19. Where's Blake?
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Happier Than Ever; Billie Eilish.
Dieci minuti dopo ero ancora zuppa, ma dentro la casa di Scott Millingan, dove si teneva l'after-party.
Mi strizzai i capelli prima di entrare sulla soglia e, nel vedere le ragazze avvolte in abiti scollati e corti, mi sentii subito a disagio.
Come mi era venuto in mente di fare una cosa del genere? Sarebbe stato meglio andare a casa a piedi sotto il temporale.
E invece ero lì. Caroline mi aveva mandato la sua posizione, supplicandomi di raggiungerla visto che non sopportava più mio fratello.
«Blue! Ma che ti è successo?» esclamò non appena mi vide. «Dov'è Blake?»
La rabbia mi riscaldò il corpo ormai gelato. Lei fece segno verso il piano di sopra, dunque afferrai un bicchiere dalle mani di un ragazzo che mi guardò scioccato e iniziai a salire; Caroline mi seguì.
Indico la seconda porta sulla destra e, prima di entrare, bevvi un sorso del liquido: era dolce ma al contempo mi bruciò la gola come un fuoco.
Sapevo che si trattava di qualcosa di alcolico e sapevo che, se mi avessero vista i miei fratelli, me l'avrebbero fatta pagare.
Ma subito mi diede alla testa e così trovai il coraggio per spalancare la porta.
Blake era sopra ad una ragazza che non conoscevo e, per mia immensa fortuna, erano ancora vestiti, l'unico indumento a mancare era la maglietta di Blake; aveva le spalle scoperte, i muscoli tonici e tesi.
I suoi occhi saettarono subito su di me.
«Cenerentola...» mormorò, senza muoversi dalla sua "amica".
«So che ti piace avere più ragazze contemporaneamente...» cominciò lei.
I capelli rosso fuoco erano sparsi sul cuscino bianco e, dal tono biascicato che usò, capii che era abbastanza ubriaca.
Mi avvicinai e, senza alcun indugio, gli scagliai il bicchiere di carta sul viso, così che il drink gli bagnasse la faccia.
Scappai in fretta e furia, superando Caroline e correndo giù per le scale.
Volevo solo uscire da lì: i miei fratelli avrebbero potuto vedermi e Blake di sicuro si sarebbe incazzato a morte anche se, dopo ciò che aveva fatto lui, non ne aveva alcun diritto.
«Dove scappi?» Mi acciuffò mentre percorrevo il vialetto, la pioggia era cessata e avrei tanto voluto correre a perdifiato fino a casa.
«Lontano da te, coglione. Più distante mi stai, più io sono felice» sputai acida. Il suo braccio mi avvolgeva la vita. Aveva di nuovo indosso la t-shirt nera e mi permise di vedere il suo braccio muscoloso.
Mi sollevò senza alcuno sforzo per riportarmi dentro casa, dove la musica tornò ad assordarmi. Mi trascinò fino a quello che riconobbi essere un salotto, buttandomi sul divano vuoto.
E, sulle due poltrone dinnanzi a me, Victor e Vincent.
Il primo teneva una birra in mano e smise di ridere nel momento in cui si accorse della mia presenza, mentre l'altro era troppo concentrato a cercare di infilare le mani sotto la gonna di Joy.
«Guardate chi ho trovato» esclamò Blake, sedendosi accanto a me e avvolgendomi un braccio intorno alle spalle.
Cercai lo sguardo di Vincent, sapevo di star per soffocare. Odiavo il contatto fisico e Blake non era un'eccezione per me. Doveva smettere di toccarmi o sarei scoppiata lì in mezzo. Era spiacevole.
Ma mio fratello era davvero troppo concentrato, non mi guardò nemmeno.
Provai a implorare l'aiuto di Victor, che esibiva un'espressione incazzata. «Leva le mani di dosso a mia sorella» tuonò, le nocche bianche a causa dell'eccessiva presa sulla bottiglia di birra.
Blake ridacchiò, allentando leggermente la stretta su di me, ma non mi sentii meglio.
«Smetti di toccare mia sorella Davis!» sbraitò, alzandosi in piedi. «Altrimenti?» Blake si alzò a sua volta, lasciandomi andare.
Ma non vidi il resto della discussione, poiché sgattaiolai via in tutta fretta, correndo fuori e poi lungo la strada.
Prima di arrivare avevo cercato le indicazioni per raggiungere casa mia, in modo da non farmi cogliere impreparata. Smisi di correre solo quando non riuscii più a sentire la musica.
Mi trovavo in un quartiere residenziale, dunque non avevo nulla da temere. Il temporale sembrava essere sparito e, nonostante il freddo che ancora mi attanagliava, sapevo di poter tornare a casa in santa pace.
