Capitolo 2
Il mio piano di entrare senza dare nell'occhio e rinchiudermi in camera non funzionò. Nell'istante in cui misi piede nella nostra casa, se così si poteva definire, a Canons Close sentii i passi di mia madre in salone. Mi raggiunse prima ancora che potessi chiudermi la porta alle spalle.
Si tenne a qualche passo di distanza, guardandomi con un misto di apprensione e rabbia negli occhi.
<<Dove sei stato?>> chiese provando a non far trapelare il nervosismo dalla sua voce. Aveva assistito alla litigata con mio padre di quella mattina e sapevo che non voleva mettere più legna sul fuoco. <<E' tardi>>
La superai ed entrai nella sala spaziosa che chiamavamo salone. Avevo sempre trovato quella casa troppo grande per quattro persone. Quando c'era ancora Andrew con noi era più fattibile: invitava spesso amici e in qualche modo lo spazio si occupava. Ma da quando si era trasferito in America ed eravamo rimasti solo noi i due piani di quella villa, le due piscine, la sala pranzo, i due saloni, i vari terrazzi e le sei stanze da letto erano diventati fastidiosamente e inevitabilmente inutili. Sembravano fatti apposta per evidenziare la solitudine che circondava la nostra famiglia. Non che non avessimo conoscenze perché di quelle ne avevamo fin troppe, bastava partecipare ad una sola delle serate sociali che i miei ormai organizzavano settimanalmente per rendersene conto, ma erano tutte "amicizie" volte a dimostrare a se stessi e agli altri chi avesse più successo o più popolarità.
Non disprezzavo i soldi e tutte le opportunità che essi mi avevano portato, però ogni tanto mi sarebbe piaciuto che ci si concentrasse anche su qualcosa di diverso. Mi sarebbe piaciuto poter invitare un mio amico a casa senza che sembrasse lo facessi per vantarmi.
Era proprio per potermi allontanare da quell'ambiente in cui ero cresciuto che avevo scelto un liceo dall'altra parte di Londra rispetto ad Highgate: mi facevo mezz'ora di macchina ogni mattina per arrivare ad Hackney.
<<Stavo da Jake con gli altri della squadra>> dissi sentendomi in colpa per averla ignorata e voltandomi a guardarla. Lei non c'entrava niente con il mio nervosismo. <<Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Mi mangio qualcosa al volo e poi vado a letto che sono esausto>>
Annuì e si strinse la vestaglia di seta addosso. <<Alice ha lasciato cucinato del pollo con patate e piselli prima di andarsene. Noi abbiamo già mangiato, ma ce n'è ancora un po'>>
Alice era una delle tante persone che i miei avevano assunto per aiutare con le pulizie e la gestione della casa. Per il momento non era ancora stata licenziata, ma sapevo che sarebbe finita come con le precedenti: prima o poi avrebbe rotto qualcosa o si sarebbe "adagiata troppo" e mio padre l'avrebbe cacciata. Aveva una quarantina d'anni e non parlava molto, ma era capitato che ci scambiassi qualche parola. Di solito se io ero a casa lei se n'era già andata o il contrario. Se invece eravamo entrambi in casa tendenzialmente ci trovavamo in stanze diverse.
Salii le scale e andai in camera mia a poggiare giacca e zaino, poi tornai di sotto e mi riscaldai il cibo nel microonde. Non mi sembrava il caso di mangiare seduto da solo a un tavolo per venti persone, perciò rimasi in cucina.
<<Ciao>> salutai mio padre quando lo incontrai sulle scale, una volta finito di mangiare.
<<E' tardi>> rispose semplicemente, senza nemmeno fermarsi.
Strinsi i denti e mi costrinsi ad entrare in camera mia senza ribattere: non avevo la voglia né la forza di rimettermi a discutere con lui.
La lettera dell'università di Cambridge era ancora aperta sul mio letto, dove mio padre l'aveva lasciata quella mattina per farmi capire che l'aveva trovata.
Con un sospiro mi buttai a sedere sul materasso e la presi in mano, rileggendola per l'ennesima volta.
Caro signor Matthews,
Ci dispiace informarla che non potrà essere uno studente della Cambridge University il prossimo anno scolastico. Grazie per il suo interesse in Cambridge e per averci dato l'opportunità di considerare la sua application.
