Capitolo 19 Eclissi
RATRI
Filtra nella stanza una fastidiosa luce, è quella del sole che ha deciso di porre fine al mio riposo.
Accidenti, ieri mi sono dimenticata di chiudere le persiane!
Ieri sera...
Cerco di ricordare tutto quello che è successo, ma mi rendo presto conto che mi è difficile. La testa mi scoppia, ma per fortuna prima di oggi pomeriggio non ho lezioni, quindi ho tutto il tempo di rimettermi in sesto.
Scosto le coperte e scendo dal letto. Vado in bagno e mi lavo la faccia, ma a ogni movimento che faccio, la mia mente si sveglia insieme al mio corpo e alcuni ricordi del giorno precedente riaffiorano. La mia visione, la confessione di Francesca e poi... un nome.
Emma...
Quel nome mi martella in testa come a voler essere preso in considerazione a tutti i costi. Ho il vago ricordo di Mark che racconta della sua sparizione e di come, secondo lui, centrino gli Andrews.
Questo scatena una reazione a catena, poiché subito riaffiorano in me immagini di ieri sera. Credo di aver detto una serie di sciocchezze, anzi, forse devo aver fatto anche delle accuse nei confronti dei tre fratelli.
Mi batto la fronte con la mano, provo una vergogna tale da farmi venire voglia di chiudermi in camera e non uscire. Ed è quello che faccio.
Mi vesto, ma non scendo nemmeno a farmi il caffè che, comunque, non berrei. So già che mi darebbe la nausea dopo la sbronza di ieri sera.
So che prima o poi dovrò uscire da qui, ma ora come ora non me la sento. Anche non ci fossero i fratelli più piccoli, di sicuro Michey è in casa, e io non ricordo se ho detto qualcosa anche contro di lui ieri sera, ma sono più che certa che, se dovesse intercettarmi, vorrebbe parlare di quanto successo.
Dovrò fare una bella corsa giù per le scale e poi fuori dalla porta per evitarlo.
Già, ma anche fosse, prima o poi lo troverei davanti alla porta ad aspettarmi. Sa essere invadente quando vuole; come quella volta alla mostra di Blazej per quel piccolo bacio che ci siamo scambiati. Non ci siamo mai chiariti per davvero, abbiamo semplicemente fatto entrambi finta di niente. Tuttavia se quella volta ero nel pieno della ragione, adesso ho di sicuro torto, seppur io non mi ricordi di preciso che cosa ho detto.
Ma la speranza di evitare un confronto si rivela vana quando, dopo circa un'ora dal mio risveglio, sento bussare. Sobbalzo e perdo un battito, porto una mano al petto e deglutisco mentre osservo la porta. Non può essere Veicht, lui non busserebbe di certo. Perciò mi rimangono due opzioni e una la scarto a priori: Blazej non è così diretto.
«Ratri, vorrei parlarti, sei presentabile?»
Di solito le sue espressioni mi fanno sorridere, ma il tono di voce severo mi raggela il sangue. Mordicchio le unghie e rispondo con un incerto "sì".
Apre la porta e la sua figura imponente fa capolino nella stanza. Il suo sguardo, già di per sé affilato e penetrante, è così indurito da amplificare la soggezione che da sempre quest'uomo è in grado di provocarmi.
Tra di noi cala il silenzio e questo non fa altro che aumentare il mio stato di angoscia. Non so quanto passa, forse pochissimi secondi, ma a sembrano infiniti. Così decido di intavolare io la discussione.
«Michey, ascolta...»
«Non ho intenzione di farti alcuna ramanzina.» Lo guardo sorpresa, non me lo aspettavo. Sospira e poi riprende la parola.
«Vorrei solo sapere se stai bene, Veicht mi ha accennato del tuo svenimento.»
«Sì, sto bene.» Rispondo meccanica perché non so dire altro. Come gli posso spiegare che in realtà non sono svenuta e che i miei non sono semplici giramenti di testa?
