Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

5 - Una missione pericolosa


Il negozio è avvolto dalla semioscurità di un primo pomeriggio assolato che la serranda rilascia per metà, è semichiusa per evitare visitatori durante l'orario di riposo, quando la gente pranza, la gente normale. Sua madre sta seduta al solito posto, con le mani alla macchina da cucire che spara punti all'impazzata e sembra una marcia frenetica e fa un rumore del diavolo, e la stoffa si muove rapidamente sotto ai colpi sparati, e quando scappa fuori dal piano è pronta per essere imbottita di coca, e poi ricucita.

Si rivolge a lui restando di spalle, sa che David è arrivato, lo ha sentito entrare.

«Che fai, mi fissi? Vieni qui.»

David posa a terra la bombola scarica e si avvicina al trambusto della cucitrice elettrica, ma appena arriva di fianco a lei, la marcia smette.

«David, devi dirmi una cosa, e voglio che tu sia sincero.»

Non è un buon inizio.

«Lo sono sempre, mamma.»

Lei si volta a osservarlo e ha un'espressione severa. «Si può sapere cosa vai a fare ogni giorno nei tunnel?»

David sospira seccato. «Lo sai, ci vado a studiare.»

Tina osserva la tuta gialla che indossa, e oltre la sua spalla, la bombola della fiamma ossidrica, e sbuffa sonora. «Ti ho chiesto la verità.»

David ha un sussulto ma lo nasconde.

Lei riprende: «Ieri ci hai passato il pomeriggio, e non eri nell'alcova a leggere, perché la puzza dei ratti arrostiti si sentiva fino al sottoscala. Oggi ci sei ritornato. Insomma, cosa fai lì sotto? Vuoi arrostire tutti i ratti delle fogne, stai cercando di vincere una gara?» ora affina lo sguardo e si fa allusiva, «oppure aspetti qualcuno?».

Stavolta David si irrigidisce, ed è più difficile nasconderlo.

Sarebbe facile dirle che è un informatore della polizia e che spesso va lì sotto per incontrare agenti in incognito. Gli basterebbe confessare, per finire come suo padre. La verità è che lei allude a qualcos'altro: non le verrebbe mai in mente che lui sia la talpa.

«A cosa pensi, mamma? Secondo te, che vado a fare lì sotto?» la provoca.

Tina si mette in piedi e gli prende la mano. «Tesoro, dimenticalo. Tuo padre è morto. Capito? Non è lì sotto, è morto due anni fa.»

«Ancora, con questa storia?» ringhia.

Una volta per tutte vorrebbe confermare i sospetti di sua madre, sarebbe il modo più rapido per non farsi beccare a fare la spia per l'antidroga. Tuttavia, non ha intenzione di ammettere che da oltre un anno sta davvero cercando suo padre, perché è convinto che sia ancora vivo e che si nasconda nei tunnel. Così non ha scelta, deve mentire, anche se è una cosa che non fa mai.

«Ma come ti viene in mente? Pensi che sia impazzito e che mi sia messo alla ricerca del suo fantasma? O del suo cadavere?»

Tina non ci casca, e ignora il suo sarcasmo. Gli bacia il palmo della mano e sussurra: «Tesoro mio, tu lo sai, nessuno sopravvive al Quadrilatero. Tuo padre ha tradito e non può esserne uscito vivo. Devi dimenticarlo...»

«Tranquilla, mamma, io non...»

Gli posa due dita sulle labbra per farlo tacere, e lo guarda pietosa, forse non gli crede, forse non vuole innervosirlo, lei dice sempre che David è la copia di Armand: ha ereditato i lineamenti tipici dello Jutland, solo di poco non raggiunge i suoi due metri d'altezza, ed è come lui aitante, attraente e pieno di fervore romantico. Come Armand ama la conoscenza e la letteratura, ma non può impedirsi di temere che, come suo padre, David possa diventare un rivoluzionario. Senza sapere che lui, rivoluzionario, lo è già diventato.

