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Capitolo 15 Relazionarsi (parte quarta)

VEICHT

Rincaso a tarda sera. Ho sentito il bisogno di rimanere ancora un po' fuori casa dopo aver parlato con Alanora, credo di aver socializzato abbastanza per oggi. Ho fatto un giro in macchina fino ad arrivare alla cima della montagna. Isolato da tutto e tutti, quel luogo è il più bello e importante dell'intera Aima. Mi tranquillizza e, inoltre, da lì posso osservare ciò che accade nella cittadina e avere l'illusione che tutto sia sotto il mio controllo.

Mi sento più calmo adesso, la crisi è passata, ma sarà meglio che io faccia una bevuta durante la notte, giusto per mettere del tutto a tacere la sete almeno per qualche ora.

Entro silenzioso nella villa, l'androne è immerso nel buio e anche dall'ufficio di Michey non proviene alcuna luce, segno che tutti sono nelle loro stanze, o quasi tutti.

Il suo odore...

Quel profumo vanigliato m'invade le narici anche a metri di distanza. I miei sensi si risvegliano e mi costringono, senza che io possa oppormi, a cercare colei che emana tale inebriante fragranza. I miei occhi saettano da una parte all'altra, per poi soffermarsi sulla scalinata dove lei, la bestiolina, è ferma immobile voltata nella mia direzione. Non mi vede, ma di sicuro ha sentito la porta d'ingresso aprirsi. Infatti, la sento affrettarsi con un certo affanno su per le scale per raggiungere il pianerottolo, sulla cui parete c'è un interruttore che lei provvede subito ad accendere. Illuminati entrambi dalla luce delle aplique, ci fissiamo per un momento che pare interminabile. In seguito riprendo il mio cammino e salgo anche io. Arrivato sul suo stesso piano, non la saluto, anzi, ignoro proprio la sua presenza. Le passo accanto e la supero intenzionato a proseguire la mia ascesa verso il piano superiore.

Ma ho fatto male i conti...
Non appena appoggio i piedi sul terzo scalino della rampa che porta alle camere, sento i suoi passi leggeri, eppur decisi, venire nella mia direzione e, con uno scatto in avanti, mi raggiunge per poi esclamare:
«Aspetta!»

Arresto il mio cammino, mi volto con flemma calcolata e la inchiodo con lo sguardo da sopra la mia spalla.

Cosa vuole da me?

Fa un passo indietro, non capisco se questo suo gesto sia un invito a scendere quei pochi scalini che ci separano, o se sia un sintomo di disagio.

Ma se mi ha fermato lei!

Abbassa lo sguardo e si tortura le mani. Assottiglio gli occhi, come a voler capire cosa le passi per la testa, ma è impossibile. La tratto da schifo eppure, per qualche ragione a me sconosciuta, vuole parlare con me.

Dovrebbe evitarmi, sopratutto quando sono io a farlo con lei, poiché sono gli unici momenti di pace che avrà. Mi volto del tutto, scendo e mi avvicino. Lei non si sposta, anzi, alza lo sguardo e sostiene il mio con fierezza. Peccato che io sappia che è agitata come un fiume in piena. Prende un respiro profondo e subito dopo diventa seria.

«Rispetto a quello che hai detto la sera della mostra, io... io non sono come mi descrivi.»

A volte sa essere pesante. Perché deve ritirare fuori questo argomento? Ci tiene così tanto a farmi sapere che lei è buona e cara?

Non ha capito!
Con me non attacca e soprattutto mi serve su un piatto d'argento
l'occasione di rimetterla al suo posto.

Incrocio le braccia al petto, piego la testa di lato e le rivolgo un sorriso mellifluo.
«Ah no?»

A questo punto sono davvero curioso di sentire le sue argomentazioni, sempre che ne abbia.
«No!»

Ovvio che ce le ha, figuriamoci se sta zitta.

Mi inumidisco le labbra, alzo le sopracciglia segno di un invito silente a continuare.

Sono tutt'orecchie, bestiolina.

