Capitolo 36
<<E' tutta colpa mia>> mormorò coprendosi il viso con una mano. <<Se non fosse per me e Jason sarebbe stato promosso>>.
Mi voltai verso di lei facendo leva con il gomito sul materasso, in modo da riuscire a vederla bene in viso.
<<Non dire scemenze>> la rimproverai.
La sua fronte era corrugata e aveva lo stesso sguardo turbato da quando aveva scoperto che Jake era stato bocciato. Anche a me dispiaceva, ma non potevo ignorare il sollievo di aver ottenuto dei risultati decisamente buoni e degni di Oxford ai miei A-levels.
<<E' la verità>> insistette.
Scossi la testa, mentre lei stringeva gli occhi e arricciava le labbra arrabbiata con sé stessa.
<<Lizzy non è colpa tua>> ripetei. <<E' lui che ha deciso di fare a botte con quel deficiente. E in ogni caso sarebbe colpa di Jason, di certo non tua.>>
Aprì gli occhi e mi rivolse uno sguardo troppo tenero per essere vero.
<<Ma...>> mormorò.
<<Niente ma>> la interruppi. <<Devi smetterla di addossarti tutte le colpe.>>
Fece per ribattere ma, prima che riuscisse a emettere un suono, la baciai. Non appena mi allontanai, mi guardò con rimprovero.
<<Hai->> tentò.
Ripoggiai le mie labbra sulle sue.
<<Intenzio->>.
Ancora.
<<...ne di->> un sorrisetto malizioso stava iniziando a farsi spazio sul suo viso.
La ribaciai.
<<Baciar->>
Quel gioco mi stava piacendo. Le circondai le guance con le mani e la zittii di nuovo. Per un istante mi lasciò fare, poi poggiò una mano sul mio petto e mi allontanò con uno sguardo divertito.
<<...mi ogni volta che inizio a parlare?>> riuscì a concludere.
Sogghignai e ripetei il mio gesto.
<<Sì>> le sussurrai sulle labbra.
I suoi capelli erano sparsi a mo' di corona sul mio lenzuolo blu e feci attenzione a non tirarglieli quando mi avvicinai ancora di più a lei.
<<Ma questa volta hai detto più di una sola parola>> mormorai con le labbra ancora a contatto con la sua pelle.
A quanto pareva la bocciatura di Jake era passata in secondo piano nella sua mente, infatti mi attirò a sé e passò una mano tra i miei capelli senza sapere quanto quel suo gesto mi faceva impazzire.
<<Non devi rispondere?>> chiese. Solo in quel momento mi resi conto della vibrazione che proveniva dal mio comodino.
<<Che si fotta il cellulare>> sussurrai.
Provai a ritrovare la concentrazione giusto il tempo di fare un calcolo per capire se ci fosse il rischio che i miei genitori o Alice e Camille sarebbero rientrati in casa in momenti inopportuni.
Un sospiro di Elizabeth mi fece correre un brivido lungo la schiena.
Feci scorrere le mani sulla sua vita fino ad arrivare al bordo della sua polo. Esitai un istante, poi iniziai a sollevarlo lentamente in modo che potesse bloccarmi se non le andava bene. Tuttavia, Lizzy allungò le braccia aiutandomi a sfilarla.
Lanciai il pezzo di stoffa verso destra, senza preoccuparmi di guardare dove sarebbe atterrato.
Elizabeth riprese a baciarmi ma questa volta era diversa dalle altre. Questa volta le uniche cose a separare la sua pelle dalla mia erano la mia polo e il suo reggiseno.
Mi scostai e la guardai. Le sue labbra erano più colorite del solito. Percepii il suo imbarazzo quando abbassai lo sguardo, perciò non mi soffermai troppo a lungo.
<<Sei bellissima>> sussurrai, tornando ad avvicinarmi.
Questa volta lo sentii anche io il telefono. Allungai il braccio e tastai alla cieca il mobile vicino al letto fino a quando non trovai quello che cercavo. Toccai ripetutamente lo schermo fino a quando smise di squillare.