«Non sono lui, mamma.»

Lei abbassa gli occhi. «Lo so, tu sei migliore, non tradiresti mai la tua famiglia.»

Gli si gela il sangue nelle vene. È tentato di dirle la verità, vorrebbe metterla in salvo, nasconderla, ma una parte di lui sa che non se lo merita: è stato a causa dei suoi traffici se i suoi fratelli sono diventati spacciatori e suo padre è sparito.

«Com'è la ragazza? Dico vista da vicino» gli domanda a bruciapelo.

David cerca di tornare lucido. «La ragazza?»

Tina torna a sedersi alla macchina da cucire e sorride nell'atto di afferrare una stoffa. «Era da Italo, prima, no? Con quell'ignorante di Luca. La nipote di Iolanda.»

David trasale e ci pensa. La ragazza vista da vicino è talmente bella che ha dato un nome al cielo e ha disegnato il tempo e ha creato vento e tormento. Infernale e divina allo stesso modo.

«Carina.»

Ora sua madre gli lancia un'occhiata obliqua. «Stamattina l'hai chiamata Dea, e adesso mi dici che è solo carina?»

«Bé...» inizia a mistificare, «non capisco perché stiamo parlando della nipote di...»

Alla saracinesca mezza abbassata bussa qualcuno con insistenza, quasi a volerla buttare giù, e lui e sua madre sobbalzano per lo spavento. Una voce straziata urla da fuori, la voce di Chicca.

Donna Tina! Donna Tina, aiutami, ti prego!

Scattano insieme: lui tira su parte della serranda, e sua madre si affaccia e agguanta Chicca trascinandola all'interno della sartoria in rapidità.

Le mette una mano sulla bocca e sussurra: «Ssssttt, che cazzo strilli, Francesca? Vuoi che lo sentano tutti che sei venuta da me?».

Ma poi la osservano, e le lacrime e lo strazio di Chicca passano in secondo piano davanti al volto tumefatto, l'occhio destro livido e gonfio, il labbro inferiore spaccato.

«Che hai fatto? Che t'hanno fatto?» chiede d'un fiato sua madre.

Chicca non fa che singhiozzare, e capirla diventa un'impresa.

«Donna Iolanda non ha gradito che mi sono ritirata. Pareva che aveva capito, aveva fatto la gentile, ma invece no, mi ha fatta gonfiare da Ciro, quel suo scagnozzo. Fa la gentile davanti alla nipote, quella bionda svizzera, fa la recita, ma voleva che continuassi a trasportare la roba. Io non ce la faccio più, Italo è un viscido schifoso.»

Chicca ha l'età di David, solo che lei sta alla sud e lavora per Iolanda, fa le consegne. E David non può fare a meno di ripensare al suo incontro con Anna Frey: ha portato lei la roba al posto di Chicca. Che sia già stata catechizzata da quella famiglia di pazzi?

Alfredo, suo fratello maggiore, compare sulla soglia. Lui è un altro che preferisce distruggere piuttosto che costruire, e che ormai passa le giornate a doparsi e a spacciare, e David lo conosce, sa che darà consigli ridicoli e farà proposte idiote.

Infatti Alfredo, invece di consolare Chicca, la sta deridendo.

«Sei 'na cogliona, Chi'. Hai detto di no alla Iolanda, quando lo sai bene che quella ti fa accoppare.»

E Chicca piange ancora più forte che quasi si strozza.

David scansa il fratello con una spallata e si piazza davanti a Francesca. Si china su di lei che lo guarda disperata, col singhiozzo nel respiro, e non resiste all'impulso di avvicinare due dita al suo viso e di sfiorarlo piano per farla calmare.

La madre cammina avanti e indietro tra le macchine per cucire e i manichini mezzobusto, con le braccia conserte e gli occhi bassi; riflette.

Ma suo fratello non ha finito e tuona di nuovo: «Vedrai che ti sostituirà con quella troietta svizzera...».

«Ha parlato il tossico» replica David.

