Capitolo 21 Il vero mostro (parte seconda)
VEICHT
Una macchina. Lo sportello posteriore aperto e due corpi, uno sopra l'altro. E, poi,
l'odore del suo sangue...
È ferita. L'ha ferita.
"Veicht!"
Non lo ascolto, qualsiasi cosa abbia da dirmi, sono parole al vento. Con uno scatto sono già dall'auto. Afferro l'uomo per i capelli e per i vestiti, lo tiro via e poi, come se fosse un semplice fantoccio, lo scaravento dietro di me. Non importa dove sia finito, le mie attenzioni su Ratri.
Ha l'odore di quello schifo umano addosso, ma noto, con mio grande sollievo, che le sue parti intime sono ancora coperte. Lo stesso non si può dire del seno. Ha le spalline de vestito abbassate, il petto esposto e inumidito dalla saliva di quel figlio di puttana.
Ha una piccola ferita alla testa, ma anche se stordita, è cosciente. Non so dire se sia una fortuna o meno perché, vedere le guance bagnate di lacrime, mi fa immaginare che sia stata sveglia e abbia sentito tutto quello che le ha fatto.
Rimane immobile, nonostante sia libera, emette solo singhiozzi silenziosi che mi provocano emozioni contrastanti. Rabbia, anzi, Furia cieca contro colui che l'ha ridotta così, e tenerezza per lei.
Cerco di infilarmi nell'abitacolo senza, però, invadere troppo il suo spazio vitale.
«Bestiolina...» la chiamo con dolcezza. Lei si volta con lentezza. È spaventata.
Gli occhi lucidi, arrossati, sembrano ancora più grandi. Un animale indifeso, spaurito e la mia rabbia cresce.
Mantengo il contatto visivo con lei, mentre, con lentezza, senza sfiorare la pelle con le mani per non crearle imbarazzo alcuno - non con me - faccio aderire la stoffa al seno esposto per coprirlo.
Faccio scivolare le mani sotto la sua schiena. Sussulta appena e trema. Un cenno della testa a chiederle un permesso che non mi serve, perché la porterei via di qui comunque. Tuttavia, accolgo il suo silenzio come assenso. Faccio leva sulla sua schiena e la prendo in braccio, per poi far aderire il suo corpo al mio e tirarla fuori da quella macchina infernale.
«Come sta?»
Blazej mi affianca, lancia un'occhiata a Ratri, carica di compassione. Le accarezza la fronte con il dorso della mano, ma lei non reagisce. Lo sguardo perso nel vuoto e una mano che stringe la stoffa della mia camicia, come se da quella stretta ne dipendesse la sua vita. Ma ora è al sicuro.
«È sotto shock.»
«È ferita...»
Lo è. Non so con cosa l'abbia colpita, ma non è grave. Tuttavia, preferire venisse visitata.
«Avvisa Alanora che l'abbiamo trovata e digli di far venire suo padre alla villa, deve visitarla lui.»
Annuisce, ma prima che possa prendere il telefono, dentro di me scatta qualcosa. Cala il velo rosso sugli occhi, le gengive iniziano a pulsare e i canini si allungano in un lento processo, ma è abbastanza per mettere in allerta Balzej.
«Veicht... d-dalla a me.»
Allarga le braccia per accogliere il corpo di Ratri, mentre mi osserva preoccupato e pronto a intervenire.
So a cosa sta pensando anche se non lo esprime con chiarezza. Ma non è il sangue di Ratri ciò che ha risvegliato gli istinti, o meglio, non solo. È stato un lamento, il lamento di quella feccia, ancora viva e vegeta.
Volto di scatto la testa nella sua direzione. Il fatto che respiri ancora mi urta e un ringhio animale mi risuona tra i denti.
«V-veicht... »
La voce di Balzej trema e so cosa devo fare. Riporto l'attenzione su di lui e, con estrema cura e freddezza, lascio scivolare il corpo di Ratri tra le sue braccia. Tuttavia, lei non lascia la presa dalla mia camicia.
