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9 - SACRIFICIO D'AMORE


Lasciarla andare è stata la cosa più difficile che abbia fatto nella sua vita. Possibile che una tale bellezza lo abbia stregato al punto di non riuscire più a respirare lontano da lei? Possibile che tutte quelle pagine lette come un pazzo durante le sue notti insonni fossero reali? Ogni tormento raccontato da Montale, ogni versetto descritto da Baudelaire, le rime di Proust, ogni parola d'amore scolpita da Shakespeare si avvera e lo inghiotte, come la notte, come la morte. Adesso capisce cosa significa abbandonarsi al desiderio, capisce di aver letto e riletto senza mai toccarlo così a fondo da affondare.

Mentre marcia lungo il portico nord ancora sconvolto dalla passione, si scopre osservato in modo insistente. Cosa hanno da guardare, tutti quanti? Possono vedere il suo sgomento? Possono leggere la sua eccitazione romantica?

Poi si osserva agghiacciato: è vestito di rosso.

Sfila il berretto per farsi riconoscere. Adesso sanno che è uno di loro, ma non sono contenti che sia travestito.

Il meccanico, Sandro, tipo davvero poco amichevole e con due condanne per furto, gli arriva vicino e lo spinge indietro con una manata contro il petto. David resta immobile e lo fissa corrugato, e pronto a colpirlo. Ma la tensione si smorza appena Sandro con un ghigno lo sfotte: «Ti sei infiltrato tra i nemici, eh, bello? 'Mbé? Che hai scoperto?».

David non replica, è spiazzato. Lui non è una spia, giusto? Oppure è così evidente che lo è?

Sandro aggiunge: «Hai scoperto le ricette? Ci avevo mandato mia moglie, ma è troppo analfabeta, non è stata capace di leggere il loro menù. Se fanno la diavola, noi facciamo il ripieno...».

E mentre il meccanico parla, David sente di essere tornato a respirare. E farfuglia un confuso: «Sì, la diavola».

«Lo sapevo!» fa lui, contento, e si allontana rapido come se avesse fretta di trovare un'alternativa schiacciante a un pollo alla diavola.

Un dannato, dannatissimo pollo alla diavola.

«Coglione» sente dietro le spalle.

Si volta e non trova nessuno.

Il sussurro si ripete: «Coglione, vieni qui.»

Adesso capisce che lo stanno chiamando dalla siepe.

David marcia fino a lì e s'infila tra i rami e le foglie. Davanti a sé c'è un uomo col berretto calato sulla faccia e una tuta blu. Quando alza la visiera, rivela il volto del suo controllore: il vicequestore dell'antidroga Claudio Gelsi, Gatto Silvestro.

David non fa in tempo a porsi una sola domanda, che il poliziotto lo strattona per il braccio osservando la stoffa della sua tuta.

«Mi sono mascherato e ho rischiato il culo per venire qui, avrò schivato una ventina di ratti interessati ad arpionarmi le caviglie e sono rimasto a fissare la fauna di delinquenti per mezz'ora, prima di trovarti. Dovevi essere blu, e invece hai la tuta rossa! Mi sono quasi fatto beccare per capire qual eri, coglione.»

David lo respinge e gli ringhia basso. «Tre volte sono anche troppe, capo. Chiamami coglione un'altra volta, e ti spacco questa faccia da guardia che mi fissa come avesse davanti la merda.»

Ora Gelsi ride. E come uno spaccone dei più imbecilli gli mostra il fianco da cui sporge evidente la pistola d'ordinanza.

«Bravo» lo sfotte, «sparami qui. Così questi ti fanno a pezzi e la tua carne la danno per cena col ripieno, domani sera.»

Gelsi la smette di perdere tempo e si affretta a tirare fuori un auricolare a goccia e un piccolo microfono. Glieli passa: «Domani, alla festa, dobbiamo registrare tutto.» Gli mostra la goccia. «Questa te la infili nell'orecchio per ascoltare quello che ti diremo.» Poi mostra il microfono. «Questo te lo attacchi al petto col nastro adesivo, per registrare tutto quello che diranno gli altri intorno a te. Ma tra un'ora esatta dobbiamo fare una prova audio. Quindi io mi attraverso il tunnel e torno nel furgone di appostamento che abbiamo parcheggiato fuori dalle mura, intanto tu ti infili tutto, e poi cominciamo a comunicare tra noi. Ah, e non usare il cellulare, tienilo spento, perché ci disturba il segnale.»

David ha un sussulto potente che gli stringe lo stomaco, e non si trattiene: spinge indietro il poliziotto, fino a schiacciarlo contro la porta blindata che, tra le siepi, accede al tunnel da cui evidentemente proviene lo sbirro.

