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19 - La lunga notte (ATTO QUARTO)

Non è riuscito a trovarla, a parlarle, David ha il cuore appesantito, è giusto andare via, è giusto lasciarla alla sua vita, le ha detto che è finita, la vuole salvare, ma non riesce a stare in pace con sé stesso se non sa dove sia finita Anna.

Lui e suo padre si stanno inoltrando nel tunnel, per raggiungere il passaggio segreto. Stavolta sono armati, se una vedetta o un ratto li attaccheranno, non esiteranno a sparare, ne hanno abbastanza di fughe e fiamme ossidriche.

Durante il tragitto silenzioso nella melma, David sussurra: «Sono felice di averti ritrovato. Ti cerco da anni...» ed emette due colpi di tosse, che per evitare di fare rumore, stenta a trattenere, ma la gola è ancora un fuoco.

Suo padre prosegue illuminando le pareti del tunnel: «Più tardi parleremo.»

Già, ne ha di domande da rivolgere ad Armand: per esempio come fa a conoscere Anna Frey. Ma David non riesce a stare zitto, è come un bambino alle giostre, felice di riavere il papà, ma che ha appena perso la mamma, e almeno una cosa deve dirla. «Hai visto i suoi occhi, quando ce ne siamo andati?»

«Gli occhi di chi?» Lo scansa, «Attento a dove metti i piedi, non posso illuminare più di così.»

«Gli occhi di mamma» dice David, «quando ce ne siamo andati, stava soffrendo...»

«Tua madre non soffre, David. Negli ultimi tempi aveva cominciato ad avvelenare il mio cibo, voleva ammazzarmi prima che io la tradissi, aveva capito che ero stufo di quella vita e volevo denunciarla.»

Il respiro si accorcia, e David non riesce a trattenere un «Avvelenare il tuo cibo?».

«Quando ho iniziato a stare male, ho capito, e me ne sono andato.»

David è sconvolto, ma sa che Tina ne è capace e una parte di lui vorrebbe tornare indietro per prenderla a schiaffi, mentre l'altra si avvede di quanto lui sia stato fortunato a essere ancora vivo nonostante non li abbia mai aiutati a spacciare, suscitando più volte le ire di Gustavo, che gli ha persino sequestrato la moto.

«Credo ti abbia protetto» aggiunge Armand, come gli avesse letto nel pensiero, «perché una parte di lei aveva bisogno di sentirsi normale, di avere almeno un figlio da elogiare dal parrucchiere, dato che non poteva vantarsi apertamente degli altri due.»

La vanità di Tina è nota anche a lui, e David rabbrividisce all'idea di essere servito come specchietto per le allodole, mentre gli altri facevano i criminali.

Una volta all'altezza dell'alcova di David, suo padre si ferma.

David annuisce e sussurra: «Sì, ci avevo pensato anch'io, vorrei portare via delle cose, prima di andarcene... la lampada di nonno, alcuni libri a cui tengo troppo...»

Armand gli stringe una spalla, e lo interrompe lapidario: «Avete fino a mezzanotte, poi, quando sentirete il rintocco, dovrai raggiungermi e ce ne andremo via, lontano da qui, prima che arrivi il blitz. Ci disperderemo approfittando della folla che lascerà la festa.»

«Ma di che cosa stai parlando?»

Suo padre apre la porta della cantina e indica il fagotto ai piedi della stufa a gas.

David spalanca gli occhi incredulo: Anna!

Armand gli dà una pacca sulla spalla: «Ricorda, hai fino a mezzanotte, poi, prima che la festa finisca e la tregua si rompa, prima che la folla si disperda, dovremo fuggire. Dille addio» e si allontana mesto.


«Ha staccato il telefono, questo pezzo di merda!» Gelsi è una furia, e non si controlla più. «Dieci anni di lavoro mandati in fumo perché mi sono fatto fregare da un ragazzino di vent'anni!»

Alberti chiude la chiamata con la questura, e ignora Gelsi, si rivolge direttamente a Vanessa: «Il giudice ha dato l'okay per il blitz. E il mandato per fare irruzione nei tunnel. I rinforzi stanno arrivando.»

È costretto ad aiutarli ancora, pure se aveva promesso a sé stesso di non farlo più, adesso la sua priorità è ritrovare Anna, e non può farlo da solo.

Vanessa sbuffa per la stanchezza. «Sei sicuro che con questo blitz troveremo anche l'assassino di Leopoldo Ronci, Albe'?»

«Non troveremo un cazzo!» esclama Gelsi, prendendo a calci il banco incustodito di David.

