Capitolo 16 Anįta (parte terza)
Presente
Guardo attonito la donna davanti a me e non capisco in che forma sia qui.
È un fantasma?
Non credevo ne avrei mai visto uno e in tutta onestà non immaginavo esistessero. Ci sono tante cose che nella mia vita precedente non pensavo possibili, eppure io sono qui in carne e ossa, perciò se esistono i vampiri non vedo perché non possano esistere anche i fantasmi.
«Aniţa, tu... che ci fai qui?»
La ragazza mi sorride e alza un sopracciglio.
«Potrei farti la stessa domanda, ma avevo previsto di trovarti qui prima o poi.»
Sono sempre più confuso. Mi avvicino cauto e alzo le mani per toccarla, ma desisto dal farlo, perciò le abbasso e scuoto la testa.
«Sei un fantasma?»
Arriccia il naso in una smorfia che spesso ho visto fare anche a Ratri, è incredibile cosa possa fare il legame di sangue. D'istinto sorrido, ma subito torno serio.
«Non proprio, ehm, è complicato» asserisce gesticolando «Poco prima di morire ho pronunciato un incantesimo che legasse la mia anima a un ricordo di Ratri. Non ero sicura funzionasse in verità, tuttavia eccomi qui.» allarga le braccia a mostrarsi in tutta la sua essenza e sorride. Ma nei suoi occhi noto un velo di tristezza.
«Ma lei ti ha mai vista?»
Scuote la testa e il suo sorriso scompare. Volge lo sguardo verso la figlia e a quel punto che si intristisce.
«No, non mi faccio vedere. Non è il momento. Forse un giorno... quando saprà tutto...»
Anche io mi volto verso Ratri, è ancora lì, preda di questo incubo, che piange inghiottita dalla nebbia.
«Perchè sta facendo questo incubo?»
Anița sospira. Una smorfia di dolore le si dipinge sul volto e le rovina quell'aura di eterea perfezione, che è solita avere uno spirito benigno. Non che ne abbia mai visto uno certo, ma nella letteratura angeli o spiriti benevoli sono descritti come perfetti e lei lo è. Se ci credessi, potrei affermare che lei sia in tutto e per tutto un angelo.
E io il demonio che l'ha uccisa.
«Inconsciamente sa che in questo luogo è successo qualcosa di brutto e la sua mente lo rappresenta così.
È triste, avrei preferito avesse un ricordo più felice, ma non posso far nulla a riguardo. Soffre e io, vorrei... ma non posso.»
Il suo dolore è quasi tangibile. Osserva sua figlia con un amore tale da scaldare anche il cuore più gelido. La ama, si percepisce, eppure questo amore lei non potrà mai darglielo, non nella vita quotidiana.
«Dovresti.» Provo a suggerirle, ma ricevo un segno di negazione in risposta.
«E dirle cosa? Ciao sono la mamma? No, non sono io sua madre... non per lei. Credi che io non soffra a vedere mia figlia piangere per qualcuno che non c'è più, ma quel qualcuno non sono io?»
È straziante vederla così persino per me. Ancora di più se penso che avrei potuto fare qualcosa invece che lasciarmi sopraffare dalla sete.
Mi passo una mano tra i capelli e sfodera una delle smorfie più costernate che mi riescano, perché è la verità, sono addolorato e mi sento in colpa.
«Anita mi dispiace... forse avrei dovuto trovare una soluzione migliore, convincerti a ...»
«Non avrei accettato e, Veicht, non mi hai uccisa tu. Sarei morta comunque. Smettila di colpevolizzarti, te ne prego.»
Mi rivolge un sorriso benevolo e appoggia la sua mano sulla mia spalla. Questa donna, che nemmeno mi conosce, sembra provare per me una sorta di empatia che mi conforta, ma allo stesso tempo mi getta in un pozzo di vergogna.
«Ho fatto tante cose brutte Anita, non sei l'unica innocente che...» Mi muoiono le parole in bocca e sento quello che non sentivo da tempo, da quella sera, la voglia intensa di piangere e sfogarmi.
«Vuoi parlarne?»
