Capitolo 22 Questione di fiducia
ALANORA
Il viaggio in macchina con mio padre risulta lento e silenzioso. Questa serata mi ha scossa, non posso negarlo. Provo un profondo dispiacere riguardo a ciò che è successo a Ratri, ma i pensieri sono tutti concentrati sul vampiro, sull'assassino.
Quando Veicht è entrato nella villa in quelle condizioni e con quell'aspetto, non mi ci è voluto molto per capire che cosa avesse fatto. Non conosco i dettagli e non voglio nemmeno saperli, mi basta sapere che ha ucciso, di nuovo, e questa volta sono certa che non se ne penta nemmeno un po'.
Non posso negare che mi abbia spaventata, né sono sicura mi abituerò mai all'idea che il fratello - seppur simbolico - del ragazzo di cui sono innamorata, sia un killer spietato e senza scrupoli. Ho cercato di capirlo, ho cercato di superare questo scoglio e di empatizzare per la questione di Emma, ma non ci riesco a passarci sopra.
Quando mi si è avvicinato ero impietrita, terrorizzata all'idea che potesse farmi del male o anche solo che mi toccasse con quelle mani brulicanti di sangue umano.
A pochi metri da casa, Daniel rallenta e accosta. Lo guardo confusa.
«Ally, so che per te dev'essere stato uno shock, ma ho bisogno che tu faccia finta di niente con tua madre. È tardissimo e sono certo pretenderà una spiegazione... »
«Nonostante quello che hai visto, quello che ha fatto, tu vuoi continuare a coprire Veicht e i suoi crimini?»
Abbassa gli occhi. Il volante sembra diventato piuttosto interessante per lui, lo accarezza senza però darmi delle risposte.
«Papà... » Lo richiamo.
Ho bisogno che mi dia delle motivazioni, perché questa volta non è stato un incidente, Veicht ha scelto consciamente cosa fare.
«È complicato... Al... lo faccio... più per Michey che per Veicht stesso, insomma... ha ucciso comunque uno stupratore, non un santo...»
Scuoto la testa, stento a credere che quest'uomo sia mio padre.
«Lo giustifichi? La tua amicizia con Michey giustifica i delitti di suo fratello? Papà, ma che cazzo dici?!» Gli urlo in faccia e non m'importa se gli manco di rispetto, è inconcepibile per me quello che sta facendo.
«Alanora! Continuo a essere tuo padre, vorrei ricordarti.»
«Un padre che per tutta la vita mi ha lasciata educare da una madre che odia quelle creature e che da un momento all'altro, invece, mi chiede di capirle. Beh, io non capisco loro, tanto quanto tu hai difficoltà a capire me!»
Mi sfogo con lui, perché è qui, perché è l'unico con cui posso farlo e perché vorrei davvero che cercasse di capire.
Passa una mano sul volto sul quale leggo un profondo sconforto. Si toglie gli occhiali e strofina le palpebre con il pollice e l'indice.
«Io ti capisco invece, molto più di quanto tu non creda, figlia mia, sono sincero. Ed è proprio per questo che devi prendere una decisione definitiva. In fondo al tuo cuore sai cosa vuoi.»
Sto per ribattere, ma m'interrompe.
«Non sono stupido. Ho visto come ti guardava Blażej e, soprattutto, ho visto com'è venuto in tua difesa.»
Deglutisco, il viso bollente tra rabbia e imbarazzo che fanno a gara a chi lo rende più purpureo. Qualsiasi parola io volessi pronunciare muore nella gola, finendo per inacidire lo stomaco.
«Non ti giudico, Ally, ma per quanto docile, nobile o qualsiasi aggettivo positivo tu voglia affibbiargli, Blazej è un vampiro, devi accettare la sua natura e... anche altre cose che per te saranno difficili, ma necessarie se vuoi continuare la vostra, uhm... relazione?»
«Ci stiamo solo frequentando, non è successo niente.» Mi affretto a chiarire in un moto di imbarazzo.
