20 - La lunga notte (ATTO QUINTO)
Di tutte le armi
che esistono al mondo
Ora so che l'amore
È la più pericolosa
(Pride and Prejudice)
Ore 23:55
David e Anna si sdraiano insieme, dopo l'amore, abbracciati tra le coperte e i libri precipitati; a leggere.
Illuminati appena da un'oncia di olio che ha ridato breve vita alla lampada antidiluviana.
Non ci sarebbe nulla di male ad attardarsi nel lento scorrere del tempo dopo un amplesso, per assopirsi insieme nel tepore di quella tranquillità, della sazietà del sesso, del desiderio appagato, mentre le braccia stringono ancora, il respiro si calma e gli occhi si osservano incantati. Non ci sarebbe nulla di strano a farlo, dopo l'amore, se si è innamorati.
Ma loro sanno che il tempo è scaduto, e che fuori da quella cantina si sta sparando. Il blitz è iniziato. Presto qualcuno farà saltare la porta o per arrestarli o per eliminarli. Eppure, David ha sfilato il libro caduto più vicino a loro, è stato il destino a decidere, leggeranno questo.
Si tratta di un libro inglese, la copertina è azzurra, un azzurro pastello che richiama la marea tropicale, è vecchia e un po' lisa sui bordi, e le pagine sono ingiallite, più spesse del consueto, sembra che questo libro abbia viaggiato molto, per essere qui, tra le loro mani, oggi. L'autrice ha un nome che ad Anna suona nuovo, non la conosce, non ha mai letto niente di suo. Infila la testa sul petto di David, supino, e abbraccia il suo torso nudo e sudato, poderoso, la pelle liscia e bollente, e con la bocca vicinissima all'incavo del collo, lo ascolta. David solleva il libro con due mani e mentre il sottofondo di echi e di spari e di balli latini non si placa, David continua la sua lettura, tenendosi stretto a lei.
« ... avevo voluto farla ridere e sulle prime aveva riso, ma avevo disseminato di rovi il nostro cammino. Non si fidava di me. Finché si era trattato di amicizia, l'avevo divertita. Ma come amante ero mortale. La capivo. Non vorrei avere troppo a che fare con una persona come me. Mi inginocchiai sul pavimento e strinsi le sue gambe al petto. "Dimmi cosa vuoi che faccia e lo farò." Mi accarezzò i capelli. "Voglio che tu venga da me senza passato. Le frasi che hai imparato, dimenticale. Dimentica di aver frequentato altre stanze da letto, altri luoghi. Vieni da me come fosse la prima volta. Non dire mai che mi ami fino al giorno in cui me lo dimostri." "Come lo dimostrerò?" "Non posso essere io a dirti cosa fare. Il labirinto. Trova la via d'uscita e avrai in premio ciò che il tuo cuore desidera. Fallisci, e vagherai per sempre fra le sue mura implacabili." »
Anna rabbrividisce appena, tra le sue braccia. Ha come l'impressione, gli dice, che le parole del libro siano rivolte a loro, che il labirinto in cui sono rifugiati e prigionieri sia il solo rifugio e la sola prigione a impedire il loro amore, ma tuttavia sarà impossibile uscirne illesi, e incontrarsi a metà strada ignorando il passato.
David la rassicura: «Stai tranquilla, mia Dea, perché questo non sarà il luogo in cui noi due ci ameremo per sempre.»
Lei discosta il viso e lo guarda fisso, corrucciata. «E quale sarà il luogo?»
Lui la bacia. Di nuovo. E a lungo.
Non le risponde, perché sa, nel profondo, che l'unico luogo in cui potranno amarsi liberamente sarà il ricordo.
Ore 00:09
Lo hanno bardato come un fottuto celerino da stadio, Alberti si osserva nella tuta antisommossa e ascolta stufo i rimbrotti di Vanessa: «Smettila di lamentarti, Albe', non puoi entrare nei tunnel col trench e la camicia, là sotto piovono detriti e proiettili, e tra i piedi saettano ratti spaventati e resi aggressivi dal fuggifuggi generale e dal pericolo.»
Non poteva essere più chiara di così.
La vede svanire oltre il portico e dirigersi rapida verso il mandato che consentirà l'arresto dei Carazzoli. Per un momento, tra le siepi che nascondono la squadra e lui, Alberti osserva la folla che ancora gremisce la piazza, ignara di quanto sta per accadere, e di seguito alza lo sguardo verso la finestra del quinto piano di questo palazzone alto e imponente che svetta a sud. La cucina è illuminata, gli zii di Anna sono in casa. Spera solo che non opporranno resistenza all'arresto, vederli portare via in un sacco nero non gli piacerebbe.
«Noi entriamo» compare Gelsi, il volto eccitato, gli occhi pieni di medaglie al valore che luccicano, il manganello in una mano e la pistola nell'altra.
«Vai a girare una scena western, Gelsi?» lo sfotte Alberti.
