24. You can't trust anyone... except...
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Play With Fire; Sam Tinnesz ft. Yacht Money.
Allontanarmi da Blake Davis forse non era stata la mia migliore idea.
Ero entrata in palestra da sola e, nonostante la supervisione dei professori, era pieno di ragazzi ubriachi, uno dei quali mi scontrò e non si scusò, se non quando si accorse di chi ero.
Quasi si prostrò ai miei piedi, supplicandomi di non dire niente a Victor e Vincent; ma non gli diedi il tempo di continuare, poiché mi rifugiai verso le gradinate, intenzionata a osservare il via vai di gente e, magari, muovermi solo quando Caroline sarebbe stata libera da Victor.
Victor. Che faceva uso di droghe. Victor. Al quale era stato inculcato fin da bambino di non finire in giri sbagliati.
Mi sentii stupida per non averlo capito.
Anche Vincent lo faceva?
Non pensavo che fumare di tanto in tanto fosse grave... ma la cocaina? Chi gliela procurava?
«Come mai tutta sola?» Una voce mi destò dai miei pensieri e, seduto accanto a me, trovai George.
Indossava una camicia bianca leggermente larga sul suo fisico asciutto e dei pantaloni eleganti neri. I capelli erano pettinati a regola d'arte, al contrario di quelli di Blake, lasciati spettinati in maniera provocatoria.
«Pensi di conoscere le persone ma in realtà non è mai così» sospirai, «Non ci pensare.» Mi diede una leggera spallata che mi fece sorridere, seppur un po' a disagio.
«Balla con me.» Si alzò e mi porse la mano; «Ci sono i miei fratelli qui» replicai.
Era ovvio che non potevo, quasi quanto era ovvio che non mi andava di essere toccata da George; guardai la sua mano come se potesse darmi una scossa mortale.
Ma non si diede per vinto, infatti avvicinò il volto al mio, continuando a non toccarmi, e fu quando ripeté il suo invito che sentii il leggero odore di alcol che gli permeava il fiato. Mi ricordò mio padre, per qualche istante.
Rifiutai gentilmente un'altra volta. Quella sera, avrei potuto al massimo ballare con Blake, che aveva la benedizione dei gemelli, di certo non mi sarei potuta lasciar andare al divertimento.
Essere alla festa, per me, era un enorme privilegio.
Fu in quel momento che George mi afferrò per le spalle, lasciate leggermente scoperte dalla scollatura a barca dell'abito, per prendermi e portarmi con sé. Mi raggelai sul posto.
Mi stava toccando e la cosa non mi piaceva affatto.
George mi tirò in piedi e rise, «Dai, balla con me, Cenerentola.»
Mi resi conto che le sensazioni che provavo nel sentire quel soprannome uscire dalla sua bocca erano totalmente diverse.
Le farfalle mancarono, i brividi anche. L'unica stretta allo stomaco che provai fu quella causata dalla paura, la paura della sua vicinanza esagerata.
Mi si bagnarono le guance e temetti di morire soffocata.
Pensai che l'ultima persona a chiamarmi Cenerentola era stato George e non Blake e questo mi mandò ulteriormente nel panico. L'aria mancava e presto i miei polmoni avrebbero ceduto. Lo sapevo.
Ritornai a respirare solo quando George mi fu staccato di dosso con forza e, non appena riuscii a vedere meglio, nonostante la vista offuscata dalle lacrime, trovai Blake che gli stava sopra.
«Non.» Pugno. «Chiamarla.» Pugno. «Mai.» Pugno. «Più.» Pugno. «Cenerentola!»Pugno.
«E non toccarla, cazzo!» disse colpendolo un'altra volta.
Furono i miei fratelli a intervenire, tirando via il loro amico e chiedendogli spiegazioni.«L'ha toccata» disse solo.
E sapevo cosa implicava quella frase.
Le regole da rispettare con i gemelli Williams erano tante, ma ce n'era una importantissima, che nessuno poteva permettersi di dimenticare mai: mai toccare Blue.
