2 - SEX IS NOT A CRIME
Aww, the way HE drop it on the floor
And baby I know what you want
Yeah BOY I got what you need
I'm riding in that 'Gatti with the windows full of stream going...
Boom let it out now
You're a freak baby, go and let it out now
Boom let it out now
You're a freak baby, go and let it out now
(SWEAT – BOB WOW FEAT LIL WAYNE)
HARRY
Mi guardai allo specchio inorridito. Ero scappato dalla stanza di Louis come un ladro, sperando che nessuno mi sentisse. Anche se mi sarebbe bastata la consapevolezza che, forse, quelli del piano di sopra ci avevano sentiti gridare la sera prima. Chiusi gli occhi, sperando che nessuno si fosse accorto che quella sera ci ero stato io nel suo appartamento. FARE SESSO NON E' UN REATO! Cominciò a ricordarmi il mio cervello, forse per autoconvincersi. Già, ma avevo fatto sesso con Louis Sonounporcodepravato Tomlinson, il mio rumoroso, fastidioso, stupido e dannatamente sexy vicino di casa. Alzai il viso e notai che fossi arrossito al solo pensiero. Non potevo dirlo nemmeno a me stesso, sicuramente non sarei riuscito a raccontare quella serata a nessuno, neanche a Liam, il mio migliore amico.
FARE SESSO NON E' UN REATO, mi ricordò di nuovo quel saggio del mio cervello. Forse avrebbe potuto pensarci la sera prima, che invece sì, lo era. Mi lavai di nuovo i denti, per la terza volta. Era un reato ancora più grave se consideravo il fatto che il suo "amichetto" era finito nella mia bocca e mi vergognavo da morire per quello che avevo fatto. Non ero uno che di solito dispensava pompini in base a come tirava il vento. Quindi sì, era un reato nei miei confronti. Finendo nel letto di Louis Tomlinson avevo ucciso la mia dignità. E lo avevo liquidato con uno stupido post-it scritto aiutandomi con la luce del cellulare. Per non svegliarlo avevo cercato i miei stracci a tastoni nel buio per tutta la sua stanza, ma il caso aveva voluto che per terra, ai piedi del letto, trovassi solo la sua camicia azzurra, che io la sera prima non avevo nemmeno visto. L'avevo indossata senza intimo sotto, cercando di coprirmi l'amichetto meglio che potessi, avevo allacciato tutti i bottoni ed ero uscito furtivamente dalla sua camera.
Lo avevo persino ringraziato per la scopata. Era come se Harry Styles fosse morto quella notte. Avevo perso ogni singolo neurone, avevo perso il mio buon senso e avevo perso la mia capacità di intendere e di volere. Tutta colpa sua e di quei suoi occhi perfetti. Non potevo essere accusato di reato se risultavo incapace di intendere e di volere. Si, era una bella scusa, ma non valeva per quello. Mi ero lasciato toccare, baciare, consumare dal piacere e scopare fino all'estasi, che il sedere ancora mi faceva male. Ero appena entrato nella cerchia dei tanto odiati stronzetti di Louis Depravato Tomlinson. Ora stavo dalla stessa parte di ciò contro cui per un anno intero avevo combattuto.
Gli occhi mi pizzicavano, ma non avrei mai pianto. Non si meritava nemmeno le mie lacrime, anche perché la verità era una sola: ci ero stato e mi era piaciuto, era colpa mia. Scossi la testa e cercai di non pensarci più. Il mio piano era semplice, evitare Louis e il suo bel faccino per il resto dei miei giorni. Piano semplice, quanto irrealizzabile. Come facevo ad evitare il mio vicino di casa? Mi tolsi la sua camicia, la buttai sul letto ed entrai in doccia. Un brivido mi percorse il corpo non appena mi resi conto che la mia maglietta, per altro macchiata del reato, e i miei boxer erano rimasti nell'appartamento di Louis. Non avrei mai avuto il coraggio di andare a riprenderli. Ma non potevo nemmeno lasciarglieli. Sbuffai, mi cambiai, presi lo zaino e uscii velocemente, quanto silenziosamente, da casa.