«Non volevo scavalcare Alanora io... volevo solo fare qualcosa per Blazej, lui mi ha aiutata e lo avrei fatto per chiunque, credo che potrebbe nascere un'amicizia tra me e lui e... »

Roteo gli occhi, alzo il palmo della mano davanti a lei e la fermo subito.
«I tuoi sentimentalismi mi danno alla nausea.»

Eppure lei non demorde, serra le labbra, ma subito dopo prosegue nel suo sproloquio.
«Era solo per essere chiara... insomma, non...  non provo niente per Blazej, cioè non... »

Di nuovo la blocco. Non capisco proprio perché ci tenga a chiarirlo con me. Che vada da Michey o dalla fattucchiera dai capelli rossi, sono loro quelli convinti che ci sia del tenero fra loro, io ho ben chiara la situazione senza che lei puntualizzi.

«Falla finita! Ho capito.»

Le volto le spalle con l'intenzione di ritirarmi nella mia stanza, ma con mia sorpresa, mi sento afferrare per la manica del giubbotto, per cui mi viene istintivo voltarmi di scatto. I suoi occhi scuri, così seri, si immergono nei miei. Vi leggo dentro una speranza, la speranza di un'apertura da parte mia.

Un impercettibile sorriso scalpita per formarsi sulle mie labbra, nel momento in cui le sue guance si tingono di leggero e piacevole rosato, ma io faccio di tutto per reprimerlo.

Ho sempre pensato che fosse bella e quando s'intimidisce lo è ancora di più. Unica e indifesa, come una rosa in un campo di neve. Eppure lei stessa pericolosa, poichè avvolta in un intreccio di rovi ai quali, io, non posso e non voglio avvicinarmi. Ne rimarrei intrappolato e ferito.

Ruoto tutto il mio corpo nella sua direzione, ed è lì che lei lascia la presa dal lembo di tessuto al quale era aggrappata, quasi volesse supplicarmi di ascoltarla.
«Lo avrei fatto anche per te.»

Questo è il colmo, ma proprio questo mi ricorda che è la degna discendente di quel falsone di Michey. Loro, con il loro finto buonismo, cercano di incantarti, di farti abbassare le difese, mentre alle tue spalle ordiscono una trama che s'intreccia in mille e più risvolti. Alla fine, senza che tu abbia il tempo di accorgertene, ti ritrovi incatenato a quella trama, in totale balia delle loro scelte e del loro volere. Ma se Michey è un bravo stratega, e la maggior parte delle volte riesce a incastrarmi e farmi fare quello che vuole, Ratri non è altrettanto capace ed è bene che io le chiarisca subito le idee.

«Io non credo, e se speri che così dicendo finirai per piacermi, ti avverto subito che non è così. Non amo chi si vuole far apprezzare a tutti i costi.»
Incassa il colpo e fa un passo indietro, scuote la testa, ma se per un attimo ho avuto la speranza di aver chiuso la conversazione, il battito accelerato del suo cuore e la rapida ascesa del suo sangue al viso mi indicano che non è così. È in procinto di sbottare e non passa molto tempo prima che lo faccia.

«Sai cosa? Pensa quello che ti pare, tanto con te è fiato sprecato. Sei troppo ottuso per capire che le persone non sono tutte uguali e che io non faccio le cose per avere un tornaconto.»

Falsa e bugiarda.

«No, certo, non lo fai per non essere sbattuta fuori di casa perché non sapresti dove andare, vero? Non lo fai perché gli unici rapporti che hai sono con noi e Alanora, ma la sua amicizia te la sei bruciata l'altra sera trattandola di merda. Tu lo fai perché sei buona dentro, non è così?»

La schernisco, la vesso, voglio che si renda conto che tutto quello che dice non fa altro che farla cadere più in basso dei suoi stessi piedi.

«Veicht, io non sono così, sei tu che... non lo vedi?»
«Che cosa?» Chiedo con un sorrisetto.
«Che mi spingi via. Io sono qui a dirti che nonostante tu sia uno stronzo nei miei confronti, io comunque se avessi bisogno di un aiuto per qualcosa te lo darei, e tu... »

Un'altra volta, mi vedo costretto a bloccare le sue interazioni, non sa di cosa parla. Il mio sorriso scompare del tutto e le rispondo tra i denti.