Le successive quindici righe non facevano altro che ripetere che avrei potuto riprovare l'anno successivo e che non dovevo scoraggiarmi dato che avevano ricevuto tante richieste, insomma le solite parole di consolazione che chi non riesce ad entrare nell'università dei propri sogni ha bisogno di sentirsi dire. Fortunatamente quello non era il mio caso, non mi faceva né caldo né freddo entrare a Cambridge.
Accartocciai la lettera e la lanciai ai piedi del letto, era inutile continuare a tenerla immacolata.
Il mio sguardo cadde su un pezzo di carta infilato tra due libri nello scaffale alla mia destra. Stava là da un paio di settimane. Era la lettera da Oxford, dove invece ero stato ammesso. Ero felice di essere stato preso, tra tutte le università infatti era quella che mi interessava di più, ma dovevo ancora confermare la mia presenza. Quando quella mattina mio padre aveva iniziato a gridarmi contro non mi sembrava il caso di tirare fuori l'argomento, ma prima o poi l'avrei fatto.
* * * *
<<Quindi?>> chiese Jake la mattina dopo sedendosi nel banco davanti al mio in attesa che arrivasse la professoressa. <<Com'è andato il colloquio?>>
Feci una risata e scossi la testa. <<Bene, mi ha assunto. Anche se devo dire che la sorella del ragazzino che devo controllare ha un caratterino per niente facile>>
Lo guardai divertito, mentre mi rispondeva: <<Matthews non avrai paura di una ragazza spero. Quanti anni ha?>>
La porta si aprì ed entrò Jason, che si andò a sedere vicino all'amico. Il moro ci fece un cenno di saluto e chiese di cosa stessimo parlando.
Io e Jason Wilson non eravamo mai stati grandi amici. Tra tutti i miei compagni di squadra era probabilmente quello con cui andavo meno d'accordo, ma ci tolleravamo a vicenda per il bene degli altri del gruppo. Non che litigassimo spesso o ci facessimo frecciatine, semplicemente avevamo due modi di pensare diversi su praticamente ogni argomento immaginabile. Con i suoi capelli scuri e i suoi occhi azzurri riusciva a catturare l'attenzione di quasi ogni ragazza che gli passasse davanti. Non c'era niente di male ad avere fascino, ma l'avevo visto troppe volte trattare ragazzine innamorate come oggetti e mi disgustava alquanto. Sapeva anche essere simpatico quando voleva, ma la nostra amicizia non andava più a fondo di qualche battuta e risata insieme.
<<Ha sedici anni>> risposi a Jake, senza dirgli ancora di che ragazza si trattasse. Volevo che ci arrivasse da solo, sarebbe stato più divertente.
Jason si sporse in avanti e fece un sorriso sghembo. <<Non so di chi state parlando ma avete la mia attenzione>>
Il rumore di libri che venivano lasciati cadere sulla cattedra ci fece voltare verso la professoressa.
<<Stiamo parlando della figlia della nuova datrice di lavoro di Ethan>> spiegò Jake in un sussurro, mentre iniziava la lezione. <<A quanto pare è riuscita a spaventare Matthews>>
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. <<Non mi ha spaventato. Ho semplicemente detto che ha un carattere di merda>>.
Le successive cinque ore furono strazianti e fui tentato varie volte di appoggiare la testa sul banco e chiudere per qualche istante gli occhi.
L'ora di letteratura, l'ultima, fu la peggiore di tutte. La mia mente iniziò a vagare tra mille pensieri e non ascoltai nemmeno una parola. Mi continuava a tornare in mente il messaggio di Tiffany del giorno prima. D'accordo, non era un vero e proprio messaggio, ma era comunque un potenziale inizio di conversazione.
L'ultima volta che l'avevo vista, ad un aperitivo a casa di suo padre, non era stata proprio la persona più socievole di questo mondo. Erano passati sei mesi, ma ancora non riuscivo a scuotermi di dosso la sensazione di delusione e frustrazione che mi aveva invaso quella sera.
