10 - Scoperte
Anna Frey è una pennellata di rosso in mezzo a un blu diffuso: impossibile non notarla, quando sconfina e si avvicina al negozio di Italo. David molla due libri sulla superficie del tavolo, stavolta senza impilarli, e non stacca gli occhi da lei: se Italo la tocca, lo rompe. Ha deciso. Al prezzo di rivelare a tutti il suo interesse per la nipote del nemico, non permetterà a quel porco di sbavare sul suo angelo. E perde la testa quando la vede sparire tra le liane e infilarsi dentro al negozio sparendo alla vista. Sta per muoversi verso il Market, quando un fischio stonato e potente gli perfora le tempie, costringendolo a piegarsi con la mano sull'orecchio e una smorfia di dolore in faccia.
«Cazzo!» ringhia.
«Scusa» dice il poliziotto che sta aggiustando il segnale di trasmissione. «Qualcosa sta disturbando la frequenza. Guarda se intorno a te c'è una radio, oppure un cellulare» ordina.
David sbuffa sonoro mentre osserva il perimetro. Poi sussurra: «Il fonico sta allacciando cavi per il palcoscenico. Una tizia parla al telefono. Tre zingari inviano foto e messaggi...»
«Foto di cosa?» domanda solerte il poliziotto, nel suo orecchio.
David risponde spazientito: «Gustavo ha ordinato che tengano d'occhio i lavori. Sono vedette.»
«Stagli lontano» ordina ancora, il poliziotto. «Non devono capire che...»
«David Heilesen!» Anna è comparsa davanti a lui con un sorriso meraviglioso sulle labbra e l'assoluta indifferenza ai divieti.
Vorrebbe allontanarla per evitare che la polizia in ascolto registri la sua voce, o le sue parole, che indaghi su Anna, ma non finisce di elaborare questa intenzione, è rimasto colpito dalla pronuncia impeccabile e dalla memoria di Anna.
«Brava» le dice di getto. «Ti sei ricordata il mio cognome» e mentre sorride come un idiota, nota che gli occhi di lei sono puntati sul suo orecchio. Non fa in tempo a domandare, che è preceduto da una dichiarazione allarmante...
«Con chi comunichi?»
David si scurisce all'istante, subito le fa cenno con la testa di tacere, dice no, a occhi sbarrati.
Anna si acciglia ma non demorde. «Che stai combinando, David Heilesen?»
Ora David fa un passo indietro. È spiazzato.
Un istante, e riprende fiato per dire la prima sciocchezza che gli viene in mente: «Noi non possiamo parlare, guardati intorno, Anna Frey, qui siamo blu».
Pensava così di aver risolto un problema, lei finora si è dimostrata ligia alle regole; tuttavia, il suo cuore esplode nell'attimo esatto in cui realizza di aver pronunciato il nome e il cognome di lei a chiare lettere, e una parte di lui vorrebbe fustigarsi con le verghe, ora.
Anna osserva i nordisti sfidarla con occhiate torve, ma la presenza di Italo alle sue spalle, fermo davanti alla porta del Market, pare allontanare da lei chiunque vorrebbe cacciarla. Come se Italo fosse una sorta di cerbero a difesa di un fortino. Che però la osserva cupo, cercando di origliare la loro conversazione.
David è davvero nei guai, deve schivare tutti e tre: la polizia in collegamento, Italo e... Anna.
Si volta verso il suo banchetto e indica i libri: «Li sto ancora sistemando, ma prendine uno, basta che poi te ne vai.»
Anna appare disorientata. Solo un'ora fa l'aveva esortata a infischiarsene delle regole, l'aveva portata con sé, solo un'ora fa... l'ha baciata. Ed è stato il bacio migliore della sua vita. E adesso la sta cacciando come farebbe qualcuno che non ha nessun interesse per lei e che dopo quel bacio ha capito di non volerla.
La vede indietreggiare senza smettere di fissare ora i suoi occhi ora il suo orecchio. Forse crede che qualcuno nella sua testa gli stia ordinando di mandarla via.
«Anna... credimi, sto cercando di proteggerti» ma non lo dice, lo sussurra a sé stesso mentre lei va indietro.
«L'ho capito» replica lei da laggiù, «non preoccuparti. Domani alla festa, durante la tregua, parleremo» si volta e corre via.
David è sconvolto: come diavolo ha fatto a sentire cosa lui aveva sussurrato?
