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13 - Il Rompicapo e i baci rubati



In tutto questo caos c'è una buona notizia: alla omicidi c'è Vanessa. Non è spocchiosa come Gelsi dell'antidroga, e soprattutto... gli deve un favore.

Alberti le sta dietro come un segugio, mentre lei discute col patologo legale intervenuto sul posto. A vederli, un quadro archetipico: uomini e donne in divisa che girano attorno a un cadavere circondati dalle immagini del kamasutra snocciolate lungo la muraglia che chiude il Quadrilatero, nelle più intrecciate posizioni; la vita, la morte, il sesso. E Dante attraversa questo girone per marcare stretto Virgilio.

Dopo dieci minuti di pedinamento massiccio, Vanessa, capelli ricci, più alta di lui, scuote la testa e lo fissa benevola. «Albe', basta. Se me lo dici un'altra volta, giuro che mi metto a urlare.»

Lui scrolla le spalle: «Bé, caso risolto, no? L'assassina è lei. Portatevela via.»

Vanessa si rimette a girare intorno alla scena del crimine. «Sei un testimone oculare, Albe'?» lo sfotte.

È chiaro che lui non ha prove, ma ha fretta. «No, ma lo so che è stata lei...»

Ora Vanessa blocca i suoi passi e sospira rassegnata. «Fammi capire bene, Albe': ma che c'è, in questa fogna periferica, che ti fa tanto ribollire il sangue? Cosa stai cercando di salvare, esattamente?»

«Dottoressa?» la chiama un agente sopraggiunto alle sue spalle. «Guardi qui. Lo abbiamo rinvenuto a pochi metri dal cadavere.» Le allunga una prova imbustata nell'involucro anticontaminazione.

Lei la agguanta e la osserva. «A bé, questa sì che è interessante!» esclama divertita.

Alberti si sporge oltre la sua spalla, per dare un'occhiata, ed è in questo momento che perde lucidità insieme al fiato.

Vanessa precede la sua reazione mostrandogli la prova: su uno dei lati del cubo appaiono evidenti schizzi di qualcosa che potrebbe essere sangue.

Vanessa lo schernisce: «Facciamo un rapido riassunto, Albe', ti va? Dunque: secondo te, ad ammazzare Leopoldo Ronci, è stata Donna Iolanda. E questa prova indiziaria appena rinvenuta», alza l'involucro trasparente sulla sua faccia basita, «ci dice che la signora, una sarta sessantenne con la prima elementare che traffica stupefacenti per un'organizzazione dell'est Europa, mentre sgozzava il proprio contabile... giocava a risolvere il cubo magico. Oppure no, senti qua: è la vittima che stava cercando di chiudere le faccette prima che gli chiudessero la bocca! No, aspetta, abbiamo trovato il movente: lo hanno sgozzato perché non sapeva finire tutte le facce con lo stesso colore!».

Alberti fissa il cubo di Rubik nelle sue mani e non replica, ha perso il fiato.

Dopo poco balbetta: «Se scopro che stanno cercando di incastrarla, li butto dentro a vita e senza passare da un tribunale...»

Vanessa corruga la fronte: «Chi sta incastrando chi?».

«Anna...»

«E chi diavolo sarebbe Anna?»

Lui sfila il cellulare dalla tasca a mormora tra sé: «Devo chiamare David.»

«Chi diavolo sarebbe David?»

Alberti fa per allontanarsi, e stavolta è Vanessa che lo insegue e lo blocca tirandolo per la manica della giacca. «Chi diavolo sono Anna e David?»

Ma Alberti ci ripensa e torna a fissare il cubo: i colori sono tutti scombinati! E poi ghigna: «Che coglioni. Dovevano lasciarlo completo. Si sono fregati da soli.»

«Albe', mi sto innervosendo, o condivi informazioni o la smetti di inseguirmi sulla mia scena del crimine.»

Lui porta il cellulare all'orecchio e fa partire la chiamata. «Condivido, condivido. Non ti preoccupare.»

Un agente li raggiunge marciando: «Dottoressa, isoliamo il quartiere? Oggi faranno una specie di festa, la blocchiamo?»

