chiacchierando del più e del meno in attesa dell'inizio della lezione; la aiutai a capire dove fossimo arrivati col programma, in modo da potersi rimettere in pari.
«Ciao Cenerentola.»
La sua voce mi fece raggelare sul posto, tutti i miei muscoli erano in tensione.
Non mi voltai a guardarlo, perché, seppur a qualche metro di distanza, sentivo il profumo del suo bagnoschiuma fresco e non volevo assolutamente arrossire né a causa sua né a causa del nomignolo che mi aveva affibbiato per la seconda volta durante la giornata.
«Smetti di fare il coglione.» Sgranai gli occhi all'uscita di Caroline.
Come poteva parlargli così? Neanche lo conosceva!
Blake si avvicinò a lei e posò entrambe le mani sul suo banco, guardandola con aria di sfida.
I suoi capelli corvini erano scompigliati e ancora umidi, segno che anche lui era stato all'allenamento, visto che il coach lo aveva preso nella squadra.
Avevo sentito da voci di corridoio che il suo periodo di prova era durato circa un'ora. Al primo allenamento aveva fatto il culo a tutti, dimostrando di meritarsi il posto.
Alla fine lui le rivolse un sorrisetto divertito e le stampò un bacio sulla fronte.
Aspetta... cosa?
Aggrottai le sopracciglia a dir poco confusa da ciò che avevo appena visto.
«Non ti arrabbiare Cuginetta.»
Blake mi superò e si sedette dietro di me, dopo avermi rivolto un'occhiatina divertita dalla mia espressione sconvolta.
«Quindi i tuoi nonni...» mormorai, «Sono i suoi» concluse lei al mio posto.
Sentii Blake ridere alle mie spalle, poi mi tirò una ciocca di capelli, facendomi voltare.
«Smettila» gli intimai, trovando un coraggio che non mi apparteneva più da tempo.
«Da bambina eri carina quanto ti incazzavi.»
«Peccato che io non sia più una bambina.»
Mi voltai e aprii il libro e il quaderno, pronta a seguire la lezione, visto l'arrivo dell'insegnante.
Ma, nuovamente, Blake mi tirò i capelli. Cercai di ignorarlo, ma lui andò avanti anche a spiegazione cominciata.
Alla fine, i miei sbuffi lo fecero arrendere e chiese il permesso per andare in bagno. La sua azione mi sollevò a dir poco: un po' di pace.
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Caroline mi accompagnò a casa, aveva l'auto e non avrebbe portato Blake, dunque accettai volentieri la sua proposta.
«Perché anche tu sei venuta a vivere qui?» Lei storse il labbro, «Te l'ho detto stamattina» replicò.
Alla fine con un sospiro ammise: «I miei nonni erano preoccupati per Blake... non è un periodo facile per lui.»
Deglutii rumorosamente. Quella mattina ero stata scortese e mi sarei dovuta scusare con Blake. Stava passando un momento difficile e, nonostante tutto, io e lui eravamo stati amici. Non meritava quel trattamento da parte mia.
Giunta davanti a casa mi appuntai mentalmente di farlo il giorno dopo ed entrai.
Pulii i pavimenti e le stanze dei miei fratelli, dove trovai vestiti sporchi ovunque, mozziconi di sigaretta e, nella stanza di Victor, anche qualche bottiglia di birra.
Ci misi un po' a rassettare tutto, ma riuscii a finire in tempo per il loro rientro. Giunsero in cucina, in compagnia di Blake, che mi rivolse un sorrisetto in segno di saluto.
«Non c'è un cazzo qui dentro» mugugnò Vincent. «Non sono andata a fare la spesa.» Mi vergognai molto di aver commesso un errore così stupido. «Vai adesso.»
Dalla tasca estrasse il portafogli e mi tirò una manciata di banconote, che caddero a terra oscillando sotto lo sguardo impassibile di Blake.
Ricacciai indietro le lacrime dovute all'umiliazione appena subita e mi chinai per raccogliere i soldi.
Una mano si scontrò con la mia. Blake.
Avvampai violentemente.
«S-scusa» balbettai alzandomi di scatto. Lui mi porse ciò che aveva raccolto e si appoggiò al bancone. I miei fratelli avevano acceso la televisione in salotto incuranti di noi.
«Scusa anche per stamattina... sono stata scortese... so che per te è un momento difficile.»
Avevo in programma di dirglielo domani, dunque non avevo pensato a nulla.
E, dalla sua reazione infastidita, capii di aver sbagliato approccio.
Lo vidi serrare i pugni lungo i fianchi, «Caroline dovrebbe farsi i cazzi suoi e tu più di lei» sbottò.
«Volevo solo provare ad essere gentile.»
«Non mi serve la tua gentilezza, Blue.»
Mi guardò come se lo disgustassi, poi sbatté il pugno contro il bancone in legno, facendomi sobbalzare. Indietreggiai di qualche passo, rischiando di inciampare sui miei stessi piedi.
Non disse nulla, continuò a guardarmi incazzato, come se l'avessi appena insultato o fatto qualcosa di male.
Afferrai la giacca, appoggiata sullo sgabello e uscii in tutta fretta; solo pochi istanti dopo mi accorsi che lui mi aveva seguita e che si stava accendendo una sigaretta sotto il portico.
Lo ignorai e me ne andai, se non sapeva apprezzare la mia empatia non avevo niente da dirgli.
«Cenerentola?» mi richiamò e, mio malgrado, mi voltai. Lui sorrise, capendo che mi aveva in pugno. Mi aspettai che dicesse qualcosa di particolare, che si scusasse per essere stato così brusco.
I suoi occhi intercettarono i miei, ma abbassai subito lo sguardo sul ciottolato.
«Smetti di chiamarmi così» esclamai alla fine, tornando a guardarlo. Inclinò la testa.
«Da bambina ti piaceva.» Sbuffai sonoramente. Era vero: fino a quando siamo stati amici Cenerentola è stato il mio soprannome e mi pentii di avergli dato un pretesto per tornare a chiamarmi così.
Eppure, nonostante avesse ripreso quella piccola abitudine, sapevo di aver a che fare con uno sconosciuto. Credevo di conoscere Blake, ma la verità è che lui era totalmente cambiato.
«Ti sembra che io sia ancora una bambina?»
Aspettai che aprisse bocca prima di andarmene, con l'accenno di un sorriso stampato sul viso al ricordo della nostra infanzia.
«Compra il succo d'ananas.»
Buttò la sigaretta vicino ai miei piedi e rientrò, lasciandomi sola al freddo.
Spazio autrice
Ehi, come state?
Vi aspettavate la parentela tra Caroline e Blake? Che ne pensate in generale?
Qui vi lascio una foto del personaggio di Joy, così potete immaginarla meglio!
Ci tengo tanto, fatemi sapere🩵
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