Per un attimo, ritrovo la lucidità. Lei, con questo semplice e innocente gesto, mi trattiene, trattiene il mostro e penso che questa potrebbe essere la soluzione giusta. Andare con loro, calmarmi e dimenticare.
Ma basta un ulteriore lamento di quell'uomo a farmi tornare allo stato di predatore. Non esiste nulla di più potente della sete dettata dalla rabbia. Ella percuote l'uomo che sono e lo costringe a farsi da parte, relegandolo in un angolo della coscienza dal quale sarà difficile riemergere. Ella, poi, con una violenza inaudita, invoca la belva feroce, la quale non attende altro che una mia resa.
"Portala via." Ordino lapidario, mentre stacco la mano di Ratri dal lembo di stoffa.
"Non posso lasciarti qui, non così... non... respira e vieni via con noi."
A nulla serve il tentativo di Blazej di farmi desistere. Ormai ho deciso, mi sono arreso e sono felice di averlo fatto.
"Ho detto... portala via!"
Ratri, ancora preda dello shock, non emette un suono. Credo che il mio gesto non le sia piaciuto, ma in questo momento non sono sicuro di niente, ho solo una cosa in testa, una voglia e ho bisogno di soddisfarla. Lancio di nuovo uno sguardo fulmineo a Blazej, il quale, per istinto, stringe Ratri a sé e mi osserva allibito.
Sono consapevole che non approva, ma non può fare niente per fermarmi, non con Ratri qui.
Lei si rannicchia contro il suo petto e il fastidio che provo è pari alla rabbia che sento crescere dentro sempre di più. Non posso, non riesco e soprattutto non voglio, trattenermi ancora.
"Vattene, adesso!"
Deluso, ma impotente, si allontana con Ratri tra le braccia. Li osservo superare la boscaglia e li sento avvicinarsi alla macchina. Non appena sento che mette in moto, sorrido.
Mi volto con lentezza verso... la mia preda. Mi avvicino, è ancora a terra agonizzante, ma non abbastanza per i miei gusti.
«Uhm, che brutta serata, eh?» Gli chiedo in tono mellifuo, mentre m'inginocchio accanto a lui.
Lui è confuso, dolorante, tuttavia riesce a parlare.
«C-come hai fatto a...»
«Mh, domanda sbagliata. Non è importante cosa ho fatto o come, ma quello che ti farò adesso.»
Mi osserva ancora più interdetto, ma non gli do il tempo di porre ulteriori e inutili domande, mi approprio del suo spazio vitale e gli afferro una mano. Lo guardo fisso negli occhi mentre tenta di liberarsi dalla presa. Tutto inutile, ma molto divertente, o almeno per me. Inizio dal migliolo che, con un gesto netto, ma fluido, spezzo come fosse uno stuzzicadenti.
L'urlo lancinante che ne segue è musica per le mie orecchie. Così disturbante eppure così melodico.
Si contorce dal dolore, senza sapere che questo è solo l'inizio. Ancora agonizzante, riesce a prendere fiato e ad aprire ancora quella bocca.
«Chi diavolo sei tu?» Mi urla contro.
«Non è una mossa intelligente, mi irrita si alza la voce con me e sono piuttosto incazzato. Non che più silenzioso cambieresti la tua sorte»
Sbarra gli occhi pervasi di paura e mi provoca un piacere perverso, tanto da suscitarmi un sorriso.
«Comunque, sarò magnanimo e ti spiegherò. Comincio con il dirti che paragonarmi al diavolo è scorretto. Io sono solo un tramite per farti arrivare a lui. Tuttavia, dovrai prima soffrire sulla terra, soffrire molto.» Non aspetto un suo ulteriore respiro e mi accingo a spezzargli l'anulare.