Quando è sicuro di averlo imprigionato, col gomito serrato sotto alla sua gola, gli sussurra minaccioso: «Adesso stiamo veramente esagerando, capo. Se mi beccano auricolare e microfono, per cena servono me!».

Gelsi reagisce e si libera della sua morsa con due mosse veloci.

«Stammi a sentire, David, e apri bene le orecchie...»

«Apri tu, le orecchie, guardia: hai promesso che in cambio della mia collaborazione, avresti ritrovato mio padre, ma finora non hai fatto un cazzo e mio padre è ancora disperso, quindi io non ti devo niente...»

«Adesso ascoltami bene, razza di criminale senza speranza: siamo a un passo dal blitz, e tu devi rispettare i patti o il primo che butto dentro a vita sarai tu. Pure se non hai fatto un cazzo, pure se sei l'unico coglione che in mezzo agli spacciatori studia lettere, giuro su Dio che ti incastro lo stesso e ti metto addosso tanta di quella coca che il giudice sarà costretto a mandarti a scrivere le mie prigioni in una cella. Chiaro?»

Finisce di parlare e il pugno di David lo centra in pieno viso, stordendolo e facendolo capitolare per terra.

«Chiaro» risponde massaggiandosi le nocche arrossate.

Gelsi si tiene stretto il naso. «Perché cazzo mi hai colpito?»

«Ti avevo avvertito di non chiamarmi più coglione.» Gli strappa di mano microfono e auricolare «Ritrova mio padre!» e lo molla lì, tra le siepi e la porta.

Non è mai stata romantica, Anna. Eppure, da quando ha lasciato il fianco di David, non fa che sospirare. Non esiste nessuna formula matematica che preveda tanti respiri nostalgici, e nessuna che possa annullarli. Non riuscirà a smettere di pensare alle labbra di lui sulle sue. Erano morbide, dolcissime, al sapore di miele, i respiri erano corti e intensi, le mani erano calde e leggere e a volte premevano per scolpirsi nella pelle. No, non è mai stata romantica, per questo ha capito di essere altro. È possibile innamorarsi in così breve tempo? Ma che cos'è il tempo se non l'unità di misura dello spazio che occupano le nostre emozioni?

«Mi stai ascoltando, Anna?»

Sono tre volte che Iolanda e Luca le pongono la stessa domanda: chi era quello con cui hai lasciato il perimetro per quasi un'ora?

Se David non avesse indossato una tuta rossa, lo avrebbero capito anche da soli. Non le resta che mentire, e non ha mai mistificato tante volte come da quando è arrivata a vivere al Quadrilatero. Sua madre stenterebbe a riconoscerla, adesso.

«Oh, non ricordo il suo nome» si finge distratta, «ma era gentile, mi ha spiegato che al di fuori delle mura esiste una vallata che separa la periferia dalle arterie principali della città.»

Luca e Iolanda si scambiano un'occhiata perplessa. Vorrebbero rimproverarla, indagare, urlare, magari confinarla nello stanzino come una prigioniera, o almeno è l'impressione che le danno; ma mancano tre giorni alla firma, e ormai Anna è sicura che stiano aspettando solo questo per smettere di perdonargliele tutte. Così ha deciso che ne approfitterà: ruberà al tempo tutto il bene possibile, prima che la sua libertà finisca. Sarebbe facile tornare a Lugano, resettare tutto, ma ora che David l'ha baciata, accarezzata, l'ha fatta sentire così bene, è impossibile per lei ripartire e dimenticarlo.

«È iniziato il secondo turno» la informa sua zia, «adesso tocca a te dare una mano con i dolci. Basta che non te ne vai in giro con gli sconosciuti, va bene, cara? Non mi far preoccupare.»

«Ci vado io con lei» s'intromette Luca. «L'aiuto e la proteggo» insinua torbido, porgendole il braccio.

Luca sembra geloso, non ne è sicura ma crede che seguirlo allontanerà i sospetti su David. Così, a malincuore, parte sottobraccio a suo cugino, alla volta del banco dei dolci.

In ascensore domanda: «Sono artigianali?».

«Boh, non so manco chi li ha fatti. Li dobbiamo solo sistemare sui tavoli coi teli e la carta trasparente...»

«La pellicola.»

Luca alza gli occhi al cielo. «Sì, la pellicola.» Poi la fissa corrucciato per qualche momento, finché esordisce come uno sparo: «Era David? Stavi con lui? Ce l'ha per vizio di cambiare la tuta per infiltrarsi. E poi gli piacciono le nuove arrivate» le porte dell'ascensore si aprono e Luca la spinge sotto al portico col passo accelerato. «Tipo, l'anno scorso è venuta a stare qui un'africana notevole, belle tette, gambe lunghe, manco troppo scura, abbastanza normale. E David le ha dato il pilotto...»

Abbastanza normale?

«Cos'è un pilotto?»

Luca sospira scuotendo la testa.

Anna deglutisce senza tentare di nasconderlo. Ormai si è innervosita. «E che significa abbastanza normale? Che secondo te una di colore non è normale?»

Ma Luca non ci casca. Sorride malizioso. «Al Quadrilatero nessuno è normale. Tanto per essere chiari. Ma quella era nera, e qui di neri non ce ne sono. Infatti non c'è più manco lei.»

«E dov'è andata?»

Suo cugino le indica il banco a cui sono diretti. Poi sbuffa mentre replica: «Gustavo l'ha esiliata. Lui è razzista.»

Solo lui, eh?

«Chi è Gustavo?»

«Il nostro sindaco» ride. «Lo hai conosciuto, è quello che ha ordinato a mamma di comprarti un nuovo trolley. Che poi, nessuno di noi ha capito che razza di regalo è.»

Anna è sconvolta ma finge indifferenza. Dentro ha un turbinio di pensieri che si rimescolano: l'uomo sporco deve essere a capo dello spaccio. E io mi devo ricordare di far sparire il Trolley, prima che gli arrivi voce che presto ne avrò due.

Si fermano davanti al banco, Laura è indaffarata ad allineare bignè su un vassoio, e Anna non può fare a meno di notare che sono dispari e asimmetrici, ma lo tiene per sé. Ha qualcosa di più urgente da scoprire. Le arriva all'orecchio e sussurra: «David, l'anno scorso, era amico di una ragazza di colore? Oppure era solo...».

Non fa in tempo a finire la frase che sua cugina scoppia a ridere sonora, tanto da attirare su di loro l'attenzione di tutti i vicini di banco: il macellaio che falcia con veemenza un quarto di manzo; il panettiere che impila filoni uno sull'altro; persino quello più lontano, che smista i barili di birra.

Laura finisce di ridere e la guarda col sopracciglio alzato e un ghigno tremendo sulle labbra: «Allora ti piace, eh!».

Anna non ci aveva pensato, si è resa vulnerabile. Deve rimediare.

«No, volevo solo dire...»

Sua cugina torna seria, i suoi occhi guizzano intorno, e quando è certa che Luca si sia distratto le sussurra: «Scommetto che te lo ha detto l'idiota di mio fratello. Non ha mai sopportato che David si fosse messo contro l'intero quartiere per farla restare, quando volevano cacciarla, perché qui sono tutti razzisti. Ma David era dalla sua parte perché c'ha il padre scandinavo, e pure quello lo hanno cacciato. Qui, gli stranieri in generale non sono ben accolti...»

«Allora neanche io.»

Laura smette di parlare e impallidisce.

Equazione risolta: stanno tutti aspettando che lei firmi la custodia per avere i suoi soldi, poi forse la cacceranno come hanno fatto con la ragazza di colore e con il padre di David. Vorrebbe chiedere di lui, ma stavolta evita di porre un'altra domanda che insospettirebbe sua cugina.

«Senti, io ho quasi finito» sospira Laura. «Perché mentre tu andavi a spasso con non si sa chi, io ho fatto il primo turno. Prima che me ne vado ti spiego cosa devi fare...»

Mentre Laura parla senza riprendere fiato di torte da scartare e pasticcini da mettere in fila per colore o grandezza, cosa che a lei non è mai riuscito di fare bene ma che ad Anna riuscirà sicuramente perché è autistica come Rain Man, Anna si distrae e fissa in alto, oltre le siepi e le cime dei pini: di nuovo quel binocolo puntato su di loro.

Poi ci ripensa: Rain Man?

Sbianca: «Lo hai detto a qualcuno?».

Laura si blocca con la fronte corrugata. «Che cosa?»

«Che sembro Rain Man.»

Sua cugina appare in difficoltà: «O Dio, ma che ti sei offesa?»

Anna deve ancora calcolare la variante che quell'appellativo comporterà, per cui resta muta e non replica.

«Guarda, c'è David, adesso è pure il suo turno. Vedi? Laggiù.» Fa del suo meglio per porre rimedio, pensando in questo modo di far tornare colore sul viso impallidito di Anna.

A sentirlo nominare, il cuore di Anna va in tachicardia, e non può impedirsi di osservare l'altro lato del portico: David ha messo a terra due pesanti scatoloni davanti a un banchetto ancora vuoto.

«Che sta facendo?»

Laura sospira sollevata di poter cambiare argomento, e commenta rapida: «Ogni anno alla festa, presenta libri usati da regalare. Ma non si avvicina mai nessuno. A chi vuoi che interessi leggere, qui?» ridacchia.

Seguitano entrambe a osservarlo mentre lui sistema uno dopo l'altro tomi e libri e riviste lungo la superficie di formica. E a nessuna di loro sfugge che lo fa "brontolando".

«Ancora così, state?» Luca arriva loro alle spalle, e fissa il banco. «Le volete sistemare, 'ste torte, sì o no?».

Laura sbotta: «Guarda che il mio turno è finito, le devi sistemare tu... con lei» indica Anna.

Ora suo cugino si fa cospiratorio, replica alla sorella guardandosi intorno furtivo e parla bisbigliando: «Mi hanno chiamato per andare ad aiutare Rosario a prendere il ripieno, finisci tu, qui».

Laura sbarra gli occhi come se avesse ascoltato una bestemmia, e risponde solerte: «Ma certo, vai ad aiutare Rosario, finisco io, qui.»

Anna vorrebbe chiedere quale codice stiano usando, convinti di avere davanti una stupida, ma preferisce apparire stupida.

Luca si allontana mesto, e Anna comincia a creare tre file simmetriche per dividere i bignè al pistacchio, da quelli al cioccolato e da quelli al cocco, come avesse nelle mani un righello.

Mentre lo fa, sente la risatina leggera di sua cugina che borbotta nell'atto di spostare due torte: «Non ci posso credere, David parla da solo. 'Sto posto ha fatto diventare scemo pure lui.»

D'istinto Anna alza lo sguardo e lo punta sulle labbra di David. Lui si china per raccogliere libri e poi si sposta per piazzarli uno sull'altro, non è facile leggergli il labiale. Ma non resiste all'impulso di farlo. Le parole arrivano confuse e sconnesse: Non posso; la smetta; quale? Non sento.

Le basta per capire che sta parlando con qualcuno. Un amico immaginario? Molte persone ne hanno, soprattutto i creativi come David.

Poi però, qualcosa non torna, succede quando Anna legge una frase di senso compiuto: Capo, mi sto incazzando. Non ci penso proprio a sconfinare con la tuta blu. No, non posso rimettere quella rossa, perché ora è il mio turno, e non posso darmi alla macchia.

Ma con chi diavolo ce l'ha?

Le tute non hanno tasche, pensa Anna, anche avesse un auricolare Bluetooth, non può essere al cellulare.

«Se lo fissi con questa faccia accigliata, mi fai ricredere» le dice Laura.

Anna si riscuote dalla lettura del labiale, e torna vigile. «Come dici? Ricredere su cosa?»

«Pensavo ti piacesse, David. Ma lo stai studiando come fosse un caso clinico. O dovrei dire una formula matematica?» la schernisce.

Anna si trova per l'ennesima volta a mistificare: «No, ma, sai... io non ci vedo bene da lontano, per questo stringo gli occhi e mi sporgo, e... insomma, sono un po'miope.» Anche se sa di avere undici decimi e che potrebbe memorizzare una fila di numeri anche da un chilometro.

«Questa è una notizia!» esclama sua cugina, entusiasta. «Hai almeno un difetto! Iniziavo a preoccuparmi.»

Anna la lascia al suo sollievo, e torna a infilare bignè riflettendo su cosa David stia combinando.

Solo poco dopo, quando un'ombra la sovrasta togliendole luce, alza lo sguardo e si ritrova davanti la stazza rotonda di sua zia Iolanda, con le mani sui fianchi e l'espressione corrucciata, rivolta a Laura.

«Vai da Italo. Gli si è scucita la tuta, dobbiamo rammendarla. Lo sai che oggi non può stare senza.»

Sembra un altro codice.

Sua cugina scatta come una molla: «No! Ti ho detto che non ci vado da quel...»

«Vado io, zia» interviene lei solerte.

Avere il permesso ufficiale di raggiungere il portico nord è l'occasione ideale per incontrare David.

Le due la fissano pensose per qualche istante, fino a che la scena riparte e parlano una sull'altra: sei sicura? Ma lascia perdere. Grazie mille. Non mi pare giusto. Allora vuoi andare tu?

«Vado subito» pulisce con un panno lo zucchero che ha sulle dita, e sorride come chi sta per andare in missione: testa alta, sguardo fiero. Cuore in panne.

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