«Io non ho bisogno di te, Ratri, e di certo non del tuo aiuto. L'unica cosa che puoi fare per me è prendere la tua roba e andartene.»

Questa volta si risente davvero. Anche se non l'ho cacciata di casa, cosa che non posso fare perché non ne ho il potere decisionale, le ho detto che non la voglio qui e questo dovrebbe bastare a farle capire che, per quel che mi riguarda, non è la benvenuta e mai lo sarà.

«Perchè... dimmi perché vuoi a tutti i costi che io me ne vada?»

Non molla la presa, ha deciso che vuole delle risposte e non mi lascerà in pace finché non le avrà ottenute.

«Perché non sopporto di dover vivere con una ragazzina che gioca a fare la santarellina e poi ci pugnalerà tutti alle spalle!»

Stanco e innervosito da questa conversazione, mi lascio sfuggire più dettagli del dovuto. Lo sconcerto la fa da padrone sul suo viso, ma anche io sono abbastanza allibito dalle mie stesse dichiarazioni. Dovevo stare più attento, ma Ratri, è proprio il caso di dirlo, mi mette le mani nel sangue.

È rimasta a bocca aperta, confusa e ferita da ciò che le ho detto.

«N-non ne ho motivo perché pensi questo di me?»

Schiocco la lingua al palato e non le rispondo, ma anche volendo non ne ho il tempo perché di nuovo prende lei la parola.

«Chi ti ha ferito così tanto da farti credere che tutti siamo dei traditori?»

Se potessi sbiancare lo farei, ma siccome non posso, l'unica cosa che descrive alla perfezione il mio stato d'animo è la smorfia di disprezzo che le rivolgo poco prima di infuriarmi.
«Oh, no, non ci provare. La psicanalisi valla a fare a quei due imbecilli dei miei fratelli, pare che a loro piaccia, ma con me non ti azzardare.»

Incrocia le braccia al petto, non curante del fatto che io mi stia innervosendo più del dovuto, e mi sfida con lo sguardo, anzi, diventa proprio altezzosa.
«Beh, sei l'unico che ne avrebbe bisogno, però.»

Come osa?

Ha deciso che mi devo incazzare? Beh, perché se è questo il suo obbiettivo ci sta per riuscire.

«Che cos'hai detto?»
«Mi hai sentita!» Risponde con una breve alzata di spalle e poi, come se non bastasse, mi punta il dito contro e continua «Tu te la prendi con me senza motivo, che ti ho fatto per meritare tanto disprezzo? Ma non ti rendi conto che qui, l'unico problema sei tu?»

Cerco di elaborare quello che ha appena detto, ma ho sentito con chiarezza. Questa stronza mi ha appena definito un problema. Lei ha invaso il mio territorio, vive sotto il mio stesso tetto, dorme in casa mia e il problema sono io?

«Sei tu il problema, non è il vampirismo, non è la tua condizione e nemmeno la sete, sei solo tu!»

Le parole di Ratri fanno riaffiorare un ricordo doloroso.

Emma...

Rabbia, rancore, odio, sensi di colpa, un uragano di emozioni mi travolge, mi colpisce come un pugno dritto nello stomaco come mai prima d'ora. Provo un dolore emotivo intenso tale da paralizzarmi. Rimango fermo e immobile in balia di questi sentimenti ad aspettare che solo uno di questi si prenda il totale controllo della mia mente.

Odio...

Un leggero tremolio fa vibrare le mie mani, le fisso per poi nasconderle nelle tasche del giubbotto. Chiudo gli occhi e respiro a fondo.

Che cos'hai fatto, Ratri...

Lei è ignara di quello che provo o di quello che in questo istante sta capitando. Devo andarmene, se rimango un minuto di più potrebbe aprire di nuovo la bocca e Dio solo sa cosa succederebbe se dicesse la cosa sbagliata.