Nemmeno finisce di dirlo che si sente sollevare per le spalle e viene spinto contro un tavolo da lavoro che per poco non gli trafigge il fianco con lo spigolo. Alfredo se la rischia ogni volta che lo aggredisce, lo sa che David non ha bisogno di prendere steroidi per stenderlo, ma si approfitta della sua umanità.

Suo fratello lo schiaccia contro il paino metallico e zeppo di cartamodelli e forbici in posizioni pericolose, e lo minaccia a un palmo: «Meglio tossico che checca come te, saputello di merda».

Mentre pensa che lo lascerà sbollire da solo, e che non lo prenderà a pugni come meriterebbe, oltre la spalla del fratello che gli sta comprimendo lo sterno, David vede arrivare una mazza che centra in pieno la schiena di Alfredo costringendolo a mollare la presa e a finire piegato e urlante.

Sua madre, col fiato corto e la mazza di legno nella mano, fissa Alfredo col fuoco negli occhi.

«Tocca ancora tuo fratello, e ti spezzo le ossa, hai capito?»

E Alfredo, piegato per terra, sputa e risponde con stizza: «Chi te lo tocca il cocco tuo, tienitelo stretto, che lo sappiamo tutti che di figli ne hai tre, ma ne ami uno solo».

Poi si mette in piedi e le arriva a un passo, con l'indice le picchietta la fronte e sibila feroce, «Ma se credi che resterà con noi, sei proprio un'illusa, questo è pazzo come papà e presto o poi ci abbandonerà tutti».

Tina sta per mollargli uno schiaffo, quando David le imprigiona il polso in una stretta tempestiva, e la trascina indietro. Sa che Alfredo stavolta non ha tutti i torti.

«Che fai, lo difendi, adesso?» sbraita lei.

Chicca tira su col naso e dichiara rabbiosa: «Invece di litigare tra voi, state attenti a Leopoldo».

Alfredo e sua madre la fissano confusi.

«Leopoldo» aggiunge sussurrando cospiratoria. «Il contabile. Ho sentito che Iolanda lo ha incaricato di spiare i tuoi figli» dice a Tina.

David sussulta.

«Che ragione ha di spiare i miei figli?» sbraita Tina.

«In giro si dice che alla nord ci sia una spia» replica Chicca.

Tina osserva Alfredo che ghigna divertito, lui non ha paura di nessuno, figurarsi di quel coglione di Leopoldo, e gli dice: «Dà una lezione a Leopoldo».

David scuote la testa indignato, i metodi di sua madre e di suo fratello lo mandano fuori di testa, ma almeno non sono assassini. Ciò che lo atterrisce è lo sguardo che lei gli indirizza immediatamente dopo: uno sguardo che pare ammonirlo. Lo conosce così bene, sua madre, che ci ha messo un attimo a cambiare idea e a sospettare di lui. Se cinque minuti fa era convinta che lui non tradirebbe mai, adesso non ne è più così sicura.

Eppure, non è lei il suo primo pensiero: David non può smettere di domandarsi come diavolo abbiano fatto alla sud a capire che tra loro c'è una talpa.

⸸⸸⸸

Alle undici di sera, col caldo che ancora appiccica pelle e maglietta, e con i lampioni che circondano la nord facendo sembrare il piccolo parco un presepe, David è affacciato alla finestra della stanza che divide con Gianni per fare l'ennesimo giro di ricognizione col binocolo. Finora non ha scattato nessuna foto, e orientando la visuale sull'appartamento al quinto piano del palazzo di fronte non ha inquadrato altro che figure che compaiono e passano tra le stanze o nei balconi, ma di Anna Frey neanche l'ombra. Al minimo rumore lungo le scale, è costretto a nascondere l'oggetto nello zaino, avrà ripetuto questo movimento dieci volte, ma suo fratello non è mai rientrato, è lui che è paranoico. Sta iniziando a pensare che sia tutta una stronzata, che rischia di passarci la vita a cercare una Dea che nemmeno esce di casa.