Solo due settimane prima di quell'aperitivo, Tiffany aveva finito la nostra relazione di un anno con un semplice biglietto che diceva che si era resa conto che io ero molto più innamorato di quanto non lo fosse lei e quindi era il caso di chiuderla lì. Mi era sembrata una fortuna il fatto che i nostri padri lavorassero insieme: avrei potuto rivederla e chiederle spiegazioni di persona. Tuttavia non era andata proprio come speravo e l'unica frase che mi aveva detto era stata di lasciarla in pace e andare avanti con la mia vita. Da quel momento ogni volta che venivo assalito dai ricordi mi bastava pensare alla sua espressione glaciale per tornare in me e ricordarmi che... Beh, che era stata una vera stronza e non si meritava la soddisfazione dei miei pensieri. Ancora mi stupivo di come era passata dall'essere la persona che mi conosceva meglio a una completa sconosciuta nel giro di una settimana.
Il suono della campanella mi risvegliò dai miei pensieri e gliene fui grato.
Quel giorno non avevamo gli allenamenti di calcio, perciò dopo essermi fermato al mio armadietto per poggiare dei libri e prenderne degli altri mi diressi verso l'uscita della scuola. Nell'atrio, davanti alla segreteria, mi imbattei in Jake, Jason, Edward, Thomas, Nicolas e Tod.
<<Matthews!>> mi salutò Thomas dandomi una pacca sulla spalla. <<E' da un paio di giorni che non ti becco in giro>>
<<Sei tu che sei scomparso dopo gli allenamenti di giovedì scorso>> gli feci notare ricambiando il saluto.
Fece una smorfia, dandomi ragione, e tutti rincominciarono a parlare di ciò di cui stavano parlando prima che arrivassi: lamentele su tutto ciò che avevano da studiare.
Stavo per andarmene e iniziare a dirigermi verso il mio primo giorno di lavoro quando Jake fece un movimento brusco all'indietro, perdendo l'equilibrio.
<<Pronto?>> disse una ragazza comparendo dalle sue spalle. Era Elizabeth.
<<We!>> esclamò il castano, stringendola a sé e scompigliandole i capelli. <<Guarda chi si vede>>
Strinsi leggermente gli occhi, guardando la ragazza con sospetto. L'Elizabeth che si trovava davanti a me in questo momento era sorridente, allegra e neanche lontanamente scorbutica quanto il giorno prima.
<<Sei insopportabile>> disse scansando via il migliore amico e sistemandosi i capelli dietro alle orecchie. <<Sbrigati a salutare i tuoi amici, non mangio da stamattina e sto morendo di fame>>
Jason fece una risata attirando l'attenzione di Elizabeth, che si zittì immediatamente.
<<Ciao>> la salutò con un sorriso.
Il viso della ragazza diventò di un rosa tendente al porpora e con un sorrisino palesemente forzato disse solo: <<Mmm>>
La suggestione che Jason aveva fatto a Elizabeth non passò inosservata a Jake, che tese i muscoli e assunse un'espressione truce.
<<Sbrigati>> disse allora lei, prima di voltarsi e tornare da due ragazze, una delle quali era Avril Lewis.
Continuai a guardarla mentre le sue amiche le dicevano qualcosa ridendo. Era possibile che fosse passata in una notte sola dall'essere una persona scontrosa e irragionevole all'essere il tipo di ragazza che arrossiva davanti a Jason Wilson e se ne andava a testa bassa?
Mi riscossi con un sospiro e tornai a voltarmi verso i miei amici. <<Ragazzi vi devo salutare>>
Un coro di saluti si alzò dal gruppetto mentre mi voltavo e mi dirigevo verso il parcheggio della scuola.
Quando arrivai a Eleanor Road, trovai Katy Jonson già pronta ad uscire di casa. Con vari fogli in mano, il telefono che squillava nella borsa e la giacca poggiata sull'avambraccio mi salutò velocemente e si scusò dicendo che era in ritardo e doveva scappare.
<<Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami>> disse con un piede già fuori di casa. <<Derek deve ancora fare i compiti per domani. Se hai altri dubbi puoi chiedere a Elizabeth, dovrebbe tornare a casa nel tardo pomeriggio>>
Feci giusto in tempo ad annuire che la porta si chiuse alle sue spalle. Rimasi qualche istante fermo e mi voltai, trovando il bambino che mi guardava in attesa.
Storsi le labbra, mordendomi l'interno della guancia e guardandomi un attimo attorno, indeciso su cosa dire o fare.
<<Com'è andata a scuola?>> chiesi allora.
