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11 - Che luce viene, da quella finestra?


È mezzanotte al Quadrilatero, e la cantina è scaldata a malapena da una stufa anteguerra che gli provoca brividi continui, ma assillare le guardie in ascolto è troppo divertente, per rinunciarvi.

«... La sospensione del giudizio presuppone una speranza infinita. Ancora adesso temo che perderei qualcosa qualora mi dimenticassi che, come mio padre snobisticamente asseriva e io snobisticamente ripeto...»

L'auricolare tuona nel suo orecchio: «Ora, basta, coglione, finiscila!»

« ... il senso della basilare decenza viene distribuito in misura iniqua alla nascita...»

«Ti ho detto di smetterla, o giuro che mi percorro tutto il tunnel, e questa parlantina te la faccio passare!»

David prosegue la sua lettura imperterrito: «... E, dopo essermi tanto gloriato per la mia tolleranza, giungo ad ammettere che essa ha un limite...»

«Anche la mia pazienza ha un limite, Heilesen! Ti avverto!»

Il suo viso si accende in un sorriso silenzioso: «La condotta può reggersi sulla dura roccia o affondare in paludi melmose, ma oltre un certo punto non mi interessa più su cosa si basa...»

«E non sai neanche quello che dici, coglione!» Gelsi sembra infuriato.

David alza gli occhi dal libro e porta la mano all'auricolare: «Capo, tu mi onori, se pensi che stia citando me stesso.»

Ripone nella fila di libri impilati contro la parete il Grande Gatsby, e agguanta un fumetto che di quella serie è il suo preferito. Forse perché gli ricorda la sua sorte.

«Magari non ti piacciono i classici americani, capo, lo posso capire, sei una guardia, sarai patriottico... proviamo con questo.»

E ricomincia a leggere divertito: «... e ognuno di noi si perse nel labirinto oscuro della vita, fatto di squallori e di solitudini reali... di orari dalle nove alle cinque, e di rospi mandati giù per forza...»

«Stai parlando di te, coglione?»

David sospira. «Dylan Dog, capo. Il numero 188 della collezione book. Ma, sì, in effetti non l'ho scelto a caso. Vado avanti...»

«Non ci provare!» urla Gelsi nel suo orecchio.

Ora David si mette seduto sul tappeto, spalle al muro, e regola la lampada a olio che sta perdendo potenza, mentre dice: «Se vuoi chiudo la comunicazione, capo, così i tuoi due neuroni possono riposarsi.»

Nell'orecchio si scandisce un ghigno. «Ti piacerebbe, coglione. Ora tu la smetti di giocare al prigioniero letterato e vai a spiare un po' di gente...»

«Avrei preferito una analogia più poetica» replica scuotendo la testa, «sarebbe stato più consono che avessi detto: la smetti di interpretare Edmond Dantès...».

Ora Gelsi diventa crudele: «Ma lo hai capito o no, coglione, che non ti serviranno a niente tutti questi libri e questa cultura che ostenti come un fanatico burattino? Tu finirai in galera insieme alla tua famiglia di delinquenti ignoranti, e per te sarà anche peggio, perché a differenza degli analfabeti che ti circondano, saprai anche riconoscere l'ironia della tua sorte.»

In quel momento a David tornano in mente le parole di Roan, lo zingaro che l'ha sorpreso a scrivere sul muro la citazione di Baudelaire, qualche sera fa: meglio chi non sa leggere, che chi sa leggere e rimane lo stesso in questo schifo.

Un impeto di rabbia si impadronisce di lui, che subito ringhia nel microfono: «Quando ritrovi mio padre, sbirro?»

E Gelsi si fa una risata. «Ho capito, è per lui che sei rimasto in quella fogna! Ti credevo intelligente, invece mi sa che sei davvero un coglione, Heilesen.»

«La prossima volta non mi trattengo, e quel naso adunco te lo spacco!»