Devo raggiungere camera mia, devo mettermi al sicuro. Mi volto e apro gli occhi, li sento ardenti come ogni volta che diventano rossi. La mia vera natura, il vampiro assetato, è ora padrona di questo corpo. Non posso più trattenermi qui.

«Ascolta, io non volevo dire che...»

Il suo tono si è ammorbidito, la voce suona come una dolce melodia, ma devo interromperla  per l'ennesima volta per non rischiare di reagire a qualsivoglia dichiarazione stia per fare. Poiché non posso più voltarmi verso di lei, le parlo dandole le spalle.

«Adesso basta, basta! Ti ho ascoltata fin troppo questa sera.»

Cerco di essere imperativo, crudele, freddo. La mia voce si è  arrochita fino a somigliare a un ringhio gutturale.

Non aspetto che risponda, non sarebbe prudente da parte mia, ma sono quasi certo che non lo farebbe comunque. Mi affretto a salire le scale e la lascio lì, da sola.

Arrivato al piano superiore accelero il passo per arrivare alla mia stanza e, una volta raggiunta, mi fiondo dentro per poi chiudere la porta alle mie spalle con un calcio.

Cammino lento, ma qualcosa non va, ho la fallacea sensazione di soffocamento. Devo raggiungere il frigobar accanto alla scrivania, lì dentro forse troverò la mia ancora di salvezza, anche se per come mi sento credo che servirà a ben poco. Tuttavia non riesco nel mio intento, poichè barcollo e dopo due passi cado a terra. Sì, io, un vampiro centenario, forte, veloce, una macchina da guerra, messo in ginocchio da una nemica chiamata sete.

Rimango fermo immobile, gli occhi bruciano e la gola diventa così secca che ho l'impressione stia per andare a fuoco. D'istinto porto una mano su di essa, mentre continuo a boccheggiare alla ricerca di aria e calma. La prima non mi serve davvero, la seconda, invece, sarebbe la salvezza per entrambi: per me e per la bestiolina. I canini si allungano e la salivazione aumenta.

Ho sete, maledizione, quel tipo di sete.

Porto le mani alla testa, le dita affondano nei capelli fino tirare alcune ciocche come un pazzo prima di una crisi isterica. Ma non sentirei nulla, non posso nemmeno infliggermi autodolore per distrarmi da questa maledetta voglia di dissetarmi nella maniera più brutale e tragica che conosco.

Questa sete puttana che mi istiga a uccidere, la sento urlare dentro di me, la sento che mi rimprovera per non dare mai sfogo al vero me. Ripete incessante che io sono il predatore e di là, a pochi metri da me, c'è la mia preda. Mi suggerisce di aggredirla, di assaporarne il sangue e di non lasciarne andare sprecato nemmeno una singola goccia.

Ho l'impressione di averlo già sotto i denti, ne fantastico il colore cremisi e il gusto ferroso e dolciastro che immagino abbia.

Devo smetterla di pensarci, devo concentrarmi su qualcos'altro, ma cosa? Sono in piena crisi, in balia di me stesso.

Eppure ero sicuro di averla superata, di stare bene, inoltre, questa mattina, avevo già bevuto sangue umano.

La rabbia...

Prima con Michey e adesso con Ratri.

Ratri...

Non dovevo fermarmi a parlare con lei, non oggi almeno. Io lo so quando è il momento di evitarla, so quando posso sopportare le emozioni e credevo, anzi, ne ero convinto, di essere in grado di sostenere una conversazione con lei, senza perdere la calma, o almeno non a tal punto da scatenare la sete.

Ma quando mi ha definito un problema, ecco, lì non ci ho visto più. Avrei voluto prenderla per le spalle e scaraventarla giù per le scale.

Cerco di rimettermi in piedi intenzionato a raggiungere il frigobar, ma il mio corpo, ormai non più sotto il controllo di una mente lucida, non collabora.

Impiego non so quanto a lottare contro me stesso per raggiungere quella maledetta bottiglia e, una volta recuperata, ne bevo con avidità il contenuto.

Risultato? Niente, non riesco proprio a calmarmi.