«Il manganello è per i ratti» ridacchia lui, poi alza la pistola e gliela mostra a canna tesa, sorridendo per intendere che l'arma servirà per tutti gli altri. «Ti porto con me, così impari qualcosa, Alberti, dico prima di essere radiato» ghigna sfrontato.
In cuor suo, Alberti vorrebbe restare accanto al pistolero per impedirgli di fare una strage di Rom, ma ha qualcun altro da salvare, e deve attenersi al suo piano. Sì, prima di essere radiato.
«Via, via, si va in scena!» dichiara Gelsi, l'arma sollevata a braccio teso, per far muovere l'intera armata. Tre gruppi di agenti col casco e i visori notturni si inoltrano nelle fogne, e marciano solerti verso tutte le uscite dai tunnel.
È il momento.
Nelle tenebre, tra le tute tutte uguali e gli echi della marcia e degli spari, Alberti resta indietro e lentamente si defila, per tornare mesto in superficie.
È pieno luglio, e nonostante sia passata la mezzanotte, fa ancora un caldo boia; con questa tuta e il casco schiatterà soffocato, ma non toglierà l'equipaggiamento, gli servirà per non farsi riconoscere durante la fuga. Tiene il passo e fa affidamento al buio e all'alcol ingollato oltre misura da ogni poveraccio presente in questa piazza, mentre la percorre solerte per raggiungere Raffaella Carrà. Ne è sicuro, a brevissimo, David e Anna sbucheranno da lì.
Gli è toccato uno slalom tra le vedette più sobrie e le pattuglie in appostamento, per non farsi riconoscere, e suo malgrado, col fiato spezzato dalla fatica e dell'afa, si ritrova davanti alla muraglia solo come un cane. Nessuno sembra arrivare da una fuga. Quel cardine è immobile come l'aria della notte. Che diavolo aspettano? Perché non si decidono a uscire? E se avesse fatto male i calcoli? E se quella di Raffaella Carrà non fosse l'unica uscita invisibile dai tunnel? Alberti freme, suda, e prega.
«Che aspetta Gustavo a far tuonare il rintocco? La mezzanotte è passata, la tregua è rotta, dovrebbe dichiarare terminata la festa, interrompere la musica, e invece esita. Non ha mai tardato a lanciare il rintocco, che diavolo sta succedendo oggi?» Iolanda sbraita severa sulla faccia di Romano, Luca e Laura, che ha riunito in salone, mentre Rosario fa la guardia in balcone.
«Starà facendo cercare nostra nipote» azzarda Romano, visibilmente scosso, «ci teneva pure lui ai cinque milioni dell'eredità. E la festa gli serve come diversivo, dato che ammazzando Leopoldo hai attirato mezzo milione di poliziotti qua fuori.»
«Ma la musica non ci permette di capire cosa sta succedendo sotto ai tunnel» replica Iolanda, «E se avessero attivato una retata? Con tutta questa caciara non possiamo sentire che succede sottoterra.» Poi si volta furente a fissare i suoi figli: «Ve la siete lasciata sfuggire sotto al naso, siete due dementi.»
Sulla porta compare Rosario, ha il volto pallido, sembra che abbia visto un fantasma. «Mamma, papà...» dice tremante, «avete visite.»
Si voltano tutti a osservare l'entrata impossibile nel loro salone di Donna Tina, seguita da Gianni e da Alfredo, con le mani alzate, anche se nessuno punta contro di loro un'arma, e le facce tese.
Iolanda ha un momento di incredulità che le impedisce di mettersi a gridare o cercare una pistola, e Tina ne approfitta per parlare per prima.
«Dobbiamo unire le forze, miei cari. A quanto pare alla nord stanno setacciando i tunnel e la polizia sta venendo a prenderci tutti. Dobbiamo concordare una versione per scagionarci, e dobbiamo impararla a memoria e dire tutti la stessa cosa, altrimenti finiamo dentro entro l'alba.»
Iolanda e Romano sembrano diventati di gesso. Non credono ai loro occhi, ma soprattutto non credono alle loro orecchie. E mentre cercano di crederci, Laura si fa avanti e dice temeraria: «Dov'è David?»
Cala il gelo nella stanza, come avesse lanciato un anatema.
Luca spinge per la spalla sua sorella. «Te, ancora con quel traditore, c'hai la fissa, c'hai.»
Iolanda lo ammonisce: «Non è il momento di insultare il figlio di Tina.» Dentro di sé, immagina che ora dovrà allearsi con lei, meglio sembrare accomodante.
Ma Tina inaspettatamente replica: «No, Iole, tranquilla, ha ragione Luca. Mio figlio è un traditore, proprio come quel maledetto di Armand. E ora sono tutti e due morti.»
Iolanda, suo marito e i suoi figli ammutoliscono a occhi spalancati e non reagiscono.
Invece Laura sbotta quasi nelle lacrime: «Morti? David è morto?»
Alfredo le parla col tono strafottente di chi ha vinto un premio: «Se è per questo è morta pure vostra nipote, quella nazista.»
«Cosa?» grida devastato Romano.