Poi la sua attenzione viene attirata dal frastuono di un tubo di scappamento che butta fumo nero, una vecchia cilindrata che si fa strada tra le fronde degli alberi e attraversa il cortile. David sposta la visuale e inquadra un camioncino Volkswagen color carta da zucchero che supera la fontana e accosta lungo il marciapiede del portico sud. Con gli occhi ficcati nel binocolo, si sporge in avanti per osservare meglio: vede smontare un uomo tozzo e basso col cellulare all'orecchio che si dirige verso il portone dei Carazzoli, e poi sparisce nell'ombra.

David nasconde il binocolo e si porta a tracolla la vecchia macchina fotografica, poi esce quatto, marciando silenzioso come un ladro. In poco si trova in strada e si fionda furtivo alle spalle della fontana. Ancora un passo e avrà sconfinato. Ci riflette qualche momento, poi si lancia verso sud e corre rapido fino al furgone, assicurandosi di non essere visto. Raggiunge la fiancata del mezzo, e si nasconde, respira, e si avvicina acquattato al finestrino lato guidatore. Si affaccia e studia l'interno: sul sedile del passeggero, sopra a una serie di fogli A4, è adagiato un walkie talkie che emette frequenze intermittenti. David punta la macchina fotografica e gira la corona dell'obiettivo per mettere a fuoco i documenti, ma prima di riuscire a scattare una foto, lo raggiunge la voce del guidatore in avvicinamento. David lascia perdere la foto e si acquatta rapido dietro alla fiancata, guadagnando un'angolazione che gli consente di spiare l'uomo tarchiato che sbuca fuori dal portico e torna verso il furgone.

«Donna Iola', l'amico della procura così ha detto, di più non so.»

Alle sue spalle sbuca donna Iolanda e David si ritrae, consapevole che se quella donna dovesse accorgersi di lui, lo farebbe linciare senza pensarci una volta.

Cerca di trattenere il respiro, e continua a origliare.

La voce di Donna Iolanda si scandisce feroce nell'afa della sera: «Non ho capito questa storia dei soldi bloccati. Chi li blocca, questi soldi?».

Attraverso il finestrino aperto, l'uomo infila un braccio nell'abitacolo, e dal sedile lato passeggero tira via i fogli e li passa a Iolanda.

«Tuo marito ha detto la verità: quando compie ventuno anni eredita cinque milioni di euro, e nel frattempo esiste un fondo fiduciario di trecentocinquantamila che si attiva quando lei firma la tutela a voi. Il problema è che il Giudice è stato bloccato da un funzionario di alto livello che non gradisce questa soluzione e sta prendendo tempo.»

«Lo sapevo che c'era il trucco» replica Iolanda, stizzita. «Glielo avevo detto a quel rammollito di Romano che non ce la volevo quella in casa mia. C'ho il lavoro a rilento e i clienti alle costole perché non posso impacchettare la coca a casa, che dobbiamo giocare alla famiglia felice, e ci tocca sorridere, cucinare, roba che non abbiamo mai mangiato tutti insieme noi. Mi so' spuntate le carie da quando devo sforzarmi di fare la casalinga, cazzo. Se quella tra una settimana non firma, la vendo, così si guadagna la pagnotta, perché io non la mantengo.»

Vuole venderla.

David ne è sicuro: se al posto di una antidiluviana macchina fotografica avesse impugnato la sua mazza da baseball, non avrebbe esitato a usarla.

«Se tra una settimana la butti per strada a lavorare» replica l'uomo tozzo, «quella chiama di corsa il funzionario che la protegge, uno che l'ha presa a cuore, uno che conta.»

«Allora tu accoppalo, lo investi, lo fai sembrare un incidente.»

Iolanda e sua madre hanno sempre avuto le stesse idee criminali, per questo erano così amiche, solo che Iolanda non si accontenta di una gamba rotta, parla di farlo fuori direttamente.

«Non so chi è, non mi hanno fatto il nome, è protetto, pare che sia un dirigente dei servizi segreti» replica l'uomo tozzo.

