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Capitolo 14 La mostra

RATRI

Sono sul palco, ho appena finito la canzone dedicata a Balzej, ma di lui non c'è nemmeno l'ombra. Nessuno dei fratelli Andrews è qui.

Mi guardo intorno, il locale è vuoto.

Non è possibile che non sia venuto nessuno. Scendo dal palco e corro verso la porta d'ingresso, voglio uscire per controllare se il volantino con la pubblicità della mostra è stato attaccato.

Metto la mano sul pomello della porta, ma come la apro, mi ritrovo a villa Andrews.
Come diavolo ci sono finita qui?

Mi guardo intorno e sbatto più volte le palpebre, ma non ci sono dubbi, sono proprio nel corridoio del primo piano di casa.

In lontananza sento un pianto sommesso.
Chi può essere così disperato?

Seguo quel lamento che, via via che mi avvicino a una delle porte, diventa sempre più straziante. Mi fermo davanti alla stanza da cui sono sicura provenire quel suono che mi fa accapponare la pelle e, appena mi rendo conto essere
camera di Blazej, il mio cuore salta un battito e il mio stomaco si attorciglia.

Deglutisco a fatica e faccio un respiro profondo prima di spalancare la porta. La stanza è immersa nel buio, ma dalla finestra entra debole la luce della luna. Questa illumina quel tanto che basta per farmi notare una cosa raccapricciante: i dipinti di Blazej sono tutti a soqquadro mezzi rotti, o squarciati. Della pittura imbratta pareti e  pavimento, non so perchè ma ho l'impressione che il colore sia un inquietante rosso cremisi.

Nel frattempo il pianto non è mai cessato e so che proviene da Blazej, ma non riesco a vederlo. Mi inoltro nella stanza e lo chiamo con la voce che mi trema, non mi risponde. Alla fine riesco a scorgerlo in un angolo tra il suo letto e la scrivania. Ha le ginocchia al petto, le braccia avvinghiate a esse e la testa china. Si dondola avanti e indietro e continua a piangere.

«Blazej.»
Provo a chiamarlo di nuovo mentre mi avvicino a lui. Questa volta mi sente e alza la testa. Vedo con chiarezza i suoi occhi arrossati e il viso distrutto dal pianto. Provo a dire qualcosa, ma mi anticipa.

«È colpa tua! È tutta colpa tua, Ratri.»

Mi urla contro a denti stretti. La sua voce, di solito dolce e armoniosa, è gutturale e suona come un ringhio tetro e profondo. Faccio un passo indietro, ma tento comunque un approccio, devo capire cosa è successo.

«Bì, ma cosa è succ... »
«Vattene! Non voglio vederti mai più. Mi hai rovinato la vita.»
All'improvviso sento dentro di me di avere la risposta del perchè di questa sua rabbia nei miei confronti. La mostra è andata male, nessuno ha comprato i suoi quadri, nessuno è venuto a vederlo. Sento il respiro farsi affannoso perchè in cuor mio so che ha ragione, è colpa mia.

Qualcosa di pesante simile a un monolite mi opprime il petto, cerco di avvicinarmi ancora, vorrrei consolarlo, dirgli che mi dispiace, che ci saranno altre occasioni e rimediare in qualche modo al mio errore. 

«Io...»
«Vattene!»
La sua voce non è mai stata così imperiosa e incattivita, questo mi porta a fare un passo indietro spaventata dalla reazione di quello che credevo essere diventato un amico. Continuo a indietreggiare, ma con i piedi urto qualcosa. Mi volto e capisco di aver calpestato uno dei suoi dipinti. È piccolo, perciò la curiosità mi spinge a chinarmi per prenderlo. Quando mi rialzo e la lice della luna illumina il contenuto del quadro rimango inorridita. Ritrae me con la gola squarciata.

Urlo spaventata e scappo dalla dalla stanza senza voltarmi indietro.

Corro lungo il corridoio per raggiungere le scale e uscire da questa casa, ma qualcosa non va. Tale corridoio non finisce mai e più corro, più le scale si allontanano dalla mia vista.

Vado nel panico, gli occhi si riempiono di lacrime e iniziano a bruciarmi. Mi fermo per guardarmi intorno, ma subito vengo sopraffatta dalle emozioni e sensazioni negative che culminano in un pianto isterico. Porto le mani alla testa e affondo le dita tra i capelli, mi sento come se stessi per impazzire. Non riesco a raggiungere le scale, quindi non posso scappare.