Di nuovo, come ovvio che sia, urla di dolore. Non mi scompongo e proseguo nella spiegazione.
«Vedi, tu hai scelto la persona più sbagliata sulla faccia della terra con cui soddisfare le tue perversioni. Hai scelto l'unica donna che è intoccabile, l'unica di cui m'importi. Oh, a te lo posso dire, ti poterai il segreto nella tomba, ma la bestiolina, sì, la chiamo così, è riuscita in qualche modo a farmi provare dei sentimenti. Non so esattamente quali, tuttavia mi spingono a proteggerla da ogni pericolo e tu, mio caro, sei un grosso pericolo.»
Procedo nello spezzargli le restanti dita di quella mano, una dopo l'altra e con lentezza calcolata.
Spero solo che non svenga dal dolore o ci metterò più tempo. Dovrei farlo riprendere e poi ricominciare, deve sentire tutto.
«N-non... n-non p-uoi uccidermi.» Arranca.
Scoppio a ridere per l'assurdità della sua affermazione in quanto effettivamente posso e lo farò.
«Sì, invece, ma non subito, è ovvio. La morte per te è un privilegio che ancora non ho voglia di concederti.»
Ripeto la solita operazione, questa volta sull'altra mano e, nel mentre, mi sento ispirato. Inizio a fischiettare una canzone, non c'entra molto con la situazione, ma una piccola frase al suo interno mi strappa un sorriso, così inizio a canticchiarla a voce alta.
«'Cause I really always knew that my little crime would be cold, that's why I got a heater for your thighs...»
Intono la canzone accompagnato dalle urla di dolore dell'uomo che ora ha tutte e dieci le dita spezzate. È come se fosse il mio strumento, scordato certo, in quanto la sua voce non è in sintonia con la mia, ma considerare questo figlio di puttana come una chitarra che a fine concerto distruggerò, ha un non so che di scenico.
«And I know, I know it's not your time, but bye, bye!»
Amo giocare con le prede, ma di solito è un gioco che dura molto poco. La sete prende quasi subito il sopravvento, invitandomi a nutrirmi il mio in fretta possibile. In questo caso, invece, a guidare le mia azioni è un insano sadismo che solo in altre due occasioni mi ha permesso di torturare la vittima.
L'uomo accasciato accanto a me, ora, striscia in un patetico e alquanto inutile tentativo di fuga.
«Dove pensi di andare?» Lo schernisco, poi lo afferro per il bavero e lo innalzo sopra la mia testa. Infine, di nuovo, lo scaravento contro un arbusto. Questa volta devo avergli fatto più male, perché sento l'odore del sangue. Si deve essere ferito durante l'urto.
«A-Aiuto!» Urla con quel poco di fiato ancora rimastogli.
«Lei chiedeva aiuto?»
Non risponde alla mia domanda, il che mi irrita ancora di più. Mi avvicino e gli assesto un calcio sull'addome.
«Ti ho fatto una domanda!»
Tossisce e sputa sangue. A questo punto la sete riemerge. Non giocherò ancora per molto.
«N-no»
Non l'ho sentita chiamare aiuto, infatti.
Coraggiosa...
Oppure credeva che nessuno l'avrebbe salavata...
"Prendila e non lasciarla cadere."
Ho fatto una promessa e intendo mantenerla per quanto possibile, almeno finché lei sarà innocua per me.
Il sangue si fa sempre più copioso e io non riesco più a trattenere la mia natura. Le gengive pulsano, la salivazione si attiva e, poco dopo, i canini si allungano in due lame affilate e taglienti.
La mia coscienza smette di esistere nel momento in cui poso gli occhi sulla macchia purpurea che si allarga colorando i vestiti della feccia umana. Sugli occhi cala l'ombra rossa, segno che non c'è più nulla di umano nel mio aspetto e niente può fermarmi adesso. È come se il mio corpo avesse già ucciso, ancora prima di effettuare il crimine.