Ne è sicuro: stanno parlando di Alberti, l'unico funzionario che conosce ad aver preso a cuore Anna.

Iolanda ride a testa indietro. «Ai servizi segreti non c'ero mai arrivata, siamo alla fantascienza, cazzo. Per una ragazzina bionda e noiosa, guarda se mi devo fottere la carriera.»

«E non sarebbe l'unico ostacolo, comunque.»

«Che vuol dire?»

«C'è anche l'avvocato che fa da amministratore fiduciario.»

David porta al viso la macchina fotografica, potrebbe essere utile immortalare questa conversazione, pensa.

«Quel coglione di mio marito che vuole i soldi puliti, lo vedi? Lo vedi quanti cazzi si devono sopportare quando i soldi sono regolari? Almeno coi guadagni in nero non devi giocare a Monopoli per andarti a comprare una cosa!»

Per mettere a fuoco, David si china e fa un passo indietro calpestando ghiaia. Il tizio grosso ha sentito un rumore, qualcosa ha attirato la sua attenzione, e David si maledice e mette via la macchinetta, imprecando dentro sé: se avesse usato un fottutissimo cellulare, ora avrebbe addirittura un video; invece, con quella macchinetta anteguerra, ha solo un piede nella tomba.

Deve riuscire a scappare.

L'uomo tozzo fa cenno a Iolanda di tacere, afferra una pistola dal vano portaoggetti e si muove silenzioso in direzione di David che non ha scelta, fa il giro del furgone e si lancia verso la siepe di cipresso che determina il confine. Dentro al cespuglio c'è una porta che conduce a una delle gallerie, ma fa parte dell'ala nord, per cui è sicuro che il segugio di Iolanda non lo seguirà fin lì. Alla fine della corsa, David con una mossa fulminea s'infila nel passaggio, evitando il segugio per un soffio.

Mentre marcia rapido nella galleria, col cuore che pompa furioso e una rabbia che sale a ogni passo, ci pensa senza sosta, gli è impossibile non pensare ad Anna Frey: Donna Iolanda vuole venderla. La sola idea gli manda in pazzia i pensieri, e David trattiene a stento la voglia di andare a sfondare il sacco da box, a quest'ora i colpi echeggerebbero lungo la galleria e attirerebbero i ratti. Ha ragione quel Alberti: la deve avvertire del pericolo che corre. Deve raccontarle tutto. Anche se questo comporterà non rivederla più. In fondo ha sempre saputo che una ragazza così non sarebbe mai stata sua. Nello sciabordio ripetuto, e a pochi metri dalla sua alcova, decide che l'unica possibilità per parlarle sarà alla festa di quartiere, il solo evento annuale che prevede una tregua tra le due fazioni.

Accelera il passo per evitare i ratti, o sarà costretto a difendersi con la Nikon. 

Anna si è svegliata di soprassalto, non fa che tossire a rotta di collo, il cuore le è arrivato in gola, forse un attacco d'ansia. Avrebbe bisogno di quelle pasticche che le prescriveva il dottore ma non vuole più prenderle, deve riuscire da sola a governarsi. Gli occhi aperti al soffitto indugiano sulla chiazza di umidità. È probabile che le pareti nascondano muffa, per questo non respira bene ed è continuamente preda di tachicardia e senso di soffocamento. Deve studiare un modo per asciugare l'aria. Inizia a credere che le abbiano concesso quello che un tempo doveva essere lo stanzino delle scope, per questo è così stretto e angusto. Si mette dritta sulla schiena e piazza i palmi aperti sulla parete a cui il letto è addossato, e in poco si avvede che è umida e fredda nonostante il caldo terribile di quelle giornate. Avvicina l'orecchio e si costringe alla concentrazione: aveva ragione, oltre le mura avverte un flebile suono continuo ma non costante, è più un alternarsi di sibili e di piccoli rumori. Che sia una parete cava? Lei non se ne intende ma percepisce vita dentro al cemento, se di cemento si tratta.

