Capitolo 41
"Perché quando il corpo ti abbandona, la mente deve fare il suo dovere."
Forse aveva sbagliato a mettersi dietro uno schermo gigante. Anche se stava lì solamente da qualche minuto, la musica era diventata insopportabile. Gli esplodeva in testa come gli stessi botti di Capodanno. Odiava tutta questa confusione. Troppe voci, troppe risate, troppo rumore per qualcuno che non sa se sarebbe vissuto o meno. Intanto guardò l'orologio nervoso. Mancavano esattamente due minuti. Era già pronto per fuggire. Esplorò la piazza attraverso la sua maschera, e in fin dei conti aveva fatto la scelta giusta. In quel punto dava meno nell'occhio, e poi sarebbe stato più semplice per lui scappare. Era già da giorni che aveva programmato di farlo. E anche se sapeva che fosse l'unica cosa che l'avrebbe salvato, non voleva lasciare Brigitte in balia di quei maniaci. Dopo quella notte, non era più la stessa. Soprattutto durante l'ultimo mese, il Cave l'aveva cambiata. Tra l'altro era sempre più convinto che stesse con Tobias. Passavano la maggior parte del tempo insieme mentre a lui non degnava nemmeno di uno sguardo. Provò a non pensare a lei in questo momento, e guardò un'altra volta l'ora. Un minuto, mancava un minuto. Poteva farcela. Aveva affrontato situazioni più difficili di questa. Ce l'avrebbe fatta anche adesso. Eppure lo sentiva nel petto che qualcosa sarebbe andato storto. Era preoccupato, anche se non sapeva esattamente per che cosa. Aveva la sensazione di averla vicina. Cercò il suo sguardo tra la folla, ma non vide nessuno. La mezzanotte scattò, e insieme a lei dei fuochi d'artificio si accesero in cielo. Quasi gli venne un infarto a sentire quei botti. Era arrivato il momento di andarsene. Si abbassò un po' e iniziò a scansare le persone. Sarebbe stata dura superare quel fiume di gente, ma non più dura di affrontare una guerra. Continuò nel suo intento, ma si fermò non appena sentì delle urla provenire dall'altra parte della piazza. Il gas stava già cominciando a fare effetto. Doveva fare più veloce. Allora cominciò a spingere, e alcuni iniziarono a bestemmiargli dietro. Un momento di gioia si stava trasformando per tutti nell'inferno vero e proprio. - Jackson! - gli parve di sentirla, di sentire la sua voce urlare il suo nome. Era così lontana che sembrava un sussurro. Forse era solamente frutto della sua immaginazione? - Jackson! - udì di nuovo a distanza di pochi secondi, e questa volta era certo di averlo sentito veramente. A sentimento, andò verso la direzione da cui gli parve di sentire il grido. Ormai Jackson si era trasformato in un involucro di felicità e adrenalina. Tutti i suoi muscoli si attivarono, compreso quello del suo cuore che batteva a più non posso. Ora come ora, le persone iniziarono ad essere un ostacolo insormontabile per lui. Più cercava di essere rapido, più la gente rimaneva impassibile, e più non vedeva l'ora di raggiungerla e di tenerla tra le sue braccia. - Jackson! - odette per l'ultima volta, prima che quella nuvola bianca sfumasse verso di lui. Vide le persone crollare una ad una davanti ai suoi occhi, e sperò che fossero svenute. Provò a non farsi condizionare da ciò che stava succedendo attorno a lui, e proseguì. Ormai non poteva essere lontana. Continuò per un altro metro, e finalmente la trovò. Era lì davanti a lui che barcollava e poi si afflosciava lentamente a terra. Jackson sbiancò per un attimo a vedere quel tappeto di persone attorno a lui addormentate. Era come se in realtà fosse rimasto da solo. In lontananza sentì il suono di una sirena e capì che non poteva più rimanere là. Sollevò Brigitte, e la strinse forte tra le sue braccia. Era l'unico modo per andarsene insieme. Corse via, cercando di fare attenzione a coloro che erano a terra. Per la fretta, pestò la mano o il piede di qualcuno ma nemmeno così si risvegliarono. Arrivò alla punta della piazza, e la polizia si parò proprio davanti a loro. Li avevano beccati. Uno dei poliziotti uscì dall'auto, e in quel momento Jackson avrebbe desiderato scomparire. Rimase lì impalato, con le gambe quasi atrofizzate. Poteva continuare a scappare, ma con Brigitte in queste condizioni non sarebbe arrivato lontano. Erano finiti. - Devi venire in caserma con noi - fece l'uomo, senza fare domande. Era sicuro che lui c'entrasse qualcosa. Come biasimarlo, non si vedono tutti giorni persone che girano con una maschera antigas. Jackson si guardò attorno agitato, e vide altre tre pattuglie accostare. Non c'era più via di uscita. Era davvero finita. Il poliziotto si avvicinò a lui e gli levò la maschera. - Questa non serve più - disse, e poi si mise a parlare con il poliziotto appena arrivato - Chiamate il 118 e informateli della situazione - gli ordinò. Non sapeva come, ma doveva trovare il modo di andarsene. Se fosse rimasto ancora qualche minuto lì, l'avrebbero portata in ospedale. E ora che ce l'aveva tra le braccia, non voleva più separarsene. La osservò per qualche secondo, e anche in quest'occasione, il suo viso dolce lo rassicurò. Avrebbe sopportato anche la prigione, ma non l'avrebbe lasciata da sola un'altra volta. Allora osò, e tornò indietro verso la piazza, ignaro che questo sarebbe stato l'errore più grande della sua vita. Finì a terra, e si gettò su Brigitte per proteggerla. Il sangue gli colava dappertutto, dalla fronte sino ad arrivare alle labbra. Non aveva più forze, era come se quell'esplosione gliel'avesse risucchiate tutte. Ogni membra del suo corpo sembrava così pesante da sollevare, che riuscì a girare appena la testa. Le fiamme divampavano sulla piazza, e, poco a poco, si appropriavano delle vite rimaste. Presto sarebbero arrivate anche da loro. Jackson provò a mettersi in ginocchio, ma era ormai una missione impossibile. Si lasciò cadere, senza capire cosa fosse accaduto. Voleva solamente chiudere gli occhi e dormire, dimenticandosi di quel fumo soffocante che secondo dopo secondo, gli sciupava i polmoni.
Qualunque cosa fosse successa, un fracasso tremendo l'aveva fatta sussultare. Aprì gli occhi, e non riusciva a vedere bene. Era come se tutto attorno a lei fosse appannato da un velo grigio. Sbatté più volte le palpebre, e si rese conto che una nube di fumo galleggiava in aria, mentre in lontananza le fiamme avevano preso ormai il sopravvento. Doveva alzarsi se avesse voluto salvarsi la vita. Provò a muoversi, ma era bloccata. C'era qualcuno su di lei, ma non fu difficile capire di chi si trattasse. Lo poteva percepire dall'odore della pelle, anche se ora era ricoperta dalla cenere. - Jackson - lo chiamò con voce rauca, e cominciando a tossire - Jackson - disse un'altra volta senza ottenere risultati. Era meglio non sprecare altro ossigeno. Cercò di spostarlo, eppure era come se stesse spostando un macigno. Si riposò per qualche minuto, mentre con occhi socchiusi fissava il fumo che le passava davanti. Forse non era poi così male rimanere lì distesa. Si sentiva talmente rilassata e stanca, che desiderava dormire. Serrò di nuovo gli occhi, sentendo la debolezza mangiarsi poco a poco il suo corpo. Qualsiasi azione, persino pensare, richiedeva uno sforzo sovrumano. Rimase così inerme almeno per cinque minuti, quando poi sentì il suono di un'ambulanza. Non sapeva se fosse reale o meno, ma questo la svegliò dal sonno in cui stava sprofondando. Piano piano scostò la testa di Jackson dal suo petto, e l'appoggiò delicatamente a terra. Provò a fare la stessa cosa con il resto del corpo, ma non aveva abbastanza forza. Allora l'abbracciò, e non si sa come, riuscì a ribaltarlo. Ora lei era sopra di lui, con la faccia a pochi centimetri dalla sua. In un altro contesto le sarebbe piaciuto rimanergli così vicina, ma purtroppo non era questo il caso. Una risata isterica le venne fuori dalle labbra solamente a pensarci. Mise le mani a terra con l'intento di sollevarsi, il che le costò molta fatica. Allora rise ancora, perchè in qualche modo il destino si stava prendendo gioco di lei. Di solito era capace di fare almeno cento flessioni, mentre ora non era in grado nemmeno di alzarsi in piedi. Alla fine ci riuscì ma traballando come un'ubriaca. Le ci volle qualche secondo per stabilizzarsi, e non perdere l'equilibrio. Eppure era complicato con la testa che faceva cento giri e il fuoco che, se non avesse fatto presto, l'avrebbe bruciata viva. Perciò se voleva sopravvivere, doveva scordarsi momentaneamente del dolore. Afferrò Jackson da sotto le ascelle e cominciò a trascinarlo. Ogni passo che faceva era come se stesse scalando una montagna e, di tanto in tanto, si voltava per vedere quanto fosse ancora distante la strada. Non ci voleva molto. Indietreggiò per qualche altro metro, e rimproverò se stessa per essere così lenta. Non poteva fermarsi ancora e proseguì, sentendo il fiato farsi sempre più pesante. Ce la posso fare , ripeté mille volte nella sua testa, capendo finalmente il motivo per cui suo padre l'avesse fatta allenare sin da quando era bambina. Non per puro gioco, ma per abituarla a resistere. A resistere anche quando stava male e non aveva più fiato per continuare. Perché quando il corpo ti abbandona, la mente deve fare il suo dovere. E come in una gara, Brigitte arrivò al suo traguardo. Le fiamme erano ormai lontane, e un'ambulanza apparve davanti a lei. Sorrise lievemente, soddisfatta per avercela fatta. Le gambe le cedettero per la gioia, e crollò giù vedendo come ultima cosa la faccia di un uomo con la divisa rossa.
Aveva ancora i brividi per quello che era successo. Sapeva che il Capo avrebbe architettato qualcosa che andava al di là di un gas. Eppure vedere parte della piazza incendiare, la lasciò pietrificata. Anche Tobias era rimasto così. Era sbiancato quando aveva visto quella bomba esplodere in cima alla colonna e, in giro di poco, distruggerla completamente. Le fiamme si stavano impadronendo anche della piazza, ma in realtà era come se il fuoco avesse incendiato anche i suoi occhi. Non era stato facile per lui vedere morire alcuni dei suoi allievi. Nonostante si fosse mostrato loro sempre distaccato, si notava che fosse dispiaciuto. La missione aveva già sacrificato le sue prime vittime. - Sai dove stiamo andando? - gli chiese Rose, visto che fino ad allora non le aveva dato nessuna spiegazione. L'esplosione lo aveva turbato, tanto da non spiccicare più parola da quando si erano allontanati dall'incendio. - A casa di un mio amico - rispose senza alzare la voce - Ci ospiterà per un tempo - disse, svoltando una stradina. In realtà era già da un bel po' che camminavano, e Rose dubitava che stessero andando veramente a casa di qualcuno. - Quanto manca ancora? - gli domandò per verificare se quello che le avesse detto fosse vero. - Non lo so - rispose lui vago. - Come non lo sai? - iniziò ad alterarsi - Perchè non hai usato il navigatore sin dall'inizio? - proseguì con tono di rimprovero. - Mi è capitato di venire qui già diverse volte, non ho bisogno del navigatore - le spiegò, senza arrabbiarsi - E poi, meglio se non abbiamo alcun dispositivo. Potrebbero rintracciarci in qualsiasi momento - Rose non contestò, ritenendo giusto il suo ragionamento. In effetti il Capo era capace di qualunque cosa. Non si faceva scrupoli. In passato aveva fatto a pezzi le Torri Gemelli, e ora la Colonna di Marco Aurelio era saltata in aria insieme a parte della piazza. Continuarono a camminare senza parlare, godendosi il silenzio di quelle strade deserte. E anche se ora c'era la pace, non riuscivano ad acquietare i loro animi. Sapevano che quello che era appena accaduto fosse solo l'inizio e che da soli non avrebbero potuto fare granchè. Intanto attraversarono una strada grande che portava ad una specie di giardino non curato. Era evidente che si trovassero in periferia. Non c'era quasi più niente se non qualche distributore di benzina e un paio di palazzi. Superarono il boschetto, e si ritrovarono davanti ad una casetta quasi nascosta dall'erba alta. Almeno dall'esterno sembrava abbandonata. - Come vedi, siamo arrivati - fece lui, aprendo una porta di legno malandata che cigolava. Tobias entrò per primo, mentre Rose lo seguì impaurita. Non era sicura che ci fosse davvero qualcuno. Era tutto buio, se non fosse per una flebile luce che proveniva dalla cucina e che loro raggiunsero. - Benvenuti - li accolse un uomo seduto su un divanetto mentre si riscaldava con una stufa. Doveva avere sulle settantina e non sembrava stare molto in salute.
- Come stai Alexander? - gli chiese premurosamente Tobias, prendendo posto affianco a lui. L'anziano scosse la testa, facendo qualche smorfia. Non stava bene. Intanto si alzò, e cominciò a compiere piccoli passi. - Vi faccio vedere...la stanza - disse ansimando, come se facesse fatica a stare in piedi. - Non ce n'è bisogno - lo fermò subito Tobias, riaccompagnandolo al divano - So benissimo dov'è. Anzi, grazie per l'ospitalità - Tobias gli diede le sue mani affinchè Alexander si reggesse a lui per sedersi. Anche se sapeva che era cambiato, era strano vederlo comportarsi con così tanto riserbo. Gli altri avevano conosciuto solo il Tobias severo, quello che dava gli ordini e rimproverava sempre. Lei invece, aveva conosciuto anche il lato dolce di lui. - Chi è questa tra le due? - gli domandò l'uomo con un mezzo sorriso che gli fece aggrinzire il viso. Rose arrossì senza capire nemmeno il perchè. Qualcosa le diceva che non era il calore della stufa. - Lei è Rose - la presentò Tobias, e per correttezza la giovane gli strinse la mano. - Piacere di conoscerla. La ringrazio per averci accolto nella sua casa - rispose con cortesia Rose, il che non passò inosservato dall'uomo. - É la tua ragazza? - gli chiese senza nemmeno pensarci. Ora sì che era davvero imbarazzata. E lui anche. Si guardarono come se non ci fosse una risposta alla sua domanda. Era vero, non stavano insieme ma non potevano nemmeno considerarsi amici. Non si erano mai comportati da tali, ma allo stesso tempo non c'era mai stato niente di più tra loro. - Alexander, Alexander tu non ti stanchi mai - la prese sul ridere Tobias - Non pensi che sia arrivata l'ora di andare a dormire? - chi chiese scherzosamente - Dai, che ti porto nell'altra camera - addusse subito. Rose rimase un po' perplessa. Perché non aveva risposto alla domanda di Alexander?
Aveva intuito come fosse la stanza già prima di entrarvi. Bastava guardare il resto della casa per capirlo. Era praticamente spoglia. C'era un solo letto con un comodino accanto e un armadio alto fino al soffitto. C'era giusto l'indispensabile. Andava bene, se non fosse solo per il letto... - Puoi dormirci tu - fece Tobias, indicandoglielo - Io dormirò sul divano - anche se quest'idea la rassicurava, in realtà non era quello che voleva. - Ehm...se vuoi puoi dormire con me - le venne fuori istintivamente, e se ne pentì subito. Doveva ammettere che nella sua testa suonava meglio quella frase. -Cioè...voglio dire che... il letto è abbastanza grande per due - balbettò, e un sorriso uscì spontaneo dalle labbra di Tobias - Ovviamente solo se vuoi, perchè se poi non vuoi anche il divano va bene - continuò a dire lei, mandando letteralmente le sue guance a fuoco - O che ne so, puoi prendere una coperta e dormire sul pavimento - stava decisamente parlando troppo, ma non riusciva a fermarsi con lui che si avvicinava sempre di più a lei. Come faceva ad essere così bello? E perché la guardava così? - Se poi hai freddo, potresti accendere una stufa - proseguì ancora, e avrebbe voluto che qualcuno le tagliasse la lingua in quel preciso istante. Ma non fu necessario, visto che il suo tocco la fece zittire subito. Le accarezzò la guancia andando su e giù con il pollice. Rose rimase quasi a bocca aperta con il fiato sospeso. Con l'altra mano le sfiorò i capelli, e per poco non le veniva un infarto. - Va bene - replicò lui semplicemente, mentre la contemplava assorto. Non poteva crederci. Forse sarebbe svenuta da un momento all'altro. - Tobias - volle cambiare argomento, andandosi a sdraiare sul letto. Finalmente sentiva un po' di sollievo - pensi che Brigitte e Jackson verranno? - gli domandò con occhi lucidi. A causa dell'esplosione, molti erano morti. E se loro erano fra quelli? No, non riusciva nemmeno a immaginarselo. - Non lo so - rispose intristito, raggiungendola e tenendo la schiena contro la sbarra del letto - Aspetteremo qui qualche giorno - aggiunse, e Rose sospirò. - E se non dovessero venire? - gli chiese ancora, singhiozzando. - Non ti fasciare la testa prima di romperla, Rose - le disse stringendola a sé, facendo sì che poggiasse la testa nell'incavo del suo collo - Dobbiamo avere fiducia - la rassicurò. - Tobias - esordì lei - Non mi lasciare mai da sola - gli confessò, girando il capo per guardarlo negli occhi. Il suo sguardo lo colpì al cuore. Lo osservava con quegli occhi da bambi, così grandi e bisognosi d'amore. Mai nessuno lo aveva guardato come lo guardava lei. Per un momento, pensò di non meritarselo. Aveva sbagliato tanto durante questi anni e ucciso molte persone. Però l'amore lo stava cambiando e gli stava facendo capire che non ha senso fare la guerra se puoi stare in pace con te stesso. Perchè amare gli altri significa darsi un'opportunità per amare anche se stessi. E allora provò a essere meno severo, e la baciò con cautela, come se avesse il timore di farle del male. Lei intensificò il bacio, e per la prima volta sentì le tanto famose farfalle nello stomaco. Non le aveva mai provate con nessuno. - Non lo farò - le rivelò separandosi, e accarezzandole i capelli. Rose non era una semplice infatuazione, come era successo con Brigitte. Si era innamorato di lei per caso, senza neanche accorgersene. Come quando hai l'amore della tua vita a due passi da te, ma sei troppo cieco per rendertene conto. Ma ora che l'aveva capito, non avrebbe mai lasciato andare l'unica persona che gli era rimasta e che amava davvero.
Ehilaaa, buonasera! Come state? Io un po' triste perché sta tornando l'inverno 🥲 Infatti oggi giornata di pioggia, e da voi?
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