Alberti gli arriva davanti e lo trattiene per le spalle: «Datti una calmata, Gelsi. In questa piazza la musica è alta e sono tutti ubriachi, ma non sono né ciechi e né scemi, ti ricordo che questo è il Quadrilatero, non la corte di Francia, 'sta gente ha sempre un occhio aperto dietro la schiena. Tra poco capiranno che siamo infiltrati, se non abbassi la voce.»

Intorno a loro, sulle note di Raffaella Carrà, si canta: ballo, ballo, ballo da capogiro...

La piazza è ormai un caos di corpi barcollanti che sferrano in alto boccali di birra e si spingono attorno alla fontana cantando insieme alla Carrà, mentre nell'aria il fumo delle carni arrostite infesta ogni cosa come un fumogeno che fa lacrimare gli occhi di chi non è abbastanza ubriaco. La sera è calata, le stelle sono oscurate dal tanfo dei maiali e delle faraone, ma ci sono vedette sobrie dappertutto.

«Allora, organizziamoci» dice Vanessa. «Io e i miei uomini andiamo a prendere Gustavo Iliescu, Donna Iolanda e quel tipo grosso...»

«Romano Carazzoli» specifica Alberti.

«Li portiamo in questura» continua Vanessa, «li interroghiamo e speriamo che qualcuno confessi l'omicidio. Tu, Gelsi, scendi nei tunnel e blocca il transito della merce.»

«Senza prove non confesseranno» ringhia Gelsi.

«Le prove le raccoglieremo col blitz nei tunnel» aggiunge Alberti, «Stiamo già provvedendo a chiudere tutte le uscite dai tunnel. Ormai, è proprio il caso di dirlo, sono topi in trappola».

Vanessa sospira: «Li cogliamo con le mani nel sacco: tutti bloccati dentro ai tunnel con i carichi di coca. A quel punto parleranno, non hanno interesse a prendersi tutta la colpa, sono facchini, non ci guadagnano niente.»

«Quei tunnel sono infestati dai ratti» dice Gelsi, «ratti che tu, Vanessa, non hai mai neanche sognato, sembrano belve, rischiamo di trovare solo i loro cadaveri, se li chiudiamo dentro.»

«Da quando in qua hai una coscienza, Gelsi?» lo sfotte Vanessa. «Fosse per te daresti alle fiamme l'intero quartiere, e ti preoccupi per una dozzina di rom che prendono l'epatite?»

«Se schiattano» s'infervora Gelsi, «Iliescu e i Carazzoli verranno rilasciati per mancanza di testimoni!»

«Come sei umano» lo schernisce Alberti. «Sono ratti, non lupi di montagna, Gelsi. Anche dovessero prendersi una lista infinita di virus, le vedette non schiatteranno, stai tranquillo.»

«E gli Heiseler? Che facciamo con donna Tina e i suoi figli? Non portiamo via anche loro?» Gelsi lo sta chiedendo a Vanessa.

Lei sbuffa di nuovo. «Gli indizi dell'omicidio portano ai Carazzoli, non agli Heiseler.»

«Non me ne frega un cazzo dell'omicidio» Gelsi ricomincia a urlare, «io devo arrestare pure gli Heiseler per spaccio e associazione!»

«Per quello dovrai aspettare che blocchiamo le vedette sotto i tunnel» spiega Alberti, «Sette li manda la sud e sette li manda la nord. Per i carichi della nord, verrà fuori la famiglia Heiseler.»

«Adesso dovrò mettermi a interrogare zingari senza documenti» racchia stufo Gelsi, «invece io, che non sono un cretino, stavo tenendo per le palle David Heiseler per farmi indicare le vie di transito, e voi due mettendovi in mezzo mi avete rovinato anni di lavoro ai fianchi. Ora quel coglione è sparito!»

«E che gli avevi promesso in cambio delle coordinate?» lo sfotte Alberti, «la libertà?»

«Il padre.»

Ora Alberti e Vanessa ridono tra loro.

«Il padre in che senso? Gli avresti concesso un weekend alle Maldive?» domanda ironica Vanessa. «Tu nemmeno lo sai dove sta, il padre. Per quello che sappiamo, potrebbe essere stato ammazzato da Gustavo Iliescu quattro anni fa, quando aveva deciso di denunciare.»

Gelsi appare stupito. «E tu come lo sai che aveva deciso di denunciare?»

«Li leggo anch'io i verbali, Gelsi.»

Dopo un attimo di confusione, Gelsi si riprende e aggiunge sprezzante: «Io penso che sia vivo, ma comunque era solo un'esca. Non avrei dato un cazzo a quel coglione che studia lettere invece di lasciare questo posto, uno così si merita la cella, perché se sei davvero onesto, qui non ci rimani.»

«A meno che» dice Alberti, «ci rimani perché aspetti che un certo poliziotto mantenga la promessa di ritrovare tuo padre.»

Gelsi assottiglia occhi e voce: «Adesso sarebbe colpa mia, se quel coglione si è rovinato la vita?»