«Che spreco» sogghigna serafico Gelsi, «hai la testa per fare grandi cose, e il fisico per conquistare una platea: belloccio, atletico e pure poeta. E invece sei feccia nella melma. Ha ragione il tuo libro americano a dire che alla nascita il destino è distribuito in modo iniquo. Un vero spreco.»

David perde la pazienza e sibila nel microfono: «Il senso della decenza è iniquo, non il destino, secondo Fitzgerald, ma capisco che sia un concetto troppo ardito per i tuoi due neuroni. E sai cosa è davvero sprecato? Lo stipendio che ti danno per passare il tempo a schernire un testimone incensurato, invece che alzare quel culo secco e andare a cercare almeno una prova che confermi le tue continue illazioni!»

«Pensi che io non abbia raccolto abbastanza prove da chiudere definitivamente quella cazzo di giostra gitana in cui sguazzi, David Heilesen? Allora non sei un coglione, sei proprio un idiota!»

Prima che David reagisca a quella provocazione, l'auricolare emette due disturbi e poi una serie di scoppiettii, finché nel suo orecchio si scandisce un'altra voce, stavolta calma e misurata. E famigliare.

«Ti chiedo scusa per il collega che si è fatto prendere la mano, David. È solo arrabbiato perché gli fa male il naso. Non lo avrai colpito con tutta la tua forza, tanto da spaccarlo, ma ti assicuro che è ammaccato abbastanza da rendere Gelsi un tantino nervoso, stanotte. Perdonalo.»

«Alberti?» David è perplesso. «C'è anche lei?»

Lo credeva un controllore di Anna, e invece lo scopre a partecipare all'appostamento. David inizia a sentirsi usato... e preso in giro. Così, non gli risparmia una battuta che potrebbe procurargli qualche problema con i colleghi: «Qua si parla di me che finisco in galera, Alberti. Ma, se non sbaglio, lei mi ha assicurato la sua protezione...»

Come immaginava, dall'altra parte c'è silenzio. Nessuna replica. E ora David se ne pente: mettere in discussione l'unico alleato sano di mente, in mezzo a tutti quegli sbirri esaltati, è stata una mossa quantomeno azzardata.

Alberti però non si comporta da sprovveduto, e non mostra reazioni impulsive come Gelsi, al contrario, torna a parlare in modo misurato: «E tu stai controllando la situazione? Come sta la mia protetta?»

David ha un sussulto. Se parlare di lei rendesse evidente il suo interesse romantico? Se nel fare il suo nome sospirasse? Se le vedette avessero ripreso quel bacio e ora lui fosse costretto a confessarlo?

«Questo silenzio mi spaventa» dice Alberti. «Che succede?»

«La sua protetta sta bene...» mentre inventa qualcosa di banale da riferire, trattiene il diaframma per evitare di respirare nel microfono, teme che l'amplificazione del suo cuore che accelera venga trasmessa all'intero dipartimento di polizia in ascolto. « ... oggi ha sistemato le torte per la festa e...» continua a tergiversare, ma intanto si accorge che qualcosa lungo il tunnel si muove.

David scatta in piedi e va verso la porta di ferro. « ... e poi ha, ha... aiutato la cugina...» Tende l'orecchio sulla superficie metallica e non gli sfugge un rumore di passi. E non si tratta di ratti, sono passi umani. Si irrigidisce all'istante: se qualcuno lo spia, può aver ascoltato la sua conversazione, e per lui sarebbe la fine.

Cambia tono e discorso: «Ma in questo capitolo, gli scagnozzi di Don Rodrigo minacciano Don Abbondio: il matrimonio non si deve celebrare...» e spera che Alberti sia tanto furbo da cogliere le sue metafore.

Spalanca la porta con un gesto veloce e ascolta nitidi i passi che ora corrono sciabordando nella melma in direzione sud.

«Che succede, David?» chiede allarmato Alberti, nell'auricolare.