Solo quando torna a fissare i libri sul banco, solo quando il cuore rallenta, affiorano nella sua mente le parole del dirigente grassoccio che ha incontrato nelle gallerie, quel... Alberti: Anna Frey sa leggere il labiale. Lo aveva preso per un mitomane, ma inizia a credere che sia vero. Anche se non riesce a spiegarselo. L'unica cosa che sa è che aspettare l'indomani sarà un'agonia, stanotte impazzirà nell'attesa fremente di poterla stringere di nuovo tra le sue braccia.
«Chi stai cercando di proteggere, coglione?» la voce di Gelsi gli tuona nell'orecchio.
Il panico si impadronisce di David.
«Alberti?» Poco dopo la voce di Claudio Gelsi si diffonde acuta nell'abitacolo.
Alberti prende una curva e sbuffa: a quanto pare è ancora vivo, nemmeno i ratti hanno gradito la sua carne.
«Cosa vuole, Gelsi?» risponde fermo a un semaforo.
«Sarebbe così gentile da tornare indietro?»
La richiesta del vicequestore lo spiazza: un'ora fa lo ha cacciato quasi a calci, e ora lo richiama?
«Non può parlare al telefono, Gelsi? Sa com'è, trovare quella dannata muraglia senza navigatore sta diventando un...»
«Anna Frey!» esclama Gelsi.
Alberti frena e inchioda, e sull'asfalto tatua le gomme anteriori facendo stridere gli pneumatici, fa manovra in velocità e svolta per tornare indietro come avesse ascoltato un richiamo impossibile da ignorare.
In meno di mezz'ora è fermo davanti al portello del Minivan di appostamento a domandarsi cosa dirà, cosa inventerà per proteggerla.
Il portello laterale scorre rapido e si assesta con un tonfo sordo, è Gelsi che lo ha spalancato e che adesso sta fissando lui con malcelato divertimento.
Ora Alberti lo osserva meglio, e dopo un attimo di rabbia pura, il suo sgomento lo costringe a una risata.
«Che t'è successo, Gelsi? Un ratto ti ha preso a pugni?»
Gelsi porta la mano al naso gonfio e arrossato, e aggrotta la fronte infastidito. «Esatto, Alberti, un ratto mi ha colpito. E gliel'ho lasciato fare solo perché mi serve vivo. Per ora.»
Deve essere stato David, pensa Alberti. Quel ragazzo comincia a piacergli.
«Monta, dobbiamo parlare» ordina Gelsi.
Non ha ancora pensato a cosa dirà, e i cinque colleghi seduti davanti ai monitor che lo fissano perplessi non appena s'infila dell'abitacolo, non sono un buon inizio.
«Si accomodi, dottore» l'agente addetto alle comunicazioni indica la poltrona accanto a sé.
Mentre lui si siede, l'altro sfila le cuffie e mostra il monitor: Alberti legge una serie di battute che il sistema ha registrato e trascritto in tempo reale, mentre una conversazione estorta a David si consumava con tale e virgolettata: Anna Frey.
Con chi comunichi? Sto solo cercando di proteggerti...
Gelsi si piazza dietro di lui e cala le mani sulle sue spalle. «Naturalmente lei capirà, dottore» insinua sordido, dandogli formalmente del lei davanti ai colleghi, «che dopo dieci lunghi anni di intercettazioni, il nome Anna Frey è piombato come un fulmine a ciel sereno. E dal momento che non lo avevamo mai sentito, abbiamo immediatamente attivato una ricerca.» Si china su di lui e gli sorride di lato. «Indovini cosa abbiamo scoperto?»
Alberti si immagina costretto a vuotare il sacco e sa di rischiare una sospensione. Aiutare una ragazza per ragioni personali rischiando di inquinare un'indagine è punibile con la radiazione.
Gelsi porta la mano alla tasca posteriore dei jeans e ne estrae un plico arrotolato, poi con un gesto rapido lo sbatte davanti ai suoi occhi corrugati. «Prego, dottore, legga.»
Alberti è preso in contropiede: come fa a esistere un fascicolo su una minorenne incensurata?
Si affretta a sfogliare e non impiega più di trenta secondi per stabilire che il protagonista del fascicolo non è Anna, ma il padre.
Alza lo sguardo su Gelsi, ancora in piedi al suo fianco.
«Carl Frey?» domanda fingendosi tonto.
Gelsi appoggia il braccio lungo la spalliera della sua sedia e si china per parlargli a un palmo dalla faccia: «Carl Frey, l'ingegnere che ha fondato le ditte Fray Ingenering, presenti in tutta Europa. Esatto, dottore. Deceduto quattro mesi fa in un incidente insieme a sua moglie. Unica sopravvissuta la figlia minorenne, che a seguito dell'impatto ha riportato innumerevoli ferite, e una sordità temporanea. E che, guarda caso, il Giudice Iorio ha affidato a lei, dottore, per consegnarla a Carazzoli Romano, fratello della madre. Vado bene, fino a qui?»
