Capitolo 11
<<Esci da questa casa>> disse bruscamente Elizabeth, interrompendo il padre. Il suo tono rigido mi riscosse dallo stato di confusione in cui mi trovavo.
Feci una leggera pressione con le mie dita sulla sua mano, stretta a me, ma non fui sicuro che se ne fosse accorta. Ogni muscolo del suo corpo era teso.
<<Ma...>> iniziò nuovamente l'uomo. Mi soffermai a guardarlo, provando a trovare la somiglianza con Elizabeth. Non era istantanea, ma c'era definitivamente: nonostante gli occhi della figlia non fossero azzurri come i suoi ma una miscela di colori sulla tonalità del marrone chiaro, lo sguardo era lo stesso. Stessa intensità. Anche la forma del viso era praticamente identica, solo che Lizzy aveva i tratti più morbidi.
<<Ho detto esci da questa casa!>> gridò Elizabeth, lasciando la presa sulla porta e indicandogli la strada. La sua mano, nella mia, aveva iniziato a tremare. Tanto. <<Fuori di qui!>>
Guardai la ragazza al mio fianco: era in uno stato di shock. Il viso aveva perso colore, le pupille avevano invaso l'iride nei suoi occhi e il respiro era corto. Non sapevo se fosse una mia sensazione, ma le sue dita erano gelide.
<<Ti prego... Devi solo ascoltarmi>> supplicò l'uomo.
Non potei fare a meno di paragonarlo per un istante a Steven Matthews. Mio padre non si sarebbe mai mostrato così debole, non avrebbe mai implorato qualcuno. Smisi immediatamente di paragonare i due e tornai a concentrarmi sulla situazione presente. Non sapevo le dinamiche precise del loro rapporto e in quel momento non mi interessavano, ciò che sapevo era che Elizabeth sembrava sul punto di svenire proprio lì, al mio fianco.
Sentii la presa sulla mia mano allentarsi e mi voltai giusto in tempo per afferrare Lizzy per i fianchi, impedendole di accasciarsi a terra. La tenni saldamente per qualche secondo, assicurandomi che non sarebbe caduta se l'avessi lasciata. Tolsi le mani, lasciandone solo una sulla parte bassa della sua schiena come sostegno. Aveva chiuso gli occhi e stava facendo dei respiri profondi, ma il suo corpo era scosso da un leggero tremito.
<<Signore, se ne vada>> sentenziai voltandomi verso il padre. Notai la nota di aggressività che era uscita insieme alla mia voce e mi domandai il perché. Non conoscevo quell'uomo, non sapevo la sua storia. Sapevo però che stava riducendo in frammenti la propria figlia, perciò strinsi i denti e raddrizzai la schiena.
<<Devo solo parlarle>> ribatté lui puntando per la prima volta i suoi occhi nei miei. Avevano decisamente lo stesso sguardo.
Sentii Elizabeth appoggiarsi impercettibilmente alla mia mano, ancora sulla sua schiena.
<<Lei non vuole ascoltarla>> conclusi, sforzandomi di tenere un tono di voce neutro. Ero cresciuto sapendo che non avrei dovuto trattare male nessuno perché non sapevo nulla di ciò che accadeva nella vita privata degli altri, ma stava iniziando a diventare una sfida non facile. <<Se ne vada>>
<<Io...>> ritentò.
<<Vattene!>> gridò la figlia tornando a indicare la strada ma senza fare neanche un passo nella sua direzione. <<Non ti voglio mai più vedere! Va' via o ti giuro che chiamo la polizia!>>
Cos'era successo in quella famiglia? Cosa le aveva fatto quell'uomo?
<<Lizzy... Per favore>> tornò a supplicarla. Vidi che anche il suo sguardo era diventato lucido.
Notai che sulle guance di Elizabeth non era scesa ancora neanche una lacrima, nonostante i suoi occhi ne fossero pieni. Vidi che si stava mordendo un angolo del labbro inferiore con talmente tanta forza da farmi credere che da lì a poco avrebbe iniziato a sanguinare. Soppressi l'istinto di passarle un dito sulle labbra per farla smettere.
<<Hai avuto sedici anni per parlarmi e hai preferito usarne solo undici! Hai perso la tua occasione!>> esclamò lei con voce tremante.