Ma David non ha tempo di replicare, afferra la mazza da baseball appoggiata accanto allo stipite, e si lancia all'inseguimento dell'ombra che origliava attraverso la porta della sua cantina. Normalmente non avrebbe agito in un modo così sconsiderato, sapendo che i tunnel sono infestati e che lui non ha la tuta protettiva e né una fiamma ossidrica, ma il rischio di essere stato scoperto è troppo elevato per preoccuparsi delle conseguenze di quel gesto.

«David, mi vuoi rispondere? Che cos'è questo frastuono? Che stai facendo?» lo chiama Alberti.

Vorrebbe che il frastuono a cui si riferisce Alberti nel microfono fosse dovuto al riverbero dell'inseguimento, ma sa, e questo gli fa tremare il cuore, che il ronzio sempre più potente man mano che la corsa prosegue, è causato da un'orda in avvicinamento. Nella notte e a un solo suono fuori posto, i ratti sono attirati come falene dalla luce, figurarsi da un fracasso come quello che produce la loro corsa. E, non meno importante, il tunnel che ha intrapreso sbuca a sud. Ma tornare indietro ormai è impossibile. David si domanda cosa sarà peggiore: la gente della sud che potrebbe attenderlo al varco per linciarlo, oppure l'orda che sta per raggiungerlo alle spalle per divorarlo.

«David!» esclama ancora Alberti.

Nella corsa forsennata, David ascolta una sommessa conversazione nell'auricolare: Gelsi sta intimando ad Alberti di tacere e di smettere di chiamarlo, David deve comportarsi normalmente, o loro non intercetteranno nulla di utile.

E gli viene in mente che la polizia registrerà la sua fine tra cinque... quattro... tre...

Luce.

Porta.

Con la mazza puntata davanti a sé e stretta con due mani, David è fuori. In prossimità del portico sud. Col calcio del piede richiude in rapidità la porta blindata facendola tuonare irresponsabilmente, ma i ratti lo avevano sfiorato, non poteva serrarla gentilmente.

Ora cala il silenzio della notte intorno a lui. E l'ombra è laggiù che si infila e si nasconde tra i pilastri del portico. Deve trattarsi di un uomo lento, pensa David, con poco fiato.

Osserva il perimetro, in giro nessuno. Il suo sconfinamento potrebbe restare un segreto, se chiuderà la bocca a quella spia.

E nella marcia frenetica si domanda se sia giusto che una spia ne elimini un'altra. Ma poi pensa che, appartenere alla trincea opposta, renda per forza nemici giurati.

Saetta tra i pilastri facendo uno slalom degno di un atleta, in questo modo evita due vedette che controllano i banchi coperti e piazzati nel cortile, pronti per la festa dell'indomani. Affretta i passi, resi sordi dalla gomma delle sue Adidas, e intercetta l'ombra che adesso sembra indecisa. Forse non sa più dove nascondersi, è il momento di afferrarla. David con due falcate lunghe e il braccio proteso, arpiona per la collottola l'uomo, e subito realizza che in effetti è mingherlino e affannato. Lo trascina dietro l'angolo della seconda palazzina in fila sotto al portico sud, e lo inchioda contro la parete di cemento serrando una mano sulla sua bocca, mentre spinge con l'altra la superficie della mazza contro il suo ventre.

Ora che lo ha riconosciuto, sussurra torvo: «Leopoldo. Dovevi continuare a fare il contabile che non sa contare. Il ruolo di spia non ti si addice, sei lento come un bradipo e rumoroso come un terremoto.»

Leopoldo è spaventato, trema e cerca di dire qualcosa mugugnando nel suo palmo.

David ringhia basso: «Se urli, giuro che ti spezzo il collo» e molla la presa per farlo parlare.

Leopoldo piagnucola supplichevole: «Donna Iolanda mi ha obbligato. Se non le dico chi è che fa la spia alla nord, quella mi ammazza...»

David si ricorda le parole di Chicca, che aveva confessato loro il sospetto che Leopoldo li avrebbe tenuti d'occhio. Così decide di indagare.

