Capitolo 24 Ricordi di un futuro passato (parte quarta)
RATRI
Veicht è un enigma irrisolvibile. Quegli occhi verdi carichi di angoscia mi preoccupano. Sposto lo sguardo sulla sua mano, appoggiata sul bancone del bar, trema. Avvicino la mia per toccarla, ma lui stringe il pugno e la ritrae, nascondendola alla mia vista.
Vorrei chiedergli che cosa succede, ma vengo interrotta da Sam.
«Ehi!» esordisce, per poi posarmi un bacio sulla guancia.
«Ho dato uno sguardo al testo che hai scritto per adattarlo alla traccia. È perfetto e la carica erotica si sente parecchio. Credo sia il pezzo giusto per uscire fuori dalle comfort zone delle cover e buttarci in qualcosa di inedito.»
Fingo di ascoltarlo e sorrido forzata, perché i pensieri sono tutti rivolti a Veicht e al suo stato.
Ammetto che quel tremore non mi piace per niente e mi angoscia.
Con la coda dell'occhio, lo osservo, ha gli occhi puntati sulla tasca dove ha nascosto la mano, un'espressione sofferente sul viso e le labbra serrate tanto da sparire e sembrare solo una linea anonima.
Quando si accorge di avere la mia attenzione, scatta in piedi.
«Scusate!» Esclama più come un insulto che un congedo e si allontana sotto i nostri sguardi allibiti. Lo vedo superare il bancone e i tavolini più appartati del locale per dirigersi verso il bagno.
«Che ha?» Chiede Sam, ma non percepisco preoccupazione, solo confusione.
Vorrei saperlo anche io...
Alzo le spalle e scuoto la testa. Sam prosegue nel discorso del pezzo come se questa parentesi di Veicht non fosse mai esistita, ma il pensiero che il biondo possa stare male non mi permette di rimanere a far conversazione.
«Sam, ne parliamo un altro giorno, ora... ehm, sono occupata.»
Mi dispiace liquidarlo in questo modo, forse sgarbato per certi versi, ma ho bisogno di capire come stia Veicht.
In fondo, sono qui con lui; non voglio dire che Sam sia un terzo incomodo, perché il nostro non era un vero appuntamento, ma in sostanza lo è, e spero che arrivi a capirlo da solo.
«Certo.» Risponde con un filo di delusione che maschera con un debole sorriso, poi aggiunge «ne parliamo quando sei... libera.»
Sottolinea l'ultima parola con una leggera stizza che ignoro. Lo saluto sbrigativa e raggiungo Veicht.
Indugio nell'antibagno nel quale Veicht non è presente. Resto sulla soglia e, quando esce dal bagno degli uomini, sbarra gli occhi. Con due falcate mi raggiunge e mi afferra per la spalla. Fa una leggera pressione che mi costringe a indietreggiare fino a fuori dalla porta.
«Cosa ci fai qui?»
Innervosito dalla mia presenza, che pare viverla come un'intrusione, parla tra i denti e con un tono alterato.
In preda alla soggezione, balbetto:
«I-io... i-io ero p-preccupata, insomma... t-tremavi e...»
«Ti ho già detto che non devi preoccuparti per me; e non seguirmi come un cane!»
È tornato se stesso, quello che ho sempre conosciuto, quello che mi mortifica a ogni cosa dico o faccio.
Sapevo che la magia non sarebbe durata a lungo.
Abbasso lo sguardo, ferita dal suo atteggiamento ostile.
Lascia libera la mia spalla e io mi sento meno in trappola, tanto da azzardarmi ad alzare la testa. Quello che vedo, però, m'impedisce di far finta di nulla.
Conscia che non la prenderà bene, sibilo:
«Lo so che non vuoi che... insomma preferisci che mi faccia gli affari miei, ma... ti esce del sangue dalla bocca e i tremori che avevi...»
«Cosa?»
Lo sconcerto nel suo volto e nella sua voce, mi fa credere che la domanda non sia rivolta davvero a me.
Si pulisce con il dorso della mano e si rende conto che quello che ho detto è vero: una piccola striscia rossa ne macchia la pelle diafana, il contrasto sarebbe poetico, se non fosse preoccupante.