Erano le sette del mattino, io ero scappato dalla stanza di Louis alle cinque e Liam non mi avrebbe raggiunto prima delle dieci, ma non mi importava di dover aspettare al freddo per tre ore. Avrei aspettato anche tutto il giorno in un ghiacciaio, piuttosto che stare lì in quella casa con Louis sveglio. Dovevo andarmene prima che lui potesse vedere il mio bigliettino.
Chiusi la porta a chiave e corsi fuori dall'edificio più in fretta che potessi. Improvvisamente, realizzai che quei due centimetri di parete in comune non mi facevano più sentire protetto come una volta. Mi sedetti sulla panchina al parco, infilai le cuffie e presi il libro che stavo leggendo dallo zaino. Le parole stampate si confusero sulla carta, la vista mi si appannò e un rivolo di lacrime cominciò a correre incontrollato lungo le mie guance. Lui non c'entrava nulla, mi sentivo male, mi sentivo un poco di buono, mi sentivo quello che non ero mai stato e quello che non avrei voluto diventare. Non sapevo perché mi ero comportato così, ma ero consapevole del fatto che fossi pieno di rimorso per quello che avevo fatto, per come avevo trattato me stesso.
Harry Styles era morto quella sera, con la testa sprofondata sul petto nudo di Louis Tomlinson. Chiusi il libro e mi lasciai andare alle lacrime, sperando che nessuno mi vedesse o notasse. Era me che avevo ferito, nessun altro. E non mi importava di quello che sosteneva la gente, per me era stato un reato e lo avrei rimpianto. Solo dopo qualche minuto, quando cominciarono a vedersi i primi lavoratori uscire di casa, cercai di ridarmi un contegno e ripresi in mano il libro. In fondo, sarebbe stato inutile piangere sul latte versato. Dovevo ritrovare me stesso e non ci sarei riuscito sicuramente piangendo. Mi alzai e mi avviai verso il solito bar dove incontravo Liam durante le nostre mattine libere. Lui era già lì e mi accolse con un'espressione che diceva tutto.
"Harry, amico, stai bene?", domandò. Annuii.
"Si perché?", dissi, cercando di sembrare sincero.
"Hai un'orrenda faccia da schiaffi!", rispose Liam. Bè, diretto come al solito. Non mi diceva mai bugie per farmi stare meglio, Liam non mi illudeva mai, ecco perché gli volevo un bene dell'anima ed eravamo amici da un sacco di tempo.
"Sto bene...grazie", dissi, guardandolo accigliato mentre mi sedevo al tavolo. Betty, la nostra cameriera di fiducia, ci raggiunse non appena mi fui sistemato sulla poltroncina. Era una donna sulla cinquantina, con le guance paffute e rosee, rotondetta come una palla e sempre e costantemente sorridente. Betty era fantastica e riusciva sempre a farci sentire meglio quando le cose andavano male. Anche quella mattina era riuscita a farmi sorridere.
"Betty, pensaci tu!", esclamò Liam indicandomi. Betty mi guardò perplessa e la sua espressione si trasformò subito in una smorfia preoccupata.
"Stai bene, dolcezza? Ti vedo un po' sciupato!"
"Tranquilla, Betty! Sono sano...sono solo un po' stanco!", farfugliai, sperando di suonare convincente.
"Fatto le ore piccole ieri sera, eh?", si intromise Liam, ammiccando. Puntai i gomiti sul tavolino di marmo e appoggiai la faccia sulle mani, coprendomi le guance, che nel frattempo minacciavano di andare a fuoco. Dovevo nascondere le prove del crimine.
"Sì, per studiare!", mentii. Liam sapeva poco o niente di Louis, solo che era il mio vicino di stanza e che era uno a cui piaceva parecchio farsi quanti più ragazzi possibili. Lui però non mi aveva mai fatto domande sul suo conto, perciò io non mi ero mai spinto nei dettagli.
"D'accordo...cosa vi porto?", chiese Bet, poco convinta. Liam ordinò un cappuccino, poi mi guardò.
"Solo un bicchiere d'acqua, grazie...", non avevo molta fame e nemmeno molta sete. Liam spalancò la bocca, allibito.
"Stai davvero male!", esclamò, mentre Betty se ne andò senza fare ulteriori domande.
"Jack...è colpa di Jack vero? Ti ha fatto qualcosa?", chiese, preoccupato.
