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Capitolo 23 Il fine giustifica i mezzi

MICHEY

Gli scacchi.
Quale magnifica invenzione.
Ogni mossa pretende una scelta, ogni scelta conduce a un passo.

Conservo le sorti di questo esiguo e mediocre esercito di pedine, ne ho pieno controllo in quanto assoluto padrone che detiene il potere di sceglierne ciascun dislocamento.

Pur tuttavia, la divinità della quale mi beo è illusoria. La scacchiera stessa, nella sua gloriosa forma, pretende ordine. Ho facoltà decisionale purché rispetti le regole imposte da tale sovrano terreno in cui la battaglia ha luogo.

Un'altra variabile, che mi costringe a eseguire mosse talvolta spiacevoli e indipendenti dalla mia volontà, è l'avversario. Anch'esso padrone del suo personale esercito.

Quantunque io sia un eccellente giocatore, il compagno di gioco di fronte a me è un degno contendente. Non vi sarebbe divertimento alcuno se così non fosse.

Eppure, mi vedo costretto a un'ardua scelta: sacrificare la regina e vincere la partita, o rischiare lo scacco matto?

Ogni re è null'altro che debole uomo che va protetto e, senza la sua regina, è solo è vulnerabile.

«Amico mio, questa sera ponderi troppo sulle tue scelte.»

Volgo una semplice e breve occhiata al mio avversario. Mi conosce da tempo oramai, sa bene che questo gioco mi diletta a tal punto da inventare nuove strategie a ogni partita. Credo, però, sia passato un tempo eccessivo dall'ultima mossa. Il tempo è per noi un incantatore, un elemento in grado di confonderci. Unico compagno per l'eternità e al tempo stesso nemico per le normali interazioni. Ciò che per noi dura un battito d'ali per l'essere umano è la vita intera. E quando la mente è riversa in pensieri totalizzanti, è arduo mantenere il contatto con la realtà e rendersi conto dello scorrere del tempo.

«Mi duole farti attendere, Daniel, ma sono impensierito dagli ultimi eventi. Non ho la piena concentrazione questa notte, me ne dispiaccio.»

Un fastidioso suono, melodico, ma atroce per le mie orecchie, rimbomba nello studio. Daniel si affretta a spegnere quella musica rivoltante proveniente dall'aggeggio demoniaco che racava nella tasca.

Detesto la tecnologia, mi fa sentire meno potente di quanto non sia e più vecchio di quanto non mi piaccia dimostrare. Posseggo anche io un telefono cellulare, ne necessito per mantenere il contatto con i miei fratelli e Alexander, ma odio doverlo utilizzare.

«Perdonami, Michey, ho dimenticato di mettere il silenzioso.» Pronuncia la frase mantenendo, però, lo sguardo fisso sullo schermo. Impercettibile deglutisce e il cuore accelera: deve aver ricevuto un messaggio oltre che una chiamata.

«Quale epiteto mi ha riservato questa volta?» Domando con una leggera stizza, conoscendo bene il mittente.

Rossore sulle guance gremite di efelidi, m'inducono a pensare che abbia esagerato.

«Via, via, Daniel, sono consapevole che abbia partorito una cattiveria.»

Sospira arrendevole.
«Come desideri. Ti ha definito "vecchio putrefatto" ...»

Inarco un sopracciglio stupefatto da cotanta inventiva da parte di quella donna.

«Opinabile, giacché mi par d'avere un'ottima conservazione.»

Allargo le braccia in modo tale che osservi la mia completa figura. Nessuno potrebbe darmi torto, né si prenderebbe tal libertà, ma Mary mi serba un rancore viscerale che per quanto mi rechi stizza, non posso biasimare.

«Perdonala Michey, non... » Incespica e un debole rossore gli colorapmi ha sempre una sorta di tenerezza.
«Ha un temperamento focoso quella donna, la stessa passione la rivedo in Alanora. Incredibile come ti somigli fisicamente, ma sia il tuo esatto opposto caratterialmente.»

Mi rivolge un debole sorriso, ma un leggero sospiro gli sfugge dalle labbra. Costringo me stesso a trattenere la curiosità di disoccultare i suoi pensieri con il dono che posseggo consapevole che Daniel non si tratterrà a lungo. Siamo l'uno il fidato confidente dell'altro da che ci conosciamo.