Seduto sul pavimento, porto una mano sul volto. Purtroppo aver bevuto un po' di sangue animale, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, il mio corpo mi chiede a gran voce di procurargliene ancora. Servono le sacche, non c'è altro modo.

Dovrò disturbare Michey e sperare che non cominci con il farmi il terzo grado, deve prima soddisfare le mie esigenze poi, sempre se ne avrò voglia, gli darò le spiegazioni che riterrò opportune.

Fisso la porta e con uno scatto felino la raggiungo, la apro e mi ritrovo nel corridoio.

A sinistra camera di Michey, a destra, alla fine del corridoio, camera di Ratri. Nemmeno il tempo di concludere il pensiero che sono già davanti alla porta della bestiolina.

Ti prego, fa che abbia chiuso a chiave...

Poso la mano, che ancora trema, sulla maniglia, faccio una leggera pressione e dal click che sento capisco che la porta è aperta.

Cazzo!

Speravo davvero fosse chiusa, avrei cercato di scassinarla e a qual punto avrei attirato l'attenzione di almeno uno dei miei fratelli, mi avrebbero fermato, mi avrebbero... aiutato.

Entro nella stanza, è buia, Ratri dorme ignara del fatto che il pericolo, la morte stessa, procedono con una lentezza, che io stesso definirei inquietante, fino da lei.

Non mi sono reso conto di quanto tempo fosse passato dalla nostra conversazione finché non leggo l'orario sulla sua radiosveglia. È quasi l'una di notte, questo significa che sono passate circa due ore. Ho rivolto tutte le mie attenzioni e impiegato le mie energie a cercare invano di sovrastare la sete, tanto che non mi sono accorto del tempo che passava.

La guardò da sopra al suo letto. Se l'uccidessi, nemmeno si accorgerebbe di passare dal sonno alla morte. Spero che non si svegli. Non tanto perché mi troverebbe qui e si potrebbe spaventare o arrabbiare, ma piuttosto per il fatto che io non so come reagirei. Se urlasse o anche solo se aprisse gli occhi e trasalisse, ho paura che per farla tacere potrei avventarmi su di lei e sarebbe la fine.

Mi piego in avanti a osservare la sua intera figura, ma più di tutto il suo dolce viso.

Inspiro e chiudo gli occhi inebriato non solo dal suo profumo, ma dall'odore della sua pelle lattiginosa, sotto la quale si cela il liquido vermiglio che ogni fibra del mio corpo brama e desidera con ardore. La gola mi brucia e i denti mi pulsano sulle gengive stregati dal richiamo del sangue.

Dorme serena. Se solo sapesse che non c'è nulla per cui essere tranquilli in questo momento. Mi soffermo ancora sul suo viso, le sue ciglia lunghe, i piccoli nei che le decorano le guance e quelle labbra piccole e rosee.

Ho sempre amato giocare con la mia preda e prendermi tutto il tempo per studiare con minuzia il modo più soddisfacente per ucciderla, ma in questo caso ci impiego più del solito a prendere una decisione.

In realtà mi basterebbe afferrarle i capelli e, in un attimo, potrei porre fine alle mie sofferenze e a ogni tipo di problema che questa creaturina potrebbe crearmi in futuro.

Eppure non lo faccio, anzi, avvicino una mano al suo viso... non la tocco, non ancora almeno.

Qualcosa, però, cattura la mia attenzione.

La sua mano destra stringe le coperte con forza e un mugolio sofferente viene emesso dalla sua bocca che si schiude appena.
Sulla sua fronte si formano piccole rughe e tutto il suo corpo inizia ad agitarsi nel sonno.

Questa distrazione le fa guadagnare qualche minuto in più sulla terra, poichè se c'è qualcosa che va ben oltre la sete è la mia innata curiosità. Devo sapere a tutti i costi quale incubo disturba i suoi sogni.

Mi concentro e in un attimo mi trovo dentro la sua mente.

Superate le labili barriere mentali poste a protezione del suo inconscio, vengo subito catapultato dentro il suo sogno.