Ad aumentare il mio stato di angoscia è la sagoma che, alzando gli occhi verso la fine del corridoio, vedo avvicinarsi.

Appena mi rendo conto di chi sia, il panico di nuovo mi sovrasta. Veicht cammina lento verso di me. Il respiro si accorcia di nuovo, cerco aria, ma questa non raggiunge i miei polmoni, mi sento soffocare, annaspo e il cuore mi martella così forte che ho l'impresisone che stia per forare il petto.

La sensazione di paura non mi abbandona, so che se si avvicina e solo per farmi del male e io, ora, devo scappare. Perciò mi volto con la speranza di cercare una via di fuga o qualcosa con cui difendermi dall'inevitabile scontro, ma, me lo ritrovo davanti. Mi prende per le braccia e le immobilizza contro il mio corpo.

«Te lo avevo detto, bestiolina, che te la saresti vista con me.»

Spalanco gli occhi per il terrore. Il suo ghigno malefico, lo stesso che aveva l'ultima volta che ci siamo parlati, fa capolino sul suo viso e, un secondo dopo, stringe la presa intorno alle mie braccia e con un gesto meschino e violento mi sbatte al suolo.

La mia schiena e la mia testa colpiscono il pavimento provocandomi un dolore indescrivibile, tale è la forza che ci ha messo nel farmi cadere. Non riesco più a muovermi e quel che è peggio è che vedo Veicht mettersi sopra di me. Mi intrappola le gambe con le sue ginocchia e da dietro la schiena tira fuori... il ferro da stiro.

Piango, gemo e provo a divincolarmi come posso, ma è impossibile. Mi tiene ferma e, con la mano libera, mi stringe la gola con forza e mi tiene ancorata al pavimento. Gli afferro il braccio con entrambe le mani, ma non serve a niente, è troppo forte.

«Addio bestiolina.» Il mio nomigliolo lo fa uscire come uno sputo velenoso dalle sue labbra incurvate in un sorriso sinistro, mentre carica il colpo portando il suo braccio in alto dietro la sua testa. Infine lo sferra contro la mia faccia.

«No!»
Urlo disperata ed è in quel momento che apro gli occhi.

Poi mi volto a destra e sinistra, sono al buio nella mia stanza. Porto una mano al petto che si alza e si abbassa con un ritmo irregolare, il mio organo vitale è sul punto di esplodere. Le mani mi tremano. Con fatica, alla fine, riesco ad accendere la luce, mi tocco la faccia è intatta.
È stato solo un sogno, un orribile incubo.

Ma nonostante questa consapevolezza, non riesco a calmarmi. Scendo dal letto e mi dirigo a passo incerto verso il bagno. Apro il rubinetto ed è solo quando alzo lo sguardo sul mio riflesso nello specchio che mi rendo conto che le lacrime scendono copiose lungo le mie guance. Apro l'acqua fredda e mi sciacquo la faccia, tuttavia continuo a singhiozzare. Devo calmarmi, era solo un sogno, solo suggestione per quello che è successo con Veicht e anche la paura di aver preso una decisione che possa far soffrire Blazej.

Torno in camera, guardo il display del telefono. Sono le cinque del mattino, di certo non riuscirò più a dormire. Sono troppo agitata e tutto questo credo che sia amplificato dal fatto che la mostra è questa sera.

Mi siedo a gambe incrociate nel letto, la mia respirazione si è regolarizzata, ma il sogno è ancora impresso nella mia mente. Il quadro che mi ritraeva penso che non lo dimenticherò con facilità, al solo pensiero infatti, mi tremano le mani.
E se fosse un premonitore?

Potrebbe, insomma, ho avuto delle visiono in passato. Certo, ero sveglia e avevo sensazioni diverse, ma se posso vedere il futuro forse posso anche fare sogni premonitori. Era così reale così vivido, sentivo la mia sofferenza e quella di Blazej, sentivo le mani di Veicht sul mio collo come se ci fossero davvero.
È impossibile!

Eppure qualcosa in me non va. Mi sento ridicola al solo formulare certi pensieri, ma... io quelle visioni le ho avute!
Il motivo lo ignoro, ma non sono pazza e, adesso, l'idea che questo sogno possa avverarsi m'inquieta.

Non può essere, non può andare così, farò di tutto perchè il mio sogno non si avveri.

Ho bisogno di ragionare e di calmarmi ancora. M'infilo la mia vestaglia a kimono ed esco sul balcone. L'aria fresca mi accarezza il volto, è piacevole, nonostante io senta qualche brivido di freddo.