Derek non conosceva quell'uomo. Quando lo aveva visto sulla soglia della casa non sapeva chi fosse. Derek non conosceva il proprio padre. Sentii una stretta al petto ma la ignorai.
Elizabeth superò il padre, che aveva fatto qualche passo nell'atrio, facendo attenzione a non toccarlo. Afferrò nuovamente la porta e si prese qualche secondo prima di tornare a parlare. Quando lo fece, la sua voce era invasa dalla neutralità e il suo sguardo freddo, indifferente. <<Vattene e non tornare mai più>>
L'uomo la guardò, fermo al proprio posto. Sembrava che stesse cercando di immagazzinare più dettagli possibile sulla figlia in quel poco tempo che le era rimasto con lei. Non potei non sentire una punta di pena nei suoi confronti. Mi sentivo uno sciocco ad essere geloso, era ridicolo. Dannazione, io avevo avuto un padre affianco tutta la mia vita. Tuttavia lo sguardo dell'uomo davanti a me era pieno di amore, mischiato al rimorso ma pur sempre amore era. Non mi ricordavo quando fosse stata l'ultima volta che mio padre mi aveva dimostrato il suo affetto.
Mi morsi la lingua per riscuotermi: Elizabeth si stava letteralmente frantumando in mille pezzi a pochi passi da me e io mi stavo autocommiserando per nulla. Avevo tutto nella mia vita, nessuno mi aveva mai ferito come suo padre aveva apparentemente ferito lei. Non si trattava di me in quel momento.
<<Mi dispiace...>> mormorò l'uomo, lanciandole un'ultima occhiata prima di uscire.
Non appena la porta si chiuse alle sue spalle, Lizzy si accasciò a terra con un singhiozzo. Mi spaventai e corsi da lei, che si era raggomitolata su se stessa. Sentii gli occhi bruciarmi a vederla in quelle condizioni e un groppo alla gola mi rese difficile parlare.
<<Sta tranquilla>> sussurrai sforzandomi di non farle capire quanto quella scena mi avesse scosso. Mi accovacciai al suo fianco e battei le palpebre un paio di volte per scacciare il velo di lacrime che mi si era formato negli occhi.
Mossi delicatamente le dita sul suo braccio, in una carezza, e feci una leggera pressione per farla mettere dritta.
<<Se n'è andato. E' tutto finito, tranquilla>> continuai riuscendo a farla sedere. Le scansai i capelli dal viso e mi morsi l'interno guancia. Il suo viso, che fino a pochi secondi prima era perfettamente asciutto, era stato invaso dalle lacrime. Le labbra erano distorte in una smorfia di disperazione e il suo sguardo era completamente perso nel vuoto. A stento riuscivo a vedere le sue iridi a causa delle lacrime.
Si portò le mani alla testa e un piccolo gemito uscì dalla sua bocca, mentre serrava gli occhi. Non pensavo se ne fosse accorta ma stava dondolando leggermente, come a cullarsi da sola.
<<Shh...>> provai a rassicurarla. Non pensai, agii: feci passare un braccio sotto alle sue gambe e l'altro poco sotto alle scapole, tenendola stretta al mio petto mentre mi alzavo in piedi. <<Respira Lizzy, respira insieme a me>>
Presi un respiro profondo e trattenni l'aria nei polmoni per qualche secondo prima di lasciarla uscire, sperando che lei avrebbe fatto altrettanto. Poggiò la testa al mio petto, accovacciandosi su di me continuando a singhiozzare.
Mi diressi verso la sua stanza, continuando a respirare intensamente e aspettando che lei facesse altrettanto. Le mie labbra si inarcarono impercettibilmente verso l'alto quando la sentii prendere un respiro tremante, nel tentativo di fermare i singhiozzi.
Il mio sguardo incrociò quello di Derek, che aveva appena aperto la porta della sua stanza e ci fissava con occhi spalancati. Guardò la sorella, tra le mie braccia, e sentii il panico attanagliarmi lo stomaco.
Forzai un sorrisino rassicurante e scossi leggermente la testa quando tornò a guardarmi, nel tentativo di fargli capire che andava tutto bene. Lui aggrottò le sopracciglia, con sguardo triste.