Diniego con la testa e tengo gli occhi bassi. Forse mi farebbe bene parlarne, raccontare cosa è realmente successo, ma per quanto vorrei pulire la mia coscienza, questa rimarrebbe sporca. Non c'è rimedio alla morte, perciò mi convinco che sia meglio evitare.
Lei annuisce comprensiva. Poi si volta di nuovo verso Ratri.
«Guardala!» La indica e la osserva con gli occhi pieni d'orgoglio.
«Non è bellissima la mia bambina?»
Non capisco se la sua domanda sia davvero rivolta a me. Eppure mentre guardo Ratri ho l'irrefrenabile impulso di dare la mia opinione.
«Oh, sì, certo che lo è» mi rendo conto di quello che ho appena ammesso quando Aniţa si lascia andare a una leggera risatina. Non che ci sia nulla di male nel provare attrazione fisica verso quella ragazza, ma preferirei che nessuno, nemmeno il fantasma/ricordo di sua madre, possa in qualche modo ricamare sulle mie esternazioni a riguardo. Perciò lascio che il mio sarcasmo pungente faccia il resto.
«Ma è anche una spina nel fianco. Una rompipalle, altezzosa, arrogante, melensa. Scusa Aniţa, ma tua figlia proprio è insopportabile.»
Di nuovo si lascia sfuggire un risolino che prova a contenere con una mano davanti alla bocca.
«Ha un bel caratterino lo ammetto, mi sarebbe piaciuto conoscerla e di sicuro anche a Nae.»
Già, Nae. Quell'uomo non mi fece affatto una bella impressione. Era freddo, ostile e guardava tutti, soprattutto me, con sospetto. Eppure era lui il discendente di Michey, è da lui che è partito tutto.
Non ho un'idea chiara e precisa di quando Michey ha dato vita alla sua personale stirpe, non è una domanda che mi sono posto, ma se è vero che questa profezia si tramanda da millenni, allora Nae era consapevole che, sposando una shuvani, le probabilità che non fosse fortunato come i suoi antentati, i quali a quanto pare hanno avuto solo figli maschi, fossero molteplici.
Qualcosa però continua a non tornarmi. Eravamo lì per aiutarli, per salvare la sua famiglia, eppure ci guardava tutti con disprezzo assoluto. Forse non voleva separarsi da sua moglie...
«Aniţa, perché quella notte hai voluto venire con me? Potevi restare con tuo marito e...»
«No!» Risponde secca, poi si morde il labbro e di nuovo osserva la figlia «Io... avevo visto tutto Veicht. Se fossi rimasta con Nae e i tuoi fratelli, Ratri sarebbe morta. Io dovevo salvarla e affidarla a te.»
Ho un brivido al ricordo di quella sera. Tutto quel sangue e poi... io che tengo in braccio quella neonata che adesso è qui, davanti a me, adulta e... bellissima. Ricaccio indietro tutto il vortice di pensieri che quel "bellissima" è in grado di scatenarmi e concentro l'attenzione su altro.
«Stavate insieme da molto?»
I suoi occhi si riempiono di tristezza.
«Sì, una decida d'anni. Anche se suo padre non ha mai approvato la nostra unione, o meglio, aveva imposto a Nae di non avere figli, quindi puoi immaginare come abbia preso l'annuncio della mia gravidanza e la successiva scoperta di aspettare una bambina... quella bambina.»
Rimango sconcertato, anche se da una parte comprendo le ragioni che hanno spinto il padre di Nae a porre quel veto. La sopravvivenza dei vampiri dipendeva da quell'imposizione. Ma non voglio far pesare ad Aniţa le conseguenze che ha portato il loro amore. Ha già sofferto, è morta, ha perso tutto, non vi è necessità che dia voce ai miei pensieri su quanto siano stati incoscienti.
«Immagino si sia infuriato.» Mi limito a dire con un sorriso triste. Lei fa una piccola smorfia e arricia il naso.
«Oh, un pochetto, ma lo sai meglio di me com'è fatto Michey. Si arrabbia, si infuria, poi si calma e ragiona...»
Spalanco gli occhi e la blocco subito.
«Aspetta un attimo, cos'hai appena detto?»
Lei rimane stupita dalla mia reazione e alza le spalle confusa.
