Capitolo 18 Parole di troppo.
RATRI
Una pioggia incessante segna queste ultime giornate di ottobre. Questa mattina fa più freddo del solito, stringo i lembi della felpa al collo e rabbrividisco. Seppur riparata dalla sporgenza del tetto, qualche goccia di pioggia mi raggiunge. Sono questi i rarissimi casi in cui penso che dovrei darci un taglio con il vizio del fumo. Sospiro, consapevole che non basta un po' di freddo per liberarmi da questa dipendenza. Mentirei se dicessi che sono pronta a smettere.
Rientro in casa con il solo obbiettivo di poltrire. Non ho lezioni oggi, ma in compenso questa sera ho le prove con il gruppo per il week end in arrivo. In realtà cose da fare ne avrei, c'è sempre qualcosa da pulire in questa casa.
Guardo Sleepy che è ancora rannicchiato sul cuscino e ha assunto la forma di una piccolissima palla pelosa. In pochi giorni il suo pelo è diventato più lucido e morbido, segno di una buona cura.
«Sono certa che diventerai un bel gattone fra qualche tempo.»
Lo accarezzo sulla testolina, lui apre gli occhi allertato, ma subito dopo sbadiglia e ritorna al suo riposo. Non voglio disturbarlo oltre, perciò sistemo il letto come meglio posso, lasciando il cuscino dove dorme il gatto nella posizione in cui si trova.
Durante la colazione -un caffè doppio zuccherato- decido a quale stanza dedicarmi oggi. Ovvero quella che di solito evito come la peste perché enorme e perché di solito se ne occupa Michey. Ma il mio lavoro in questa casa è aiutare con le pulizie e non posso lasciare che sia sempre il padrone di casa a spolverare la sala da ballo e, poiché ho mezza giornata libera, è giusto che io mi dia da fare.
Purtroppo il tempo là fuori non è dalla mia, avrei voluto lavare i pavimenti e far prendere un po' d'aria ai tappeti persiani. Poco male, vorrà dire che mi limiterò a spolverare i gingilli presenti nella stanza e passare l'aspirapolvere ovunque, divani in stoffa compresi.
Un'ora dopo, decido di fare una pausa sigaretta. Esco nel porticato, fa freddo e la pioggia, imperterrita, continua a battere senza tregua. Un lampo squarcia il cielo ingrigito a metà e, pochi secondi dopo, un tuono si intromette con prepotenza nello scroscio delle gocce, come una voce potente e imperiosa che sovrasta le altre e fa sentire la sua potenza e autorità. Il temporale è vicino. Il vento soffia più forte, si infila tra le fronde degli alberi e produce un suono, un fischio stridulo e sinistro.
Poi, il fischiettare diventa più melodico, più forte e più vicino. Non è più il vento, ma un biondo dall'aria annoiata. Con le mani nelle tasche, viene verso di me. Cammina come se della pioggia non gliene importasse niente, non sembra avere alcuna fretta di mettersi al riparo. I capelli bagnati gli cadono sugli occhi e i vestiti, anch'essi madidi, sono ormai un tutt'uno con la sua pelle.
Si ferma vicino a me, smette di fischiare, ma non dice una parola. Si appoggia con la schiena contro la porta e anche lui si accende una sigaretta. Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, perché il silenzio che si è creato, oltre a essere imbarazzante, ha qualcosa di tetro. Forse è la sua calma apparente o il suo aspetto, ma mi sento inquieta.
Ho finito la sigaretta, dovrei rientrare, eppure lui è lì a sbarrarmi la strada. Sono convinta che non mi farebbe entrare tanto facilmente. Fissa un punto indefinito davanti a sè, le sue labbra carnose avvolgono ancora una volta il filtro della sigaretta e mentre lascia andare la nuvola di fumo si schiudono con una lentezza che pare calcolata.
I suoi occhi saettano su di me così all'improvviso che mi sento trafitta. Colta sul fatto, abbasso lo sguardo e una vampata di calore mi arriva alle guance. Mi schiarisco la voce e rompo il silenzio.
«Forse dovresti rientrare, sei... sei tutto bagnato, sì, insomma, rischi di ammalarti.»
La mia non è una vera e propria preoccupazione circa il suo stato di salute, non si merita di certo il mio interessamento, ma piuttosto è un invito a entrare cosicché anche io possa farlo e senza dovergli chiedere in modo esplicito di spostarsi.
Non risponde, anzi, porta di nuovo la sigaretta alla bocca e ancora una volta i suoi movimenti sono lenti, troppo lenti. Un tiro più lungo e la finisce, lancia il mozzicone, con uno schiocco delle dita, chissà dove e poi torna a guardare me.
«Faresti meglio a preoccuparti della tua di salute.»
Ho i sensi in allerta. Quest'ultima affermazione mette i brividi, soprattutto per il tono della sua voce, freddo, diretto, quasi adirato.