Non è niente. Mimai con le labbra.
Il bambino esitò qualche istante ma poi annuì lievemente e, dopo un ultimo sguardo alla sorella, tornò in camera.
Aprii la porta della stanza davanti a me e la richiusi con il piede, poi andai verso il letto e ci appoggiai delicatamente Elizabeth. <<E' tutto a posto>>
Mi accovacciai vicino al letto, scostandole i capelli dal viso. <<E' tutto a posto>>
Lizzy teneva lo sguardo basso, verso il copriletto, mentre altre lacrime continuavano a lasciare i suoi occhi. Le spalle erano ancora scosse da singhiozzi, la fronte era ancora aggrottata. Le sue labbra erano leggermente schiuse e inumidite dal pianto.
Misi il braccio destro sul letto e ci appoggiai sopra il mento, inclinando leggermente la testa per guardarla meglio. Con la mano sinistra continuavo ad accarezzarle i capelli, provando a rassicurarla.
<<E' tutto a posto>> ripetei in un sussurro per la terza volta. <<E' passato>>
Vedevo i suoi occhi muoversi sotto alle sue palpebre serrate, mentre riviveva momenti traumatici.
Con il passare dei minuti i singhiozzi si attutirono e il suo respiro si iniziò a sincronizzare alle mie carezze. Spostai la mano di qualche centimetro, quando bastava affinché il mio pollice potesse sfiorare la sua guancia.
<<Sta tranquilla>> sussurrai. <<Sta tranquilla>>
I suoi occhi si aprirono e mi guardarono. Le iridi erano diventate quasi completamente verdi e il suo sguardo era tremendamente fragile.
L'unica cosa che volevo fare in quel momento era azzerare la distanza tra i nostri visi e sfiorare le sue labbra con le mie. Volevo stringerla a me e sentire il suo profumo. Volevo darle la forza di cui aveva bisogno. Quella ragazza mi aveva colpito da subito ma solo in quel momento mi rendevo conto di quanto velocemente si fosse fatta strada nel mio cuore. Volevo farla star bene.
Strinsi i denti e chiusi un istante gli occhi, colpito a pieno dalla realizzazione che avevo appena fatto.
Tornai a guardarla negli occhi, senza abbassare lo sguardo sulle sue labbra. I miei erano pensieri egoisti e avrei dovuto spingerli da parte. Non era quello il momento giusto e lei non era decisamente la persona giusta. Non potevo. Solo quella mattina avevo condannato Jason per essersi fatto avanti con lei senza pensare a Jake. Non potevo.
<<N-n-non...>> iniziò, interrotta dai singhiozzi. <<N-n-non c-ci cre-cred-do...>>
Continuai a muovere lentamente e delicatamente il pollice sul suo zigomo umido. <<E' tutto a posto, Lizzy>>
Una lacrima silenziosa scese lungo il suo naso fino ad arrivare alla punta, io l'asciugai. <<Sei una ragazza forte>>
Era vero, lo era. Non la conoscevo da molto, solo da qualche settimana, ma sapevo con certezza che lo fosse. Lo vedevo nei suoi occhi, lo sentivo nella sua voce.
Scosse la testa e distolse lo sguardo dal mio, mentre altre lacrime minacciavano di scivolare lungo il viso.
<<Non piangere>> supplicai in un sussurro.
I suoi occhi tornarono su di me e lei prese un respiro tremante. <<P-puoi ste-stende-rti v-vi-vicino a-a m-me?>> mormorò provando a tenere la voce ferma.
Era una pessima idea. Non era il caso. Non mi ero reso conto quanto mi fossi affezionato a lei in quelle settimane e mi spaventava la velocità con cui era successo. Per la prima volta da mesi stavo finalmente bene e non volevo riaffidare i miei sentimenti a qualcuno, non ora. Non ancora. Non a lei.
Vidi il dolore nei suoi occhi. Aspettava una mia risposta.
<<Certo>> sussurrai forzando un sorrisino. Ne aveva bisogno. Voleva stare meglio e se quello sarebbe servito ad alleviare il suo dolore lo avrei fatto. Jake avrebbe capito, me lo aveva chiesto lei.