Alberti sta per rispondere a tono, il modo insolente con cui un suo sottoposto si rivolge a lui lo sta facendo innervosire, ma resta muto, all'ascolto della chiusa.
«Non trova quantomeno sospetto che la figlia di Carl Frey sia anche la nipote di Romano Carazzoli?»
Stavolta Alberti non sa rispondere. Che razza di domanda è?
«Vuole insinuare» prova a dire Alberti, «che è stata sfortunata ad avere per zio un trafficante?»
Gelsi sfodera un ghigno divertito e sussurra: «Uno zio trafficante che traffica nei tunnel progettati dal defunto cognato.»
Alberti scatta con gli occhi al plico e ora finalmente capisce cosa Gelsi gli stava mostrando: il Quadrilatero è stato bonificato dal padre di Anna!
Mentre legge sconvolto, la voce sibilante di Gelsi sussurra nel suo orecchio: «E se si trattasse di una bella associazione per delinquere? Mi faccio una risata fino a Natale se scopro che gli impianti di decontaminazione Frey hanno come secondo fine quello di creare flussi di transito per lo spaccio.»
«Ma che vai blaterando, Gelsi?» sbraita sonoro.
Il vicequestore lo ignora e continua il suo racconto fantasioso: «Pensa, Alberti» torna a dargli del tu, «Immaginiamo che il padre morto l'avesse messa al corrente dei suoi traffici, quindi lei studia un piano, perché ha un quoziente intellettivo superiore alla media, e invece di andare a vivere dal fratello del padre, un broker benestante che vive a Ginevra, corre dai poveri e miserrimi Carazzoli, per consegnare loro, su ordine tutelare, i profitti, in modo che li reinvestano nello spaccio prima che lo Stato li confischi.» Apre le braccia e fiero conclude: «Proprio il caso di dire: Anna Frey, un genio del male. Cosa te ne pare?»
Alberti salta in piedi e spinge indietro Gelsi, sa che ha troppa esperienza per credere davvero alla favoletta che ha raccontato, ma il solo fatto che abbia apertamente provocato un dirigente dei servizi, gli fa fiutare guai, così finge di stare al gioco e lo minaccia in un ringhio: «La solita vecchia storia; le colpe dei padri che ricadono sui figli. Ma non è questo il caso, Gelsi, fattene una ragione. Carl Frey è stimato in tutto il mondo, gli hanno persino dedicato due targhe commemorative, non avrebbe mai svuotato i tunnel per farne percorsi di traffico, li ha decontaminati e svuotati perché vi costruissero le popolari, tutto qui; in quanto alla figlia... è una brava ragazza, non ha capito nulla di quel quartiere.» Anche stavolta Alberti, in cuor suo, sa di mentire: nessuno finora ha capito i meccanismi del Quadrilatero in un tempo record come ha fatto Anna Frey.
Gelsi alza gli occhi al cielo in uno sbuffo annoiato. «Calma, facevo un'ipotesi... e nessuno meglio di te, Alberti, sa che servono prove per formulare sentenze, e tu li scagioni col solo beneficio del dubbio. O per partito preso. Fai tu.» Poi lo sfotte: «Ancora devo capire come mai la proteggi.»
Alberti tace, ma non abbassa lo sguardo. Una conversazione a tratti formale, a tratti informale, gli suggerisce che il suo interlocutore non si fidi di lui, all'occorrenza gli dà del tu o del lei, deve agire con prudenza.
«Come pensa di proteggerla, durante il blitz?» Gelsi torna alla carica, «Io non ho intenzione di metterle addosso un agente, se finisce nel calderone, verrà schedata come tutti, l'avverto, Alberti.»
Alberti non ha scelta: deve trovare il modo di portarla fuori da lì prima che inizi la guerriglia, ha bisogno di un'ultima conferma, e poi si attiverà.
Si finge distratto mentre domanda: «E... ma per quando sarebbe previsto il blitz?»
Rischia davvero di macchiare quarant'anni di carriera, ma di figlia ne ha già persa una, non permetterà che la storia si ripeta senza lottare.
Gelsi sorride sornione. «Domani avranno la loro ultima festa. Se vuole assistere allo spettacolo, le consiglio di portarsi una poltrona... e venga col pop-corn... sarà una lunga notte.»
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