«Sai, sono preoccupato per lei... per entrambe le donne della mia vita in realtà, ma Al, beh lei m'impensierisce» fa una pausa e un altro lungo sospiro. Dalla tasca interna della giacca estrae un fazzoletto col quale seguita a pulire con estrema minuzia le lenti arrotondate degli occhiali. È un vizio il suo, un modo per placare il nervosismo. Sono infatti più che certo che quelle lenti siano, in vero, immacolate.

Lo osservo in religioso silenzio: inforca di nuovo gli occhiali e, in seguito, appoggia la testa contro il pugno chiuso.

«Somiglia a sua madre è vero, ma credo che stia commettendo il mio stesso errore.»

Preoccupazione e pentimento, ecco ciò che percepisco. M'irrigisico.

«Oh, indi per cui, io sarei un errore.» commento con eccessiva asprezza, tuttavia Daniel conosce ciò che mi reca fastidio, eppure si è concesso il lusso di denigrarmi.
Alza di scatto il viso e l'espressione di pentimento e al tempo stesso terrore mi fanno intendere che abbia compreso lo sbaglio che ha commesso, ma non è abbastanza per me.

«Ti racconterò una storia, mio caro amico, quella di un giovane irlandese che veniva da me ogni notte, faceva domande all'inizio, incuriosito dalla mia persona, ma notte dopo notte la curiosità divenne sempre maggiore.» Scocco la migliore fra le frecce, la cui picca centra il suo punto debole. Gelido è il mio sguardo nel proseguire «Peccasti parecchie volte, Daniel, non fu un solo errore il tuo.»

«Non intendevo... »
«Cosa? Offendermi? Rinnegarmi? Ciò che più mi duole, Daniel, è che ti autoinfliggi dolore. Ti consigliai di non specificare a Mary ciò che ci fu tra di noi, di lasciare che alcune cose rimanessero un segreto tra me e te. Ma tu non mi hai dato ascolto e ora ti senti in colpa, arrivando a definire me un errore. È deplorevole da parte tua.»

Cala il silenzio. Sono piuttosto contrariato dalle sue parole, in fondo, mi deve la vita, quella della sua famiglia, mi deve tutto ciò che ha costruito. Ma non sono detentore di un debito, non l'ho mai considerato altro che un amico, per un breve periodo è stato qualcosa di più simile a un amante, benché entrambi consci che sarebbe stato solo un fuoco passeggero. Questo non ha impedito che, nel tempo, l'amicizia alla base della nostra relazione si solidificasse fino a raggiungere una stima reciproca, un'amicizia profonda e intima. Per cui, sentirmi definire come un mero e bieco errore, mi provoca un sentimento difficile da descrivere, m'infastidisce e ferisce l'uomo celato dal manto dell'immortalità.

«Ti chiedo perdono, sono solo molto preoccupato. Non rinnego niente e, anche se so bene che all'epoca non lo facesti per me, a te devo la vita, forse Mary dimentica questa particolare.»

Percepisco il rimorso e ritrovo la calma. Non amo incutere timore a Daniel. È pur sempre un essere umano e debbo essere cauto nell'esternare la rabbia. Ha sempre avuto un carattere mite e mai mi ha fatto perdere la pazienza, tuttavia in varie occasioni, ha potuto contestare che anche io ho un limite oltre il quale è meglio non proseguire.

«All'epoca non lo feci per te, dici il vero, ma fui felice di averlo fatto e mai me ne sono pentito.»

Quella notte la rimembro come se gli eventi fossero successi non più di qualche giorni orsono. Veicht era stato appena trasferito alla dimora di Alexander appena fuori Londra. Nonostante le precauzioni sfuggì al nostro controllo poco prima di riuscire a imprigiornarlo. Era senza alcun controllo, la dipartita della madre lo aveva gettato in uno stato di disperazione tramutatasi, in seguito, in furia omicida e distruttiva.

Quando lo lo trovammo in quel bosco dove di erano riuniti gli studenti a celebrare la fine delle lezioni, era assuefatto dalla rabbia, in balia della sete attaccò l'unico ragazzo allontanatosi dal gruppo. Fui celere nel salvataggio, un secondo d'indugio di troppo e Daniel non sarebbe qui. Per placare Veicht, Alexander e io, fummo costretto a usare i poteri su di lui, ma anche con quelli riuscimmo a imprigiornarlo con non poca difficoltà.