«Non giustificarti, sei adulta e in grado di prendere da sola la tue decisioni. Se io o tua madre ti impedissimo di frequentarlo, lo faresti comunque di nascosto e onestamente preferisco essere informato.»
Lo ascolto, è sincero e mi stimola a sbilanciarmi.
«Ma ti da fastidio?»
«Non faccio i salti di gioia, se è questo che intendi» fa una breve pausa, guarda fuori dal finestrino, lontano, come se cercasse un ricordo ormai lontano che però non mi è dato conoscere, poi riprende il filo del discorso «ma se scegli lui, starò dalla tua parte, sempre.»
Le parole di Daniel mi rincuorano. Sapere che approverebbe la scelta di stare con Blazej mi leva un peso che, da settimane, mi schiacciava il petto, dividendomi il cuore in due parti identiche e di ugual importanza. Daniel è quel filo invisibile che le ricuce e le riunisce grazie alla comprensione.
«Grazie, per me è importante...» gli dico con sincerità.
«Sei mia figlia, ed è mio dovere sostenerti e starti accanto. Credo che Blazej sia un bravo rag...» Alza le sopracciglia e morde il labbro inferiore «ho difficoltà... Avrà, uhm, chiamarlo ragazzo è... forse uomo è più corretto, oppure no... »
«Papà, stai pensando a voce alta» gli faccio notare. Tuttavia, questa sua distrazione mi strappa un sorriso e ne avevo bisogno.
«Perdonami, voglio solo dire che mi sembra una brava persona. Perciò, accettalo.»
«Ma io lo accetto!» esclamo convinta, ma ci tengo a chiarire chi, invece, non riesco a ad accettare «è Veicht che...»
«Potrai dire di averlo accettato, quando guarderai il suo viso e non ne avrai paura. Lo hai visto?»
«Se intendi... no, ho visto solo Veicht.» e non è stato piacevole...
«Ti ha spaventata?»
«Veicht è spaventoso anche se sta fermo immobile, quindi sì, ero terrorizzata a vedergli zanne e occhi.»ammetto senza troppi giri di parole.
«Dovrai vedere Blazej, solo così sarai sicura di poterlo accettare.»
Ricordo bene com'era e ho difficoltà a immaginare la stessa espressione violenta e mostruosa sul dolce e armonico viso di Blazej.
Annuisco; ho capito il discorso di mio padre e so che ha ragione.
È la stessa cosa che ti ha detto Veicht, con parole diverse, ma la sostanza è quella...
Già, quel confronto...
Sembrava un'altra persona: coscienzioso e saggio a suo modo, così diverso dal mostro impulsivo e violento di questa notte.
Sbuffo, pensarci mi fa solo venire mal di testa e ho una tale confusione adesso che ho bisogno di restare sola e ragionare.
Senza dire altro, Daniel rimette in moto l'auto, percorre gli ultimi metri che ci separano da casa.
Come concordato, con mia madre fingo che sia tutto apposto. Abbiamo dato una versione più o meno plausibile. Mio padre ha avuto un'urgenza a lavoro – neanche troppo lontano dalla verità – e io sono stata con i miei amici finché non è venuto lui a riprendermi.
Credo che lui sia molto più bravo di me a fingere, o forse mia madre è abituata alla mole di sciocchezze che in questi anni gli ha rifilato papà, perché sono certa che abbia omesso più informazioni lungo il corso della loro vita insieme.
Loro si ritirano in camera e io faccio lo stesso. Mi spoglio dall'abito da strega che mi sono confezionata da sola. Non avrei potuto scegliere altro personaggio per la notte di Halloween, ma non sono l'unica che non era affatto travestita questa notte. Veicht ha interpretato perfettamente il suo personaggio... fin troppo.
