2. Cinderella
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Enchanted; Taylor Swift.
Mi svegliai sul divano indolenzita. Per punirmi a causa della conversazione con Blake, Vincent e Victor mi avevano ordinato di pulire da cima a fondo il camino mentre loro si divertivano alla festa.
Al loro ritorno, verso le tre del mattino, avevo quasi finito il lavoro, ma uno dei due, che nella fretta non avevo identificato, aveva vomitato sul pavimento e poi sulle scale, obbligandomi a pulire al meglio per eliminare quella puzza.
Successivamente mi ero addormentata in salotto, e furono proprio le voci dei miei fratelli, intenti a fare colazione, a svegliarmi.
Corsi in camera mia, dove notai che sarebbero usciti poco più di un quarto d'ora dopo; indossai una felpa azzurra e dei jeans e mi precipitai in cucina a lavare le tazze lasciate sul tavolo.
Il fato fu dalla mia parte, infatti riuscii ad essere davanti alla macchina prima di loro... Non avevo fatto colazione, ma era sempre meglio non andare a piedi visto che minacciava di nuovo pioggia.
In macchina mi ignorarono del tutto, tristi di non avermi lasciata di nuovo a camminare: amavano infastidirmi.
Cominciò a piovere quando entrammo a scuola, segno che io ero sfortunata, poiché il giorno prima mi ero ritrovata fradicia, e loro no.
Intravidi Blake in corridoio, premuto contro Cindy. «Ho sentito che ieri sera sono spariti di sopra» confidò Cece alla sua amica Erin. Quelle due erano le pettegole della scuola, alle quali mi avvicinai per scoprire qualcosa di più.
«Sono durati neanche venti minuti alla festa... hanno iniziato a baciarsi e sono spariti.»
Esibii un'espressione disgustata mentre prendevo il quaderno di matematica e riguardai un esercizio che non mi era tornato.
Mi sedetti all'ultimo banco con uno sbuffo, cercando di capire il mio errore che, però, continuavo a non trovare.
«Hai sbagliato un calcolo» tuonò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Un dito si posò sul mio quaderno, indicandomi la moltiplicazione sbagliata. «G-grazie» biascicai a disagio, poiché il bicipite di Blake mi stava sfiorando la spalla.
Mi diede una breve occhiata, «Ciao Cenerentola.» Mi rivolse un sorriso sornione e io, in risposta, aggrottai le sopracciglia. Al che, mentre camminava all'indietro per raggiungere Cindy che si era seduta dall'altra parte dell'aula, si strofinò la guancia.
Afferrai il mio telefono e aprì la fotocamera, arrossendo immediatamente.
Ero sporca di nero sulla guancia destra: cenere.
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Uscii dalla classe di fretta, in imbarazzo per la scena avvenuta poco prima con Blake.
Come avevo fatto a non accorgermi di essere sporca? E perché i miei fratelli non me l'avevano detto? Perché erano due stronzi patentati, la risposta non era poi così difficile.
«Signorina Williams!» Una voce mi chiamò, facendomi girare di scatto. Il signor Brown, insegnante di letteratura inglese, mi venne in contro con un sorriso cordiale.
«Abbiamo una nuova alunna... vorrei che le facessi fare un giro della scuola, ti darò un permesso per saltare la mia ora.»
Annuii. Mi dispiaceva saltare la sua lezione, adoravo lui e le sue spiegazioni, ma non volevo deluderlo.
«Lei è Caroline.» La ragazza che prima gli stava alle spalle avanzò di qualche passo, sorridendomi incerta.
Portava una canottiera bianca che lasciava scoperta una porzione di pancia, mostrando il piercing che le adornava l'ombelico, ne aveva anche altri due al naso. Gli occhi azzurro ghiaccio mi scrutarono attenti a non perdere nemmeno un dettaglio, mentre i miei si soffermarono un po' troppo sui suoi capelli, biondi con le punte di un blu intenso, in netto contrasto con la pelle diafana ma perfettamente abbinati al colore dei suoi occhi.
«Ciao, sono Blue.»
Fece l'ennesimo passo in mia direzione, ringraziando il professore per l'aiuto con un sorriso di circostanza.
Alla fine, ci incamminammo lungo il corridoio che si stava svuotando, poiché tutti stavano andando a lezione. Ci trovammo sole in silenzio, non sapevo bene cosa dirle.
«Hai un bel nome» commentò per rompere il ghiaccio. «Grazie... ti faccio vedere il giardino, dentro non troverai nulla di interessante.»
Lei mi seguì senza fiatare fino alla porta che conduceva verso l'esterno e, dopo un giro in cui le mostrai le cose più interessanti, che erano davvero poche, ci sedemmo su una panchina a goderci i raggi di sole appena comparsi.
«Come mai ti sei trasferita?» chiesi curiosa, strizzando gli occhi per l'eccessiva luce. «I miei genitori viaggiano molto e ho deciso di venire qui a vivere con i miei nonni... sai, per avere qualcuno che mi stia dietro.»
Annuii, come se capissi; la verità era che vedevo mio padre di rado e, in quei momenti, evitava di parlarmi se non per impartire ordini su cosa dovevo fare. Non gli piacevo molto dalla morte di mia madre, probabilmente perché ogni volta che mi guardava vedeva lei. Ero il suo ritratto sputato: lo stesso naso all'insù, lo stesso sorriso accennato e timido, gli stessi occhi blu.