«Non ci sono spie alla nord, come vi è venuto in mente?»

Leopoldo sa che David ha la fama di ragazzo tranquillo, ma sa anche che farlo incazzare è una pessima idea. Così vuota il sacco senza smettere di tremare come un assiderato nella neve.

«Se te lo dico, mi risparmi?»

«Parla!» preme la mazza contro il suo petto per mettergli fretta.

Leopoldo farnetica, geme, e alla fine dice: «Sul palo della luce davanti al vostro portico c'è una telecamera puntata sul nostro.»

David sgrana gli occhi, la notizia lo atterrisce.

In quell'istante nel suo auricolare ascolta un bisbiglio: «Nega e lascialo andare. Dì che è finta. Avanti, coglione, dì così.»

Poliziotti bastardi, pensa David, non ci stanno solo ascoltando, ci stanno anche filmando.

«Roba finta, puoi dormire tranquillo» dice a Leopoldo. «E poi, secondo te, che cazzo ci dovremmo fare con una telecamera? Se volessimo spiarvi ci basterebbe fissarvi, cretino, stiamo a un metro ventiquattrore su ventiquattro. Dì a Iolanda che non ci sono spie al Quadrilatero. E ti avverto che se non sarai convincente ti verrò a cercare.»

Leopoldo si mette a mani giunte: «Te lo giuro, dico che non ci sono spie, te lo giuro.»

David non si fida affatto di Leopoldo, sa che sta solo cercando di salvarsi, ma in cuor suo sa anche che non farebbe mai del male ad un uomo che non saprebbe difendersi. Così allenta la presa con un avvertimento recitato, nella speranza di impressionarlo: «Leopoldo, ti avverto, se mi tradisci, se racconti a qualcuno che ho sconfinato, non verrò a cercare solo te, ma pure tua sorella.»

Un po' gli viene da ridere, ma tiene il punto e aggiunge minaccioso: «E non immagini cosa farò a tua sorella» e poi simula una risata torbida.

Spera solo che Leopoldo abbocchi e si tolga di torno prima di chiedergli il permesso di riprovare la battuta.

Leopoldo annuisce e si inchina, e come un vigliacco finge di credergli: «Grazie, lo giuro, lo giuro» e indietreggiando raggiunge l'angolo, e si allontana barcollante.

David è convinto che nonostante Leopoldo sia un piccolo criminale ignorante, abbia sgamato la sua recita. Dovrà rimediare, tenerlo d'occhio. Ma soprattutto: deve spaccare quella dannata telecamera, prima che lo immortali con Anna.

Indeciso se ridere o piangere, si rimette in marcia furtivo, dribblando le vedette, per tornare indietro.

Nel suo orecchio, Gelsi ridacchia: «Sono curioso, Edmond Dantès, cosa farai alla sorella di quell'imbecille? Aspetta, fammi indovinare: le farai sanguinare le orecchie a forza di citare poeti morti» e ride, ride, ride tanto che David è costretto a sfilare l'auricolare pur di non ascoltare oltre quella voce stridula.

Ancora pochi passi nella notte, e si ferma.

È proprio lì, sotto al suo portone. E si fa indietro fino a inquadrare la palazzina, il quinto piano, e non può fare a meno di alzare la testa a quel balcone di cucina da cui tante volte l'ha vista apparire, mentre la osservava con quel vecchio binocolo.

La luce è accesa e il suo cuore palpita stupido, senza curarsi di essere visto dal nemico, ma con la sciocca speranza che lei si affacci. Cerca di fermare il respiro che corre veloce fino a togliergli aria, e capisce che restare a fissare quel balcone non ha alcun senso. Nell'atto di voltarsi, però, intravede un'ombra oltre il vetro della portafinestra, e di nuovo imprudente si ferma e torna a osservare il balcone. Solo adesso si rende conto che, vederla anche solo un momento, è più importante che essere scoperto dal nemico. E indugia ancora.

