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11 - I'M LOSING IT ALL

Can we freeze,

Come and surrender our rights and wrongs


Can we just for a night let the stars decide where we belong


Maybe heaven right now is a devil or angel away


That won't change


Together we vow that our colors will sparkle the faith


And I will find you


I will find you


I will reach you


Or I, I, I will lose my mind

[Calling (Lose my mind)_Sebastian Ingrosso & Alesso ft. Ryan Tedder]

HARRY

"Lou..."

"Che c'è, piccolo?", adoravo quando mi chiamava piccolo. Era bello essere il suo piccolo. Suo. Insieme a quanti altri? Quanti altri ragazzi aveva chiamato piccolo?

"Nulla...", mormorai, scuotendo la testa. Da qualche giorno a quella parte, non eravamo più gli stessi e lui sembrava essersene accorto. Odiavo doverlo ammettere, ma era colpa mia perché ero diventato intollerabilmente freddo. Ma era stata solo colpa di Ashton e delle sue rivelazioni. Nella mia vita niente sembrava dover essere semplice e scontato. C'era sempre qualcosa di non detto. C'era sempre qualche piccolo segreto tra noi due che non ci lasciava vivere come invece avremmo dovuto, dolcemente, passionalmente...innamorati, forse. Perché doveva essere così complicato?

"Mi spieghi che ti prende, Harry?", domandò, posando una mano sulla mia gamba. L'altra era stretta sul volante, con un'energia quasi snervante. Era deluso, forse? Deluso dal mio comportamento? Non volevo pensarci.

"Niente...sono solo stanco, davvero!", lui annuì fissando la strada, ma senza togliere la mano dalla mia gamba. Facevamo l'amore e poi io mi sentivo male. Avevo paura di essere solo uno. Solo un numero. Solo uno di passaggio sfruttato nell'ennesimo inconcludente tentativo di dimenticare Seth. C'era sempre qualcosa di non detto tra di noi che mi faceva male. Mi sentivo completamente svuotato, come se mi si fosse aperta una voragine nel petto. Non riuscivo a rimarginare quella ferita, lui non voleva chiuderla. Mi amava per una notte...e poi? Cos'ero davvero per lui? Forse era vero che voleva impegnarsi, per una volta tanto, ma io avevo sempre costantemente paura, paura di non essere quello giusto, paura di fare qualcosa di sbagliato e allontanarlo da me, paura di farlo soffrire e di soffrire. Perché amare comportava farsi del male? Era così per tutti o solo per noi due? Sfiorai la sua mano con la mia. Ma forse non era davvero amore. Ma se non era amore che cos'era? Se non era amore, perché quando lui non c'era mi sentivo perso e incompleto? Trovare l'amore significava trovare quella metà di noi a cui eravamo destinati, giusto? Ed era senza quella metà che ci si sentiva persi ed incompleti. Lo notai sorridere.

"È solo che...sei strano in questi giorni...ma può darsi che sia solo una mia impressione!", disse.

"Mi dispiace", sospirai. Lui annuì. Preferivo chiudere così quella discussione. O meglio, preferivo che non nascesse affatto. Finalmente arrivammo al campo da calcio. Scendemmo dalla macchina, poi Louis prese il bambino, che se ne era rimasto buono e zitto per tutto quel tempo.

"Guarda che se sei cattivo con i bambini mi arrabbio, hai capito?", esclamai, scherzando. Avevo un pomeriggio libero, perché il bar aveva chiuso a causa di un guasto all'impianto elettrico da risolvere il prima possibile. In pratica ero senza lavoro, in quella settimana, così Louis mi aveva proposto di andare con lui. Mi era sembrata un'alternativa piuttosto divertente. Louis rise.