Accendo una sigaretta e lascio invadere il mio corpo dalla nicotina che mi dona una parvenza di tranquillità.

Eppure sento che c'è qualcos'altro che non va. Ho di nuovo quella strana sensazione addosso, come se qualcuno mi stesse osservando. Per istinto mi volto verso la mia stanza, ma non c'è nessuno e la sensazione aumenta. Guardo, quindi, all'orizzonte. Il bosco è immerso nell'oscurità, non distinguo nemmeno gli alberi fra loro. Le fronde formano un unico ammasso di fogliame come un enorme buco nero dalla forza attrattiva. Infatti, questa sensazione sulla pelle, mi rende sì inquieta, ma anche curiosa, sono tentata di andare a vedere che cosa c'è là dentro che... mi osserva.
Suggestione, Ratri, è solo suggestione a causa di quel maledetto incubo.

Scrolo la testa e cerco di convincermi che sia così. Spengo la sigaretta e vedo in lontananza le prime luci del mattino. In un certo senso questa cosa mi tranquillizza; alla luce siamo tutti meno vulnerabili rispetto che al buio. Rientro in camera e vado a fare una doccia, poi scenderò per la colazione.

Mezz'ora più tardi apro la porta della mia camera decisa a scendere in cucina, ma non appena metto piede in corridoio mi blocco, ho una sensazione di oppressione nel petto. L'incubo mi torna in mente e di nuovo mi agito, la mia respirazione si fa irregolare. E così rimango con una mano sul pomello della porta e il corpo fuori dalla mia stanza, glaciata sul posto.

Il rumore di una porta che si apre e subito dopo si richiude mi fa sussultare, ma non riesco proprio a reagire o muovermi. Le luci del corridoio sono spente e non vedo nulla, ma sento con chiarezza dei passi venire verso di me.
È Veicht? È lui è il mio sogno era davvero premonitore?

Non è possibile, nel mio incubo me la faceva pagare per aver fatto soffrire Blazej, ma la mostra è solo questa sera.

Mentre continuo a pensare a vari possibili scenari  i passi si fanno sempre più vicini e il mio respiro sempre più corto. Una sagoma nell'oscurità si delinea davanti ai miei occhi, ma non ne riconosco il volto.

E poi la sua voce.

«Ratri, cara stai bene? Che ci fai ferma e immobile al buio?»

Michey...

Accende la luce e il corridoio si illumina. Deglutisco, lui mi guarda perplesso e qualcosa dentro di me scatta; forse il bisogno di conforto, forse lo stress acculumato, la paura provocata dall'incubo, non ne ho idea, fatto sta che mi lancio in avanti, avvolgo le mie braccia intorno al suo torace e appoggio il volto contro il suo petto. Rimane interdetto per qualche secondo, ma subito mi stringe tra le braccia, mentre io mi sfogo in un pianto liberatorio. Mi sento protetta e mi rannicchiata ancora di più dentro quell'abbraccio, ne ho bisogno e Michey sembra intenzionato ad assecondare la mia necessità. Lo apprezzo molto.

«Oh mio Dio, Ratri, mi vuoi dire che cosa succede?»

Me lo chiede preoccupato, ma la sua voce ha delle note dolci. Appoggia con cautela e delicatezza  la testa sulla mia, mentre con una mano mi accarezza la schiena e con l'altra i capelli. Il suo modo di fare, la tenerezza dei suoi gesti mi fanno sentire coccolata, al sicuro e mi sento libera di esprimere il mio disagio.

«U-un i-incubo, un terribile incubo.» Riesco a dire tra un singhiozzo e l'altro soffocato dal suo petto.

«Un incubo... » Ripete sottovoce. Stacca la testa dalla mia, prende il mio mento tra l'indice e il pollice e mi costringe a guardarlo. I suoi occhi grigi mi placano. Ci leggo la sua preoccupazione, so di essere in uno stato pietoso, percepisco infatti i miei capelli appiccicati alle guance bagnate dalle lacrime e sono più che sicura di avere gli occhi arrossati dal pianto.
«Vuoi parlarne?»