Ma le mie previsioni furono errate, poiché una macchina nera si accostò accanto a me. Non smisi di camminare.
«Blue!» La portiera sbatté, io non mi fermai.
«Blue dai, ti porto a casa!» Mi voltai esterrefatta. «Non serve» borbottai, stringendomi le braccia al corpo. «Stai congelando... sei scappata via. Voglio farmi perdonare, permettimelo.»
Osservai la punta delle mie scarpe per qualche secondo, alla fine mi decisi ad avvicinarmi alla sua auto e salire, accettando un passaggio a casa.
George non mi aprì la portiera, non come aveva fatto Blake, e mi pentii di star pensando a lui. Mi pentii soprattutto di aver sperato, anche solo per un istante, che fosse stato lui a seguirmi.
Mandai giù il groppo che mi si era formato in gola: non solo Blake mi aveva lasciata per strada sotto il diluvio universale, ma aveva anche avuto il coraggio di portarmi al cospetto dei miei fratelli, sfidandoli.
«Sai che è successo tra Blake e Victor?» domandai, mentre lui smanettava con il riscaldamento. «Tuo fratello gli ha dato un pugno, lui non ha reagito. Prima che uscissi erano fuori a fumare insieme... credo parlassero di te e del fatto che Blake non sia una minaccia ma che voglia solo proteggerti.»
Sbuffai una risata, «Blake mi odia e vorrebbe farmi a pezzi» dissi solo. «Non credo sia così» controbatté.
Dunque gli raccontai il mio post partita, con particolare attenzione sul mio non-ritorno a casa.
Il silenzio calò tra noi, permettendomi di tornare tra i miei pensieri.
L'illuminazione mi colpii nel momento in cui svoltammo verso casa mia. Vincent aveva detto di aver rifilato una scusa a mio padre in caso di imprevisti. E io capii. Loro sapevano del piano di Blake, sapevano che mi avrebbe lasciata a piedi in piena notte e non se n'erano affatto preoccupati.
Perché dire una bugia se sapevano che sarei tornata in tempo?
«Lasciami qui» ordinai, a cento metri da casa mia. «Sicura?» Annuii e scesi dalla macchina in fretta e furia. Ringraziai George e chiusi lo sportello.
«Blue?» Mi voltai, chinandomi per guardarlo in volto. «Vorrei avere un'altra occasione con te.» Scossi il capo, «I miei fratelli non ne sarebbero felici.»
George sospirò. «Ho sbagliato a prenderti in quel modo l'altro giorno... ma permettimi di rimediare, i gemelli non sapranno nulla.»
Abbassai il capo, «Va bene» sussurrai. «Davvero?» Non gli risposi, mi incamminai verso casa e lui cominciò a seguirmi a passo d'uomo.
«Domani sera?» Scossi la testa. «Domattina pomeriggio dopo scuola?» Un altro segno di diniego. «Domattina in biblioteca durante l'ora studio?»
Mentalmente, calcolai che i miei fratelli non sarebbero stati con me, così come Blake, dunque risposi che andava bene, seppur titubante.
Corsi fino in casa e, prima di varcare la soglia, mi accorsi che mio padre era in casa; ma non me ne preoccupai visto che i miei fratelli si erano occupati di tutto pur di lasciarmi tornare a casa a piedi in piena notte.
Lo trovai sul divano a guardare un film d'azione. Indossava ancora la camicia, stropicciata e slacciata. I capelli spettinati gli conferivano un'aria disordinata e, non appena inspirai, percepii il puzzo inconfondibile di whiskey.
«Blue» tuonò, prima ancora che potessi anche solo pensare di sgattaiolare via. «Ciao papà» mormorai con tono dimesso.
Mi lanciò un'occhiata, ma sembrò non far caso alla mia espressione sconvolta e ai vestiti bagnati. «Dov'eri?»
Presi un respiro profondo. Avevo provato la bugia davanti allo specchio molte volte. «A casa di Joy» dissi solo. «I tuoi fratelli?» Gli dissi la verità su dove fossero; d'altronde, a loro era consentito fare ciò che preferivano.
«Sei venuta a piedi?» Annuii solamente. «E perché ti ho visto scendere da un'auto?» Abbassai la testa.
Si alzò.
Superava in altezza Victor e Vincent e, nonostante loro giocassero a basket, lui era molto più ben piazzato: ogni sera, tra la fine del lavoro e l'appuntamento al bar, si dedicava alla palestra, in modo da mantenersi in forma anche alla sua età.
Dopo la morte della mamma si era dato alle relazioni poco impegnative... in sintesi, si scopava qualunque donna respirasse, ma, ovviamente, era estremamente selettivo e, per mia sfortuna, conoscevo tutte le sue preferenze.