Getto lo sguardo dietro di me, nel vialetto c'è solo la macchina di Veicht. Deglutisco.
«Se te lo stai chiedendo, sì, siamo solo noi due in casa, o fuori casa dipende dai punti di vista.»
Già, me ne ero accorta...
Di nuovo il suo tono non mi piace, tuttavia non posso rimanere qua fuori. Inizio a sentire freddo e voglio rientrare in casa che al biondino stia bene oppure no. Non gli rispondo e mi avvicino alla porta, ma come immaginavo non si scosta nonostante le mie chiare intenzione.
«Vuoi entrare, Ratri? Paga pegno.»
Il suo sguardo cambia, anche la sua voce ora è più calda, suadente, maliziosa.
Mi agito sul posto, ma per non darlo a vedere troppo sdrammatizzo.
«Ho dimenticato gli spiccioli, mi spiace.» Alzo le braccia e le spalle in un gesto di finta amarezza.
Lui si piega in avanti ad arrivare vicino al mio viso. «Avevo in mente qualcos'altro» si tocca il labbro con il pollice e sorride «dammi un bacio!»
Ma è impazzito?
Mi allontano di scatto.
«Ma come ti salta in mente?»
Ridacchia e si riposiziona contro la porta.
«Eppure, correggimi se sbaglio, poco fa mi sembrava stessi fissando le mie labbra, bestiolina.»
Mi maledico e le mie mani iniziano a sudare per l'agitazione. Non credevo se ne fosse accorto e, soprattutto, sentirglielo dire a voce alta concretizza e rende fin troppo reale uno dei pensieri più reconditi della mia mente. Non posso dire che Veicht non sia attraente, tutti e tre i fratelli lo sono, ma lui... lui fin dal primo istante mi ha scosso, in tutti i sensi. Lui è in grado di creare dentro di me una tempesta di emozioni pari a quella che si sta scatenando in questo momento qua fuori. È odioso, a tratti sinistro, mi spaventa eppure una parte di me, quella più malsana, lo desidera.
Scuoto la testa e lo fisso in tralice. M'impongo di scacciare questi pensieri che sono del tutto sbagliati.
«L'unica cosa che ti darei è un ceffone.»
Lui dapprima si sorprende, poi sorride e si avvicina. Un passo felino, lento e calcolato e lo sembra, un felino, pronto a saltare sulla preda.
«Accomodati, Ratri. Preferisci la destra o la sinistra?» ridacchia e mi mostra prima una guancia e poi l'altra, mentre continua a camminare fino a essere di nuovo troppo vicino al mio viso.
Così, d'istinto, alzo la mano pronta a colpirlo, ma non arriva nemmeno a metà strada che viene bloccata dalla sua. Mi stringe il polso e con l'altra mano spinge la mia spalla contro il muro esterno.
«Lasciami andare!»
«No!»
Sorride di bieca malizia. Mi spaventa, sento il cuore accelerare e la bocca farsi arsa. Devo liberarmi dalla sua presa e subito. Mi divincolo come posso e gli urlo contro:
«Lasciami, brutto psicopatico bastardo!»
La mano che prima era sulla mia spalla fa un rapido scatto sulla mia gola. Non me lo aspettavo e la paura si trasforma in terrore. Un lampo gli attraversa gli occhi, qualcosa di oscuro cala sul suo sguardo, qualcosa che non avevo mai visto prima.
«Ascoltami bene Ratri perché non te lo ripeterò una seconda volta. Chiamami stronzo, psicopatico, usa pure tutti gli insulti che vuoi, ma azzardati di nuovo a chiamarmi bastardo e ti faccio pentire di essere nata. Mi sono spiegato bene?»
Annuisco di riflesso, tuttavia qualcosa non va. Mi sento soffocare, mi sento intrappolata. Il cuore pare impazzito nel petto, la vista si offusca e non riesco più a respirare. Quello che non capisco è che Veicht non sta affatto stringendo la presa. La sua mano è ferma in una chiara minaccia, ma nulla di più. E allora perché io sento che sto per...
Tutto intorno a me è ovattato, il rumore incessante della pioggia sembra lontano. Sento un odore, un profumo fastidioso che non conosco, ma sono certa non appartenere a Veicht. Sbatto le palpebre, eppure non riesco a vederlo. Davanti a me c'è solo buio e sento un peso alle mie spalle come se qualcuno fosse sopra di me.
«Ratri!»
La sua voce, Veicht, riesco a sentirlo, ma non lo vedo e non riesco a emettere alcun suono dalla bocca.
«Ratri, rispondi!»
Provo - o almeno credo di farlo- ad allungare le mani. Riconosco al tatto il suo viso. Lui è qui, quindi il resto è solo un'illusione. Poi, all'improvviso, la vista ritorna e anche i suoi intorno a me: lo scrosciare della pioggia, i rumore delle fronde che si agitano al vento, riesco a sentire tutto di nuovo. Metto a fuoco e la prima cosa che vedo sono le mie mani sul viso di Veicht. Non credevo che avrei mai potuto pensarlo, ma sono felice di vederlo. Sorrido.