Si mette in piedi, la punta delle dita si gela all'istante, lei trema e vacilla ma poi infila la vestaglia e apre piano la piccola porta. Il corridoio è buio e silenzioso e Anna va alla ricerca del muro portante, quello che se c'è un terremoto non può crollare, quello che senza viene giù tutto, glielo ha insegnato papà che era un imprenditore edile laureato in ingegneria. Quando lo trova ci piazza l'orecchio e resta in ascolto fino a che avverte di nuovo quei sibili e quei rumori sinistri. Si concentra sui ricordi: il suono tende a salire. I rumori vengono da sotto. Forse proprio sottoterra, nelle fondamenta.

Un gemito stridente si scandisce nel corridoio, è la porta della stanza di Luca che s'è aperta. Anna scatta come una ladra che non vuole farsi cogliere sul fatto ma suo cugino l'aveva già intercettata.

Le arriva davanti a torso nudo, in boxer e capelli finalmente abbassati sulla fronte, stavolta niente scossa all'odore di lacca. Sembra frastornato, passa una mano dietro alla testa, la gratta.

«Che è successo? Te sei già svegliata? Sono le sei del mattino.»

«Ho bisogno d'acqua» mistifica al volo. «Allora... vado in cucina.»

Luca la osserva disorientato: «Vuoi compagnia?».

«No, grazie.»

«Vabbé» sbuffa. Fa dietrofront e si richiude in camera.

Passano alcuni minuti, poi Anna si assicura che Luca si sia rimesso a dormire, e origlia contro la sua porta: nessun rumore degno di nota. Dormono ancora tutti quanti. Arriva sulla portafinestra della cucina, la apre a si infila in balcone.

È l'alba al Quadrilatero. L'aria è frizzante, la luce che pian piano diventa potente è un effetto speciale che rende la piazza una cartolina di quelle che raccontano storie lunghe di persone indigenti che non si arrendono, di frasi urlate per aria da un balcone all'altro, e di braccia che lavorano sodo, di sguardi bassi per la tristezza e di panni stesi che sembrano anneriti dallo smog pure dopo la centrifuga e il Dixan.

Sfila dalla tasca della vestaglia il cellulare e fa un respiro lungo prima di digitare a memoria il numero del funzionario, l'unico che ha il potere di fare qualcosa. Non lo chiama, gli scrive, non sa se sia già sveglio.

Buongiorno, dottor Alberti, sono Anna Frey. Ha detto di farle sapere se qualcosa non andava e devo dirle che ho l'impressione che in questa famiglia si spacci droga. Dico droga perché non so quale tipo. Non mi fraintenda, io li capisco, questo è un quartiere molto povero, non sono meravigliata delle loro attività extracurriculari. Ah, e un'altra cosa: credo che sotto alle fondamenta di questo edificio scorra un fiume, forse di acque reflue, canali di scolo, non so dirlo, andrò a controllare. Per il resto sto bene, con me sono tutti gentili, fanno finta, ma non posso pretendere che mi amino davvero, sono l'esatto opposto del loro campionario umano consolidato. Sarebbe meglio che lei facesse qualcosa per queste persone, non lo so, magari per una riqualificazione del quartiere, un bonus famiglie per aiutarli ad arrivare a fine mese senza essere costretti a commettere crimini, ne hanno davvero bisogno. Ci aggiorniamo. Grazie e arrivederci.

Cancella immediatamente il messaggio e si affaccia sulla portafinestra del balcone. Il sole si sta alzando. Per un attimo il suo sguardo indugia al panorama. Il quinto piano è molto alto, in linea d'aria tocca le fronde dei pini allineati oltre il confine, nella nord del Quadrilatero.