«Stai ferma qui!» Ordina, per poi recarsi al lavandino nell'antibagno e lavarsi le mani. Le sfrega compulsivo, come se quella macchia fosse un fastidio, allo stesso modo si sciacqua il viso e la bocca. Lo sento imprecare e ciò mi convince a eseguire l'ordine e rimanere dove sono.
Forse ha una malattia della quale si vergogna? Forse è per questo che è sempre... scorbutico?
«Senti, forse è meglio se torniamo a casa.» Alzo la voce in modo che mi senta.
«Sto bene!» Asserisce, mentre torna da me. Tuttavia, ho l'impressione che cerchi di convincere più se stesso che me.
Lo vedo sofferente, la bocca serrata come a voler trattenere dentro di sé un dolore che non vuole esternare. Qualsiasi cosa abbia deve procurargli patimento.
«Veicht...»
«Facciamo così, bestiolina, se vinci a biliardo contro di me, ti dico cosa mi è preso.»
Mi spiazza. Come se non fosse successo nulla, i suoi lineamenti sono rilassati, morbidi e non vi è traccia della sofferenza che ne modificava i tratti rendendoli più duri.
«Oh, ehm, sei... sicuro? Io ci sto!»
Sono titubante, non riesco a credere che faccia fatica a dirmi cosa lo faccia stare male, ma allo stesso tempo abbia voglia di giocarci sopra tanto da farne una scommessa.
Ci rimugino, mentre insieme raggiungiamo la saletta dove si trova il biliardo.
Forse è solo sicuro di vincere...
Formulare questo pensiero mi fa rendere conto che potrei perdere. Rabbrividisco all'idea e poco prima che lui scelga la stecca con lanquale giocare, lo fermo e una domanda mi sorge spontanea:
«Aspetta, tu cosa vuoi in cambio?»
Con una teatralità naturale, ma palese, ruota il corpo utilizzando solo l'ausilio della punta delle scarpe.
Serafico solo in apparenza e con un sorriso mellifuo che gli incurva le labbra, si avvicina lento.
«Bestiolina, hai accettato a scatola chiusa, o sbaglio?»
Merda!
Ingoio la saliva, conscia di aver commesso un grosso errore. Veicht potrebbe chiedermi qualsiasi cosa e avrei dovuto accertarmi di cosa prima di scommettere.
«Ma... io...»
«Sarò buono e gentile con te, bestiolina, non sarà nulla di eccessivo.»
Sfodera un sorriso angelico, ma so bene che dietro c'è un grosso doppio fine. Non riesco a fidarmi, né a rimanere calma.
«Per favore, dimmi cosa vuoi...»
Sono preoccupata, potrebbe voler sapere che cosa mi ha portato alla spiaggia, o peggio, potrebbe voler capire perché ero in quello stato.
Certo, potrei rifiutarmi, ma conosco Veicht e so che me la farebbe pagare in altre maniere, quali che siano, poco piacevoli.
«Non sapevo scrivessi canzoni e voglio saperne di più su questa tua vena artistica.» Alza le spalle con nonchalance.
Inarco un sopracciglio dubbiosa.
Cosa c'è sotto?
«Tutto qui?»
«Sì, bestiolina, diciamo pure: tutto qui.»
L'angolo della bocca si alza e gli forma un ghigno che gli dona un'aria inquietante. Credo che per quanto si sforzi di essere gentile e a tratti premuroso, la sua natura sia quella di essere ambiguo e subdolo.
Ormai ho accettato e se vuole sapere di più sulla mia passione, non c'è nulla di male.
Faccio un respiro profondo. Mi ha dimostrato di volersi conquistare la mia fiducia, perciò devo smetterla di dar retta alla suggestione.
Veicht mi porge una stecca e poi posiziona il triangolo con le biglie sul tavolo. Entrambi utilizziamo il gesso sulla stecca e siamo pronti a iniziare.
«Sboccia tu, bestiolina.»
Veicht toglie il triangolo che tiene ancorate le biglie e io prendo posizione per il primo tiro. La steccata va in porto e le biglie si muovono lungo tutto il perimetro del biliardo, finchè una di queste non finisce dentro la buca.
Ottimo, è ancora il mio turno.