Derek fece un'alzata di spalle. <<Bene>>
Annuii e mi ripetei nella testa che anche io avevo avuto la sua età, non doveva essere poi così tanto difficile intrattenerlo.
<<Vuoi vedere un trucco di magia?>> chiese quando io gli stavo per chiedere cosa volesse fare.
Feci un sospiro di sollievo e sciolsi i muscoli delle spalle, lui sembrava abbastanza a suo agio.
<<Certo>>
Derek si girò e si diresse verso la sua stanza. Passando per il corridoio lanciai un'occhiata alla camera dove il giorno prima la sorella si era infilata sbattendo la porta, che ora però era chiusa.
La stanza di Derek era attaccata a quella di Elizabeth. Sul pavimento c'era uno di quei tappeti con sopra disegnata una pista da gioco per le macchinine. Un sorriso mi spuntò sul viso nel notare il tipico disordine della stanza di un ragazzino di cinque anni a cui, giustamente, non va di mettere al loro posto i giochi dopo averli usati.
Prese un mazzo di carte da uno scaffale e si sedette per terra. Io poggiai lo zaino in un angolo e feci altrettanto, appoggiandomi con la schiena al letto.
<<Scegli una carta>> mi disse porgendomi il mazzo. <<Ma non farmela vedere>>
Feci come mi era stato detto. <<Ma io la posso guardare?>>
Mi dovetti sforzare di non mettermi a ridere quando Derek puntò i suoi occhi azzurri circondati da lentiggini su di me e disse con aria impassibile: <<Se non la guardo io e non la guardi tu che senso ha che la prendi?>>
<<Che ne so, sei tu il mago non io>> risposi divertito.
Mi guardò per qualche istante, aggrottando le sopracciglia e cercando qualcosa da dirmi per ribattere. Lo osservai divertito e non mi passò inosservato il sorrisino nascosto che fece prima di tornare a dare la sua attenzione alle carte. Saremmo andati d'accordo noi due.
<<Okay, ora rimettila nel mazzo>> disse chiudendo gli occhi e allungando il braccio.
<<Fatto>> risposi ridandogli il quattro di cuori che avevo pescato all'inizio.
Aprì gli occhi e fissò le carte nelle sue mani per qualche istante. Si portò una mano alla fronte e scosse la testa. <<Ho sbagliato. Ripesca una carta>>
Alzai un sopracciglio e lo guardai con finta sfida. <<Se sei un vero mago non hai bisogno di iniziare di nuovo. Prova>>
Spalancò leggermente gli occhi e mi guardò confuso. <<Ma...>>
<<Prova>> lo incitai distruggendomi il labbro per non mettermi a ridere.
Continuò a guardarmi per qualche istante e poi titubante sparse le carte sul pavimento. Mi lanciò un'altra occhiata veloce prima di iniziare a spostare senza alcun criterio delle carte a destra e delle carte a sinistra. Dopo vari minuti, lasciò solo una carta al centro. La girò: un sette di picche.
<<E' questa?>> mi chiese per niente convinto.
Rimasi in silenzio per qualche secondo, creando della suspense.
<<Sì>> mentii poi.
Sul suo viso si alternarono sorpresa e gioia, mentre una risata usciva dalle sue labbra.
<<Visto?>> continuai. <<Sei un vero mago>>
Con questa trovata mi guadagnai la sua simpatia e il resto del pomeriggio volò abbastanza velocemente.
Ero in cucina a prendermi un bicchiere d'acqua quando sentii la porta di casa aprirsi. Strinsi gli occhi e feci un sospiro, ora iniziava la parte difficile del mio lavoro: andare d'accordo con la sorella di Derek.
<<Ciao Liz>> sentii il bambino salutare dal salone.
<<Ciao Derek>> rispose lei.
Dalla porta destra della cucina la intravidi entrare in camera sua. Dopo qualche secondo entrò anche lei nella mia stessa stanza e sobbalzò quando mi vide, portandosi una mano al petto.
Presi un sorso d'acqua dal bicchiere e la guardai.
<<Ciao Lizzy>> dissi con nonchalance, sperando che il mostrarmi del tutto indisturbato dal suo comportamento del giorno prima le avrebbe fatto capire che non mi ero lasciato intimorire. Non sapevo perché non mi voleva lì, ma io avevo bisogno di fare quel lavoro e non me ne sarei andato per una ragazzina capricciosa. <<Posso chiamarti Lizzy, vero?>>
Vidi una scintilla di rabbia nei suoi occhi ed ebbe un secondo di esitazione.