«Sei un essere abbietto. Come? Prima rapisci una ragazzina per farle solo dio sa cosa e poi chiedi aiuto per qualche ossa rotte? Dai, sii uomo e alzati!»
Lo schernisco, conscio che non riuscirà a rimettersi in piedi, ma per umiliarlo ancora, mi accanisco contro le sue caviglie. Il suono delle ossa rotte è come lo scricchiolio delle foglie autunnali calpestate. Lui non merita altro che questo, essere calpestato.
«Mh, non riesci proprio a metterti in piedi, eh?»
Sono io ad alzarlo e, di nuovo, con una sola mano. Ora è faccia a faccia con me e vede per la prima volta il mio viso mutato. Sgrana gli occhi inorridito.
«Sei... un mostro!»
Pessima scelta di parole.
Gli rivolgo un ghigno malefico.
«E non un mostro qualsiasi: un vampiro e tu il mio pasto!»
Non attendo risposte. Non è più tempo di giocare, ho sete e voglio placarla.
Affondo i canini nel suo collo, la cui pelle lacerata produce un suono stridulo, ma uno molto più acuto lo sovrasta: un ulteriore urlo di dolore da parte dell'uomo. Questa volta però è diverso, più spento, come se sapesse che questo sarà l'ultimo della sua vita... è un grido di morte.
Non mi fermo, non ho intenzione di farlo. Dopo mesi e mesi passati a reprimere la sete, ora voglio solo soddisfarla, soddisfare la belva che brama sangue ogni secondo della mia dannata esistenza. Mi beo del liquido vermiglio che abbandona il corpo della vittima per nutrire me. Ogni goccia mi mostra un suo ricordo, una sua esperienza, un suo pensiero: una moglie maltrattata, ragazzine che, come Ratri, hanno subito le molestie e gli abusi di questo escremento dell'umanità. E, nonostante io stia togliendo una vita, non mi sento affatto un mostro, ma come colui che ripulisce il mondo da quelli che, come questo individuo morente, sono i veri mostri.
La mia coscienza è in pace, non provo alcun senso di colpa.
Quando anche l'ultima goccia di sangue abbandona il suo corpo, ritraggo i canini e lascio cadere il corpo a terra.
Una piacevole sensazione di rinascita mi pervade. Il sangue umano ha questo effetto rigenerante, ma anche assuefacente e, se di solito sono abituato a berne un quantitavivo modico e controllato, cinque litri bevuti tutti in un sorso provocano una potente reazione nel corpo: la dipendenza., la richiesta da parte della belve di procurarne altro, ancora e ancora.
Tuttavia, la parte di me soddisfatta da questo pasto imprevisto, riesce a prendere il sopravvento e a farmi tornare lucido, o almeno, in grado di ristabilire il solito equilibrio precario a cui, ormai, sono abituato da decenni.
Osservo il cadavere dell'uomo e mi lascio andate a una smorfia.
«Tzs, nemmeno un'abilità utile. Eri solo un verme e dai vermi verrai finito.»
In realtà, per quanto vorrei davvero che diventasse cibo per quelle bieche creature striscianti, non posso lasciare qui il corpo.
Devo occultare il delitto.
Ciao a tutti, scusate l'attesa!
Questo capitolo è stato un po' un parto e non sono del tutto convinta di come sia venuto.
Volevo rendere Veicht più macabro e malato del solito e non so se ci sono riuscita. Fatemi sapere e accetto consigli.
Inoltre non ero sicura di far finire qui la seconda parte (Sì, ci sarà la terza) però avrei dovuto descrivere tutta un'altra scena e avevo paura diventasse lunghissimo, quindi preferisco chiuderlo qua e inserire l'occultamento nella prossima parte.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento e una stellina. Io vi mando un besito e ci vediamo (spero) presto con la terza parte.
Besitosss
Hell♡
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