«Nae era il figlio di Michey?» Domando fra i denti.
«Non... non lo sapevi?»
Odio quando mi si risponde a una domanda con un'altra domanda. È evidente che non lo sapessi o non avrei reagito in questo modo. Ma ormai dovrei averci fatto l'abitudine. Io sono sempre l'ultimo a sapere le cose. Il fratello a cui vengono raccontate le cose a pezzi, a cui vengono dette mezze verità e questa cosa mi fa infuriare.
«Cazzo, no! Non me lo ha mai detto. Io ho sempre pensato che Ratri fosse una sua discendente, non sua nipote, nipote diretta.»
Di nuovo si risente. So che non è lei la persona con cui dovrei prendermela. Ma ho bisogno di spiegazioni e Aniţa è colei che mi ha fornito lo spunto per fare domande.
«Beh, io... immagino che non ne parlasse volentieri. Cerca di capirlo, insomma... non avevano questo grande rapporto.»
«Come mai?»
In un primo momento resta in silenzio, ma io non demordo. Tengo lo sguardo fisso su di lei. Non uscirò dalla testa di Ratri, da questo maledetto incubo, finché non avrò ottenuto una serie di risposte.
«Ok, ti racconterò quello che so, anche se non spetterebbe a me farlo» alzo gli occhi al cielo, non sopporto questo tipo di esternazioni. Non può lanciare il sasso e nascondere la mano, non con me. Sospira e alla fine parla.
«Io e Nae ci siamo messi insieme che lui aveva già una quarantina d'anni. Era bello e non dimostrava affatto la sua età. Da quello che so è una caratteristica dei figli diretti dei vampiri. Alcuni prendono determinati particolari della specie nonostante nascano come umani, Nae aveva ereditato il rallentamento dell'invecchiamento. La nostra comunità era piccola, perciò ho sempre saputo chi lui fosse, ma nonostante questo m'innamorai, ricambiata, di lui.»
Parla con gli occhi trasognanti, ma in questo momento di come lei e Nae si siano innamorati, me ne frega ben poco. Anche se ho ottenuto nuove informazioni sulla nostra soecie che, di nuovo, mi sono state taciute.
«Anįta, arriva al dunque per piacere.»
Taglio corto. Lei un po' dispiaciuta annuisce.
Nae nacque nel 1943 dall'amore tra Michey e una shuvani, Elizabeta, ma purtroppo Michey non fu affatto un padre presente, anzi, non c'è proprio mai stato, soprattutto durante la sua infanzia. Ogni tanto veniva a trovarlo, ma per Nae era più una sofferenza che altro. Più di una volta gli propose di essere, ehm, trasformato, ma mio marito ha sempre rifiutato, aborrava anche solo l'idea.»
Lo ha abbandonato...
Mi basta questo per farmi scattare. Non posso sopportare oltre. Ho subito lo stesso trattamento, abbandonato come un cane insieme a mia madre in una lurida casetta che cadeva a pezzi, a patire la fame perché nessuno, nemmeno quegli schifosi dei miei nonni si sono mai preoccupati di noi.
«Ho sento abbastanza!»
«Aspetta...»
Prova a trattenermi, ma io non ho intenzione di rimanere qui, devo affrontare mio fratello e dirgli in faccia quanto mi faccia schifo.
«Ci rivedremo Aniţa.»
Sono sincero, ma questa conversazione termina qui. Prima di andare volgo un ultima volta lo sguardo verso Ratri, è ancora lì preda dell'incubo. Sospiro.
«Scegli tu, o il bosco o il mare, a Ratri piacciono entrambi!»
Sorrido ad Aniţa come ringraziamento per il suggerimento, e questa volta scelgo il mare. È già stata fin troppo dentro a un bosco, anche se la mia idea era quella di una piccola radura soleggiata, tuttavia preferisco cambiarle del tutto il sogno. Prendo quindi in mano la situazione, mi concentro e trasporto entrambi in una spiaggia assolata e deserta. Ratri sembra calmarsi all'istante. Il suo viso infatti cambia espressione divenendo più rilassato.
Sorrido. Almeno una questione è sistemata.