"No! Jack non c'entra niente...", già, perché Jack non c'entrava mai niente. Il mio presunto ragazzo era così apatico da non interessarsi mai alla mia vita. Forse non sapeva nemmeno che io fossi il suo ragazzo, e sinceramente, era meglio così, perché se ci eravamo messi insieme, era stato per far felici mio padre e il suo.
"Bè...allora finché non scoprirò per quale motivo tu, Harry Styles, stai mentendo al tuo migliore amico, Liam Payne, mi atterrò alla tua versione dei fatti e crederò alla storia che sei stanco per lo studio. ma non finisce qua, sappilo", mi minacciò puntandomi un dito contro, mentre Betty portava al tavolo le nostre ordinazioni.
"Ti conviene dirgli la verità", mi consigliò Bet, ed io sapevo avesse ragione. Quando Liam si metteva in testa di fare o pensare o dire qualcosa, la faceva sul serio, era difficile dissuaderlo.
Rimasi fuori tutto il giorno, e quando tornai, guardai l'ingresso del mio condominio e mi domandai se forse non fosse stato il caso di stare fuori anche per la notte e mettersi a cercare un altro appartamento. Ma non potevo prendere in giro nessuno, col lavoretto che facevo riuscivo a malapena a pagare per quello. Fu un miracolo il fatto che lo trovai. Non potevo mettere a rischio una certezza per un attimo di debolezza, inoltre. Attimo di debolezza, ecco come avevo etichettato la mia scopata con Louis Pornodivo Tomlinson. Rabbrividii di nuovo. Quel momento doveva restarsene confinato in uno dei cassetti del dimenticatoio del mio cervello, non uscire alla ribalta ogni due secondi.
Cercai di ricacciare il pensiero nell'angolo della mia mente che gli si addiceva e tirai fuori tutto il coraggio necessario per tornare nel mio appartamento. Non appena entrai nell'androne, prima ancora di salire le scale, una musica assordante mi ricordò con chi avevo a che fare. Con un maledetto casinista maleducato. Salii le scale pestando un gradino per volta con un'energia che mai avrei creduto avessi. Strinsi i denti e rientrai nel mio appartamento, senza nemmeno sbattere la porta, come avrei fatto in altre circostanze. Non appena misi piede in camera mia, notai che non solo la musica si stesse sentendo molto più forte, ma anche che la parete dietro al mio letto, quella in comune con la stanza di Louis, stesse tremando e non poco. Istintivamente, tirai un calcio contro la gamba del letto. Mi diedi dello stupido, mentre mi prendevo il piede dolorante con la mano e saltellavo come un idiota per la stanza. Louis tirava fuori il peggio di me, e lo stava facendo apposta, ne ero certo.
Mi sdraiai sul letto esausto. Erano le 23,30 e lui non accennava minimamente ad abbassare il volume. Voleva provocarmi e io non volevo dargliela vinta. Ma anche il mio stupido orgoglio aveva bisogno di riposo. Mi alzai dal letto a malincuore, uscii dalla mia stanza, con gli occhi già gonfi di lacrime e il labbro inferiore così compresso tra i denti quasi da sanguinare copiosamente. Non potevo mostrarmi debole, non di nuovo. Tirai due colpi fortissimi contro la sua porta, consapevole che stavo per rivederlo e guardarlo in faccia, e ciò non avrebbe fatto altro che ricordarmi quei momenti. Non potevo continuare a mentire a me stesso, era stato bello, maledettamente bello. Non ero mai stato tanto eccitato in vita mia. La porta si aprì poco dopo. Presi un profondo respiro, ma le mie aspettative furono deluse quando davanti a me si presentò un ragazzo biondo con gli occhi azzurri e un dolcissimo sorriso cordiale. Boccheggiai, in assenza di qualcosa di valido da dire.
"Io...ehm...sono Harry...il vicino di casa di Louis...", balbettai, cercando di riprendermi.
"Oh, sì...Harry! Louis ci ha parlato di te!", Louis aveva parlato a quel ragazzo di me? Dopo quella sconcertante rivelazione, il mio cervello ne elaborò subito un'altra; aveva usato il plurale. Significava che Louis non ne aveva parlato solo con lui. E soprattutto, cosa aveva mai detto? Mi sentii improvvisamente bollente per l'imbarazzo, stavo per arrossire, ma per fortuna il ragazzo si voltò verso l'interno dell'appartamento.