Mi passò al fianco e aprì la lavastoviglie, prendendo un bicchiere. <<No, non puoi>>
<<Qualcuno è di cattivo umore oggi>> commentai prima di riuscirmi a fermare, con una risata.
Non si voltò a guardarmi, ma notai il profondo respiro che prese prima di rispondermi. <<Prima di vedere te ero di buon umore, fatti una domanda e datti una risposta>>
Mi morsi il labbro inferiore, provando a rimanere il più serio possibile. Avrei potuto trasformare quella situazione scomoda in divertente. Voleva farmi perdere la pazienza? Mi sarei comportato nel modo opposto.
<<Bipolarismo?>> chiesi scostandomi con una mano una ciocca di capelli mossi che mi era finita davanti agli occhi.
Si girò di scatto e mi lanciò un'occhiataccia. <<Come ti chiami?>>
Ouch. Stava vincendo lei.
<<Anche memoria a breve termine a quanto pare>> ribattei con una risatina, guardandola divertito.
Mi guardò per qualche istante e io alzai le sopracciglia, invitandola silenziosamente a rispondere. Prese un respiro e mi superò, dandomi intenzionalmente una spallata e facendo uscire un po' d'acqua dal bicchiere che stavo tenendo in mano.
Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa.
Mi voltai quando sentii la porta della sua stanza sbattere e sussurrai tra me e me: <<Jake, hai il cervello frullato>>
Presi uno straccio e provai ad asciugare l'acqua che mi era finita sulla maglietta.
Verso le sei mi resi conto che Derek non aveva ancora fatto i compiti per il giorno dopo e mi alzai di scatto dal pavimento del salone, dove stavamo giocando con le macchinine.
<<Ma tu non mi dici niente?>> esclamai.
Il bambino mi guardò con aria innocente. <<Cosa?>>
<<Devi studiare>> spiegai iniziando a camminare verso la sua stanza. Afferrai il suo zaino da terra e lo riportai in salone.
<<Ma non mi va>> rispose guardandomi mentre tiravo fuori quaderni random e li poggiavo sul tavolino. <<Posso farlo dopo?>>
Gli lanciai un'occhiata significativa. <<Sono le sei Derek, dopo è troppo tardi>>
Sbuffò e mi prese lo zaino di mano, tirando fuori il diario e prendendo i quaderni giusti.
In quel momento si sentì della musica provenire dalla stanza della sorella e Derek sfruttò questa situazione per dirmi che non si sarebbe riuscito a concentrare e quindi avrebbe studiato più tardi.
Riuscii a tenerlo a bada per i successivi dieci minuti, prima che tornasse a dire che con la musica non poteva studiare.
Mi alzai con un sospiro e andai a bussare alla tana del diavolo. Non aspettai una risposta e socchiusi la porta, per poi aprirla del tutto ed entrare nella stanza.
<<Potresti abbassare un po' la musica?>> chiesi. <<Ho messo tuo fratello a fare i compiti e dice di non riuscirsi a concentrare>>
Mi guardai velocemente attorno. La camera era abbastanza semplice: sulla sinistra c'era un letto affiancato da un comodino, sulla destra invece c'era una scrivania relativamente piccola e piena di fogli vari. Ai piedi del letto c'era un armadio in legno, mentre sopra alla scrivania era attaccato un mobiletto con dei libri sopra. Anche alla destra del tavolo c'era una libreria, questa un po' più grande. Le pareti erano bianche, ma abbellite con delle foto e dei post-it. Il pavimento era di moquette. Alla mia sinistra si trovava una lampada di un rosa antico e un gancio singolo con sopra appeso un impermeabile.
Elizabeth rimase seduta alla scrivania, smise di disegnare qualsiasi cosa stesse facendo sul foglio davanti a lei e si voltò a guardarmi. Vidi la sua tentazione di rispondermi a tono, ma probabilmente sapeva che avevo ragione perché si limitò ad uno sbuffo e a darmi retta, abbassando la musica.
<<Grazie Lizzy>> dissi sorridendole, iniziando a capire che la mia gentilezza la mandava ai matti.