Un'intensa caligo la fa da padrona, tanto che ho difficoltà anche io a capire dove siamo. Non scorgo Ratri da nessuna parte. Riesco a malapena a vedere i miei piedi. C'è qualcosa di strano, le mie abilità dovrebbero funzionare anche all'interno dei sogni e io non alcun tipo di problema, di solito, nel superare banchi di nebbia.

Proseguo dritto, non ho una vera meta, ho solo un obbiettivo: trovare Ratri.

Cosa stai sognando, bestiolina, dove mi hai portato?

Proseguo con più urgenza con l'intento di uscire da questa nuvola di biancore. Se anche Ratri è immersa come me nella nebbia, comincio a capire perchè si agitasse tanto nel sonno. È abbastanza disturbante per me, figuriamoci per lei.

Man mano che cammino a passo sostenuto, la foschia si dirada e alla fine rivela una folta vegetazione. È notte nel suo sogno, questo rende il paesaggio circostante alquanto lugubre.

Beh, possiamo catalogarlo come incubo.

Mi guardo intorno, non c'è nulla a parte alberi e viottoli, ma di Ratri nemmeno l'ombra. Provo a chiamarla. Non credo che sarebbe felice di vedermi, ma restare qui da sola potrebbe piacerle ancora meno.

Non ricevo nessuna risposta e questo non fa che aumentare la mia curiosità, ma allo stesso tempo la mia confusione. È impossibile che non ci sia, è il suo sogno questo!

Sennonché, a un certo punto,  comincio a sentire in lontananza un mugolio sommesso. Convinto che sia Ratri, iniziò a correre nella direzione dalla quale proviene quel lamento.

Mentre corro, però, mi rendo conto di quanto questo luogo mi sia familiare. Il suono di quel gemito sofferto si amplifica, segno che sono vicino alla sua fonte. Infatti, dopo poco, scorgo Ratri. È in piedi con la schiena premuta contro la corteccia di uno degli alberi che costeggia un sentiero impervio, sul viso un'espressione sconvolta e le lacrime le rigano le guance.

«Bestiolina...» Sussurro tra me e me, mentre mi avvicino. Mi chiedo cosa l'abbia spaventata tanto.

Ha lo sguardo perso, vuoto e non sembra vedermi nonostante io sia ormai arrivato a pochi metri da lei. Questo è un altro fatto strano. Poi, all'improvviso, ombre e suoni sinistri si avvicinano. Ratri si preme ancora di più contro l'albero, tuttavia non scappa, continua però a piangere. Mi avvicino ancora, ma non appena sono a pochi passi da lei, un urlo straziante le risuona dalle corde vocali.

«Ratri... calmati, va tutto bene.» Mi ritrovo a dirle, ma lei non mi sente e non mi vede.

Mi guardo intorno e la mia attenzione viene catturata dal paesaggio. Un bosco fitto, oscuro, un luogo inquietante che... io conosco molto bene.

Quello che non mi spiego è come faccia a conoscerlo Ratri e perché lei sia proprio qui.

Rivolgo di nuovo la mia attenzione a lei che ora è scivolata con la schiena fino alle radici dell'albero e, seduta sul terreno umido, porta le ginocchia al viso e le abbraccia.

Sono pronto ad avvicinarmi e provare a darle conforto quando una voce chiara e imperativa, che non credevo avrei mai più risentito, mi distoglie dal mio intento.

«Ciao, Veicht!»

Mi volto cauto, incerto sul chi trovarmi davanti, ma non appena ruoto tutto il mio corpo, lo sconcerto e la confusione si dipingono sul mio viso.

Com'è possibile?

«Anița?»

Ciao a tutti, come state?

Eccoci alla fine del quindicesimo capitolo. Penso che la domanda sorga spontanea: chi è Anița?

Per scoprirlo dovrete aspettare il prossimo capitolo, il quale sarà sempre dal punto di vista di Veicht, ma sono curiosa sulle vostre teorie, secondo voi chi è? Se indovinete vi darò un premio 🖤😏

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento o una stellina, noi ci vediamo presto con il capitolo 16.

Un besito a tutti ❤️

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