Elizabeth si girò sull'altro fianco e si avvicinò al muro, in modo da lasciarmi un po' di spazio sul letto. Io mi alzai da terra e con un piccolo sospiro mi stesi al suo fianco.
Esitai un istante, ma quando lei fece aderire la sua schiena al mio petto le cinsi la vita con un braccio. Trattenni il respiro quando sentii le sue dita cercare le mie, mentre intrecciava le nostre mani. Sapeva ciò che stava facendo?
La sua nuca era a pochi millimetri dal mio viso e il profumo fruttato dei suoi capelli invase le mie narici. Chiusi gli occhi per qualche secondo e rilassai i muscoli, stringendola un po' di più a me. Sembrava che i nostri corpi combaciassero perfettamente.
<<G-graz-zie>> disse senza voltare la testa.
Mi presi qualche momento per rispondere. <<Tutto ciò di cui hai bisogno, Lizzy>>
Rimanemmo in silenzio per i minuti successivi. Mi ritrovai a muovere l'indice sul dorso della sua mano, in una carezza.
Mi corrucciai, provando a capire quando fosse successo. Quando, tra tutte le nostre litigate, avevo iniziato ad affezionarmi a lei? Come avevo fatto a non accorgermene fino a quando non l'avevo tenuta singhiozzante tra le mie braccia? Dovevo fermare i miei sentimenti, erano iniziali, non era ancora troppo tardi. Era la figlia della mia datrice di lavoro, la ragazza di cui uno dei miei più cari amici era innamorato e usciva con un mio compagno di squadra. Tutte bandiere rosse che non potevo ignorare.
Le volevo bene. Nonostante il suo disprezzo nei miei confronti la maggior parte del tempo, c'era qualcosa dentro di lei che le diceva di potersi fidare di me. Me ne rendevo conto. Troppe volte in così poco tempo si era ritrovata tra le mie braccia mentre la consolavo, non sarebbe successo se non si fosse fidata.
Semplicemente non l'avevo mai guardata sotto il punto di vista in cui la stavo vedendo in quel momento. Era come se l'avessi sempre percepita come qualcosa di fittizio, su cui non valeva la pena illudersi perché tanto non sarebbe mai successo nulla. Vederla più fragile che mai davanti a me, bisognosa del mio aiuto, mi aveva fatto capire che in realtà non era affatto così. Non era la persona indipendente e irraggiungibile che voleva far credere di essere.
Notai che il suo corpo non era più scosso da singhiozzi.
<<Stai meglio?>> sussurrai.
Annuì, facendo involontariamente strusciare i suoi capelli sul mio viso. Mi scansai quanto bastava per non soffocare.
<<Mi dispiace per aver reagito così...>>
Perché quella ragazza aveva così tanta paura di mostrarsi vulnerabile? Aveva tutto il diritto di piangere, non era una cosa di cui vergognarsi.
Continuai a muovere avanti e indietro le mie dita sul dorso della sua mano, la quale quasi scompariva nella mia. <<Non ti devi scusare, Lizzy. Hai reagito come chiunque altro avrebbe reagito in una situazione del genere>>
Elizabeth rimase in silenzio abbastanza a lungo da farmi pensare che la stessi mettendo a disagio. Smisi immediatamente di accarezzarla ma, proprio mentre stavo per allontanarmi da lei, parlò: <<Da piccola ero molto affezionata a mio padre. Lui mi ha fatto crescere la passione per il disegno e mi aiutava in qualsiasi momento del bisogno. Era mio padre e sarei morta per lui>>
Si stava aprendo con me. Stavo finalmente per scoprire la storia che mi aveva incuriosito per tutto quel tempo, ma ora non m'importava più della narrazione dei fatti. M'importava che stesse bene. Mi importava dannatamente tanto che si stesse fidando di me. Istintivamente, mi riavvicinai a lei e la strinsi un po' più di prima.
<<Alla nascita di Derek, i miei genitori iniziarono a litigare. Vedevo spesso mia madre piangere e mio padre stava fuori casa sempre più a lungo. Iniziò a passare meno tempo con me e a trascurarci tutti e tre.>> continuò. Sentii il dolore nella sua voce, il dolore di una bambina che vedeva il proprio padre scivolarle dalle mani. <<Non aiutava mia madre con il bambino, si comportava come se fosse una bambola e non suo figlio>>
Si fermò e prese un respiro tremante. Io non parlai, lasciandole il tempo che le serviva.