Vanessa lo guarda col sopracciglio alzato e una smorfia soddisfatta: «Ma che scherzi, Sandelli? Oggi alla festa ci andiamo pure noi. Trovami due stracci e un paio di colleghe donne.»

«Due stracci, dottoressa?»

Lei sbuffa: «Vuoi che mi infiltri in divisa?»

Quello indietreggia. «Vado subito» e si allontana marciando con la stessa foga con cui è arrivato.

Lei si lamenta tra sé: «Mi toccherà coinvolgere Gelsi, quello ha già dato di matto quando ha capito che rischia di saltargli l'indagine. Ha detto che coglieremo due piccioni con una fava, se le squadre lavoreranno insieme. Insomma... mi ha fatto pena.»

«Vengo anch'io» dice Alberti.

«No tu no», sorride lei, facendo il verso alla canzone.

«Perché no?» domanda lui, nervoso.

«Perché a quanto mi pare di capire, qui lo sanno tutti che sei un poliziotto, Albe'.»

«Conoscono anche Gelsi, se è per questo!»

Lei si acciglia: «Come fanno a conoscerlo?»

Alberti le mostra il cellulare: «La sua talpa vive al Quadrilatero», poi nell'apparecchio arriva un Pronto, chi è?

Per ragioni a lui ignote, la comunicazione col Minivan d'appostamento è stata interrotta non appena la notizia dell'omicidio ha attirato fuori dalle mura del Quadrilatero una decina di pattuglie, e subito dopo che ha spaccato con tre colpi da maestro la telecamera piazzata sul palo della luce. Forse il caso non è più in mano a Gelsi, si dice David, che con sollievo stacca il fastidioso adesivo dal suo petto, mentre ascolta al cellulare la voce di Alberti che dice cose senza senso da un minuto.

«Capo, parla più piano, che non ho capito niente: che significa vai a chiedere ad Anna se ha ancora il suo cubo magico? Cos'è, una frase in codice? E poi, di grazia, come pensa che potrò farlo? Il massimo che posso fare è aspettare le diciotto, con la tregua potrò avvicinarla, ma non prima.»

Nel telefono Alberti sbraita: «Alle diciotto potrebbe essere tardi, glielo devi chiedere prima. E no, non è un codice, voglio sapere se ha ancora il suo cubo magico... sai quell'affare quadrato con le facce colorate?» lo schernisce spazientito.

«Lo so cos'è un cubo magico. Ma mi prenderà per pazzo se l'avvicinerò per fare una domanda del genere!»

«Non se di seguito le chiederai di controllare. Deve accertarsi di averlo ancora.»

David fissa il suo volto stanco nello specchio, e scuote la testa. «Ma perché non glielo chiede lei? Lei è il suo controllore, almeno fino alla firma della tutela; perciò, non c'è niente di male se le telefona...»

«Ma senti questo! Vuoi insegnarmi il mestiere, per caso? Se la chiamo, quelli si mettono in allerta e mangiano la foglia; desterebbe sospetti che proprio oggi, con un morto ammazzato fuori le mura, io facessi una chiamata per chiedere ad Anna Frey come sta!»

David stringe a morte i pugni poggiati lungo i bordi del lavabo. «E va bene, capo, provo a messaggiarle con...»

«Sei pazzo! Messaggiarle?»

« ... con il labiale.»

Alberti sospira. «Ecco, bravo. Messaggia con il labiale e fammi sapere.»

Questo è più rompicoglioni di Gelsi, pensa David, nell'atto di infilare l'equipaggiamento che gli permetterà di attraversare i tunnel fino alla sud, a rischiare, di nuovo, di essere linciato.

⸸⸸⸸

Dieci minuti più tardi, David è al terzo strike, l'ultimo ratto è volato a due metri da lui, sta diventando bravo con la mazza, se sopravvivrà al Quadrilatero, potrà fare domanda per entrare nella Nettuno Baseball. E mentre pensa queste idiozie, molto silenziosamente riesce illeso a raggiungere i tunnel della sud, ma uno strano quanto rumoroso sciabordio di passi si diffonde nella galleria. Chi cazzo fa passeggiate così chiassose? si domanda voltandosi in tutte le direzioni per accertarsi che quel frastuono non abbia attirato l'orda.