Pena? La morte.
E George lo sapeva. Sapeva di aver superato quel limite, che non era affatto labile: era un muro di pietra alto mille metri, e lui l'aveva scavalcato.
I miei fratelli avevano una furia cieca negli occhi e pensai che l'avrebbero davvero ucciso.
George cercò di indietreggiare, ma non fu abbastanza svelto da evitare Victor, che gli si buttò addosso come un toro imbufalito, pronto a distruggerlo.
Tremavo come una foglia e continuai a farlo anche quando Blake mi strinse tra le sue braccia.Ma non mi irrigidii, rimasi lì.
Pensai a quanto fosse assurdo: George era dolce e gentile e il suo tocco mi terrorizzava; odiavo Blake ma tra le sue braccia mi sentivo a casa.
Probabilmente era il mio inconscio a giocarmi brutti scherzi, ricordava di me e Blake da bambini e lo associava alla protezione.
«Ti porto fuori» disse solo, mentre Vincent e Victor si accanivano su George nonostante i professori cercassero di separarli.
Una volta all'aria aperta, rabbrividii a causa del vento. Blake si sfilò la giacca e me la posò sulle spalle, senza pensarci troppo. Era un gesto troppo galante per ciò che era diventato Blake nel corso degli anni... ma mi obbligai a non darci così tanto peso.
Scagliò un pugno contro la parete delle edificio e la sua mano iniziò a sanguinare. Ma non dissi nulla.
Sembrava essere sul punto di scatenare una guerra.
Era, in tutto e per tutto, una divinità molto arrabbiata.
Bello come un dio greco, era pronto a distruggere il mondo.
Solo per me.
O forse mi stavo solo illudendo e non avrei affatto dovuto pensare che Blake Davis potesse provare anche solo un briciolo di affetto per me.
«Non dovevi» mormorai infine. «Ti ha toccata.» Sollevai lo sguardo, puntando gli occhi nei suoi.«Ti ha chiamata con il mio nome.»
Sentivo il cuore battermi all'impazzata, una tempesta soffiarmi dentro.
Blake Davis mi aveva dato la sua maglietta quel giorno e, oltretutto, aveva preso le mie difese, picchiando un ragazzo che mi aveva infastidita.
Ripensai a ciò che aveva detto quella mattina: «Non sarò più così gentile, ora sei mia.»
Sbuffai sonoramente, interrompendo il nostro contatto visivo; «Vorrei che, almeno tu, non mi trattassi come un oggetto» ammisi, incamminandomi verso il parcheggio.
Per lui ero sua: il suo nome, la sua maglia, la sua ragazza.
Ma io non ero affatto sua, in nessun senso. Lo sapevamo entrambi. Non sarei mai potuta essere sua.
Lo odiavo. Era un arrogante.
Sapevo che i miei fratelli se la sarebbero cavata, in un modo o nell'altro, e che, se le cose si fossero messe davvero male, avrebbero chiamato nostro padre che avrebbe risistemato ogni cosa. D'altronde, mi avevano difesa e avevano palesato la loro netta superiorità: mio padre ne sarebbe stato fiero.
Speravo che Blake non mi seguisse, ero stufa di vederlo diventare sempre di più come Victor e Vincent.
Camminai verso casa ma, per mia sfortuna, il rombo di una moto mi seguii.
«Sali» sentenziò Blake. «Stammi lontano» replicai. «Ho preso a pugni quel coglione di Sullivan per te e questo è il tuo ringraziamento?»
Sollevai le braccia al cielo con fare teatrale. «Tu non l'hai fatto per me! L'hai fatto per marcare il territorio e per ingigantire il tuo ego smisurato!» gridai. «Sei proprio come loro! Uno stronzo possessivo.»
Non mi fermai ulteriormente, ripresi a correre nonostante sapessi che, se solo l'avesse voluto, avrebbe potuto seguirmi fino a casa in moto o che, in ogni caso, mi avrebbe acciuffata in men che non si dica anche a piedi.