«Veicht...»
«Bestiolina, va... va tutto bene?»
Non so cosa rispondere. Nulla va bene.
La sua mano sfiora la mia guancia appena sotto lo zigomo e realizzo di aver pianto quando sento l'umido di una lacrima che viene spalmata dal sul pollice.
«Ti porto dentro.»
Non rispondo, non mi oppongo. Mi stringe a sé e mi solleva senza alcuna fatica, poi entra in casa con me in braccio. Si avvicina alle scale.
«N-non... non sforzarti, ce la faccio.» Non sono convinta, ma non posso nemmeno fargli fare due rampe di scale con il mio peso addosso.
«Non c'è problema.» Risponde secco e comincia a salire le scale. Mi sento una bambina. Da una parte vorrei rannicchiarmi tra le sue braccia, al sicuro, dall'altra, beh... stiamo sempre parlando di Veicht e ricordo bene quello che è successo prima che avessi... prima che avessi cosa? Un'altra visione? Probabile. Anche se questa volta è stato tutto molto diverso dal solito. Non ho visto nulla, ho solo sentito un profumo, una colonia forte e fastidiosa e poi il buio, non vedevo proprio niente.
Arrivati al primo pianerottolo si ferma. Immagino sia stanco.
«Sul serio, mettimi giù, ti stanchi e io sto bene.»
«Non stai bene, è evidente.»
Prosegue fino alla mia camera, poi sulla porta mi appoggia a terra, gira il pomello e apre. Faccio qualche passo, la testa mi fa male, ma riesco a camminare fino al letto. Mi ci siedo sopra, sono sfinita, senza alcuna forza. Eppure non sono io che si è fatta due piani con più di cinquanta chili in braccio.
«Ti vado a fare una camomilla.»
«Aspetta, siediti. Sarai stanco»
Lui rimane interdetto, come se la mia supposizione fosse un'eresia. Forse non è abituato alle premure...
«S-sì» Risponde con una strana incertezza nella voce, tuttavia si accomoda accanto a me.
«Grazie...»
«Che ti è successo?»
Non posso dirglielo. Non posso spiegarglielo, mi prenderebbe per matta e già non ha una bella opinione di me. Se gli dicessi che è stato un attacco di panico penserebbe che è colpa sua e per quanto sia uno stronzo, so che non c'entra nulla con quello che mi è successo.
«Non lo so, un capogiro, a volte mi capitano.»
«Allora sdraiati. Riposati, insomma, rilassati.»
Cerco di trattenere una risata, mi limito a sorridere. È buffo quando è impacciato. Diciamo che prendersi cura di qualcuno non è il suo hobby preferito.
«È passato e sto bene. Devo finire i lavori, sta sera ho anche le prove con il gruppo.»
«Lascia stare i lavori di casa, non sono importanti. Nessuno qui è allergico alla polvere, non moriremo se per una volta non è tutto lindo e splendente. E le prove... non puoi rimandarle?»
È gentile da parte sua -troppo gentile e troppo strano- ma non posso rimandarle. E da quello che so, o almeno dalla mia precedente esperienza, non ricapiterà di nuovo, non a distanza di poco tempo. Forse.
Scuoto la testa.
«Non posso proprio.»
«Ok, allora io scendo, ti preparo una camomilla, poi tu dormi fino all'ora dell'appuntamento. Ti accompagno io.»
Ok, ora mi spaventa davvero!
Alzo un sopracciglio sconcertata e provoco in lui una reazione: sbuffa.
«Che c'è? Sei stata male. Non ti ci abituare, bestiolina. È una tregua momentanea questa, non è la pace assoluta.»
Questa volta non mi trattengo e rido.
«No, figurati. Però sei un tipo leale se non attacchi il nemico quando è in difficoltà.»
Un ghigno gli si forma sul viso alla mia battuta. Un'espressione indecifrabile, quasi assente.
«Lo sono sempre stato.» detto questo si alza, come se avesse il fuoco addosso, si agita e si avvicina alla porta.
«Torno tra poco.»
Ciao a tutti, come va?
Il capitolo non sarà lunghissimo, sarà di due parti, perciò ho preferito tagliarlo qui. Perché dopo cambieremo scenario.
Come vi è sembrata questa prima parte? Beh, immagino che per gli amanti della dolcezza qui la glicemia si sia alzata un pochetto.
Mmm cosa avrà voluto dire con l'ultima frase Veicht? Chissà ci vorrà del tempo per scoprirlo, ma le vostre opinioni mi piacciono quindi scatenatevi pure.
Rimanete con me perché nella prossima parte verranno fuori alcune cosucce piuttosto importanti.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento e una stellina, io vi mando un besito e ci vediamo prestissimo con la parte 2 😘
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