«Chi è là?» domanda in un temerario sussurro, nella semioscurità del tunnel.

I passi si bloccano all'istante.

Si ferma anche lui: «Chi è là?» ripete David, alzando la mazza.

«David?» sente, «Sono Anna...»

Il cuore di David esplode.

«Non hai portato la torcia?» gli domanda ancora.

Lui sussurra: «Sssssttt, Anna Frey, stai attirando l'orda!»

Il ronzio si diffonde e rimbalza tra le mura del tunnel: i ratti stanno arrivando in massa. Non c'è tempo per pensare, David accorcia la distanza e le afferra un polso: «Corri!».

Sa bene di stare correndo proprio nella direzione da cui proviene l'orda, ma la sua cantina è da quella parte, e di sicuro non ha alternative che rischiare una battaglia all'ultimo morso.

Nella corsa avverte i respiri convulsi di Anna e al contempo l'arrivo massiccio dei roditori, e con una sola mano libera non gli sarà facile abbatterli. Ma se la lascia, che succede? Potrebbe cadere, perdersi, urlare.

«Mollami, David, lo so dove devo andare, anche se è buio» dice lei, irresponsabilmente ad alta voce.

«Che ne sai?» chiede accelerando i passi nella melma.

«Ho studiato le mappe.»

«Oh, accidenti, Anna Frey, quelle mappe non sono aggiornate!»

L'orda è a pochi metri, la annusa, la percepisce, la sente. Non molla la presa su Anna.

Lei lo strattona: «Usa la mazza, resto dietro di te, tranquillo!»

È costretto a lasciarla, due ratti gli sono piombati davanti, li vede benissimo quando i loro occhi s'illuminano nelle tenebre e il loro squittio inquietante si fa sonoro.

In un attimo, afferra la mazza con due mani e tira un lancio che li centra entrambi. Ma di colpo capisce di essere circondato, e rallenta col cuore in tachicardia. Una mandria arriva in diagonale, correndo lungo la superficie delle pareti, un'altra sguazza dritto verso di loro.

Non hanno scampo, tra pochi secondi saranno tra i loro piedi e li morderanno, e lui non potrà salvarla, senza una fiamma ossidrica non potrà fare niente per lei.

Prende a mazzate qualunque cosa si muova intorno a loro, li sente squittire, tonfare nella melma, ma sono troppi. «Anna! Mi dispiace!» urla disperato.

Uno scoppio di batteria rulla, e poi...

Mr. Boombastic / What you want is some Boombastic, romantic, fantastic lover /Shaggy
Mr. Lover lover, mm / Mr. Lover lover, hehe girl /Mr. Lover lover, mm /Mr. Lover lover

La canzone di Shaggy rimbomba sonora in tutta la galleria,

Boombastic, tell me fantastic
Touch me inna my back / she call Mr. Romantic /Tell me fantastic
She touch me inna my back/ she says I'm Mr. Boom-boom

Ora i ratti deviano il loro percorso e tornano indietro attirati dai colpi di batteria e dalla voce del cantante.

David è disorientato, si guarda intorno sconvolto, mentre Anna Frey lo spinge avanti e urla: «Adesso!»

Non se lo fa ripetere, torna in sé, e corre con lei fino a raggiungere la sua cantina. Con un colpo veloce richiude la blindata alle loro spalle, e dopo aver ripreso il fiato, si fionda sulla lampada a olio per far luce nella stanza.

Oltre la porta, la musica reggae s'interrompe non appena il riverbero della porta si spegne. Come se qualcuno avesse capito che lui e Anna adesso sono al sicuro.

Si volta a guardarla, nel chiarore della lampada, e si accorge che lei non è spaventata, e né preoccupata, al contrario: è incantata. Sta fissando ogni parete con l'espressione stupita di una bambina che vede le stelle per la prima volta.