Esco dalla sua mente e mi ritrovo di nuovo nella sua stanza. I suoi battiti sono regolari, così come il suo respiro, segno che l'incubo è finito.
Ora ho un' altra cosa di cui occuparmi. Esco in preda a una furia cieca dalla stanza di Ratri per dirigermi verso quella Michey. Non busso, non m'importa di disturbare, spalanco la porta e entro. La stanza è immersa nel buio e lui è semi sdraiato sul letto, con un braccio dietro la testa intento a leggere chissà cosa.
Appena mi vede scatta in piedi.
«Veicht, ma che...»
Furioso, prendo il primo cimelio che riesco ad afferrare dalla consolle alla mia sinistra e lo scaravento contro di lui. Come ovvio che sia lo schiva e questo va a frantumarsi contro il muro dietro di lui. Approfitto di questa breve distrazione per andargli contro. Purtroppo però, tra l'esperienza e la sua stazza, riesce a prendermi per le spalle e gettarmi contro il divano a lato della stanza, con la conseguenza che questo scivola all'indietro e scontra il tavolino sul cui è posto un vaso che, inevitabilmente, cade a terra distruggendosi. In quel frangente accende la luce.
«Mi spieghi cosa ti è preso?» Mi chiede con una leggera stizza, mentre si ricompone. Come al solito la sua ira e il suo fastidio paiono durare pochi secondi, ma non ha idea di quanto invece io sia fuori di me.
«Tu! Figlio di puttana, tu hai abbandonato tuo figlio.»
Rimane interdetto, le braccia gli cadono lungo i fianchi e spalanca gli occhi come chi è appena stato colto in flagrante.
«Io... Da dove proviene questa informazione.»
Mi rialzo e a pugni chiusi e zanne in mostra vado verso di lui.
«Me lo ha detto Aniţa.»
Corruga la fronte confuso e incuriosito.
«Anita? La madre di...»
«Ratri, sì, tua nipote. E non tanto per dire, sei suo nonno non è vero?»
«Veicht, spiegami dove hai visto Aniţa, lei è morta.»
Cerca di cambiare discorso, ma questa volta non ci riuscirà. Devo sapere, devo sentirlo dalla sua bocca quanto in basso è caduto con i suoi comportamenti.
«Non ti dirò niente finché non mi darai una spiegazione circa le tue scelte genitoriali.»
In realtà vorrei solo che smentisse o confermasse. Ma smentire non può, quindi, ho bisogno di dirgli faccia quello che penso. Scuote la testa con quell'espressione che dice "non capiresti". No, infatti io non lo devo capire e nemmeno voglio.
«Veicht... Le circostanze... io non potevo, c'eri di mezzo anche tu.»
A questo punto, se prima ero infuriato, adesso lo sono ancora di più. Cerca di addossarmi la colpa per essere stato un esemplare di genitore disfunzionale? No, non ci deve nemmeno provare. Mi avvicino rabbioso a un palmo dalla sua faccia e gli urlo contro.
«Stronzate! Ti nascondi dietro a questa scusa per non ammettere di essere stato un padre di merda.»
Una smorfia di disprezzo va a incrinare il suo viso di solito pacato, un fulmine pare attraversargli gli occhi e in un attimo, questi diventano rossi.
«Io non ti permetto, ho fatto quello che ho fatto, ma non sai come stanno realmente le cose.»
Mi guarda dall'alto verso il basso, mantiene un'espressione rigida di fronte alla mia totale perdita di controllo.
«Hai lasciato che crescesse solo con tua moglie, hai abbandonato anche lei.»
«Veicht!» Mi rimprovera, forse nella speranza che io la smetta di infierire, ma non è così.
«Sei una merda, Michey, uno stronzo.»
La sua pazienza innata raggiunge il limite consentito, la sua compostezza non esiste più e in un attimo mi trovo a sbattere la schiena contro il suolo. La mano di Michey stretta al collo che mi tiene fermo e premuto contro la superficie fredda. Sbatto le palpebre e cerco di liberarmi senza alcun successo. Lo osservo. Occhi assottigliati, di nuovo divenuti del colore naturale, quel grigio chiaro in grado di scrutare l'anima al di là dei suoi poteri. L'espressione fiera come quella un leone dopo una battaglia per il territorio. Ha vinto, ma per marcare ancora di più il concetto, mi solleva di pochi centimetri da terra e sbatte di nuovo la mia testa contro il pavimento.