<<Non chiamarmi così>> ribatté seccamente, tornando a scarabocchiare sul pezzo di carta.
Mi ricordai di tutte le volte che avevo sentito parlare bene di lei, delle volte in cui Jake l'aveva descritta come solare, altruista e divertente. C'era qualcun altro a cui era stato offerto il lavoro che lei preferiva a me? Forse una sua amica? Non riuscivo a capire perché si era dimostrata così ostile alla mia presenza fin dal primo momento.
<<Sei sempre così scontrosa con gli ospiti o lo sei solo con me?>> chiesi poggiandomi allo stipite della porta.
Poggiò la penna sul tavolo e lasciò definitivamente perdere il disegno. <<Non dovresti andare ad aiutare Derek con i compiti?>>
Probabilmente sì. <<Sono sicuro che se la stia cavando>>
Mi guardò stringendo leggermente gli occhi e io alzai le sopracciglia, ancora in attesa di una risposta.
<<Allora?>> continuai. <<Sono solo io?>>
<<Non credo che mia madre ti paghi per parlare con me>> osservò iniziando a legarsi i capelli. Una risata mi uscì dalle labbra quando le si ruppe l'elastico e imprecò sottovoce, lasciando cadere i capelli castani sulle spalle.
Ripensai allo sguardo che aveva fatto la signora Jonson la sera prima, quando le avevo chiesto di salutare la figlia da parte mia. <<In realtà mi è sembrato che a tua madre farebbe piacere se diventassimo amici>>
Elizabeth si alzò dalla sedia e iniziò a girare per la stanza cercando qualcosa. <<Hai detto bene. A mia madre, non a me>>
Continuò ad evitare il mio sguardo, mentre frugava tra gli scaffali. Sogghignai e incrociai le braccia al petto, decidendo di stroncarla alla base con la mia prossima frase. Pensava che non avessi capito ciò che stava facendo? Sperava di farmi sentire talmente indesiderato che avrei rinunciato a quel lavoro. <<Non fare tanto la dura. Se ti metto a disagio basta dirmelo>>
Le mie parole ottennero l'effetto desiderato, perché si voltò di scatto verso di me con lo sguardo invaso dalla sorpresa. Il movimento brusco di testa le fece finire le punte dei capelli nell'occhio e non riuscii a bloccare una risata.
Si strofinò la palpebra sinistra e mi lanciò un'occhiata di fuoco, l'ennesima da quando ero entrato in quella stanza.
<<Quanto sei arrogante>> sussurrò tra i denti. <<E poi ti chiedi perché mi comporto così>>
<<Non sono arrogante>> ribattei continuando a sorridere divertito. Provava a mostrarsi intoccabile ma sapevo che il mio modo di fare la stava irritando più del voluto. Probabilmente era abituata a persone che davanti al lato tosto del suo carattere si intimorivano. Beh, con me non avrebbe funzionato. <<Sono schietto>>
Elizabeth mi guardò in silenzio ma alzò leggermente il mento, come a sfidarmi.
<<Cosa cerchi?>> chiesi con tranquillità quando rincominciò a frugare nelle tasche delle borse e dell'impermeabile.
<<Non sono affari tuoi>> borbottò senza voltarsi a guardarmi.
<<Tesoro, non ti posso aiutare se non mi dici cosa cerchi>> ribattei attirando immediatamente la sua attenzione. Come ciliegina sulla torta le feci l'occhiolino.
Il colorito del suo viso cambiò immediatamente, provocandomi un senso di soddisfazione. Quella battaglia l'avevo vinta io.
<<Credo che, come babysitter, dovresti badare a mio fratello>> osservò.
Merda, aveva ragione me ne ero dimenticato.
<<Hai ragione>> dissi. Feci per andarmene, ma prima di uscire passai il mio sguardo sul suo viso e le feci un sorriso. <<A dopo Lizzy>>
Mi voltai e tornai in salone, soddisfatto.
<<Non mi chiamo Lizzy!>> mi gridò dietro, facendomi sorridere e alzare gli occhi al cielo.
Tornai da Derek e mi sedetti sul divano, ripetendomi nella mente la conversazione che avevo appena avuto con la sorella e non riuscendo a scuotermi di dosso la sensazione che, in un modo o nell'altro, si sarebbe rivelata essere molto più simile a me di quanto pensassi.
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