«Mio Dio» mormora lei, estasiata. «Ma questa è una vera e propria biblioteca...»

Osserva ogni tomo, ogni fila di libri e di enciclopedie impilate per grandezza e colore, come sugli scaffali di una libreria.

«Io la chiamo la stanza dei viaggi» dice David. «Da qui ho attraversato il mondo intero, ma anche lo spazio siderale, e poi universi paralleli...»

Ora lo sguardo di Anna si posa su di lui in un sorriso silenzioso.

David tira un lungo sospiro e le fa cenno di non muoversi. Le arriva accanto e piazza l'orecchio sulla superficie della porta. Al di fuori della sua cantina non si sente più nulla. Sembra essere tutto finito, sembrano salvi.

«Qualcuno ci ha aiutato» le dice sussurrando. «Qualcuno che ha acceso la musica per liberarci dai ratti.»

Anna ride piano tra sé. «Se basta la musica, per farli andare via, perché ti affanni tanto per prenderli a mazzate?»

Lui scuote la testa corrucciato. «Anna Frey, chi ha acceso la musica ha firmato la propria condanna.»

«Per i ratti?»

«Per le vedette.»

«Vedette?»

«Qui sotto i ratti servono solo a scoraggiare il viavai, perché i tunnel sono utilizzati per far transitare droga. Se ti metti a cantare o a suonare, i ratti avranno solo i tuoi resti, perché le vedette ti avranno già sparato.»

Sa di essere stato tremendamente schietto, ma il blitz è alle porte e Alberti è stato chiaro dall'inizio: lei deve essere messa al corrente della verità.

Così, a malincuore, conclude con una frase che si odia a pronunciare: «Dovresti tornare nel tuo paese, Anna Frey. In questo schifo non c'è niente per te.»

Ma lei fa due passi avanti e gli arriva pericolosamente sotto al mento, mentre lo fissa sicura: «Non è tutto uno schifo, dato che qualcuno per salvarci ha appena sacrificato sé stesso.»

David sussulta: già. Ma chi? Nemmeno i suoi fratelli sarebbero arrivati a tanto.

«Però non ho sentito spari, forse si è salvato anche lui» sorride ingenua.

«Usano i silenziatori» spiega ormai incapace di girarci intorno.

Anna Frey scrolla le spalle e va verso la lampada accanto alla stufa, e corre con gli occhi sui titoli dei romanzi. Di spalle, nell'atto di osservare ogni libro, gli dice: «Vorresti farmi credere che gli zingari siano forniti di armi di precisione silenziate? Io dico che al massimo hanno scacciacani o Berette limate col colpo che fa cilecca.»

David perde un minuto intero a riassumere quel discorso da 007, finché torna in sé e mormora spaesato: «Chi sei, un altro agente venuto quaggiù per arrestarci tutti? Infiltrano studentesse, adesso?».

Lei si volta ridendo, e sembra davvero una bambina con gli occhi che le brillano: «Credi di essere l'unico a leggere romanzi, David Eileser? Io prediligo i gialli, o i thriller basati su ricerche scientifiche o formule matematiche... in questo genere spesso le pistole sono ferraglia, poiché il colpevole è uno che usa la testa, non le armi.»

David perde un altro minuto a fissarla esterrefatto, e a chiedersi che cosa aspetta a sposarla.

Lei però non ci bada, e continua a passare in rassegna ogni pensilina, passeggiando lenta, come chi studia quadri esposti ad un Vernissage. Gli dice: «Ma qui vedo che hai moltissima letteratura francese e americana... ti piacciono i classici e le storie drammatiche...»

In effetti David non ama i gialli scientifici, preferisce la poesia, ma non lo dice. Ora è lui che osserva estasiato la Dea che gli cammina attorno osservando le sue conquiste di carta, accumulate negli anni.

A un tratto la vede sfilare un tomo ed esclamare: «Era Baudelaire!».

Gli occhi di David puntano la copertina e notano che ha tra le mani I fiori del Male.

«Era lui, i suoi versi...» ripete stupita.

«Di che parli?» trova il coraggio di arrivarle accanto.