"Non ci credi nemmeno tu, chiedi a Louis se non sono un papà perfetto!", disse, poi mi guardò mortificato, rendendosi conto che la scelta delle sue parole non era stata decisamente azzeccata, né per lui, né per me. Gli sorrisi dolcemente, sperando di poter cambiare argomento. Per fortuna quasi tutta la sua squadra arrivò nel giro di pochi minuti e lui cominciò a lavorare. Mi sedetti sulla panchina ad osservare il suo "esercito di nanerottoli" come li chiamava lui, correre per il campo. Era bello vederli. Si divertivano. Loro non avevano problemi. Sospirai, rendendomi conto che di problemi di fatto non ne avevo nemmeno io. Ma me li stavo creando e crearseli era fin troppo facile. Da quando avevo parlato con lui fuori da casa mia, mi sentivo quasi costantemente con Ashton. Lui sapeva ascoltare, quasi quanto Liam, con la differenza che da lui potevo avere un punto di vista diverso da quello che avevo sempre dal mio migliore amico. E poi per Liam era sempre tutto rose, fiori, orsacchiotti gommosi ed unicorni rosa. Era forse l'unico aspetto di lui che ogni tanto mi dava sui nervi. Io non ero così...non riuscivo a prendere la vita con ottimismo e la cura alla mia negatività non era la positività di Liam, bensì il realismo di Ashton. Aveva sempre pareri oggettivi e distaccati e questo mi faceva bene. L'unica cosa su cui prendeva posizione era il fatto che io non dovessi cascare nella trappola di Louis, pur insistendo nel dire che era un bravissimo ragazzo, che era una delle persone più importanti della sua vita e che gli voleva un bene indescrivibile. Era contraddittorio, da un certo punto di vista. Ma Ashton alle volte era criptico, esattamente come Louis. Era destino che la mia vita fosse poco chiara, per quanto riguardava quel ragazzo così...così speciale. Perché non se ne era rimasto nel suo appartamento? Perché dovevamo superare quei due centimetri di muro? Pensandoci in quel momento non riuscivo ad immaginare di poter tornare indietro e rifare tutto diversamente, rifare tutto senza di lui...non sarebbe stata la stessa cosa. Forse avrei continuato la mia monotona schifosa vita con Jack. Senza un po' di amore e passione. Senza quello che Louis sapeva darmi.

"Ehi...piccolo?", mi sentii chiamare e la mano di Louis sventolò davanti ai miei occhi. Mi scossi dai miei pensieri.

"Uhm? Che c'è?", domandai. Louis rise.

"Louis voleva salutarti...va a giocare da un amico e andiamo a prenderlo più tardi!", disse. Io guardai il bambino sorridente e gli diedi un bacino sulla guancia. Louis aveva conosciuto tanti bambini venendo lì. In realtà andava a giocare con il fratello di uno dei ragazzini che Louis allenava, perché quelli della squadra erano tutti un po' più grandi. Ringraziammo la madre del bambino, che lo prese per mano e lo portò via. Era incredibile come le persone, guardandoci, facevano sempre di tutto per aiutarci a restare da soli, dalla madre di Louis alla mamma di quel bambino. Per fortuna però nessuno domandava mai nulla. Era chiaro che pensassero che fosse il figlio di Louis, perché si somigliavano in un certo senso, ma era anche ovvio che credessero che lo avessi adottato in un certo senso, per il modo in cui mi comportavo con lui, anche se Louis non mi chiamava mai papà, ma sempre Harry.

"Ma...gli allenamenti sono già finiti?" , domandai, confuso. Louis rise.

"Sì...eri tutto pensieroso e non te ne sei nemmeno accorto!", mi prese per i fianchi e mi tirò su dalla panchina. Sorrisi maliziosamente e gli circondai il collo con le braccia. Louis avvicinò il viso al mio.

"Ci siamo solo noi, piccolinao! Ora sarai il mio bambino e allenerò un po' anche te!", disse, con quel suo tono che mi faceva letteralmente impazzire.

"Ma...sei sicuro che io abbia bisogno di lezioni?", chiesi, premendo le labbra sulle sue. Quelli erano i nostri momenti, quelli in cui mi rendevo conto di quanto Louis fosse realmente importante per me. Lui rise.

"Non so...vedremo!"

"Beh...siamo in un campo da calcio...così grande e desolato...sarebbe sbagliato non approfittarne, giusto?" dissi.

LOUIS

"Sì, direi di sì!" risposi, sfiorandogli il collo con le labbra. Harry sussultò. Mi era sembrato così scostante in quei giorni e non sapevo perché, sinceramente. Non sapevo dove avessi sbagliato, ammesso che il problema fossi realmente io. Magari non voleva stare con me, però a quel punto mi sembrava assurdo il suo comportamento di quel momento. Quando facevamo l'amore era sempre strano, quasi più freddo... eppure gli piaceva, lo capivo. Tra noi era tutto come prima, ma lui era strano, era davvero strano. C'era qualcosa che non andava, volevo sapere cosa fosse, ma non ero bravo con le parole e non sapevo come parlarne con lui ed aiutarlo. Volevo solo che stesse bene e avevo paura di sbagliare.