Prima che me ne rendessi conto, Elizabeth mi sollevò la maglietta, che fece la stessa fine della sua. Trattenni rumorosamente il respiro quando sentii la sua pelle calda sulle mie costole, ma lei non sembrò notarlo. La mia mente era completamente inebriata.
Raccattai ogni straccio di forza di volontà che riuscii a trovare e mi fermai. La guardai in cerca di dubbio o esitazione nel suo sguardo. Lei però annuì. Era agitata, lo vedevo, ma non sembrava riluttante.
Presi tra le dita la spallina destra del suo reggiseno e la feci scivolare sulla sua spalla. Continuavo a lanciarle occhiate, per essere certo che fosse a suo agio.
Quasi imprecai quando il cellulare tornò a vibrare.
<<Penso che dovresti rispondere>> mormorò Elizabeth. <<Forse è un'emergenza>>.
Chiunque fosse avrebbe fatto meglio ad avere come minimo una gamba ingessata la prossima volta che l'avessi visto, oppure gliel'avrei fatta ingessare io.
Mi spostai fino al bordo del letto e afferrai il cellulare.
Tiffany.
<<Pronto?>> bofonchiai accettando la chiamata.
<<Finalmente!>> esclamò lei dall'altra parte della linea. <<Iniziavo a pensare di dovermi recuperare il numero del tuo agente per riuscire a parlarti>>.
Abbassai il volume, temendo che Elizabeth potesse sentire la sua voce. Non che l'avrebbe riconosciuta, però era meglio evitare.
<<Che mi racconti?>> chiese. <<Mi annoio>>.
<<Mi hai chiamato quattro volte per questo?>> sbottai. Sentivo la tensione sotto pelle.
<<Qualcosa mi dice che la tua giornata non è stata proprio rilassante>> mi prese in giro.
<<Senti, ora non posso proprio>> tagliai corto. <<Ci sentiamo>>.
Attaccai prima che potesse rispondere e buttai il cellulare sul comodino.
Mi accorsi di star dondolando la gamba con nervosismo. Mi alzai.
<<Mi dispiace>> dissi senza guardare Elizabeth.
<<Non ti preoccupare>>.
Recuperai la mia maglietta da terra e me la infilai velocemente. Mi voltai e vidi che Liz osservava i miei movimenti confusa. Si stava stringendo le ginocchia al corpo, coprendo la pelle ancora nuda. La spallina del reggiseno era stata rimessa al suo posto.
Volevo con tutto me stesso tornare in quel letto, tornare a sentire il suo calore sotto al corpo, ma non in quello stato. Dovevo prima schiarirmi i pensieri.
<<Vado un secondo al bagno>> la informai. <<Torno subito>>.
Uscii in corridoio e arrivai fino all'ultima porta. Non entrai. Non dovevo davvero andare al bagno.
Mi passai una mano sulla fronte e ammisi a me stesso ciò che avevo ignorato per la settimana precedente: dovevo mettere dei paletti. Se Tiffany voleva tornare a far parte della mia vita, avrebbe dovuto rispettare delle regole. Niente più tentativi di baci. Niente più chiamate serali. Niente più aiuti, a meno che Elizabeth ne fosse a conoscenza e le andasse bene.
La porta della mia stanza si aprì e ne uscì Elizabeth, rivestita e con la borsa in spalla. Feci finta di essere appena uscito dal bagno e la raggiunsi.
<<Ehi>> dissi. <<Dove vai?>>.
<<Mmm>>. Aveva gli occhi lucidi. Non abbastanza da poter affermare che avesse pianto, ma sicuramente abbastanza da farmi sospettare che fosse in procinto di farlo. <<Stavo venendo a dirti che vado a casa. Mi sono ricordata che avevo una cosa da fare>>.
<<Cosa?>> chiesi. Era contrariata perché me ne ero andato e non potevo darle torto.
<<Devo aiutare mia madre>> improvvisò.