Il suo coraggio infantile viene premiato: è Anna.

È proprio la sua Dea che ora apre quella finestra e si attarda a puntare due mollette per stendere un panno. Vorrebbe chiamarla ma deve accontentarsi di quella figura fugace che tra pochi secondi rientrerà senza accorgersi di lui.

Anna, pensa sconsolato.

Come per un richiamo non scritto, lei volta lo sguardo al panorama e di seguito alla strada. Il cuore di David emette due colpi fuori posto, quando lei scatta in avanti e, con le mani sorrette alla ringhiera, lo osserva da lassù, protesa, come una bambina che insegue una farfalla.

Dopo un momento di eccitazione, David prova a parlarle, nella speranza che la luna sia clemente e illumini le sue labbra, così che lei riesca a leggerle.

Sei bellissima, Anna Frey, dice senza voce.

Cerca di scorgere l'espressione di Anna, e ora lei sorride e annuisce.

Dio, mi ha letto davvero!

Adesso smette definitivamente di pensare che si trova in mezzo al cortile nemico, e le parla ancora con le labbra: Non vedo l'ora che arrivi domani, Anna Frey, voglio baciarti ancora.

Poi si pente di essere stato così audace, teme di spaventarla.

Ma non è così, Anna da lassù sorride di nuovo.

Dietro di lei compare un'ombra.

David, con uno scatto velocissimo, corre a nascondersi dietro la colonna del portico, e sbircia ancora il balcone facendo capolino con la testa. Laura è uscita fuori e le sta parlando. Col braccio la spinge a rientrare.

Anna volta lo sguardo un'ultima volta, e lui non può fare a meno di sbucare fuori, e con la mano le lancia un bacio.

Ne è sicuro: gli ha sorriso anche stavolta.

Poi la portafinestra si richiude e a David non resta che scappare furtivo, per raggiungere la siepe che lo riporterà alla nord. Mentre corre via, ringraziando la luna per quella concessione, si osserva: al posto della spada ha una mazza da baseball, al posto del mantello una camicia di jeans, ma il suo cuore è impavido come quello di un principe.


Gelsi lancia le cuffie sul piano metallico e impreca fissando le immagini della telecamera di sorveglianza che inquadra la zona sud del quadrilatero. La corsa di David tra le siepi per tornare alla nord è ripresa fotogramma per fotogramma.

«Porca puttana, quell'inutile ometto che lavora alle dipendenze di Iolanda, quel... Leopoldo, ha spifferato al nostro informatore dell'occhio che abbiamo piazzato sul palo.»

Alberti lo avvicina piano e lo schernisce: «Non è tanto inutile, se è l'unico ad essersi accorto della telecamera di sorveglianza.»

Gelsi si volta a osservarlo con malcelato sdegno: «Ma tu da che parte stai, Alberti?»

«Quel povero ragazzo lo stai massacrando. Non è questo il modo di gestire una talpa.»

Il vicequestore si mette in piedi e gli ringhia in faccia: «Infatti è un tale coglione che abbiamo sbagliato a fidarci» si volta verso i suoi e ordina altisonante, «Diamo inizio alle danze, prima che qualcuno ci stacchi le immagini: chiamate la squadra. Derattizziamo i tunnel.»

Alberti deglutisce aria. «Derattizzate a poche ore dalla festa? E il blitz?»

«Prima li costringiamo a spostare i carichi di corsa, poi li becchiamo con le mani nel sacco.»

Alberti deve darsi una mossa, è l'una di notte, ma deve buttare giù dal letto più di un politico, se vuole proteggere Anna.

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NOTA AUTRICE

BUONASERA, come state!!! Vi sta piacendo questa storia?

Volevo dirvi che sta per uscire il libreria con DeAgostini, Planeta libri, il romanzo con cui ho vinto qui gli wattys 2020, COME DUE SPINE, se vi va di leggerlo, troverete tutti i link sui miei social, è già in prevendita! Vi abbraccio!!

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