"Ehi...ti va di parlare?", chiesi ad un tratto, senza sapere bene perché. Harry spostò il viso dal mio e mi guardò negli occhi, confuso.

"Che...che cosa?"

"Sì...cioè...sei hai qualche problema, con me puoi parlarne...so-sono qui per te, lo sai...per qualunque cosa!" spiegai, cercando di metterlo a suo agio. Lui annuii, lasciando scivolare le sue mani sulle mie.

"Lou! Va tutto bene, davvero...ora siamo qui, io e te, da soli...non creiamo problemi che non esistono!" mormorò, abbassando lo sguardo. Sì, c'era sicuramente qualcosa che non andava, ma in quel momento forse non era il caso di parlarne. O forse non ero io la persona con cui aveva voglia e bisogno di parlare, o almeno non di quell'argomento che lo stava tormentando. Volevo sapere di cosa si trattava, ma forse era meglio vivere nel dubbio, per quanto fosse brutto e assurdo. Però con lui mi sentivo felice, in quel momento. E non volevo che cambiasse. Gli presi il viso e cercai le sue labbra. Harry le schiuse e si lasciò andare al mio bacio, che poco a poco divenne sempre meno dolce.

"Io non intendevo questo, quando avevo detto di approfittare del campo!" , sussurrò poco dopo, separandosi da me. Sorrisi.

"Stai cercando di sfidarmi?", domandai, poggiando la fronte sulla sua. Harry mi fissò con aria di superiorità.

"Mettimi alla prova, Tomlinson!"

"Uhm...non mi diverto se non c'è nulla in palio!", dissi, allusivo. Harry sollevò un sopracciglio ammiccando. Si allungò a sfiorarmi l'orecchio con le labbra.

"Se vinci tu...servizio completo stasera, promesso!", sussurrò. Mi passai la lingua sul labbro, in un gesto involontario.

"L'idea mi piace parecchio...e se vinci tu?"

"È ovvio! Servizio completo anche per me, Tomlinson!" , sorrisi, scuotendo la testa divertito.

"Ma da chi hai imparato ad essere così porco?", domandai, sollevandogli il viso, prima di premere la bocca sulla sua.

"Ho preso lezioni dal migliore!", esclamò, mordendomi il labbro. Sorrisi.

"Allora giochiamo...campo libero...il primo che segna vince! Senza esclusione di colpi...e se la posta in palio è così allettante, sappi che sarò spietato con te, anche se sei il mio ragazzo!", dissi, mentre mi allontanavo per prendere la palla.

"Ti concedo solo di prendere la palla per primo, tanto non avrò problemi a recuperarla!"

"Oh...vaffanculo! Vedrai che ti faccio!"

"So cosa mi farai...stasera, a casa!", dissi malizioso, sotto il suo sguardo indignato. Sorrise con strafottenza e corse a prendere la palla. Come gli avevo promesso, dopo pochi secondi gliela rubai senza troppi problemi. Mi stavo già avviando verso la porta, senza correre troppo veloce, ma mi resi conto che Harry era un osso duro e l'avevo sottovalutato. Riuscì a riprendermi e a mettermi in difficoltà.

"Ora che ne dici, Tomlinson?"

"Chi ti ha insegnato a giocare a calcio?", chiesi. Lui rise.

"Ho sempre giocato da bambino, con un sacco di miei amici! Non sono così checca come sembro!", disse, semplicemente. Tutto chiaro. Mi sarei complimentato con loro, se mai li avessi conosciuti. Lo guardai comunque in modo scettico. Harry sbuffò e in un secondo mi riprese la palla, con mia grande sorpresa.

"Bastardo!", imprecai, inseguendolo. Mi misi davanti a lui, per non farlo passare. Harry sbuffò, poi all'improvviso inciampò e cadde in avanti, verso di me. Lo presi al volo, ma barcollai e non riuscii a restare in piedi. Caddi per terra, con lui sopra di me. Harry sollevò il viso ridendo. Amavo la sua risata, quella semplice di quando era davvero felice, era perfetto. Gli accarezzai la schiena e scoppiai a ridere anche io.