Incrociai le braccia davanti al petto, provando a nascondere il tremore delle mie mani. Odiavo Tiffany per aver rovinato un momento che aveva tutto il potenziale di essere perfetto, ma soprattutto odiavo me per averle lasciato la libertà di farlo.
<<Ti accompagno>> mi arresi. Se voleva andarsene ne aveva tutto il diritto.
Mi rinfilai malamente e velocemente le scarpe che erano rimaste fuori dalla porta e mi incamminai verso le scale.
<<Non c'è bisogno>> mi contraddisse Elizabeth, seguendomi. <<Mi faccio una passeggiata...>>
<<Se vuoi andartene senza un vero motivo non ti costringo a restare>> affermai voltandomi verso di lei. <<Ma almeno ti accompagno io>>.
Attesi che si inventasse un'altra scusa, ma non lo fece. Annuii tra me e me e infilai la mano nella tasca dei pantaloni per recuperare le chiavi della BMW.
Mi seguì in silenzio per la casa vuota fino al garage. Salimmo in macchina e nessuno dei due parlò.
Tutta la complicità che c'era stata fino a solo una decina di minuti prima sul mio letto era svanita. Lei guardava fuori dal finestrino, io davanti a me. Ogni tanto mi azzardai a lanciarle un'occhiata di soppiatto, ma i suoi capelli mi impedivano di vederle il viso.
<<Posso chiederti una cosa?>> interruppe finalmente il silenzio con voce flebile quando eravamo ormai nei pressi di casa sua.
<<Certo>> risposi, provando a ostentare sicurezza e a non far trapelare il sollievo per il fatto che mi aveva rivolto la parola.
<<Noi due abbiamo segreti?>> domandò dopo qualche momento di pausa.
La guardai.
<<Che intendi?>>
Il semaforo tornò verde e partii.
<<Nel senso... C'è qualcosa che non mi dici?>>
Strinsi le labbra, contemplando con attenzione le mie successive parole. In corridoio mi ero ripromesso di mettere fine alla confidenza con Tiffany. Lei mi aveva solo aiutato con un compito. L'avevo bloccata quando aveva provato a baciarmi. Eppure Elizabeth era intimorita da lei. Non c'era motivo di farla star male raccontandole quelle poche informazioni che c'erano da raccontare, soprattutto perché da quel momento in poi mi sarei impegnato a tenere a debita distanza la mia ex ragazza.
<<Certo che no, Lizzy>> sussurrai infine. <<Pensi che io ti stia nascondendo qualcosa?>>
Accostai su Eleanor Road e la guardai.
<<Se mi dici di no, mi fido>> affermò, nonostante continuasse a tenere lo sguardo basso e a giocherellare con la stoffa della sua borsa.
<<Ti dico di no>>.
* * * *
Avevo passato la nottata in bianco e non avevo sentito Elizabeth per l'intera giornata. Ero stato sorpreso, perciò, quando mi aveva accolto con un sorriso smagliante e un bacio a fior di labbra solo un paio di ore prima.
Le avevo promesso che sarei andata con lei alla cena di fine anno organizzata da quel Mason che l'aveva invitata anche alla festa fluo. Sembrava si fosse autonominato presidente dei festeggiamenti, con quel suo stupidissimo ghigno e quel suo stupidissimo anellino di metallo al labbro inferiore e quel suo stupidissimo vizio di provarci con la mia ragazza nonostante fossi a due passi da loro. Ma sapevo che Elizabeth odiava quando mi ingelosivo di lui, perciò ero deciso ad affrontare la cena con filosofia.
Per tutta la sera avevo atteso che mi facesse capire in qualche modo che era ancora arrabbiata con me, ancora sospettosa. Invece mi aveva baciato, mi aveva sistemato i capelli, aveva cantato i The Script in macchina. Aveva sorriso quando l'avevo chiamata Jane e mi aveva affibbiato un nomignolo a sua volta. Gilbert o qualcosa del genere. Sembrava il nome di un pappagallo, ma non m'importava.
Anche Jake pareva essersi ripreso dalla notizia della bocciatura e a un certo punto della serata se ne era andato con Nicole a fare una passeggiata romantica sotto le stelle, anche se loro non l'avevano posta in questi termini.