Tuttavia, ho l'impressione che non mi creda. Il suo sguardo pesa su di me, sonda la mia anima in cerca di una vera risposta, quella che non oso dare. Arriccia le labbra: sa che è una bugia. Non so come, eppure lo sa e qualcosa in me mi fa sentire in difetto. Distolgo lo sguardo messa a disagio non da lui, ma dalle emozioni che mi provoca. Non voglio mentirgli, nonostante il suo controllo mi irriti, e non capisco perché io mi senta in dovere di essere onesta nei suoi confronti.
«Meglio così» Risponde senza alcuna convinzione, ma tanto basta a farmi tirare un sospiro di sollievo. Ancora qualche secondo scrutata dai suoi occhi e di sicuro avrei vuotato il sacco, seppur convinta che mi prenderebbe per pazza.
«Tuttavia, c'è un'altra cosa che vorrei chiederti, se posso.» continua e io mi sento di nuovo avvampare.
«Certo!» Provo a rimanere calma, ma la mia voce tradisce l'incertezza di quell'affermazione.
«Cosa ricordi di ieri sera?»
Pone la domanda con estrema delicatezza, ma io so che non è quello che vuole chiedere davvero.
La vera domanda è: Ti ricordi di Emma?
È una sensazione sulla pelle, eppure sono convinta al cento per cento che è questo ciò che voleva chiedermi. Perciò rispondo senza peli sulla lingua.
«Se ti riferisci a Emma e a tutto quello che mi hanno raccontato, sì me lo ricordo.»
Annuisce pensoso.
«Dunque, immagino tu voglia saperne di più, sbaglio?»
Chi non sarebbe curioso? Tanto più ciò che ho sentito.
Mi stringo nelle spalle e cerco di non dare a vedere quanto la curiosità, ma anche l'ansia, mi tormentino.
«Mettiamola così, Ratri, a discapito di quanto ti hanno detto. Nessuno ha rinchiuso nessuno. Emma non era prigioniera, e dovresti ben guardarti dal credere alle conversazioni "da bar". Ti abbiamo accolta in casa, sei trattata come un'ospite privilegiato, e non mi è piaciuto affatto il tono accusatorio di ieri sera!»
Eccolo, il rimprovero. Diverso da come me lo aspettavo, diverso è anche il modo in cui mi fa sentire. Vorrei reagire, dirgli che lui mi fa sentire in trappola con il suo controllo, sputargli in faccia quanto mi abbia dato fastidio ciò che ha detto e fare le valigie. Ma non lo faccio. Abbasso gli occhi, mi viene da piangere. Se una volta sono riuscita a rispondergli a tono, adesso, non posso farlo. Perché una parte di me sa che ha ragione, non avrei dovuto accusarli senza sapere. Odio chi lo fa e mi sono sempre reputata più intelligente in questo. Provare a conoscere gli altri prima di esprimere un giudizio.
E io li ho conosciuti, a parte qualche divergenza e Veicht che é scostante, mi trovo bene qui. Poi penso a Blazej, ieri sera nell'accusa c'era di mezzo anche lui, che è sempre stato gentile nei miei confronti e con il quale avevo instaurato un bel rapporto di amicizia. Mi sento di schifo per quello che ho detto.
«M-mi dispiace» riesco a malapena a dire con la voce spezzata dal groppo che mi si è formato in gola.
«Ratri, vorrei che tu capissi che io non ho intenzione di controllarti e se mi preoccupo per te è solo perché vivi sotto il mio tetto, sei in qualche modo parte della famiglia e godi del privilegio di protezione.»
È esagerato il suo discorso. Da cosa dovrei essere protetta? Sono grande abbastanza.
Ma in fondo, è Michey, no? Lui parla così.