Infatti, non gli importava di non infastidire me e i miei fratelli: portava donne a casa senza che ce ne fosse mai una stabile e, moltissime volte, mi ero ritrovata a consolarne alcune poiché rifiutate.
Dovevano essere bionde, alte più di un metro e sessanta, essere eleganti, sempre depilate, non avere tatuaggi, anche se nascosti. Copie di mia madre.
Odiava me perché le somigliavo, ma loro dovevano essere simili a lei. Era un controsenso che non riuscivo a capire.
Era molto, molto selettivo. E, più di una volta, se non gli piaceva qualcosa che veniva fatto sotto le lenzuola, le cacciava in malo modo.
Secondo lui, essendo vedovo ma ancora bello, poteva permettersi di comportarsi così, anche se mi disgustava a dir poco, soprattutto perché mi ritrovavo fin troppo spesso in piena notte con donne che piangevano in cucina come se io potessi farci qualcosa.
Ma i miei pensieri vennero interrotti.
Mi mollò un ceffone sulla guancia che mi fece girare la testa, il sapore del sangue mi inondò la bocca.
«Papà, ti prego... Non posso saltare altri giorni di scuola» dissi semplicemente, con gli occhi ricolmi di lacrime che dovevo trattenere: mio padre odiava vedermi piangere, soprattutto quando mi picchiava; diceva che lo irritavo ancora di più.
Mi assestò un altro schiaffo, incurante delle mie parole.
Pensai alla felicità provata qualche ora prima, al pensiero che sarei uscita per la prima volta. Poi pensai a quanto era stato stronzo Blake.
E, per il suo stupido scherzo, che magari lui credeva innocente, dopo pochi secondi mi ritrovai a terra, con il ginocchio di mio padre a comprimermi il petto togliendomi il respiro.
Perché? Perché avevo ceduto ed ero uscita? Perché non ero tornata a casa a piedi, rifiutando il passaggio offerto da George?
E, all'improvviso, tutto il peso di mio padre mi fu addosso. Restai immobile per qualche secondo, aspettando che facesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma presto mi resi conto che era talmente ubriaco da essere crollato.
Provai a sfilarmi dalla sua presa, ma il suo corpo mi opprimeva così tanto che faticavo a respirare e sapevo che Victor e Vincent non sarebbero arrivati presto... Nessuno poteva salvarmi.
E il suo tocco... il suo tocco mi stava mandando in tilt. Piansi come una disperata. Niente mi avrebbe tolta da quella situazione.
Rimasi lì per quelli che mi sembrarono giorni, mio padre russava e solo ad un certo punto aveva sollevato la testa e vomitato accanto a me. Il puzzo mi invadeva le narici.
Il rumore della porta che si apriva fu un enorme sollievo, ormai ero disperata.
«Ma che cazzo!» imprecò la voce di mio fratello. «Aiuto... ti prego» mormorai, con la paura di svegliare mio padre.
Victor rise estremamente divertito. «Vince...» provai a dire, ma mio fratello non rispose.
Un istante dopo, quando qualcuno sollevò mio padre da me, permettendomi di respirare, scoprii che, in realtà, Vincent non c'era.
Victor era appoggiato allo stipite della porta, ubriaco quasi quanto nostro padre. Mi alzai quando Blake mi porse la mano, che però non afferrai.
Nelle ultime ore, che scoprì essere due, avevo avuto fin troppo contatto fisico. Avevo bisogno di una doccia e di piangere.
«Che ti è successo?» domandò Blake. Guardai mio fratello, che si fece d'improvviso serio.
«Blue ama fare la crocerossina e aiutare nostro padre» rispose al posto mio.
Blake allungò le mani verso il mio viso, ma io feci prontamente un passo indietro, verso mio fratello, che mi avvolse un braccio attorno alla vita e mi attirò a sé.
Dallo sguardo di Blake, percepivo che Victor lo stava sfidando a dire qualcosa.
La sua mano mi accarezzò il ventre, passando sotto la felpa, e io rabbrividì.
Volevo scappare ma non mi veniva permesso.
Gli occhi di Blake incrociarono i miei.
«Stai bene?» domandò, incurante di Victor. «Intendi dopo che mi hai lasciata a piedi sotto il diluvio in piena notte?»
Mio fratello fu scosso da una risata, che fece vibrare anche la mia schiena.
«Posso andare?» sussurrai a Victor che, dopo un'ultima carezza, mi lasciò correre in camera mia.
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e mi guardai allo specchio e improvvisamente capii perché Blake aveva quello sguardo preoccupato: sulle mie guance, segni rossi di dita dovuti agli schiaffi.
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