«Non hai alcun diritto di chiedermi spiegazioni, ma se proprio debbo dartele, vorrei quantomeno essere ascoltato. Sei in grado di farlo?»
Un tono piatto, gelido e duro come il ghiaccio. Annuisco ed è solo in quel momento che toglie la sua mano dalla mia gola. Si alza in piedi e poi va sedersi con le braccia incrociate, al bordo del letto. Io mi metto seduto, ma rimango sul pavimento.
«Elizabeta, lei era... bellissima. La donna più bella che io abbia mai incontrato e l'unica che io abbia mai amato, tanto da volerla sposare. Capirai che di donne in quasi cinquecento anni di vita ne avrò viste e conosciute, ma lei era speciale, diversa, unica.»
In effetti se in tutta la sua esistenza ha pensato di sposarsi solo quella volta, quella donna doveva essere davvero speciale, almeno per Michey. Non dico una parola, so che odia essere interrotto ed è già abbastanza nervoso, non voglio rischiare di essere messo al tappeto una seconda volta.
«Sapevo che era una shuvani, sapevo che avere una storia con lei era pericoloso. Ma al cuore non si comanda e non si può scegliere verso chi provare sentimenti. Perciò, quando scoprimmo della sua gravidanza, se inizialmente ne eravamo spaventati, con il tempo ci siamo promessi che avremmo fatto di tutto per proteggere la nostra famiglia. Avevo Alex dalla mia parte, Blazej perfettamente in grado di controllarsi e pronto ad aiutarmi.»
Si blocca volge lo sguardo altrove e io mi trovo costretto, dopo aver avuto la decenza di aspettare qualche minuto, a chiedergli di proseguire. Chiude gli occhi, come a voler raccogliere le idee, poi annuisce.
«Non superò il parto. Fu un lampo, un secondo, il tempo di prendere in braccio mio figlio che lei non c'era più. Un infarto fatale e se il cuore non batte, non può esserci trasformazione. L'ho persa, perchè mi sono distratto un secondo di troppo.»
Gli vedo serrare i pugni. Mi sento un idiota. Non ho mai chiesto nulla, non mi sono mai soffermato a quale poteva essere il motivo se lui aveva una discendenza e nessun parente vivesse insieme a noi, se sua moglie non era qui al suo fianco. Sono stato egoista.
«Il dolore che ho provato, Veicht, è indescrivibile. Intorno a me mi dicevano di essere forte, di andare avanti per il bambino. Volevo morire e non posso morire, sai quanto può essere frustrante?»
La maledetta empatia, quella bastarda che speravo di aver sepolto con la mia morte, eccola che ritorna prepotente. Provo compassione, sento il suo dolore come fosse mio, eppure non so cosa dire per fargli capire che mi dispiace. Rimango zitto, attento a quello che racconta, ma con un velo di tristezza calato sugli occhi.
«Eravamo in piena guerra mondiale. Le shuvani erano zingare e lasciarono la città per relegarsi nei boschi, dove nacque quel piccolo paesino in cui anche tu sei stato. Rimasi con loro due anni, poi... Poi arrivasti tu. Avevi bisogno di aiuto e io... di una distrazione.»
Serro la mascella nel sentirmi definire in quel modo.
«Lasciai Nae alle cure di sua nonna, la madre di Elizabeta, promettendo di andarlo a trovare spesso. Purtroppo però, non avevo calcolato le problematiche. Tu avevi più bisogno di quanto immaginassi e le mie visite si sono diradate nel tempo. Quando, finalmente, tu sei diventato più, ehm, responsabile, era passato troppo tempo, e quando tornai da mio figlio lui era diverso. Diverso con me.»
Ora che ci penso meglio, Michey spariva per giorni. Non ho mai chiesto. Più che altro non m'importava e avevo sempre avuto l'idea che fosse finito in qualche letto di qualche bella donna, tanto da volerci rimanere più di un giorno.