Mi limito ad annuire, incapace di prendere una posizione. Lui si avvicina alla porta e, prima di uscire, mi lancia un'ultima occhiata. Accena a un lieve movimento del capo per accertarsi che io abbia inteso, perciò ricambio e, non appena esce dalla stanza, butto fuori il fiato che non mi ero accorta di aver trattenuto.
C'è qualcosa di strano in quell'uomo, qualcosa che va oltre la mia comprensione, che mi spinge a cercarne l'approvaziome. Non ho mai provato timore, ma una certa soggezione sì, e ora mi sento da schifo. Il suo sguardo gelido su di me, il fatto che fosse, anzi, credo che ancora lo sia, arrabbiato e deluso da me e dal mio comportamento, mi fa stare male. Ma perché? Non è nessuno per me, solo un padrone di casa. Casa nella quale non ho messo le radici, potrei andarmene quando voglio. E allora perché una parte di me ha il terrore anche solo di pensarla una cosa del genere?
È come dice Veicht, che voglio andarci d'accordo solo perché non saprei dove altro andare?
No, Veicht si sbaglia! Deve esserci un motivo, e prima o poi lo capirò.
Il pomeriggio è passato lento, sono uscita dalla camera solo per pranzare e poi mi sono di nuovo rifugiata qua dentro. È inutile girarci intorno, il discorso di Michey mi ha turbata e non avevo voglia di rivederlo. Ma a dare una svolta positiva a questa giornata ci ha pensato Alanora. Ci prendiamo una serata tra ragazze, mangiamo una pizza insieme. So che non vede l'ora di raccontarmi tutto ciò che è successo tra lei e Blażej e io, da buona curiosa, non aspetto altro. Indosso il cappotto e prendo la borsa. Alanora mi aspetta fuori dai cancelli, come sempre.
Scendo le scale fulminea e guadagno l'uscita senza essere intercettata. Quando esco in giardino, però, non sono sola. Veicht sbatte la portiera dell'Alfa. Si volta e mi vede. Rimango ferma sui gradini, indecisa se parlare o ignorarlo. Non mi saluta, ma sento con chiarezza lo sbuffo di fastidio che emette quando arriva vicino a me.
Non riesco a stare zitta, ma poiché è palese sia nervoso, tento un approccio neutro.
«Stai rientrando?» interrompe il passo appena mette piede nel porticato, si volta e mi fissa in tralice.
«E tu stai uscendo, finito di sottolineare l'ovvio?» Sputa velenoso. Ho capito che provare a far finta di nulla non servirà. Sospiro e risalgo gli scalini fino a raggiungerlo. Cammino piano, lui è ancora lì che mi guarda, nemmeno lui si muove. Non so se sia un buon segno o meno.
«Veicht, mi dispiace. Dimentica quello che ho detto ieri, ero ubriaca e non penso che siate degli assassini...»
«Ratri, pensi me ne fotta qualcosa della tua opinione o quella di quei quattro imbecilli che si divertono a fare conversazioni da bar?»
Abbasso lo sguardo. Mi tratta alla stregua di una bambina che non è in grado di avere una propria opinione, ma non è così.
«Come vuoi. Volevo solo dirti che non credo a ciò che hanno detto, punto.»
«Ti ripeto che della tua opinione a riguardo non m'interessa. Ti è chiaro?»
Lo guardo negli occhi di quel verde così intenso da brillare anche al buio. Assottigliati dalla rabbia sembrano volermi trafiggere, ma l'arma più letale che lui possiede è sua bocca. Quelle labbra carnose che spesso mi è impossibile fissare, ora si schiudono per vessarmi un'altra volta. Una lotta senza fine fatta di botta e risposta. La sua rabbia nei miei confronti è comprensibile, ma se non è la conversazione al bar che cos'è in realtà ciò che lo infastidisce?
«E allora mi spieghi perché sei tanto arrabbiato con me?»