Per un attimo Anna si domanda se quello che sta osservando sia un miraggio: una specie di uomo con una grossa tuta di protezione gialla e una bombola tra le mani è sbucato da una siepe e si è diretto alla sartoria dell'avversaria di sua zia, Donna Tina. E di seguito, la finestra al piano di sopra spalanca le ante di metallo e qualcuno con qualcosa in mano si affaccia. Anna non impiega molto a capire che il tizio sta usando un binocolo e lo sta orientando sulla Sud. Sono esattamente uno di fronte all'altra ma a decine di metri di distanza. Anna si domanda se quel tizio stia puntando il suo palazzo e la sua casa o se le sue siano solo paranoie. Qualcosa però le dà conferma che sia proprio lei il bersaglio: l'oggetto scende rapido e il tizio richiude in velocità le imposte, deve aver visto gli occhi di Anna fissarlo corrugati; lui, attraverso le lenti, di sicuro la vedeva bene.

Deve correre davvero molta acredine tra le due famiglie, per arrivare a spiarsi a vicenda. Ripensandoci la sua famiglia non spia nessuno, i più scorretti sono gli altri, quelli della nord. Ha ragione sua zia, sono come i serpenti, sembrano ben vestiti ed educati ma cambiano pelle all'occorrenza, dovrà fare molta attenzione e stare lontano da loro.

Poco dopo Anna vede sgattaiolare dalla serranda del negozio di donna Tina un ragazzo magro e rosso di capelli che corre verso una siepe e ci sparisce dentro come il Bianconiglio precipitato nel tunnel che conduce a un universo parallelo.

Ma che combinano dall'altra parte?

Si fionda furtiva nello stanzino, infila una felpa e un paio di jeans e nasconde in tasca il cellulare, poi – sicura di non essere vista – prima che qualcuno della sua famiglia si svegli, decide di andare in avanscoperta.

Una volta davanti nell'ascensore spaziale, si domanda se non sarebbe saggio andare a controllare la siepe in cui è svanito il Bianconiglio, tuttavia si ricorda che per farlo dovrebbe sconfinare, e non vuole creare problemi ai suoi zii, così decide di premere il tasto che conduce alle cantine e scende, scende fino alla fine della corsa: se c'è davvero acqua che corre sotto alle fondamenta del palazzo, dovrà dirlo a sua zia, far chiamare l'ACEA.

L'ascensore sbuca su un pianerottolo maleodorante e così umido che è costretta a mettere la manica della felpa sulla bocca, prima di continuare la traversata. Si guarda intorno per cercare il quadro elettrico del palazzo, deve esserci per forza. Non lo trova, in compenso, però, sottovetro spicca una cartografia che mostra la lunga rete di canali di scolo e la fitta e intricata linea di condutture che rivelano il collegamento sotterraneo tra la nord e la sud. Le aperture sui lati esterni elencano le uscite: sono diciotto. Una arriva persino sull'Appia.

«Incredibile» si dice, mentre le memorizza. «Qua sotto c'è la filiera per una struttura drenante, forse è per questo che il quadrante è così umido, l'acqua reflua non deve essere stata drenata come si deve. Mio papà avrebbe saputo risolvere il problema con la sua ditta, ma adesso ci penserò io. Sarà fiero di me, quando vedrà dal cielo quanto ho imparato da lui.»

Quando è certa di aver memorizzato ogni via d'uscita, prosegue la sua marcia.

Giunta davanti a una porta di ferro non si perde d'animo e agguanta temeraria la maniglia. Le basta tirarla per capire che è aperta. «Certo» dice a sé stessa, «perché dovrebbe essere chiusa? Qua sotto al massimo ci sono le cantine» si inoltra.