Il ristorante non era niente male, illuminato da numerose lucine colorate. Tutto sommato dovevo ammettere che Mason aveva fatto un buon lavoro. L'unico aspetto negativo di quella serata era la presenza di Jason, che periodicamente si prendeva la briga di guardarmi con l'espressione di chi la sapeva lunga. Ogni volta che mi veniva la tentazione di rispondere alle sue provocazioni, però, mi limitavo a riportare la mia attenzione sulla conversazione con la ragazza con cui ci aveva provato per mesi e con il suo ex migliore amico. Ero certo che ciò bastava e avanzava per farlo andare su tutte le furie.
<<Si può sapere perché cavolo non ti porti mai una giacca?>> chiesi divertito e con finto rimprovero quando Elizabeth venne scossa da un brivido. <<Ogni volta che andiamo da qualche parte finisco per doverti dare la mia!>>.
La cena era finita da una ventina di minuti e ci eravamo spostati sul prato, sempre di proprietà dei ristoratori.
<<Sto bene>> mentì stringendosi nelle braccia. <<Non ho freddo>>.
Alzai gli occhi al cielo ma non ribattei. Avevo imparato tanto tempo prima che mettersi contro all'orgoglio di Elizabeth Jonson non portava a nulla di buono. Le cinsi la vita con un braccio e la strinsi a me, godendomi la sensazione di averla al mio fianco. Era tutta la sera che stavo all'erta in attesa della discussione, ma sembrava davvero avermi perdonato per il mio comportamento del giorno prima. Tutto era perfetto.
<<Che ore sono?>> chiese Mason.
Gli altri del gruppo si guardarono attorno, in attesa che qualcuno con un orologio o che non avesse lasciato il telefono al tavolo rispondesse alla domanda.
Presi il cellulare dalla tasca e lo sbloccai.
Mi si formò un groppo in gola quando vidi i quattro messaggi che Tiffany mi aveva lasciato nell'ultima ora.
21:30 Che fai?
21:32 Mi sa che i nostri padri stanno organizzando di andare tutti insieme a cena fuori uno di questi giorni
21:50 Perché non rispondi?
22:15 Ah, ieri sera al telefono mi sono dimenticata di dirti che domani mi servirebbe un passaggio in macchina perché i miei sono impegnati tutto il giorno ma devo raggiungere mia madre al lavoro. Puoi accompagnarmi?
Quando la sera prima mi aveva richiamato, mi ero sforzato di risultare il più distaccato possibile ma non le avevo ancora detto ciò che pensavo. Avrei dovuto farlo di persona, non ero un vigliacco come lei.
Le avrei risposto più tardi chiedendole di vederci per parlare. Avrebbe capito subito che qualcosa non andava. Rimaneva solo da sperare che non facesse una scenata.
<<Sono le undici>> risposi, riscuotendomi dai miei pensieri e rimettendo il cellulare al suo posto.
Elizabeth poggiò la mano sul mio polso, costringendomi a toglierlo dal suo fianco, e si allontanò.
<<Scusate>> disse solo.
Strinsi gli occhi e sospirai, domandandomi se ci fosse una possibilità che non avesse visto da chi erano i messaggi.
<<Torno subito>> mormorai, allontanandomi a mia volta.
Elizabeth si era allontanata di qualche metro. Era stata costretta a fermarsi dalla siepe, ma mi dava le spalle e non potevo vedere la sua espressione.
Sentendomi arrivare, si voltò.
<<Tutto okay?>> domandai cauto.
Nonostante la scarsa luce, mi sembrò di vedere una lacrima scenderle lungo la guancia e sentii un tuffo al cuore.
<<Ehi!>> sussurrai raggiungendola per rassicurarla, sperando che qualsiasi cosa fosse non fosse correlata a me. Sperando che fosse qualcosa di risolvibile. Le presi il mento tra le dita. <<Che succede?>>
Abbassò la testa, impedendomi perciò di guardarla negli occhi nonostante la vicinanza. Prese un respiro tremante e la vidi asciugarsi le guance con il dorso di una mano.