È Tina a spiegare tutta la storia, con calma e nessuna inflessione di dolore nel tono: «Pare che scopassero, e lo facevano di nascosto. Sono fuggiti nel tunnel, e poco dopo le uscite sono state sigillate, forse speravano di riuscire a scappare, ma ora dentro a quei sotterranei c'è una guerra. Spari, morti, ratti e guardie con le tute e i caschi, quelli che permettono di vedere anche nel buio. Insomma, o sono finiti arrostiti o sparati dalle vedette o dalla polizia. Non possono essere vivi.»
Iolanda è stizzita. «Te l'avevo detto» si rivolge a suo marito, «che non era una verginella secchiona. Facevo bene a farla prostituire.» Poi azzarda verso Tina: «Se sono usciti prima? Se si sono salvati?»
E Tina ridacchia. «Prima di cosa? Non ci sono uscite, Iole, le hanno sigillate tutte, e a meno che tua nipote e mio figlio, siano in grado di passare attraverso i muri come i fantasmi, direi che sono morti.»
Laura urla: «E non ti frega un cazzo di tuo figlio, l'unico che studiava!»
Ma Tina mantiene un aplomb degno di una regina, nel rispondere: «Lo studio lo ha reso debole, e i deboli in guerra cadono. Se avesse seguito i miei consigli sarebbe ancora vivo.» Poi osserva Iolanda e le sorride, «avevi ragione, Iole, ho cresciuto un imbecille. I tuoi figli invece sono tutti qui, illesi, coesi, perché non sono traditori, non sono vigliacchi e non perdono tempo a sognare un futuro da poveracci. Sono come te e come me, dei veri combattenti che vogliono arricchirsi.»
Iolanda le va incontro, emozionata per questa resa e questa ammissione che da tanto tempo aspettava, e l'abbraccia. Commossa. Sincera per la prima la volta.
E mentre lo fa, suo marito Romano lancia un grido disperato: «Se mia nipote è morta vi denuncio io! Maledette streghe!»
E gli fa eco Laura, sorprendendo tutti, col suo coraggio: «E io pure. Io pure vi denuncio tutti.»
Dietro di loro Rosario replica timido: «Pure io. Mi dispiace sia per David che per Anna, erano gli unici normali, qui. Io pure vi denuncio.»
Iolanda e Tina ancora abbracciate fissano sgomente questi traditori, e sanno di avere ancora l'appoggio di Luca, di Alfredo e di Gianni, che sono i veri eroi.
O forse no. Iolanda lo capisce quando Luca dice: «Io non denuncio nessuno, ma non faccio accordi, non imparo nessuna storia da ripetere con voi. Io me ne vado adesso.»
E Gianni annuisce. «Io pure. Mi do alla fuga.»
Resta solo Alfredo, che osserva sua madre con gli occhi di un cucciolo smarrito, che per la sua stazza lo fanno sembrare un tonto demente, pensa Iolanda.
«Mamma» dice a Tina, «che devo fare io?»
Romano viene avanti e indica le due matrone. «Come vedete, nessuno vi seguirà nel baratro. Siete state avide ed egoiste, e meritate la cella.» Tira fuori la sua pistola, quella che non usa mai ma che lucida sempre, e la punta contro di loro. «Se mia nipote è morta, voi finite in galera, lo giuro!»
Iolanda sbotta feroce: «Ma non ho capito, testa di cazzo, ti interessa di più una bionda slavata che conosci da una settimana, piuttosto che la tua intera famiglia?»
«Mia sorella era la mia famiglia, non tu, puttana!»
E Alfredo, Gianni e Tina, sguainano le loro armi.
Mirini puntati contro altri mirini.
«Mettila via, Roma'» dice Tina, con una calibro Nove dritta in faccia a Romano, «sono qui per fare un accordo, non per farti un buco in testa, ma se continui a fare il libro Cuore a parlare di quella stupida ragazzina svizzera, premo il grilletto.»
Tutti si armano, gli uni contro gli altri, e diventa una scia di piombo armato occhi negli occhi.
E poi nessuno lo fa. Nessuno spara a nessuno. Non fanno neanche in tempo a preparare una balla credibile da ripetere in coro alla polizia. Nessuno fa in tempo a muoversi. La porta dell'ingresso viene divelta con un boato così potente da far tremare le pareti intorno a loro, e un gruppo di agenti della DIA ad armi spiegate e caschi in testa, si fa largo in salone seguito da una donna alta e riccia che, sventagliando per aria un pezzo di carta, e davanti a tutte queste pistole puntate tra loro, dice altisonante: «Cos'è, il Bronx? Dove le avete prese tutte queste armi? Siete tutti in arresto.» Il resto della frase Iolanda non lo ascolta, è presa dal terrore, e non sente la lista di reati che la donna sta contestando loro, ma le sembra lunga e credibile, più di qualunque balla avrebbero potuto concordare. Credibile, come la sua fine. Sente la coda della frase: «Portateli via.»
E Iolanda, nella sua mente, vede la fine di un sogno.
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