<<Tutte le sere però, sia mia madre che mio padre venivano a darmi il bacio della buonanotte. Una sera mio padre non venne>> disse. Non la vedevo in viso, ma la sua voce non era rotta dal pianto. Era come se non avesse più lacrime da lasciar uscire. <<Mi ricordo che solitamente entrava prima lui e poi la mamma. Quella sera però entrò solo la mamma. Le chiesi dove fosse papà e mi rispose che non era ancora tornato a casa. Disse che sarebbe tornato presto e che dovevo dormire sonni tranquilli>>
Quell'Elizabeth, quella ragazza che stava tra le mie braccia e mi raccontava del suo passato, sembrava un'altra persona rispetto alla ragazza sempre sulla difensiva e pronta alla lite. Mi sembrava di essere in un mondo parallelo e mi sentii uno stupido a dovermi ricordare che tra noi due non c'era nulla. Mi sentii egoista, ma mi mancava tutto quello: mi mancava l'intimità dovuta a conversazioni sentite, mi mancava il contatto fisico dolce e innocente, mi mancava sentirmi in una bolla esclusa dal mondo con un'altra persona. Le strinsi più forte la mano.
<<La mattina dopo mi svegliai e andai in cucina a fare colazione. Papà avrebbe dovuto accompagnarmi a scuola, ma non lo fece. Non lo fece perché non era a casa. Sentii mia madre piangere in camera sua e quando entrai, vidi che teneva un foglietto in mano. Non me lo fece leggere ma, mentre lei stava in un'altra stanza, lo andai a cercare e lo lessi. C'era scritto semplicemente "Non ce la faccio più. Addio" e poi era firmato da mio padre>>
Mi accorsi di star corrugando la fronte, turbato dal suo racconto.
<<Avevo undici anni, ma capivo bene il mondo. Non ero stupida.>> continuò. Undici anni. Io ne avevo dodici. L'anno in cui lei era stata abbandonata dal padre, il mio ci aveva pagato una vacanza alle Hawaii. Non mi ero mai sentito così inadeguato come in quel momento.
<<Per giorni ho aspettato di vedere la sua macchina dalla finestra. Non ci ha più scritto, non ci ha più chiamato. Qualche anno più tardi, quando ero abbastanza grande da ribellarmi alla situazione, ho iniziato a fare domane a mamma. Lei evitava sempre il discorso ma un giorno mi confessò che mio padre se n'era andato con un'altra donna. Una collega di lavoro. Lei sospettava del suo tradimento, per questo avevano iniziato a litigare. L'ultima volta che lo aveva visto, le aveva detto che la nostra famiglia lo faceva sentire oppresso e che non lasciavamo spazio alla sua creatività. Per questo se n'è andato con una donna più ricca e più "libera" poiché non aveva figli>> raccontò, facendomi stringere i denti. <<Derek non si ricorda di lui, era troppo piccolo quando se n'è andato. Gli abbiamo sempre detto che il suo lavoro lo aveva portato dall'altra parte del mondo e per questo non ci vedevamo più. Lui pensa che sia stata una scelta comune che se ne andasse. E' troppo piccolo per capire, soffrirebbe inutilmente>>
Mi trattenni dal dire che prima o poi l'avrebbe scoperto e più tardi fosse stato, peggio si sarebbe sentito. Non era una mia scelta da fare.
Ammirai Jake per non aver mai accennato alla situazione famigliare dei Jonson, doveva davvero volergli bene per trascurare un dettaglio così grande della loro vita da tutti i suoi racconti.
Elizabeth indietreggiò di qualche altro millimetro, facendo aderire ogni punto del suo corpo al mio. Notai che si accovacciò leggermente, come una bimba.
<<Ho avuto per anni attacchi di panico e... Il resto della storia lo sai>> concluse.
Rividi il suo sguardo terrorizzato di non troppo tempo prima alla vista del padre, risentii il tremore delle sue dita. Io non mi ero mai sentito in quel modo, sembrava che il mondo le fosse crollato addosso.