"Lou! C'è il tuo amico Harry!", gridò. Amico! Bene, era già un buon inizio, per fortuna nessuno aveva frainteso. Io e Louis non eravamo nemmeno amici, a dirla tutta. Il biondino si scostò dalla porta, facendomi cenno di entrare. Rifiutai prontamente l'invito e solo allora mi accorsi che in casa c'erano altri tre ragazzi. La musica finalmente si spense, dando sollievo alle mie orecchie. Louis fece capolino nella sala, guardandomi compiaciuto. Mi si avvicinò.
"Ma guarda chi si rivede! Hai dormito bene stanotte?", domandò, sarcastico e malizioso. Il mio buonsenso prevalse sull'improvviso impulso di sputargli in faccia tutto il mio disprezzo.
"Non molto, a dire la verità. E non dormirò bene nemmeno stanotte, se non la smetti, pezzo di coglione!", sbuffai. Non mi importava che ci fossero lì i suoi amici a sentire, ma lui rise divertito ugualmente.
"Quindi...l'unico modo per farti venire qui è far rumore, a quanto vedo. E visto che il piano ha funzionato, lo riprenderò in considerazione per il futuro", spalancai la bocca scioccato ed incredibilmente irritato. Forse esageravo, forse stavo sfoderando il mio esser checca isterica, ma lo odiavo. Aveva fatto tutto quel casino solo per attirarmi di nuovo nella sua trappola. I suoi amici ci fissavano in silenzio. Chiusi la bocca, imbarazzato. Cosa sapevano quei quattro ragazzi di me? Louis si voltò leggermente.
"Loro sono Niall, Zayn, Luke ed Ashton", disse, indicandomeli uno ad uno. Si rivoltò poi verso di me, "Non devi preoccuparti di loro", aggiunse, come se avesse letto nei miei pensieri, "Aspetta qui un attimo, se proprio non vuoi entrare", disse quindi, lasciandomi spiazzato davanti all'ingresso di casa sua. Non sapevo come riuscisse ad incantarmi così, sta di fatto che lo aspettai sul serio. Tornò qualche secondo dopo, sventolandomi davanti alla faccia la sua mano, dove c'erano appesi i miei boxer. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, ma prima di reagire così bruscamente, arrossii nuovamente.
"Questi sono tuoi, se non ricordo male", sussurrò, guardandomi malizioso. Mi sentii improvvisamente mancare e le gambe minacciarono di cedermi. Respiravo a fatica. Come si permetteva? Davanti ai suoi amici, per di più. Sollevai la mano per colpirlo in pieno in viso, ma lui riuscì a bloccarla con la sua ancora libera. Mi diede le mie cose, poi tirò fuori anche la maglietta.
"Calma piccolino, hai già fatto abbastanza casino ieri sera!", disse, strizzandomi l'occhio, riferendosi ovviamente ai miei gemiti. Mi aveva chiamato piccolino e qualcuno alle sue spalle ridacchiò. Mi morsi il labbro, perché, stavo per arrabbiarmi seriamente.
"Tieni...te l'ho lavata", disse, sorridendo e porgendomi la maglia.
"Come...cosa-...", aveva persino tolto la macchia della mia estasi. Avrei voluto sprofondare e morire.
"Trucchi del mestiere", disse ammiccando. A quel punto fu davvero troppo. Il mio cervello non comandò più nessun mio irrefrenabile impulso. Il suono della mia mano sul suo viso rimbombò per tutta la stanza e lungo il pianerottolo. I suoi amici spalancarono la bocca attoniti, Louis invece mi guardò scioccato e si toccò il viso.
"Non rivolgermi più la parola, idiota", dissi, prima di voltarmi, per tornarmene in stanza. Chiusi la porta, buttai i miei vestiti a lavare e mi sdraiai di nuovo sul letto, soddisfatto, anche se per certi versi deluso. Mi stavo comportando da vero stupido. Ma il fatto che quella situazione lo divertisse così tanto mi infastidiva. Non sentii più nessun rumore in camera di Louis per quella sera, eccetto qualche risatina.
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