«Vedi un po' tu» scrolla le spalle Alberti, «al posto tuo, un esame di coscienza me lo farei.» Poi osserva in alto, oltre le mura del Quadrilatero. «Io vado a raggiungere le squadre, mentre noi stiamo qui a chiacchierare, fuori le mura sono arrivate le volanti, ho adocchiato il segnale.» Così dicendo Alberti si allontana.

Mentre marcia solerte per raggiungere l'uscita da quel mucchio di ubriachi danzanti, Alberti prova a inviare un messaggio, nella speranza che il suo interlocutore lo legga in tempo: David, stanno chiudendo tutte le uscite, se sei nei tunnel, scappa, o resterai in trappola. E ti prego, dimmi che Anna è con te.

A un tratto, mentre suda e prega dentro di sé che i due ragazzi siano vivi e insieme – dato che sono entrambi svaniti nel nulla - , si accorge che David sta digitando una risposta. È sollevato, evidentemente questo ragazzo non è solo un letterato, ma anche un buon informatico, perché nonostante il suo terminale risulti spento, riesce a comunicare con lui.

È a poche decine di metri dalla piazza esterna, dove una serie di volanti sta arrivando in corsa e a sirene spente per non destare clamore, quando gli arriva la risposta.

Legge, e gli occhi si riempiono di lacrime di gioia: Non si preoccupi, Alberti, Anna sta bene, ed è qui con me. Noi conosciamo un passaggio che ci permetterà di evadere, e nessuno potrà chiuderlo, perché è invisibile.

Alberti sorride, mentre fissa l'immagine dipinta sulla muraglia, di una Raffaella Carrà che balla. «Sì, ho capito, e sarò lì davanti a coprire la vostra fuga» dice tra sé.

Tutto quel fare avanti e indietro dal muro al nastro, è servito a capire che la parola amore è sfalsata, come se nel muro ci fosse un cardine. Ma questo, non lo dirà a nessuno.

Ore 22:55

Dopo aver risposto ad Alberti, David mette via il cellulare e si richiude pianissimo la porta di ferro alle spalle. La blocca con un catenaccio che non usa mai, ma che stavolta potrebbe servire a non essere sorpresi dalle vedette o dalla sua famiglia, se dovessero decidere di venire a cercarlo, immaginando che non rinuncerebbe mai alla lampada di suo nonno, pure durante una fuga. Si avvicina piano a lei, e rimane per un momento imbambolato a guardarla addormentata. È così bella che dover rinunciare a lei lo uccide. Ma subito lancia un'occhiata all'orologio sveglia che tiene impilato con i tomi, e si rende conto di avere meno di un'ora.

Si china fino a lei, e con la bocca vicinissima al suo orecchio bisbiglia: «Svegliati, Anna Frey».

Anna sobbalza, e con uno strattone finisce dritta sulla schiena, sbalzando David col sedere per terra. Lei ancheggia indietro, tenendo il lembo della coperta fino al mento, e lo fissa con occhi ostili.

David alza un braccio, col palmo aperto: «Calmati, Anna, sono io.»

Il suo corpo meraviglioso trema, e ora David si rende conto che il suo non è uno sguardo ostile, ma spaventato. Non ci mette molto a notare che ha il vestito strappato.

Si avvicina di nuovo e sussurra: «Che ti hanno fatto, chi è stato?».

Anna abbassa gli occhi e non replica.

«Non preoccuparti, Anna, mio fratello avrà quello che merita.»

Ora lo sguardo di lei scatta su di lui.

«Non essere sorpresa» le dice piano, tentando di accarezzarle il viso, ma esitando. «Lo so che sono stati loro.»

Poi si ricorda di non avere tempo per fare discorsi, deve dirle addio. E non sa davvero da dove cominciare.

La musica che proviene dalla festa si fa sonora, raggiungendo a colpi di batteria e chitarra anche le mura dei sotterranei, e David osserva in alto e sorride tra sé.

«Vieni» le porge la mano e la guarda. «Balliamo.»

Anna è frastornata, e scuote la testa emettendo un flebile: «Che?»

«Non ti sei goduta la festa, facciamo almeno un ballo» le prende la mano e l'aiuta a rialzarsi. Quando gli finisce tra le braccia, David per un attimo emette un respiro profondo a occhi chiusi, e non può evitare di chiuderla contro il suo petto, per stringerla più forte che può.

Dopo un po' le sussurra: «Scegli una canzone e io te la canto.»

Finalmente riesce a farla sorridere. «Non si canta, qui sotto, ricordi, è pericoloso».

La sua tenerezza lo devasta, ma mantiene il controllo. «Userò il labiale, sono sicuro che mi sentirai lo stesso» le sorride.

Anna sembra aver preso in considerazione la sua proposta, e ride di lui, gli dà un buffetto sul viso, mentre dice: «Conosci you are so beautiful di Joe Cocker?»

David alza le sopracciglia stupito. «Non ti credevo vintage, Anna Frey.»

Lei abbassa gli occhi imbarazzata. «È la canzone che mi cantava sempre mio papà.»

Il suo cuore si spezza e si riassesta, e David prende le mani di Anna, se le porta dietro alla schiena, e quando la sente stretta a lui, l'abbraccia, e iniziano a danzare piano, al centro della stanza, tra i libri impilati, con la lampada a olio che ormai sfarfalla annunciando che presto si spegnerà, e le lancette che corrono veloci verso un addio che ora lui cerca di dimenticare, mentre col labiale dà il tempo ad ogni frase, guardandola dritto in questi occhi di mare calmo e luminoso: «You / are / so beautiful / to me...» la fa volteggiare e continua col labiale, «Can′t you see/ Everything I hope for/ You're everything I need...» le stringe il viso nelle mani e dice vicinissimo al suo viso, «You / are / so beautiful... to me» e la bacia. La bacia così forte che il respiro si spezza e la sua pelle si accende.

E il loro ballo lento e profondo, nella notte della cantina, continua. Occhieggiato tutti i suoi libri, che li guardano dagli scaffali e dalle pensiline improvvisate, mentre sono sfiorati dal loro incedere lento e poi volteggiante: ci sono quegli invidiosi di Romeo e Giulietta, e poi quei disperati di Tristano e Isotta che si detestano per non averli imitati, persino un giovane Gatsby affacciato su di loro a rimpiangere la sua Daisy, e poi Paolo e Francesca finiti all'inferno, Lancillotto e Ginevra innamorati come loro, tutti impilati a osservarli baciarsi e a volteggiare nell'aria, tutti santi, morti e sognati che non hanno saputo difendere il loro amore, e hanno perso la speranza.

E intanto il tempo corre.

E intanto fuori piove.

Finiscono stesi sul tappeto, le mani che sfiorano la pelle, il cuore che sbatte impazzito, i respiri convulsi, la voglia e l'incoscienza di essere soli e vivi, senza crederci davvero. L'illusione di far parte di una storia d'amore, senza sangue e senza lacrime, di quelle che finiscono bene e che si rileggono quando sei triste.

Vorrebbe farla sua, farle dimenticare quel posto maledetto, per condurla con lui tra i fiordi delle mille e una notte, nel vento di un sussulto di anime che si legano indissolubili contro tutto e contro tutti. E lo fa. Lo fa perché non c'è più tempo, perché loro non sono fatti per la pioggia che tuttavia cade incessante su questo destino. E quando la tocca e preme le sue dita dentro di lei, la sente respirare ansimante, e col labiale le chiede il permesso di essere suo, di farla sua, e quando lei lo bacia senza altre inutili parole, la prende. Un morso alla volta, una carezza per volta, entra in lei tremando per l'eccitazione e l'incredulità di essere dentro a una Dea. E poco a poco viaggiano insieme mentre la luce si spegne, la musica si alza, e attorno al Quadrilatero, fin tra le mura sotterranee di quei labirinti, mentre i loro corpi s'intrecciano e si amano profondamente, le note di una cover di Vasco arrivano fino a loro, dettando una danza lenta e struggente, con una versione al pianoforte di Alba Chiara che poco alla volta si fa sempre più frenetica e veloce, fino a raggiungere l'apice del piacere e dello stordimento, e sudati non possono fare a meno di ascoltare tre esplosioni e una raffica di spari sovrapposti che rimbombano da un lato all'altro di Giulietta e di Romeo. Il giovane Gatsby precipita a terra insieme a Dante e a Machiavelli. Le mura tremano e tremano i loro cuori devastati dal piacere e dal terrore, mentre il mondo intorno sembra essere esploso in una guerra, e a cadere giù nella semioscurità sono anche Tristano e Dylan Dog, a rotolare a terra è l'Orlando ormai furioso, mentre Zeno ha perso coscienza e le ultime lettere di Jacopo Ortis si sparpagliano tra la terra e il cielo. Così, Byron, Shelley e Keats precipitano uno sopra l'altro.

«Anna, dobbiamo scappare» la copre abbracciandola stretta a sé.

Ma lei lo trattiene. «No» dice in un sussurro, «restiamo qui».

Al di fuori del piccolo angolo di mondo, stanno sparando, e le pareti tremano sonore. E tra colpi di pistola e fughe tra le urla, nell'aria c'è ancora quella canzone.

E qualche volta fai pensieri strani, con una mano... una mano ti sfiori, tu... sola dentro a una stanza... e tutto il mondo fuori.

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