<<Te lo dovrei chiedere io>> mormorò tornando a guardarmi.
Mi corrucciai mentre un grande senso di tristezza mi invadeva. Il modo in cui mi stava guardando... Era rassegnata.
<<Che...?>> chiesi in un sussurro. <<Che intendi?>>
<<Perché stai con me, Ethan?>> domandò mentre la punta del naso le iniziava a tremare nel tentativo di bloccare le lacrime. <<Non mentirmi.>>
Scossi la testa, perso. Come faceva a non sapere perché stavo con lei? Le avevo detto di amarla. Le avevo spiegato perché l'amavo.
<<Cosa intendi con "perché stai con me"?>> ribattei. Mantenni il mio sguardo nel suo e, quando provò a distoglierlo, spostai il viso in modo che continuasse a guardarmi. Doveva vedere i miei occhi, doveva vedere che ero sincero. <<Perché ti amo, lo sai.>>
Negò con la testa e tirò su con il naso mentre altre lacrime le bagnavano il viso.
<<Avevo ragione quella sera in macchina>> commentò. <<Lo avevo detto che non sapevi cosa fosse l'amore>>.
SI allontanò da me, ma io ero rimasto troppo colpito dalle sue parole per poter riannullare la distanza che aveva posto tra noi.
<<Io so cos'è l'amore>> ribattei ferito.
<<Non è vero, Ethan>> mi rimproverò. Il labbro inferiore le tremava e vedevo che odiava la debolezza che credeva di star mostrando. <<L'amore è in primo luogo fiducia>>.
A ogni sua frase, il panico che mi stava attanagliando lo stomaco aumentava. Era seria.
<<Io mi fido di te>> insistei facendo un passo in avanti quando lei ne fece altri tre indietro.
<<Ti ho detto di non mentirmi>> disse a denti stretti, con un filo di voce. <<Non ti fidi di me. Tu vuoi fidarti di me, ma non lo fai.>>
Feci per difendermi, ma mi precedette. <<Perché se lo facessi, non faresti scenate appena un ragazzo mi rivolge la parola. Se ti fidassi di me, mi diresti tutto, senza paura che io ti possa giudicare.>>
Era per Tiffany. Aveva visto i messaggi e forse sapeva addirittura che era stata lei a interrompere il nostro momento il giorno prima. Lo sapeva, ma non sapeva la verità. Non sapeva che non era successo nulla, non per me. Non sapeva che avevo chiuso.
Un singhiozzo strozzato le lasciò le labbra e lei scosse la testa, gli occhi ormai straboccanti di lacrime.
Scossi la testa, mentre la mia voce iniziava a tramare. <<Io ti dico tutto, Lizzy. Stai dicendo delle cose senza senso>>.
<<Non mentirmi!>> gridò facendomi sobbalzare. Vidi la disperazione deformarle il viso. <<Per favore! Ti sto chiedendo una cosa sola, non mentirmi.>>
<<Non ti sto mentendo>> mormorai. Cosa avrei dovuto dirle? Come altro avrei potuto farle capire che amavo solo lei? Credevo di essermi spiegato la sera della festa a casa mia, credevo che avesse compreso quanto significasse per me.
<<Sì invece>> ribatté. <<Vuoi dirmi che mi hai raccontato di come ogni sera parli un'ora al telefono con Tiffany? Mi hai raccontato di come vi scrivete quotidianamente? Così come mi avevi raccontato che eri andato a prenderla all'aeroporto!>>
Chiusi la bocca, bloccandomi prima ancora di poter rispondere. Aveva guardato il mio telefono. Che stupido a non averci pensato. Quando ero uscito dalla stanza il giorno prima aveva guardato il mio telefono. Era per quello che era voluta tornare a casa, non perché me ne ero andato.
Se aveva visto quanto spesso ci chiamavamo, senza sapere il contenuto di quelle stesse chiamate, non c'era dubbio che stesse pensando al peggiore degli scenari.