Lei gli mostra il libro: «Quando sono arrivata... c'era questa frase sul muro all'entrata, in mezzo a un mare di disegni fatti con la vernice... diceva... quando dei vizi la bufera... » esita un attimo, poi continua «... offuscava ogni sentiero...»

«Tu m'apparisti, Dea» finisce lui, col cuore esploso, mentre le toglie di mano il libro e le accarezza una guancia guardandola come la cosa più preziosa al mondo.

Anna arrossisce. «L'hai scritta tu? Dico sul muro...»

«Poche ore prima che tu arrivassi, a notte fonda, sì... Anna Frey.»

«E per chi era?»

David deglutisce l'aria e distoglie lo sguardo: dovrebbe spiegarle del sogno, della Dea che chiedeva il suo aiuto... della sua costante erezione al solo ripensarci. «Adesso te la faccio io una domanda.»

Lei aspetta obbediente, dritta come una studentessa, e sorridente come una Dea bambina.

«Perché la prima volta che ci siamo incontrati hai detto che è stata colpa tua?»

«Colpa mia?»

«La morte dei tuoi genitori...»

Il sorriso di Anna si spegne all'istante. Il suo corpo s'irrigidisce, e la vede voltare lo sguardo al pavimento.

Non era la domanda che avrebbe dovuto rivolgerle, sta perdendo di vista l'obiettivo di salvarla, avrebbe dovuto chiederle se nella sua stanza c'è un certo cubo magico, ma quando lei è così vicina, David non riesce a essere razionale.

Anna fa un respiro profondo e come conoscesse quella stanza a memoria, va a sedersi là dove David si rifugia da anni per leggere o per scrivere: sul tappeto di canapa azzurro accanto alla lampada a olio di suo nonno. Tiene le ginocchia al petto, e fissando il vuoto dice: «Avevo superato le gare per l'ammissione alle finali per le olimpiadi di matematica... erano così felici e così fieri di me... stavamo tornando a casa, eravamo quasi al confine... e quel camion ci ha travolti...»

David si siede accanto a lei, e senza rifletterci, le prende la mano e la stringe.

Lei continua il suo racconto con un filo di voce: «Se non avessimo dovuto raggiungere l'Italia per le gare, loro non sarebbero stati su quell'autostrada...».

David le cinge le spalle col braccio.

Anna appoggia la testa sul suo petto. «Alla fine le ho vinte, le olimpiadi. Glielo dovevo, non potevano essere morti invano. Ma non ho mai ritirato il trofeo, mi avrebbe ricordato a vita la morte.»

David sospira. Spiegarle che le sue sono solo fantasie generate dal senso di colpa e che lei non è responsabile per quanto accaduto, gli suona di psicologia a buon mercato. In cuor suo, questa ragazza intelligentissima, deve essere cosciente che il destino non fa sconti a nessuno.

Vorrebbe cambiare argomento, ma non gli pare il caso di buttarsi sul cubo magico. Così gli viene in mente che Anna di capacità fuori del comune ne ha molte, e sorride. «E come hai imparato a leggere il labiale?»

Non appena lo domanda, Anna si incupisce ancora di più, e lui vorrebbe prendersi a schiaffi quando lei torna dritta sulla schiena lasciando un vuoto nel suo petto.

Gli dice: «Dopo l'incidente sono rimasta sorda per settimane. Nel silenzio del mondo interno, ho iniziato a leggere i suoni attraverso i movimenti. Anche quelli delle labbra.»

Gli scappa un: «Sei davvero un genio, allora.»

Lei corruga la fronte. «Questa battuta su me che sono un genio me l'hai fatta anche quando mi hai ritrovata nel tunnel, dopo che quell'uomo misterioso mi ha salvata, si può sapere chi ti ha detto che lo sono?»

Sta per spiegarle che collabora con Alberti, non ci trova niente di male a parlarne, ma poi l'uomo misterioso s'impadronisce dei suoi pensieri e lo fa vacillare. Mormora tra sé: «E se ci avesse salvato lui anche stavolta? Se quella musica...»

«L'uomo che ha salvato me, dici?»

«E se...»

Anna scuote la testa: «Anche quel giorno ti sei messo a rimuginare. Si può sapere chi cerchi, David?»

Colto in contropiede da tanto acume, David risponde di getto: «Mio padre.»

Anna lo guarda a occhi spalancati. «Dici che è qui sotto e che ci aiuta?»

Ora David, che non ha mai preso in considerazione la possibilità che suo padre sia rimasto per tutti questi anni tra i reietti dei tunnel, la guarda corrugato: «E tu che ci facevi qua sotto, Anna Frey?»

«Quella volta?»

«Adesso.»

Lei sorride. «Venivo a cercarti.»

Lo spiazza.

«Non mi andava di aspettare la festa... quando ieri sera mi hai parlato dal cortile, ho pensato che hai rischiato grosso per sconfinare solo per vedermi affacciata, e che come minimo avrei dovuto ricambiare venendo da te...»

David ripensa a Leopoldo, e non le risparmia l'ennesima verità: «Ero lì per parlare con una persona. Una persona che oggi hanno ammazzato.»

Anna ammutolisce.

Lui la prende per le spalle e le dice accorato: «Devi andartene, Anna, devi chiamare Alberti. A breve la polizia assedierà questo posto...» poi ci riflette, «ma ora devi tornare a casa e controllare se hai ancora il cubo magico.»

Anna lo osserva sconvolta. Per lunghi secondi lo guarda e tace. Solo quando ricomincia a respirare, trova il fiato per mormorare: «Il cubo?»

«Alberti ha detto che devi cercare il cubo, e se non ce l'hai devi dirmelo.»

«Perché?»

«Non me lo ha spiegato.»

Anna sorride serena, nell'atto di sfilare il cellulare dalla tasca e far partire una chiamata.

David sgrana gli occhi sconvolto: «Ma chi stai chiamando?».

Lei porta l'indice alle labbra e gli intima di fare silenzio.

«Laura? Sì, scusa, sono scesa per fare due passi, tra poco torno. Senti, dopo portami giù il cubo che ti ho prestato, così alla festa facciamo qualche lato, che dici?»

David deglutisce.

Anna smette di sorridere. «E dov'è? Lo hai perso?»

I secondi scorrono lenti, abbastanza da trafiggere.

Poi Anna parla concitata, come avesse perso il suo eterno aplomb: «Ti avevo spiegato che quel cubo è un ricordo! Me lo aveva regalato mio papà... come hai fatto a perderlo? ... Che significa sparito? Come fa a sparire? ...» ancora poche parole inutili e la chiamata termina.

David non aspetta un momento di più, le sfila il cellulare dalle mani e chiama Alberti.

La voce del funzionario convinto che sia Anna a chiamare, gli suona nell'orecchio disperata: «Mio Dio, Anna, piccola, stai bene?»

«Lei non ce l'ha» dice David, lapidario.

Il poliziotto fa un colpo di tosse. «Cosa... come...»

«Il cubo. La cugina gliel'ha perso. Ora ci può spiegare la storia di 'sto cubo magico?»

La voce di Alberti fuori controllo tuona fino ad Anna: «Per nessuna ragione dovete fidarvi della polizia! Se durante la festa vi avvicineranno tre donne, di cui una alta e con i capelli ricci, voi datevi alla fuga, sono agenti sotto copertura!»

David e Anna si scambiano occhiate atterrite.

«E non dovrebbero essere i buoni?» domanda David, ironico.

«Non tutto quello che è commestibile è buono» farnetica Alberti, prima di tornare deciso e finire con «Ora devo andare, restiamo in contatto. State tranquilli, me ne occupo io.» Poi ci ripensa e aggiunge: «Abbi cura di lei.» E la comunicazione s'interrompe.

David riflette, lo fa così a lungo da non accorgersi che Anna è tra le sue braccia e lui le sta accarezzando i capelli di seta, mentre la bocca si posa sulla sua nuca. «Ho capito» le sussurra.

Anna alza la testa fino al suo viso e lo fissa silenziosa.