Nessuno di noi avrebbe permesso che commettere una strage o anche un semplice omicidio. Se ne sarebbe pentito come si pente per la giovane Emma, ma due innocenti sulla coscienza di un'anima fragile possono pesare come cento macigni su una debole formica, le conseguenze possono essere devastanti o mutarti per sempre in qualcosa di orribile e oscuro.

Mi chiedo quanto l'ultimo omicidio abbia influito sulla sua psiche...

«Michey.»

La debole voce di Daniel mi raggiunge flebile nelle profondità delle mie preoccupazioni, pur tuttavia, ovattata e lontana, non me distoglie.

«Michey!»

Sbatto le palpebre, risvegliato da quella sorta di trance in cui sovente i pensieri mi gettano.

«Sono io a doverti porgere le mie scuse, ora, ma come te ho qualche preoccupazione di troppo.»

«Mh, vuoi parlarmene?»

Annuisco, mentre sposto l'ultimo pedone rimastomi nella casella che lo condurrà alla morte.

I sacrifici sono necessari al raggiungimento di un fine più glorioso.

«Ho difficoltà a stabilire un rapporto di fiducia con la ragazza. Percepisco il legame e la reciprocità di esso, eppure ci dividono mura ghiacciate di silenzi e incomprensioni.»

«Forse sei troppo controllante? O non ti poni nella maniera più giusta per lei. Ricorda che sei uno sconosciuto.»

Muove l'alfiere e, come previsto, il mio pedone viene mangiato.

Pessima mossa, amico mio, ora la partita è in mano a me.

La regina resta l'ultima pedina, insieme al debole consorte, ma aspetto ancora prima di fare la mia mossa.

«Lo rammento. Ma ciò che più mi rovina l'anima è il rapporto che si è andato creando tra i due principali soggetti che impensieriscono di più. Convengo con Veicht sulla scelta di far dimenticare a Ratri la spiacevole e orripilante esperienza vissuta, ma non faccio altro che chiedermi da dove provenga tal altruismo. Certo, Veicht è dotato di sensibilità, anche se tende a nasconderla, tuttavia il suo gesto cela altro, ne sono convinto. Sacrificare se stesso e cio che ha costruito in anni di sacrifici, ripiombare nel baratro e vortice della dipendenza, per Ratri? Non sono uno sprovveduto, può dichiarare di averlo fatto per il puro piacere che deriva dal cedere alla tentazione che solo un omicidio con conseguente assaporamento del sangue può dare, ma io so che è per lei e questo, non posso tollerarlo.»

Provo fastidio al solo pensiero di quei due insieme. Ratri è mia nipote, non può e non deve essere una mira di Veicht, né come preda né come donna.

Un lungo sospiro proviene dalle labbra del mio amico, so già che quello che dirà sarà discorde con il mio pensiero.

«Ti comprendo, ho le stesse preoccupazioni. Come padre avrei voluto qualcuno di diverso per Alanora, ma la sua scelta è ricaduta su Blazej. Impormi o impedirle di vederlo sarebbe controproducente. Lo sai bene che ai sentimenti non si può remare contro.»

Evito di fargli notare quanto la situazione sia diversa. Ho molto rispetto per le sue preoccupazioni di padre, ma nel caso di Alanora, ella ha scelto un pretendente con l'anima pura. Blazej è più uomo che vampiro, ha un animo nobile e una natura docile, ma al contempo protettiva.

Veicht, invece, è imprevedibile. Ho sempre difeso e protetto quel ragazzo, ma se facesse del male a Ratri non glielo perdonerei.

«I sentimenti, ingenuo credevo che non ne avrei provati di tanto forti» Chiudo gli occhi e il ricordo di Elizabeta irrompe nella mente. Dolce, bellissima, ne ricordo ogni singolo respiro, il profumo della pelle e quel suono melodioso che emetteva ogni sua singola parola. Mi uccide non poterla piu toccare quando al solo serrare delle palpebre la sua figura mi appare vivida. Il suo nome è inciso in quel cuore freddo che non batte più da secoli, ma che per lei si è scaldato abbastanza da rendermi più uomo che creatura immortale.