«Perché?» Sgrana gli occhi come se avessi chiesto qualcosa di banale e, al contempo, avessi detto una blasfemia. Ruota il corpo in una posizione che mi preoccupa, sembra un felino pronto ad attaccare, e lo fa: mi attacca!
«Sei svenuta ieri mattina, ti ho dovuta riportare in camera in braccio perchè non eri in grado di stare in piedi. E tu cosa fai? Eh? Ti ubriachi! La cosa più intelligente da fare, giusto? Se devi chiedere scusa, chiedilo a te stessa per essere tanto stupida e per non essere minimamente in grado di prenderti cura di te!»
Rimango ferma immobile. Subisco il suo attacco verbale in silenzio. So che ha ragione, ma nel suo tono c'è altro o forse io voglio illudermi che sia così.
Conoscendolo, direi che è impossibile. Non mi ha mai sopportata, eppure nei suoi occhi ci leggo una flebile preoccupazione. Forse è questo che lo ha fatto infuriare.
«N-non... non credevo t'importasse... » Incespisco, scossa e confusa dalla sua reazione, eccessiva per uno che mi voleva fuori dalla sua vita fino a poco tempo fa.
«Stupida!» Afferma tra i denti e il suono che esce da quelle labbra sa d'insulto sì, ma sofferto.
Stringo i pugni, intenzionata a farlo smettere, mi avvicino e, sostenendo il suo sguardo, gli grido in faccia:
«Smettila di darmi della stupida!»
«E allora non farla, per Dio!» Risponde con la stessa veemenza, animato come me dalla passionalità di questa rabbia crescente. Questo fuoco che mi esplode nel petto e grida la sua potenza. Rimaniamo fermi a fissarci furibondi, quando qualcosa scatta in entrambi. In un sincronismo violento quanto inaspettato i nostri corpi si attirano uno contro l'altro. La sua bocca sulla mia, quelle labbra che ho sempre bramato ora mi assaporano e mi appagano. Un agognato e oscuro desiderio che ho tenuto in un angolo occulto della mia mente. Sprofonda una mano tra i miei capelli. Percepisco ogni singolo dito sulla testa, come se tutto fosse amplificato. Con l'altra mano mi tiene salda alla schiena, ancorata e incatenata a lui. Ma è lì che voglio stare. Tiro i suoi capelli, mentre le nostre bocche perdurano quella danza peccaminosa, alla quale nessuno dei due riesce più a rinunciare. Non ho più fiato, eppure non riesco a togliermi, nutrita dal dolce sapore di Veicht.
È qualcosa di unico ciò che sta succedendo, così anormale eppure bellissimo. Io e lui insieme, in questo preciso istante, siamo come un'eclissi che non dovrebbe esserci, inaspettata, potente. La nostra passione che oscura la nostra insofferenza reciproca.
Entrambe le sue mani si spostano sul mio viso, ma prima che io possa rispondere alla sua gestualità, separa i nostri visi. Ci guardiamo confusi. Il mio respiro è affannoso, sento le labbra gonfie. Non riesco a staccare gli occhi dal suo viso, che in questo momento ha un'espressione indecifrabile. Toglie le mani dal mio volto, le guarda e poi riporta gli occhi felini su di me. Vorrei dire qualcosa, ma non mi dà il tempo, si allontana come se avesse l'argento vivo addosso, entra in casa e, con un gesto violento, sbatte la porta.
Rimango immobile. Confusa, frustrata e altre mille emozioni che avvelenano il mio corpo e la mia mente.
Ciao a tutti, come state?
Io benissimo dato che ho pubblicato dopo tanto tempo.
(È la prima parte vi avviso, arriverà una seconda)
Maaaaa cosa è successo? XD
Ragazzi io non dico di più, insomma fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, se vi ha suscitato qualche emozione.(A me tante scriverlo, vi giuro)
Fatemi sapere se vi è piaciuto con un commento e una stellina, noi ci vediamo prestissimo con la seconda parte.
Besitoss😘
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