Mentre mi strucco, il cellulare inizia a squillare. È tardissimo e sento le gambe cedere all'idea che possa essere successo altro. Tuttavia, mi faccio coraggio e lo afferro. Sul display il nome di Blazej, ho un tuffo al cuore, ma rispondo.
«Cos'è successo?»
In preda all'ansia, salto i covenevoli.
«Al, calma, nulla di grave, ma ci sono stati risvolti» fa una breve pausa, forse aspettandosi che io dica qualcosa, ma sono troppo agitata, anche se mi ha detto di stare tranquilla, non ci riesco.
«Veicht ha fatto dinenticare tutto a Ratri, perciò lunedì,in ateneo, dovrai comportarti come se non fosse successo nulla, tutto chiaro?»
E me lo dice così?
«Aspetta, aspetta, spiegami meglio...»
Con pazienza, mi racconta quello che è successo quando io e mio padre abbiamo lasciato la villa. Il gesto che ha fatto nei confronti di Ratri è nobile, ma non cancella il delitto.
Mi mettono in difficoltà, non sarà affatto facile fingere che questa notte non ci sia mai stata.
«Bì, non so se ci riesco... »
«Al, devi farlo, è necessario e... io credo in te, sono sicuro che ci riuscirai.»
Non può vedermi, ma ho una smorfia sul viso, sono poco convinta delle sue parole e delle mie capacità. Le mento già ogni giorno, sapendo benissimo chi è e quale sia il suo destino, ma fingere che non abbia mai vissuto un'esperienza così brutta, credo sia impossibile.
«Ci proverò...»
Segue un intenso silenzio. Avrei da dire molte cose, vorrei vederlo e parlargli... affrontare le mie paure, ma la lingua è paralizzata.
«Ally, come stai? Ti ho chiamato anche per questo... io... insomma, sono preoccupato...»
Vorrei tranquillizzarlo, ma mentirgli non servirebbe a niente.
«Sono scossa, Bì e... » Non so come proseguire, perciò dico solo «ho bisogno di metabolizzare e dormirci su.»
«Sì, scusami, devi dormire, hai ragione... quando, uhm, se ne vuoi parlare, io ci sono... buonanotte Al.»
«Grazie.»
Chiudo la chiamata con l'amaro in bocca. Dal suo tono di voce ho capito che avrebbe preferito un'altra risposta, ma sarebbe stata fasulla e voglio essere onesta con lui.
Passo una mano tra i capelli. Sono certa che questa notte non riuscirò a prendere sonno, troppi pensieri, come tornadi, mi vorticano in testa e non mi lasciano quietare. Vorrei mettere in pausa il cervello e non posso, dovrò, invece, spingere me stessa oltre i limiti. Fingere in casa che vada tutto bene, fingere con Ratri che non sia successo niente, troppi teatrini e poca convinzione di saperli portare avanti.
Spero solo che mio padre e Blazej possano aiutarmi anche in questo.
Dopo una domenica passata in totale isolamento – non ho voluto sentire nessuno, nemmeno Blazej, avevo bisogno di stare con me stessa, anche se ancora sono molto confusa – questa mattina mi ritrovo a dover interpretare una commedia che di comico non ha proprio nulla, anzi. Sembra una di quelle amatoriali a basso budget, dove gli attori nemmeno sanno recitare e io sono la protagonista che vincerà l'Oscar come peggior attrice, peggior interpretazione, peggior personaggio.
Siamo davanti al distributore automatico nell'atrio principale dell'ateneo e Ratri ha l'umore nero, ma non per le motivazioni giuste.
La osservo mentre tiene gli occhi fissi sul biondino al lato opposto del salone. Appoggiato con la schiena al muro, ride e scherza con un gruppetto di ragazze che, civettuole, fanno a gara per attirare la sua attenzione.
Mi dà sui nervi, ma per ragioni differenti rispetto a quelle di Ratri. Mi chiedo con che coraggio sia così tranquillo e si faccia vedere in giro. Al suo posto mi rintanerei in un buco e non ne uscirei più per la vergogna e il rimorso, ma di queste due parole non ne conosce il significato.