Poggiai la mia mano sul suo fianco e senza pensarci la feci voltare verso di me, in modo che la potessi vedere in faccia. Le sue ciglia erano bagnate e sulla sua guancia destra si vedeva il tragitto percorso da una lacrima. Gliel'asciugai, ripercorrendo la scia umida fino al suo labbro superiore. Indugiai con le dita per qualche altro istante prima di rispostarle più in alto, sullo zigomo.
Ogni centimetro del mio corpo era consapevole della nostra vicinanza ed era attraversato da piccole scosse elettriche invisibili. Appoggiai la mia fronte alla sua, riducendo al minimo la distanza tra noi.
Voglio aiutarti a stare meglio, Lizzy. Ti prego non tornare ad allontanarmi dalla tua vita, perché in questo momento mi sento come se questo fosse il mio posto. Pensai.
<<Mi dispiace>> sussurrai.
<<Lo so>> rispose con un filo di voce.
Alzò lo sguardo e incrociò il mio, senza parlare. Mi scrutò per qualche secondo e mi sentii vulnerabile, come se riuscisse a vedere tutte le mie incertezze.
Ora dirà che tutto questo è stato un errore e che devo tornare da Derek.
<<Hai degli occhi veramente belli>> mormorò invece.
Cosa ci stava succedendo? Eravamo sempre Ethan ed Elizabeth, le stesse persone che litigavano parlando di Jason Wilson e... Beh di tutto. Com'era possibile che tutta quella tensione tra noi si fosse trasformata in intimità?
Vidi le sue palpebre rallentare la frequenza con cui si chiudevano e riaprivano e capii che fosse esausta. Sorrisi intenerito e tracciai nuovamente con il pollice il percorso che la lacrima aveva fatto poco prima. Questa volta non tolsi il dito dal labbro.
<<Anche tu>> sussurrai.
I suoi occhi si chiusero definitivamente e il respiro si fece regolare, mentre un'aria serena sostituiva quella turbata di non troppo tempo prima.
Rimasi a guardarla ancora qualche secondo, continuando a sfiorarle delicatamente il labbro e la guancia.
Sentii una fitta. Era il momento di tornare alla realtà; tra me ed Elizabeth non sarebbe mai potuto succedere nulla. Non sapevo nemmeno perché quel pensiero mi stesse infastidendo tanto.
Poggiai delicatamente le mie labbra sulla sua fronte e la sentii inspirare più a fondo. Indugiai, godendomi la sensazione di quella vicinanza, poi mi allontanai. <<Dormi bene, Lizzy>>
Prima di uscire dalla stanza mi voltai un'ultima volta a guardarla: Elizabeth dormiva rannicchiata su sé stessa, le guance leggermente arrossate, i capelli disordinati e un'aria angelica. Ero riuscito ad aiutarla e quella fu una soddisfazione maggiore di quanto pensassi.
Mi chiusi con attenzione la porta alle spalle e presi un respiro profondo, provando a schiarirmi la mente.
Trovai Derek accovacciato ai piedi del suo letto, lo sguardo fisso sul pavimento. Appena mi sentì arrivare si voltò verso di me con gli occhi lucidi.
<<Eccomi qui>> annunciai provando a mantenere un tono di voce leggero e allegro.
<<Liz sta bene?>> chiese preoccupato.
Strinsi le labbra e sospirai, ripensando a tutte le bugie che prima o poi quel bambino avrebbe scoperto. Non volevo essere un'altra persona della lista a mentirgli. <<No. Ma non ti preoccupare, starà bene>>
Si corrucciò, asciugandosi di nascosto le guance dalle lacrime. La scena a cui aveva assistito lo aveva colpito.
<<E perché non sta bene?>> domandò.
Mi passai una mano tra i capelli e mi strinsi nelle spalle. <<Perché ogni tanto la vita è difficile>>
Lanciai uno sguardo al muro adiacente alla stanza della sorella e continuai: <<Però è la ragazza più forte che io conosca e se c'è qualcuno capace di andare avanti a testa alta, quel qualcuno è proprio Lizzy>>
Ripensai al modo in cui si era accasciata a terra, scossa dai singhiozzi, e sperai che le mie parole fossero vere.
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