Arrivai a casa sana e salva e, soprattutto, sola: nessun Blake Davis mi aveva seguita in sella alla sua moto scintillante.
Blake non era un cavaliere. Blake era un bruto e basta.
Non gli importava di me. L'unica cosa o persona a cui teneva era se stesso.
Aveva picchiato George perché mi aveva chiamata Cenerentola e mi aveva toccata e, quella mattina, avevo ricevuto la maglia della sua divisa: doveva difendermi, secondo lui... o meglio, dimostrare che gli altri erano inferiori a lui e che nessuno avrebbe potuto sconfiggerlo.
I comportamenti di Blake erano i deliri di un pazzo, i capricci di un bambino viziato.
Non serviva trattare George in quel modo... sarebbe bastato intimargli di allontanarsi, cosa che avrebbe fatto, dal momento che era terrorizzato da Blake e dai miei fratelli.
Mi rintanai sotto le coperte, ancora con l'abito addosso, chiedendomi cosa ci vedessi da bambina in Blake.
Per me lui era un eroe, il mio principe azzurro; ma mi era ben chiaro che, se io ero Cenerentola, lui di certo non mi avrebbe cercata in lungo e in largo solo usando una scarpetta. Mi era ben chiaro che il principe non era lui, nella mia storia, che era tutto tranne che una favola.
Lui non era il principe, ma io, nonostante quell'appellativo, non ero la principessa.
Ero condannata a una vita di sforzi, in cui il mio unico obiettivo sarebbe stato servire e riverire mio padre.
Non sarei scappata.
Cenerentola, alla fine della storia, ottiene il suo lieto fine: scappa dalla matrigna e dalle terribili sorelle, salvata dal principe.
Ma io sapevo che Blake non mi avrebbe mai strappata da quella situazione, poiché, alla fine dei conti, lui era uguale ai miei fratelli.
Non sarebbe arrivato in sella a un cavallo bianco con indosso un'armatura scintillante. Blake Davis, al massimo, mi avrebbe sputato in faccia e sarebbe andato a scoparsi altre mille ragazze, anziché fare uno sforzo per me.
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Lo odiai per tutta la notte, in cui non chiusi occhio, e, anche la mattina successiva, mentre mi vestivo per andare a scuola.
L'odio mi tormentava.
Victor e Vincent mi aspettarono. Era venerdì e sarebbe a breve iniziato il weekend e, mentre lavavo i denti, feci una lista mentale di tutte le faccende che avrei dovuto svolgere.
«Stai bene?» domandò Vincent, aprendomi la portiera della macchina. «Credo di sì» mormorai in risposta.
«A quanto pare Sullivan non è abbastanza frocio da non guardarti» grugnì Victor, salendo al posto del guidatore; «Non voleva farmi del male» riuscii a dire.
«Blue, ci sono delle regole e lui non le ha rispettate. Hai visto la tua faccia? Eri sconvolta solo perché ti ha toccata.»
Abbassai la testa, «Voleva solo ballare.»
Victor diede un pugno al volante, aveva le nocche sbucciate per via della rissa della sera prima. «Che vada a ballare con qualcun altro» sputò acido, mettendo in modo.
«Non puoi fidarti di nessuno, se non di noi due» continuò mio fratello.
Victor si voltò verso di lui e poi verso di me, quando ci fermammo ad un semaforo. «E di Blake. Di Blake Davis ti puoi fidare ciecamente.»
Ok, calma e sangue freddo. Questo capitolo è stato decisamente caotico e so che molti di voi hanno sclerato per Blake.
Scusate ma il: "Non chiamarla Cenerentola" mentre picchia George?
Ok, magari la smetto così che possiate dirmi cosa ne pensate di questo nuovo capitolo. Lasciate un commento, in modo che io possa capire se la storia sta prendendo la giusta piega.
Come sempre vi auguro un buon weekend e noi ci rivediamo al prossimo capitolo!
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