Forse potrei ricorrere al solito trucchetto, ma non sono sicura che funzioni e allo stesso tempo, non voglio svenire o avere visioni mistiche che mi portano a stare male. Non le controllo e non so nemmeno se dipendano davvero da me o solo dalle circostanze.
Scaccio il pensiero e mi concentro sulla partita.
Osservo la posizione di ciascuna biglia contrassegnata da una fascia bianca, quelle sono le mie, e ne vedo una ben posizionata. È un tiro facile e dovrei guadagnare un ulteriore turno.
Colpisco la biglia bianca con la stecca e questa rotola fino a toccare quella l'altra che, come previsto, entra in buca.
Guarda Veicht compiaciuta, è appoggiato con il mento sul braccio posato sopra la stecca e, appena si accorge di essere osservato, alza la testa e mi fa un piccolo applauso. Tuttavia, lo percepisco più come una presa in giro che come un vero gesto di apprezzamento.
Devo cercare di non sbagliare e avere più vantaggio possibile.
Più facile a dirsi che a farsi, poiché sul tavolo tutte le biglie che mi appartengono non sono affatto facili da imbucare. Mi prendo qualche istante per ragionare sulla prossima mossa, ma non ho molte scelte e devo azzardare.
Mi sporgo più che posso sul tavolo e tento il tiro che purtroppo va a vuoto, in quanto una biglia piena, appartenete a Veicht, blocca il passaggio della mia.
Rassegnata, lascio a Veicht lo spazio di agire. Prende posizione e, poco prima di effettuare il primo lancio, mi rivolge un occhiolino.
Questa ostentata sicurezza mi fa alzare gli occhi al cielo, ma non ci metto molto a capire perché lo faccia. La prima palla va in buca e con essa le altre. Si muove con stile e grazia, intorno a tavolo e in pochi minuti delle sue biglie non ne rimane nemmeno una.
Resto a bocca aperta e mi avvicino al tavolo per guardare meglio in quanto non credo ai miei stessi occhi.
«E ora la nera. Dichiaro la buca d'angolo di sinistra.»
Me la indica e un brivido mi corre lungo la schiena nei pochi secondi che sanciscono il tiro finale. Quella biglia nera è anche detta "biglia del destino", ma a quanto pare il mio è stato già segnato da Veicht che, con un lieve, ma deciso colpo, pone fine alla partita.
Incredula, sbatto più volte le palpebre.
«Non ci credo. Veicht... è impossibile... hai barato!»
«Mh, che c'è, bestiolina, non sopporti la sconfitta?»
Sconfitta? Non c'è stata proprio partita; se avesse iniziato lui per primo è probabile che non avrei avuto la possibilità di tirare neanche una volta.
«No, ma... l'ultima volta che abbiamo giocato, tu... sei un professionista!»
Alza le spalle con finta modestia, poi risistema il tavolo e le stecche al loro posto. Soddisfatto, sfoggia un ghigno sornione e della, seppur finta, modestia di poco prima, non rimane che un vago ricordo.
«Bene, e ora andiamo a casa perché il mio premio lo voglio riscuotere subito.»
«Adesso? Davvero? Non puoi aspettare domani?» e darmi il tempo di selezionare cosa farti leggere...
«No!» Dichiara perentorio, poi aggiunge «È presto e non credo tu voglia coricarti, giusto?»
Controllo l'ora e in effetti non è tardissimo, complice il fatto che la partita sia durata un soffio di vento, non è passato molto da che siamo entrati nel pub.
Accidenti!
Annuisco riluttante. Dovrò fare in modo da nascondere i fogli che contengono le strofe compromettenti senza che lui se ne accorga.
Ciao a tutti, come state?
Lo so... è un po' troppo che non pubblico e so già che avevo detto che questa sarebbe stata l'ultima parte di questo capitolo, ma non è così... mi scuso, ma è stato parecchio difficile scriverlo e anche l'altra parte lo è... quindi preferisco non farvi aspettare un mese intero o più e regalarvi questa parte un pochino più corta rispetto al solito e darvi in pasto qualcosa.
Mi scuso ancora per l'assenza, so che state aspettando da tanto e spero di non fare più lunghe assenze come questa.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento e una stellina, io vi mando un besito e ci vediamo, spero, presto con un'altra parte.
Besitossss
Hell♡
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