Mi avvicinai velocemente a lei e le presi le mani, ma lei si scansò bruscamente. <<Non mi toccare>>.
Mi bloccai sul mio posto mentre la disperazione mi avvolgeva. <<Lo sai che non provo niente per Tiffany>>.
Chiuse gli occhi e scosse la testa. Non perse più tempo ad asciugarsi le lacrime, era inutile. <<Smettila di mentirmi, Ethan>>.
Non voleva ascoltarmi. Non voleva sentire ciò che avevo da dire. Era convinta di ciò che credeva e non c'era frase che potessi dirle per farle cambiare idea.
<<Mi sembra che qui quella che non si fida sia tu>> dissi sinceramente. <<Se ti fidassi di me sapresti che non me ne importa un accidente di Tiffany.>>
<<E allora perché le telefoni ogni sera?>> esclamò con rabbia. <<Perché la vedi di nascosto? Pensi che io sia talmente stupida da non rendermene conto? Lo so che tuo padre sta provando a farvi rimettere insieme e che quindi la invita puntualmente a casa tua!>>
Serrai i denti e iniziai a sentire mal di testa. Era frustrante ripeterle ogni volta le stesse cose. <<Perché tiri sempre in gioco mio padre? Ti preoccupi talmente tanto di ciò che pensa che ti fai dei film mentali!>>
<<Non sono film mentali, Ethan>> sussurrò guardandomi. <<Io l'ho visto come l'hai guardata quella sera. E ho sentito il tuo tono di voce quando ci hai parlato al telefono. Una parte di te la ama ancora, e io non sono disposta a condividerti>>.
Non avevo mai creduto alle metafore, non mi sembravano descrivere correttamente la vita reale. Ma ciò che provai in quel momento si avvicinava dannatamente tanto a sentirmi crollare il mondo addosso.
<<Dove vuoi arrivare?>> riuscii a chiedere con la poca forza che mi era rimasta in corpo.
Elizabeth chiuse gli occhi e prese un respiro. Avrei preferito che mi guardasse in faccia per dire ciò che stava per dire, per fare ciò che sapevo stava per fare. <<Non dovrebbe essere così difficile. Le relazioni dovrebbero essere diverse.>>
<<La nostra relazione è perfetta così com'è>> sussurrai iniziando a sentire un bruciore agli occhi. Mi morsi l'interno guancia per provare a controllare le mie emozioni. Non poteva essere finita così, non senza lottare. <<Ti stai facendo delle paranoie>>.
Ormai vedevo offuscato e sapevo che lei si era accorta del luccichio dei miei occhi, ma nonostante ciò mi costrinsi a trattenermi. Uno dei due doveva dimostrarsi ancora sicuro di ciò che stavamo facendo. Uno dei due non poteva ancora arrendersi.
<<No>> mormorò distogliendo lo sguardo dal mio. <<Litighiamo un giorno sì e due no, sei geloso non appena un ragazzo mi si avvicina e pensi ancora a Tiffany. Non sto dicendo che è tutta colpa tua, è colpa di entrambi. Ma non possiamo continuare così.>>
<<Non dirlo>> la supplicai facendo un passo verso di lei.
Elizabeth fece un altro passo indietro, forzandosi a mettere della distanza tra noi. Le tremavano le mani e io mi sentivo come un criminale in attesa della sua condanna. Sapevo qual era il verdetto, ma mi rifiutavo di cedere alla rassegnazione.
<<Non ha funzionato>> disse infine, la voce talmente bassa da rischiare di confondersi con quelle delle persone a qualche metro da noi. <<Mi dispiace, ma non ha funzionato>>.
Sentii a malapena la prima lacrima iniziarmi a scendere lungo il viso mentre la guardavo andare via.
Rimasi fermo sul mio posto, all'angolo buio del giardino, in attesa che realizzassi ciò che era appena successo. In attesa che il mio cervello capisse che era finita, che la cosa migliore che mi era mai successa era appena uscita dalla mia vita. Uscita per non tornare.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro