Non posso vivere senza di te
Cammino a passi lenti sotto le plumbee nuvole che vegliano su di me, come in attesa di un mio comando per riversare sul mondo la sensazione di vuoto, distruzione e lontananza che sento dentro.
In lontananza vedo la mia destinazione, i cui muri bianchi non mi sembrano affatto puri né consolanti, semmai sporchi e monotoni come la mia vita.
Io sono Giulia. Ho 14 anni, sono piccola, poco più di una bambina, e a confronto con la mia vita mi sento ancora più minuscola. Perché devono esistere le cose tristi? Perché devo camminare verso la fonte del mio dolore, solo per sperare invano che tutto torni alla normalità, la meravigliosa normalità?
L'ospedale è ormai a pochi passi. Il vento soffia forte, quasi volesse portarmi via con sé, lontana da tutto e da tutti.
Potrà sembrare poco o stupido, ma per ciò che sembra poco, si soffre ugualmente come se si trattasse dell'intero universo.
Ma in fondo, si tratta della vita. La vita è corta, allegra e spenta, e fino all'ultimo istante non smette mai di rinfacciarti che presto o tardi arriverà per tutti il momento di dire addio.
Come si dice, la vita è una meravigliosa bugia, la morte una dolorosa verità.
Ma perché mai è stata creata la morte? Non poteva esserci la vita eterna? Non sarebbero tutti più felici di stare per sempre accanto ai propri cari senza temere che, un giorno o l'altro, ti vengano portati via?
Sospiro rassegnata.
Certo che no, non può esserci la vita eterna, né modo di salvarsi dal baratro dello sconforto.
La porta scorrevole in vetro si apre in automatico al mio arrivo, varco al soglia e mi dirigo alla reception. Non ho sguardo addosso; una faccia come la mia, dentro un ospedale, è cosa comune.
"Mi scusi." richiamo l'attenzione della giovane infermiera dietro al bancone. "Sto cercando mia nonna. Si chiama Maria Teresa Fernandez."
"Un momento." risponde iniziando a trafficare col computer lì a fianco.
I secondi passano, le voci intorno a me, i suoni ripetitivi delle macchine mediche rimbombano nella mia testa inesorabili, trasmettendomi un senso di inquietudine.
Dopo pochi istanti, che mi sono parsi ore lunghe e distanti, l'infermiera torna a rivolgersi a me. "Stanza 218, ala B."
Parto in quarta. I cartelli mi indicano la strada, e rischiando di scontrarmi con pazienti, visitatori e medici, corro fra i corridoi luminosi dell'ospedale, giungendo in breve tempo alla stanza designata.
Mi fermo davanti alla porta con la testa pesante, facendo riprendere i polmoni a funzionare regolarmente, aspettando di decidermi ad entrare.
Passano altri minuti. Sto solo sprecando tempo, il suo tempo.
Abbasso la maniglia lentamente, in silenzio, richiudendo la porta alle mie spalle nello stesso modo, evitando inopportuni e indesiderati cigolii, ed eccola lì.
Il suo viso è cupo, triste, pallido come la morte. Ha un tubo nelle narici, credo serva per aiutarla a respirare. Mi avvicino a passi leggeri a lei, fingendomi un fantasma, una presenza silenziosa che in realtà non c'è, immaginando che la signora Morte si muova allo stesso modo.
Scuoto la testa e scaccio il pensiero.
Schiudo la bocca e muovo le labbra. "Nonna. Sono io, Giulia. Sono venuta a trovarti." a ogni parola sento la voce spezzarsi un pochino di più, gli angoli degli occhi trattengono appena due piccole lacrime.
Lentamente la nonna apre gli occhi, anche quelli appaiono spenti e distanti, come tutto il resto. "Ciao tesoro. Ti trovo bene." la sua voce è acuta e sottile, fievole come non la avevo mai udita. Perché si preoccupa ancora per me? Perché non guarda alle sue condizioni?
Tiro su col naso. Non ce la faccio. Scuoto la testa, facendo due passi indietro. Ho paura che mentre sono qui, in qualunque momento se ne vada per sempre, davanti ai miei occhi. Non lo sopporterei.
Esco con la stessa velocità con cui avevo raggiunto la stanza e torno a casa in lacrime. Mi rifugio in camera mia, spaventata, rannicchiandomi in un angolo della stanza, scoppiando infine a piangere, singhiozzando senza ritegno.
Ripenso a lei, ridotta ad un singolo sospiro su quel letto d'ospedale. A tutte le volte che ero triste e cucinava una torta solo per me, che condividevamo insieme sotto il portico di casa sua, rallegrandomi con i suoi racconti delle signore che le facevano visita. Delle gite allo zoo, dei Natali passati insieme. Dei viaggi fra i campi, nelle infinite e verdeggianti distese, quando raccoglievamo dei fiori per poi legarli assieme e porli in un vaso.
Perché deve fare così male? Perché se ne deve andare?
Vorrei passare con lei altri milioni di pomeriggi insieme davanti a una tazza di tè, ma non potrò mai più.
Il suo tempo sta per scadere, e non le ho detto nemmeno quanto le voglio bene. Non ne ho avuto il coraggio, avevo troppa paura di dirle addio.
Decido di gridarlo. "NON VOGLIO CHE TE NE VADA! NON VOGLIO PERDERTI!!" singhiozzo tirando su col naso ancora una volta, asciugandomi il viso con la manica della felpa. "Non posso vivere senza di te." confesso al nulla che mi circonda.
Mi sento rotta. La nonna si sarà mai sentita rotta?
All'improvviso sento qualcuno piangere, vicino a me.
Muovo il capo, ed eccola lì, circondata da una splendente veste, a camminare sulle sue gambe, che mi attende a braccia aperte.
Corro da lei, lasciandomi avvolgere dalle sue braccia e carezzare dalle sue mani. Piangiamo insieme.
"Ti voglio bene." le dico col viso sprofondato nella sua spalla.
"Lo so, bambina mia. Non abbiamo bisogno di parole, non ci sono mai servite, perché sei la mia preziosa nipotina. Il nostro legame non si spezzerà mai!"
Dicendo quelle parole, sento la morbidezza della sua veste scomparire da sotto il mio tocco, il bagliore svanire, finché non resta il vuoto.
"Nonna!"
Mi sveglio bruscamente.
Sono nel letto, fra le coperte tutte avvinghiate attorno al mio corpo. Mi sono rotolata nel sonno.
Scosto le coperte e scendo le scale, in legno di mogano, proprio come quelle di...
Varco la soglia della cucina, superando il salotto in pochi passi. È lì, davanti a me, a versare il tè nella tazza. Si volta sentendo i mei pesanti e frettolosi passi.
"Buongiorno, bambina. Dormito bene?"
Mi scappa una lacrima. Era solo un incubo.
La abbraccio forte, rischiando di farle cadere la caraffa di mano, cogliendola di sorpresa. Lei mi accarezza dolcemente la testa.
"Ti voglio bene nonna. Non posso vivere senza di te." le sussurro.
Finalmente ricambia il mio braccio. "Lo so, bambina mia, lo so."
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