David continua: «Forse il tuo cubo magico è stato usato per depistare...»

«Impossibile» dice lei, decisa. «Alberti non mi avrebbe chiesto di cercare un cubo magico, in tal caso.»

«Che vuoi dire?»

«Che si sarebbe accorto che stiamo parlando di un oggetto molto diverso dal classico cubo venduto nei negozi. Il mio è fatto a mano, un pezzo unico, è stato costruito e riprogettato da papà, è legno pregiato e possiede negli incastri due passaggi antiorari che un normale giocattolo venduto al pubblico non ha.»

David è confuso: «È così prezioso e lo hai prestato a tua cugina?»

«Non è cattiva, è solo una vittima, smettila di giudicarla. Anche lei merita una seconda chance. E tu avresti dovuto restarle amico, invece di ignorar...»

David stringe una mano attorno al suo polso e la tira a sé.

«Il cuore ha le sue regole, Anna Frey» e in un attimo la bacia.

Le sue labbra corrono impazienti contro la morbidezza di questa bocca così femminile e così deliziosa da mordere e da succhiare che lo sta affamando, la tiene stretta tra le braccia per respirarla, perché questa dea bambina gli sta togliendo pace e lo sta eccitando al punto che vorrebbe fare spazio tra i libri, con un solo gesto sbaragliarli tutti, e adagiarla su questo tappeto per fare l'amore fino all'alba e poi ancora fino al tramonto, perché adesso lei è la sola cosa che gli interessi.

E senza capire, senza riflettere, finiscono sdraiati, i corpi intrecciati a stringersi e a respirarsi nella bocca.

Un rintocco potente echeggia fino ai sotterranei. Seguito da tre colpi di arma da fuoco sparati in aria.

Stavolta i segnali sono due: il rintocco indica che manca un'ora alla tregua e all'inizio della festa; e i colpi in aria indicano la chiamata alle vedette perché raggiungano i tunnel di transito per iniziare a spostare i carichi di coca imballata.

Anna si ridesta nella confusione delle sue mani che accarezzano, e nel tormento di quell'estasi fugace di nuovo interrotto da regole non scritte che investono il loro piccolo universo.

«Che succede?» mormora sulle sue labbra.

Stavolta, preso e arrossato, David smette di essere diretto e mistifica nel fiato, accanto al suo orecchio: «Sono le cinque, Anna, manca un'ora alla tregua. Forse dovresti tornare. Non dobbiamo farli insospettire. Vieni» si tira su controvoglia, sudato, eccitato e infelice, e le porge la mano, «ti accompagno all'uscita dal tunnel.»

Anna si lascia aiutare mentre dice: «Non c'è bisogno, sarò silenziosissima, stavolta, i ratti non mi sentiranno.»

«Non è solo per quello, devo indicarti la...»

«Conosco benissimo il percorso, David, non ti preoccupare.»

Lui la guarda corrucciato. «Solo perché hai letto le mappe? Ci sono un sacco di deviazioni che su quella mappa non figurano, proprio per evitare che la gente curiosa percorra...»

«Lo so. Ma io conosco un passaggio segreto che conduce all'uscita. Non so farlo all'andata perché dovrei trovare l'apertura esterna e partire da lì; ma so farlo per il ritorno, perché quando sarò fuori capirò dove sbuca.»

David perde un battito. «Che cacchio significa?»

«Per una ragione che ancora mi sfugge» spiega Anna, «questo quadrilatero ha le stesse peculiarità del cubo che ha progettato mio papà. In pratica esiste un percorso alternativo, per entrare e uscire, che nessuno conosce. Ma io ho risolto quel cubo decine di volte, e non mi è stato difficile notare gli stessi incastri sulle mappe di questo quartiere. David, se non lo avessi capito, questo impianto sotterraneo è stato progettato come un rompicapo.»

David non replica, e no, non è sicuro di aver capito, l'unica cosa che gli è chiara, è che vuole prendere questa dea matta e farla sua in modo urgente e selvaggio prima di vederla svanire, e svegliarsi scoprendo di averla sognata.

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