"Hai visto? Non sei capace! Non sai nemmeno stare in piedi!", dissi, prendendolo in giro. Lui sospirò, poi si chinò verso di me e mi diede un bacio. Non uno di quelli dolci e teneri, ma uno di quelli che ti tolgono il fiato. L'aria era piena del suo profumo e del suo respiro. Volevo che quel momento non finisse mai. Infatti, ero così preso, che non feci nemmeno in tempo ad accorgermi di quello che stava per fare: mentre io ero ancora in terra stordito, lui si rialzò velocemente, riprese la palla e corse in direzione della porta, lasciandomi basito.

"Si chiama strategia, Tomlinson! Dalla finta caduta, al bacio!"

"Cazzo! Sei davvero uno stronzo!", gridai, alzandomi di scatto, ma ormai era troppo tardi. Harry calciò in porta e segnò, poi fissò la palla intrappolata nella rete, con aria di superiorità e soddisfazione.

"Avevi detto senza esclusione di colpi e io ho imparato dal migliore!", replicò, voltandosi verso di me, con le mani sui fianchi. Gli sorrisi, poi improvvisamente nella mia mente si fece tutto più chiaro. Chiaro come non lo era mai stato. Intorno a noi non c'era più nulla. Vedevo solo lui e il suo sorriso e sì, il mondo si era fermato per un attimo, bloccato da noi e dalla nostra felicità. "Beh...il giorno in cui giocherò a calcio uno contro uno con un ragazzo e lui mi batterà...vorrà dire che sono troppo distratto da lui per giocare seriamente e quindi che sono innamorato!", gli avevo detto. Le mie parole risuonarono nel mio cervello e poi l'eco finì già dritto al cuore, colpendolo con la più dolce delle consapevolezze. Mi aveva battuto e lo aveva fatto distraendomi con le sue parole, coi suoi gesti, coi suoi baci. Per la sua sola presenza, mi ero dimenticato che stavo giocando una partita di calcio. Era ovvia la conseguenza...avevo perso. E avevo perso tutto, a partire dal cuore.

"Harry...hai...hai vinto", mormorai, avvicinandomi. Posai le mani sui suoi fianchi e cercai i suoi occhi. Speravo che capisse. Speravo che si ricordasse di quel pomeriggio e di quella frase.

"Io..."

"Ho perso Harry...ho completamente perso...hai vinto tu, tutto!", ammisi. Aveva vinto tutto: tutto me stesso, il mio cuore, il mio corpo, la mia anima...tutto. Mi chinai e gli sfiorai le labbra, quella volta dolcemente.

"Forse sì, ma...questo aveva di più il sapore di un pareggio!", sussurrò, baciandomi di nuovo. Forse aveva capito. Non vedevo l'ora di portarlo a casa mia e dargli il suo premio.

Suonarono alla porta. Ero solo con Louis quel pomeriggio, perché Harry aveva ripreso a lavorare. Da quella volta al campo, quattro giorni prima, i momenti per stare soli erano sempre più rari, purtroppo, ma andava bene così, perché mi bastava averlo intorno. Anche se stare tanto tempo senza fare l'amore con lui mi metteva una voglia incredibile. Cominciavo a capire quanto fosse vero che l'attesa aumentava il desiderio.

"Arrivo", gridai, avviandomi verso la porta. Louis stava dormendo in camera, con la porta chiusa e mi sembrava che per fortuna non si fosse svegliato. Guardai l'orologio: era ancora troppo presto, perciò non si trattava di Harry. Ero certo che fosse mia madre, a quel punto, dal momento che non aspettavo visite, poteva essere solo lei!. Aprii la porta. Spalancai gli occhi, forse credendo di essere stato ingannato dalla fantasia, ma non appena lui sorrise, fui certo che non era stata solo la mia immaginazione. Ricordavo fin troppo bene il suo sorriso. Boccheggiai, improvvisamente incapace di respirare. La ferita nel petto che avevo tentato di richiudere si era improvvisamente aperta di nuovo, era una voragine. C'era solo una cosa che teneva ancora legati i pezzi strappati del mio povero cuore: Harry. Cercai di pensare a lui, ma in quel sorriso che avevo davanti agli occhi...cominciavo a rivedere tutto il mio passato.

"Ciao Lou! Ti ricordi di me?", domandò. Annuii. Purtroppo sì, "Ehi...allora mi accogli così? Non ti sono mancato nemmeno un po'?", chiese. No, solo un pochino i primi giorni, ma la sua assenza non mi era pesata. Era la sua presenza lì che ora cominciava ad opprimermi.

"Che ci fai qui, Seth?"


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