All'improvviso, uno scricchiolio e una goccia bollente mi arriva addosso.
«Ratri!» esclamo sconcertata. La sua mano inanellata tiene stretto il bicchiere accartocciato e il caffè le sporca le dita affusolate.
Lei sembra destarsi da una sorta di trance, osserva il pavimento chiaro sul quale giace una chiazza scura. Impreca a denti stretti e si affretta prendere dei fazzoletti dalla borsa per pulirsi.
«Va tutto bene?»
«No! Mi irrita il sistema nervoso. Mi bacia, poi dice che non gli è piaciuto, poi entra in camera mia, poi fa lo stronzo e ora guardalo lì: a giocare al gallo nel pollaio.»
Si sfoga, ma io non posso fare a meno di sgranare gli occhi.
«Ratri, abbassa la voce.»
So benissimo che non servirebbe comunque, sono certa che stia ascoltando la conversazione e che abbia assistito alla scena del caffè.
«Figurati se mi sente, è dall'altra parte e poi anche fosse sai quanto me ne frega? Non dico nulla di falso, è lui che deve farsi un controllino dallo psichiatra!»
Sull'ultima frase non posso che concordare e quasi mi strappa una risata che, però, muore sul nascere quando rivolgo lo sguardo all'oggetto delle nostre chiacchiere. Serio, concentrato, oserei dire, su Ratri. Ha perso il totale interesse al gruppetto che lo circonda e idolatra a favore della mia amica, ma il suo sguardo non promette niente di buono. Deglutisco.
«Ratri, forse è meglio se ti calmi...»
«No, io non voglio calmarmi. Sono stufa del suo comportamento altalenante. E cosa ci troverà in quelle deficienti che non fanno altro che seguirlo come delle papere che starnazzano!»
Esagera e alza la voce. Osservo il vampiro con la coda dell'occhio e sembra aver cambiato espressione, un piccolo sorriso di soddisfacimento gli si affaccia sulle labbra.
Stronzo!
Immagino che ci goda a vederla struggersi per lui, ma lei non sa che sta perdendo il sonno per un assassino che merita tutto tranne che attenzioni.
«Lascialo perdere. Uno così non è per te, anzi per nessuna.»
Lascio che sia l'impulso a parlare, ma me ne pento immediatamente. Mi mordo le labbra. Devo andarmene da qui subito, prima di dire altro...
«Ora andiamo, dai, abbiamo lezione.» In realtà ho un paio d'ore libere, a differenza di Ratri, ma voglio allontanarmi dalla vista di Veicht il più velocemente possibile.
Accompagno la mia amica all'aula, senza specificare il fatto che io non abbia affatto lezioni e poi esco in giardino. Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, questa mattinata sembra non avere mai fine.
Cammino senza sosta fino ad arrivare ai cancelli dell'università. Non avevo una meta precisa, ma dato che sono arrivata fino qui, decido si andare al parcheggio.
Un giro in macchina, con la musica che risuona nell'abitacolo, potrebbe aiutarmi a calmare i nervi che, ormai, sono così tesi da rendermi rigida come un manichino.
Apro la macchina che, vecchia, ha ancora bisogno che si giri la chiave nella fessura, ma subito vengo spinta dentro e ribaltata nei sedili posteriori. Il tempo di alzare la testa, vedere una chioma bionda al posto di guida, che l'auto parte a tutta velocità.
Sono nella merda...
Ciao a tutti, come state?
Eccoci con il pov di Alanora.
È solo una prima parte come avrete capito dal finale di capitolo.
Ma nel frattempo, ditemi, voi al posto di Alanora avreste reagito nella stessa maniera?
Come vi sembra suo padre, Daniel?
Pronostici sulla chiacchierata con la chioma bionda? XD
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento e una stellina, io vi mando un besito e ci vediamo prestissimo con la seconda parte.
Besitosss
Hell♡
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