Mio padre in me vedeva ciò di cui si era innamorato tanti anni prima e che aveva perso.
«Consigli su come sopravvivere qui dentro?» Scossi le spalle. «Non succede mai niente» risposi, ma in realtà non lo sapevo, poiché la mia vita sociale era paragonabile a quella di un'eremita.
L'unico consiglio che, forse, avrei potuto darle, era quello di stare lontana da Victor e Vincent, ma Caroline mi sembrava abbastanza intelligente da capire da sola quali fossero le persone sbagliate.
Presi un respiro profondo: Caroline non sembrava voler scappare da me e la cosa era inusuale; normalmente la gente mi girava alla larga, soprattutto i ragazzi, per evitare di infastidire i miei fratelli.
Molti pensavano che fossero solo protettivi, la verità è che traevano piacere nel vedermi debole e isolata, senza nessuno accanto che potesse darmi un briciolo di supporto: un cucciolo indifeso pronto ad essere sbranato.
Restammo in silenzio. Sapevo che non saremmo diventate amiche. Durante la lezione successiva lei si sarebbe seduta accanto a qualche altra ragazza più loquace di me e si sarebbe scordata presto di chi le aveva fatto da guida.
Iniziai a fare una lista mentale di tutti i lavori che mi aspettavano una volta rientrata, probabilmente per evitare di provare disagio: fare la spesa, pulire il pavimento, spolverare le camere dei miei fratelli, preparare la cena, ripassare storia per il compito del giorno successivo e fare almeno due lavatrici.
Evitai di sbuffare per non far pensare a Caroline che fosse a causa sua, non volevo risultare scortese.
Sentimmo il suono della campanella sopraggiungere ed io mi alzai di scatto. «Ho geografia, tu?» La sua domanda mi lasciò spiazzata: dopo il disagio degli ultimi venti minuti aveva davvero ancora voglia di stare con me?
Riflettei sul mio orario fino a ricordarmi che avrei avuto la stessa lezione, dunque ci dirigemmo insieme fino alla classe.
Caroline parlò molto di più, mi fece domande sulle aule, sui professori e su qualche persona in cui incappavamo.
«Quella è Cindy.» Indicai la ragazza, che stava in un angolo a ridacchiare con le sue due migliori amiche, Bonnie e Terry.
Non ero una persona sociale, ma amavo osservare chi mi stava intorno e, per questo motivo, non odiavo del tutto Cindy: nonostante i suoi comportamenti spesso insopportabili, soprattutto quando si trattava di ragazzi, come Blake, sapevo che sua madre aveva il cancro al seno e che lavorava molto dopo scuola per permettersi le cure.
Sapevo che, sotto sotto, aveva un buon cuore.
Qualche volta l'avevo trovata a piangere in bagno, appoggiata contro i lavandini col trucco sbavato. L'avevo guardata tutte le volte in cui era successo, senza dire niente per non farla sentire in dovere di dirmi cosa le capitava, poiché già lo sapevo.
Lei finiva di piangere, si ripuliva il viso e usciva dal bagno con un sorriso degno di un Oscar.
Ma qualche settimana prima, invece che ignorarmi, lei mi aveva abbracciato per interminabili minuti. E non era un abbraccio di circostanza, ma uno vero e caldo, di quelli che non ricevevo da quando era morta mia madre.
«Sei l'unica a cui permetto di vedermi così.» Mi aveva confidato, lasciandomi di stucco. Alla fine si era sistemata e mi aveva fatto promettere di non fare mai parola con nessuno dell'accaduto e, ovviamente, l'avevo fatto... con chi ne avrei mai potuto parlare?
Raccontai a Caroline le cose più interessanti delle persone che mi indicava, senza essere scortese: ad esempio, non le raccontai della madre di Cindy. Io e lei non eravamo amiche e non aveva fatto nulla di buono per me, ma non ero una cattiva persona e sapevo che non meritava che tutti sapessero le sue cose.
«Ehi Blue!» esclamò Joy, parandosi davanti a me e tagliandomi la strada. La salutai con un timido sorriso a cui seguirono le presentazioni tra la fidanzata di mio fratello e la nuova arrivata.
Le osservai parlare e sapevo che, grazie alla parlantina di Joy, Caroline si sarebbe presto scordata della mia esistenza... non ero sicura se esserne felice o meno.
Alla fine, feci un passo di lato e superai Joy, che non si distrasse dalla conversazione che stavano intrattenendo sui capelli di Caroline.
«Ehi» mi sentii richiamare dopo averle superate. Caroline mi guardava con un sopracciglio sollevato. «È stato un piacere conoscerti Joy» la salutò con un sorriso e subito accorse al mio fianco.
«Forza andiamo in classe» esclamò dandomi una spallata scherzosa.
Eii, come va? Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto... fatemi sapere, ci tengo tanto ad avere un vostro riscontro.
Ovviamente, l'interpretazione di "Enchanted" è un po' diversa rispetto al significato letterario, ma mi piaceva pensare così all'incontro tra Caroline e Blue.
Intanto, vi lascio una foto di Caroline, in modo che possiate capire meglio com'è fatta.
Alla prossima!🩵
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