Lei, la sola e unica, lei il mio più grande errore, lei e il nostro catastrofico amore.

Riapro gli occhi, ma ho perso ogni traccia di serenità.

«Ratri mi dovrà dare ascolto. Non lo fece Nae procreando, non lo fece Anița, affidando la sua vita a Veicht, ma mia nipote, in modo o nell'altro, lo farà.» Dichiaro con estrema convinzione.

«Mi dispiace, Michey, ma devo ripetermi: sei possessivo con quella ragazza e finirai solo per farli unire anche prima del previsto. Se è nel loro destino stare insieme, allora... »
«Allora cambierò le sorti del destino, se necessario, nella maniera più drastica.»

«Che vuoi dire?»
«Non ho intenzione di separarmi da Ratri, ma se sarà necessario, rinchiuderò Veicht per tutto il tempo in cui lei resterà in vita.»

Daniel spalanca gli occhi incredulo.

«Stai delirando e non sei più tu. Hai sempre ragionato e ora ti comporti come un despota. Renditi conto che le faresti solo del male.»

Ne farei a entrambi...

Mi lascio cadere morbido sulla poltrona vellutata e strofino la fronte in uno stato di confusione e sì, come dice Daniel, probabile delirio.

«Ho protetto quella ragazza, separandola da me, e da suo padre, ho commesso azioni indicibili, ma necessarie per salvaguardarla e nascondere la sua esistenza ai vampiri nel mondo. Ho solo il timore che le succeda qualcosa. Quell'uomo le ha fatto del male e io... io dov'ero? Avrei dovuto essere con lei, avrei dovuto...»

Non proseguo. Sconfortato porto entrambe le mani sul viso.

«Ti senti in colpa... e ti da noia che sia stato Veicht a proteggerla, giusto?»

Mi conosce fin troppo bene. Raddrizzo le spalle, cercando di ritrovare la compostezza che mi contraddistingue. Sposto le ciocche di capelli che in quel gesto di frustrazione si sono scompigliate davanti al viso. Poi mi alzo, mi scuso con Daniel ed esco dallo studio per prepararmi un calice di sangue. Torno nella stanza per consumarlo, non prima di aver preparato un calice identico, ma con vino pregiato, per il mio amico.

«Perdonami, ne necessito e detesto bere da solo quando sono in evidente compagnia.»

Fa un cenno di assenso, non si scompone a vedermi bere e mutare di aspetto. Negli anni è diventata un'abitudine per me mostrarmi in tutta la mia natura.
La fiducia si basa anche su questo e nei suoi occhi raramente ho visto timore. Dipende solo dal mio umore.

«Michey, ma almeno tuo padre, lo sa che lei è qui?»

Scuoto la testa.

«No, Alex è impegnato a farmi un altro favore, uno più grande, ma me lo deve. Per tutto quello che ho fatto per lui in quasi cinquecento anni. Perciò, non può dirmi cosa posso o non posso fare, Ratri è qui e non può opinare la mia scelta.»

Come io all'epoca accettai senza indugio la sua, anche se nel tempo si rivelò un problema...

Ma ci sono cose, che nemmeno a Daniel è dato di sapere. Un giuramento tra due vampiri, specie se si tratta di un patto con il mentore, è sacro e non mi è permesso parlare dei segreti di Alex a nessuno.

E così sia.

Ciao a tutti come state?

Questo capitolo non potevo non farlo uscire oggi. Credevo però mi sarebbe bastata una parte sola, ma le cose da dire sono tante che lo divido in due parti.

Certo, vi anticipo già che tornerà il pov di Michey, anche in qualche flashback, per il momento vi ho solo fatto conoscere meglio il suo pensiero, il suo passato. Abbiamo scoperto che è stato proprio Veicht ad attaccare Daniel. Qualcuno di voi c'era arrivato?

Sono soddisfatta di ciò che ho scritto? No. Non sono certa di aver vestito bene i suoi panni, Michey incute timore anche me xD

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento e una stellina, io vi mando un besito e ci vediamo presto con la parte due di questo parto di capitolo.

Besitosss

Hell♡

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