«Nae ha sempre saputo chi fossi e cosa fossi, ma man mano che cresceva era sempre più distante da me. I suoi progressi negli studi mi venivano comunicati da sua nonna. All'età di Vent'anni lasciò la comunità per trasferirsi a Cambridge e studiare là.
Ho sempre pagato i suoi studi, i suoi alloggi, ma i soldi non comprano l'affetto e, nonostante m'impegnassi ad essere più presente e partecipe possibile, con lui ogni mio tentativo era inutile. Penso che m'incolpasse per la morte della madre.
Penso che... sua nonna lo abbia, uhm, non voglio essere velenoso nel fare illazioni, ma credo che proprio che quella donna lo abbia cresciuto con un'idea di me distorta. Avevo imposto solo una regola, non avere figli, ma come ho già detto, l'amore non conosce limiti o paletti, e quando conobbe Aniţa tutte le mie raccomandazioni andarono in fumo.»
«E ci è piombata tra capo e collo la bestiolina.» Dico sarcastico, ma più che altro per spezzare la tensione e la carica emotiva che il racconto di Michey mi ha gettato addosso. Non è affatto come mio padre... quel bastardo non si è nemmeno premurato di riconoscermi. Non una visita, nemmeno una, non so nemmeno che faccia abbia e il solo pensiero di potergli assomigliare anche in qualche espressione facciale mi fa provare schifo per me stesso.
«Veicht, tu, Blazej e ora Ratri siete la mia famiglia. Dobbiamo fare in modo che lei si fidi di noi. Perciò smetti di darle il tormento.»
Forse Michey dimentica che Ratri non la sopporto non tanto per una questione personale, ma perché è pericolosa.
«È ancora un problema e non cambia nulla sapere che sei suo nonno. È pericolosa e fastidiosa. E magari il primo che farà fuori sarai proprio tu.»
A questo punto scoppia a ridere.
«Io? Oh, non ne sarei così sicuro. Chi è che gioca a farla arrabbiare? Eppure avete così tante cose in comune... una fra tutte la musica.»
«Vecchio mio, mi stai dando il tuo benestare?» gli chiedo con un sorrisetto sardonico.
«Assolutamente no! Quello non lo avresti nemmeno se avessi intenzione di sposarla.»
Ride, ma ad essere sincero mi preoccupa un po' questo tipo di controllo che vuole avere su tutto e tutti. Chiariamo, io non ho nessun tipo di intenzioni affettive con Ratri, ma se fosse, decideremmo io e lei, non di certo Michey.
«Proverò ad essere più gentile, ma non garantisco risultati positivi.» gli dico con sarcasmo. Lui annuisce. Poi si alza, mi tende la mano e mi aiuta ad alzarmi. Non che ce ne sia bisogno, ma il suo è un chiaro gesto di "pace".
Non sono convinto che mi abbia detto tutto, ma per il momento è abbastanza ed evito le domande che mi frullano in testa. Tolgo il disturbo, ma poco prima che io esca dalla porta mi richiama.
«Tu lo sai che prima o poi dovrai spiegarmi come hai fatto ad incontrare Aniţa, sì?»
Annuisco.
«Sì, ma non oggi!»
Esco dalla porta e me ne torno in camera mia. La rabbia è meno forte e la sete, non so come, si è del tutto placata. Spero solo che Ratri abbia dormito sonni profondi. Non che mi importi di come riposi, ma preferirei che non facesse domande sul trambusto avvenuto poco fa. Anche se dubito sia passato inosservato. Sospiro. Ho promesso a Michey che l'avrei trattata meglio, tuttavia non sono sicuro di riuscire a mantenere tale promessa. C'è un ulteriore problema sorto da pochissimo, ma in grado di turbarmi e convincermi che forse non dovrei essere troppo gentile.
Perché quando la guardo ho l'impressione che lo stomaco si contorga?
Ciao a tutti, come state? Perdonate l'assenza, ma è un periodo che ho la testa altrove.
Bene,bene abbiamo avuto due confronti e infine abbiamo un Veicht con uno strano mal di stomaco.
Ma ditemi: voi come lo capite di essere innamorati?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate un commento e una stellina e noi ci vediamo prestissimo.
Un besito 😘
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