Pochi passi e sprofonda nel buio di un labirinto senza nessuna porta, nessuna cantina, solo un lungo tunnel che, man mano che si procede dritto, diventa freddo ed emana odore di escrementi e di zolfo, come se in fondo alla galleria si trovasse una palude. Sotto i suoi piedi c'è fanghiglia, una specie di poltiglia verdastra che fa il paio con le orrende chiazze di muffa che costellano la parete metallica che osserva sconvolta, aiutandosi con la torcia del cellulare. Il suo cuore inizia ad andare in tachicardia, Anna non è più tanto sicura che sia una buona idea inoltrarsi. Ma ha memorizzato la mappa sotterranea e ha l'assoluta certezza che il tunnel finirà tra cento metri, per sbucare in una corte a cielo aperto, il retro del condominio. Così, prosegue senza lasciarsi sopraffare dall'ansia: è assolutamente necessario per lei capire se le acque reflue che ristagnano siano inquinate, se così fosse l'acqua corrente con cui si lavano o che bevono potrebbe intossicare l'intero quartiere.

A un tratto un suono inquietante echeggia lungo un cunicolo alla sua destra. Anna blocca la sua marcia e punta la torcia del cellulare in quella direzione. Ma è una luce piatta e non è diffusa, non le permette di vedere oltre i suoi piedi. Ricordando la mappatura del percorso, ha la certezza che se prendesse quella galleria finirebbe alla nord, e lì ci sono i nemici. Ma il suono è così terribile da spingerla ad ascoltare. Dopo un po' è sicura che non si tratti di un suono metallico ma di urla umane.

«Non può essere» dice, «qualcuno è in pericolo?»

E le torna in mente il Bianconiglio con i capelli rosso malpelo. «Era solo un ragazzino» si dice agghiacciata, «e se si fosse perso? Magari era venuto qui sotto per giocare o per fare uno scherzo a qualcuno... o perché come me era curioso... ma lui di sicuro non avrà memorizzato la mappa.»

Deve salvare il ragazzino dai capelli rossi. È per forza lo strillo di un ragazzino, quello che rimbomba lungo il cunicolo.

Sicura che i suoi calcoli aiuteranno entrambi a trovare una via d'uscita, cambia strada e si inoltra verso l'ala nord, all'inseguimento delle urla.

Ormai il cellulare non è più in grado di illuminare niente, riesce a malapena a inquadrare i suoi piedi che procedono sciabordando nella melma. Più avanza, più gli strilli si scandiscono meglio, e più un'idea terrificante si fa strada nella mente computistica di Anna: non sono urla umane, sono squittii sovrapposti. Anna non si ferma, ma inizia a rielaborare: squittii. Cosa li emette? Un animale. Quale animale squittisce? «Bé...» riflette a voce alta, «diversi tipi di uccelli... poi i conigli... o i pappagalli... ma anche... alcuni roditori...».

Non fa in tempo a realizzare che la cosa più logica che si accompagni a un acquitrino di fogna siano i topi, che una grossa lontra, davvero fuori misura, le compare davanti e ringhia così ferocemente che Anna balza indietro e trema di paura.

E poi, no, non è una lontra.

Anna caccia un grido che rimbomba nell'intera galleria. Ma la sua mente le impedisce di comportarsi come chiunque altro, e invece di fuggire indietro, corre incontro all'animale, perché si ricorda che l'uscita più rapida è da quella parte. Con un salto la supera e corre forsennata emettendo versi di sciacquio ad ogni passo. Sente dietro sé che il grosso ratto la insegue. Si domanda come mai non l'abbia già raggiunta, in teoria un muride di quelle dimensioni, per accorciare la distanza, non ha bisogno dello stesso numero di falcate di un topolino. E mentre corre, avverte anche un altro suono: stavolta si tratta di essere umani. Sospira di sollievo: sono voci.

Sta per allungare una mano verso il suono e per mettersi a chiamare aiuto, quando qualcosa l'afferra per la vita e la trasporta via di peso, come un sacco caricato a spalla. Sa di essere tra le braccia di un uomo, qualcuno molto forte, altissimo e di stazza robusta, a giudicare dall'unico braccio che la trasporta, mentre con l'altro sferra mazzate contro topi enormi che adesso pullulano tra i suoi piedi, e che lui evita e schiva come un corridore durante uno slalom. Vorrebbe gridare al rapimento, ma se la mettesse giù finirebbe divorata dagli animali, per cui si lascia salvare, o rapire, è lo stesso.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro