8 - Nemici e amanti
Ormai è facile portarla via da sguardi che indagano, facce che osservano, orecchie che ascoltano, adesso per loro la corsa è una fuga verso il sole che si apre come un sipario a rivelare la radura alle spalle del Quadrilatero. Due ragazzini che corrono a perdifiato incontro a un destino che hanno voglia di scrivere da soli.
Arrivano in una zona brulla e incolta, una distesa infinita di erba corta che circonda la periferia. Corrono ridendo, e non riprendono fiato, poi – quando David è certo di essere abbastanza lontano dalla muraglia - infila un piede tra le gambe di Anna, la tiene per le braccia e la lascia scivolare piano sull'erba, con lui accanto.
«Sono pazzo, lo so, ma volevo...» si mette su un fianco, con la mano a sorreggere il mento, e le sorride, «...volevo stare un po' da solo con te, Anna Frey.»
La luce di taglio che si posa sul suo corpo supino che fissa il cielo, le illumina il volto a metà, e il calore che emana la fa apparire come una Dea adagiata sul giaciglio di un letto di fiori che profumano l'aria e colorano gli istanti che lo hanno condotto a un respiro da lei, dal suo profilo meraviglioso, e dalla voglia incontenibile di accarezzarla e di baciarla, adesso, subito, con l'urgenza ferina di chi non ha ossigeno, e se non si muove, muore.
«Non possiamo stare qui... insieme» mormora lei, flebilmente.
«Qui non esistono confini, non ci sono colori a dividerci. Questo posto è solo nostro.» Le sue dita si avvicinano timide al viso di Anna, ma si fermano a mezz'aria, con la paura di essere respinte.
E non lo crede possibile, ma è lei che adesso si spinge avanti e finisce contro la sua mano che trema, e muovendo piano il viso, ruba la sua carezza, mentre la mano è immobilizzata dall'emozione.
Mi vuoi, Anna Frey? Mi vuoi anche tu.
Non può impedirsi di imprigionarle il viso con la mano che adesso ha deciso di prendere il suo posto su questa pelle dorata e liscia che sembra acqua di mare riflessa nei suoi occhi estasiati.
Si avvicina alla sua bocca e non fa che guardarla.
«Dio, quanto sei bella...»
Lei sorride timida. «Disse l'angelo della notte alla sua stella.»
È lei. Ne ero sicuro.
La bocca tocca la sua, morbida e leggera come un respiro che ha il sapore del miele, sfiorato da un anelito di brezza tiepida, nella brughiera che adesso si muove connessa con l'onda del cuore che fa avanti e indietro e sembra mare, e sembra amore.
Le labbra si sfiorano piano, indecise, inebriate ma senza immergersi. Se divorarle fosse l'oblio? Se affogasse e non riuscisse più a emergere? Cosa ne sarebbe di lui, dei suoi sogni romantici, del suo desiderio di portarla via con sé verso quell'orizzonte che adesso muore piano oltre la collina brulla, annunciando la sera che scende e il tempo che finisce.
Non importa, la sta respirando e ora vuole baciarla, e se affogherà, sarà una morte dolcissima. La più bella che abbia mai sperato di avere, da quando è cresciuto e ha capito di essere nato nel fango. Reclama la sua ultima nota, l'ultimo desiderio del condannato, e preme con impeto le labbra su quelle di lei, morbide e calde, tanto da iniziare ad annegarlo. È un bacio lento e calmo, sa di tormento e di proibito. E solo ora decide di andare oltre, di entrarle nella bocca e di immergersi... ma resta al cancello del suo desiderio, e non fa in tempo...
Un rintocco potente tuona da lontano, echeggiando nella radura come un temporale.
Stormi di uccelli si alzano in volo e fuggono a ovest creando nell'aria disegni mutevoli.
È il segnale. Il primo turno è finito, i blu e i rossi che hanno lavorato finora, devono rientrare. Il lavoro è organizzato per turni, proprio per non permettere avvicinamenti. Chi manca all'appello viene punito.
Quando il tuono si disperde, David e Anna si staccano repentini e si osservano occhi negli occhi col fiato che corre e il cuore che trema.
Ci pensano. Si respirano.
Il tempo corre via come una lama che dall'alto piomba lucente a tagliare in due il destino, obbligandoli a dividersi.
«Dobbiamo tornare» le dice con la voce rotta.
Anna non emette un suono, ma con lui si alza, barcolla e lui la sorregge. E non resiste all'impulso di stringerla a sé, chiudendo con le braccia le sue spalle fragili, per sfiorare con le dita le scapole aguzze come ali mozzate. Ne ha certezza: lei è un angelo che ha perso le sue ali. Ma adesso non ne avrà più bisogno, sarà lui a sostenerla.
Il navigatore perde l'orientamento per la terza volta, ormai Alberti ci ha fatto l'abitudine, quel posto in mezzo al nulla cosmico non è osservato neanche dai satelliti, ma lui ci è riuscito lo stesso a trovarlo. Tira una brusca frenata, un nuvolo di polvere si alza oltre il parafango e lui è già fuori, in marcia verso il portellone laterale del Minivan di appostamento parcheggiato fuori dallo sbarramento che accede ai tunnel sotterranei.
Lo spalanca con un solo rovescio del braccio, e i cinque poliziotti all'interno si voltano di scatto, e lesti gli puntano contro i mirini delle pistole d'ordinanza. Alberti alza le mani in uno sbuffo annoiato: «Calma, sono io, non sparate.»
Claudio Gelsi, il vicequestore a capo dell'operazione e isterico come nessuno mai, si leva in piedi e gli arriva addosso urlando: «Che cazzo vuole, lei, ancora, Alberti? Il favore gliel'ho già fatto, ora deve lasciarci fare il nostro lavoro!»
Alberti non sbatte neanche le ciglia, e subito domanda sprezzante: «Gelsi, che significa lei non sa un cazzo di come sono andate le cose?»
Il vicequestore Gelsi aggrotta la fronte. «Che?» con un balzo salta giù dal Minivan, e richiude con forza il portello, spingendo indietro di tre passi il funzionario. «Che cazzo vai blaterando, Alberti?» lo fissa torvo.
«Il ragazzo che ho incontrato nel tunnel, quel... David, che vi fa da talpa, ha detto che io non so un cazzo di come sono andate le cose. E mi ha fatto riflettere. Non è che lo state costringendo? Perché se così fosse, non potete fidarvi... quello alla prima occasione ve lo mette in culo.»
Gelsi affila lo sguardo e sospira esasperato. «Che problema hai, Alberti? Che te ne frega se un'operazione dell'antidroga finisce in culo, eh? Non mi pare che siano cazzi dei servizi segreti.»
Alberti sbotta sonoro: «Io ho una persona da proteggere! E se quello lo mette in culo a voi, lo mette in culo pure a me!»
Gelsi trasale e per un momento tace, poi si calma. «Tranquillo, Alberti, quello lo teniamo per le palle. Non può tradire. Si aspetta qualcosa da noi. Gliel'abbiamo fatta odorare, e ce lo abbiamo in pugno. E ora, se vuoi scusarmi...»
Alberti lo tira indietro, trattenendolo per l'orlo della manica. «E saresti così gentile, Gelsi, da spiegarmi come fai ad esserne così sicuro? Cosa gli hai promesso, esattamente?»
«Tu non mi hai detto chi proteggi. Io non ti dico cosa gli ho promesso. Do ut des. Vuoi avere informazioni dall'antidroga, Alberti? Scambia informazioni con i servizi. Oppure vai a fanculo.»
Alberti sta per minacciarlo apertamente, sta per elencargli ogni nome e cognome di politici che lo appoggiano, quando lo vede sfilare la giacca e rivelare una tuta blu, come quelle dei meccanici.
Resta muto per un attimo, poi non trattiene un: «Che cazzo fai, Gelsi?».
Il vicequestore sbuffa e sbraita mentre spiega trafelato: «Mi tocca infiltrarmi per incontrare quel coglione di David. Oggi indossano tute blu. Gli mettiamo addosso un microfono e registriamo tutto.»
Alberti impallidisce e gli torna in mente che David sembra proprio un bravo ragazzo che a sua figlia sarebbe tanto piaciuto. «Così rischia di farsi ammazzare...»
Si vede arrivare addosso le mani di Gelsi che lo agguantano per i lembi della giacca e lo tirano avanti, fino a farlo rimbalzare sotto al naso del vicequestore. «Ma che cazzo te ne frega a te, se quel coglione si fa ammazzare, me lo spieghi, Alberti? Se lo ammazzano, avremo un coglione in meno al mondo, porca puttana. E ora, vattene, e lasciami fare il mio lavoro.»
«Voglio essere sicuro che la mia protetta ne uscirà illesa, Gelsi! Dimmi cosa diavolo hai promesso al ragazzo, per convincerlo a fare la spia per voi sapendo di rischiare la pelle!»
«Chiedi agli affari interni, tu che sei un dirigente, tu che puoi tutto» Gelsi lo spintona indietro e senza voltarsi, vestito solo di una tuta blu, entra nel tunnel che conduce alla nord.
Nessuno lo ha mai trattato così, è abituato a essere esaudito, non ostacolato, e per un momento Alberti si augura che quei ratti grandi come capibara divorino Gelsi prima che abbia raggiunto l'uscita.
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