Scuoto la testa, non ce la faccio a raccontare quello che ho visto, sopratutto dovrei dirgli che suo fratello ha cercato di uccidermi e che solo poco prima che mi colpisce mi sono svegliata. In un certo senso provo vergogna, però se Veicht non mi avesse minacciato quel giorno è probabile che questo sogno non lo avrei mai fatto. Ma non posso dire a Michey una cosa del genere, insomma credo che Veicht sia uno stronzo, ma da qui a uccidermi...
Ne sarebbe davvero capace?
In fondo non so nulla di lui, forse voleva solo spaventarmi perché non vuole che io faccia soffrire Blazej, oppure è davvero pericoloso. Non lo so è più ci penso più la testa mi scoppia.

Percepisco le mani di Michey sul volto, il freddo della sua pelle a contatto con la mia accaldata e arrossata mi provocano una sensazione piacevole di freschezza e al contempo di tranquillità. Con i pollici accarezza e miei zigomi bagnati e asciuga le ultime gocce di tristezza cadute dai miei occhi.

«Era solo un sogno, qualsiasi cosa tu abbia visto era solo... un sogno. Vieni con me, ti preparo la colazione e vedrai che a stomaco pieno starai meglio.»

Abbasso lo sguardo, ora che sono un pochino più calma, mi rendo conto di essermi gettata su di lui e provo un leggero imbarazzo. Porro una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ho difficoltà a guardarlo in faccia, nonostante le sue mani siano ancora sul mio viso.

«Mi dispiace io... mi sono lasciata andare e...»
«Cielo, Ratri, non scusarti, sei sconvolta. Vieni, fidati di me.»

Mi dona un' ulteriore carezza e poi prende la mia mano. Annuisco e lo seguo giù per le scale fino alla sala da pranzo. Mi accompagna e mi fa accomodare al tavolo.

«Ci metto solo due minuti aspettami qui.»

Sparisce in cucina e quando torna mi ha davvero preparato la colazione. Una tazzina di caffè, una ciotola piena di biscotti e del latte caldo.

«Forse il caffè... ehm... non è adatto.»

Passa una mano sul suo collo, incerto sul da farsi.
In effetti per come sono agitata non lo sarebbe, ma ne ho bisogno per svegliarmi e a me piace troppo per rinunciarci.

«Non preoccuparti ora... ora mi calmo.»

Sospiro e prendo un biscotto. In realtà ho lo stomaco chiuso, ma devo sforzarmi un po' e mangiare. Michey mi osserva, percepisco la sua preoccupazione e so che vorrebbe che gli parlassi del mio incubo. Per quanto tenti di farsi gli affari suoi, è chiaro che non ci riesca, lo vedo da come mi guarda che ha una domanda che gli brucia sulle labbra. Sospiro di nuovo e mi arrendo.

Nel mio sogno tutto quello che ho organizzato finiva malissimo e...

E? Fammi indovinare, eravamo tutti arrabbiati con te?

Beh, non tutti, solo il biondino malefico era intenzionato a farmi fuori.

Annuisco senza dare troppe spiegazioni. Michey si avvicina mi prende la mano nelle sue, la stringe e la bacia.

«Non accadrà e se anche le cose non andranno come speriamo, Ratri, ti prometto che nessuno se la prenderà con te.»
Forse non Blazej, ma Veicht, lui di sicuro se la prenderà con me.

«E poi sono sicuro che andrà tutto bene. Veicht mi ha detto do aver contribuito, cosa che non mi aspettavo, a spargere la voce tra le sue amicizie. Le persone verranno e, a quanto mi hai detto, qualcuno interessato ai suoi lavori c'è, no?»

Giusto, avevo parlato a Michey di come sia Francesca che i membri del gruppo fossero interessati ad acquistare un dipinto. In effetti, anche se fossero in pochi, basterebbero. A Blazej serve solo che qualcuno, oltre le persone che lo circondano, gli dica che ha talento ed è un dato di fatto, nessuno può dire il contrario, è impossibile.

La determinazione di Michey e la sua positività donano nuova linfa alle mie speranze. Gli sorrido sincera e annuisco con convinzione.
Sì, andrà bene e non c'è alcuno motivo di aver paura nè di un eventuale fallimento, nè di Veicht.

Ma bastano due parole per sgretolarsi le mie certezze ritrovate.

«Buongiorno, bestiolina.»

Ciao a tutti, come va?
Questa prima parte doveva essere corta, già doveva ahahha mi sono lasciata prendere la mano.

Fatemi sapere se vi è piaciuta e che emozioni avete provato riguardo all'incubo, per me è importante capire se sono riuscita a farvi sentire anche solo un po' di ansia ahahah

Io vi mando un besito, e ci vediamo presto con la parte seconda di questo capitolo. 😘

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