Capitolo 10
<<Ma che palle, Ethan>> si lamentò Ed quando rifiutai l'invito di andare a casa di Jake quel pomeriggio. <<Ormai non ti vediamo più>>
Mi strinsi nelle spalle e scossi la testa, per far capire che non era colpa mia.
<<Non hai nemmeno bisogno di un lavoro>> gli diede man forte Tod. <<Per quanto ho visto a casa tua, la tua famiglia caga soldi>>
Strinsi gli occhi con una smorfia. Tod era sempre molto raffinato.
<<Portati Derek>> propose Jake. <<A lui piace venire a casa mia. Edward ha ragione, sei scomparso>>
<<Non posso portarmi Derek>> ribattei più sulla difensiva di quanto volessi. <<E' il mio lavoro e, per quanto mi scocci non avere più tanti pomeriggi liberi, lo prendo seriamente.>>
Mentre i miei amici continuavano a lamentarsi, il mio sguardo cadde su tre ragazze a qualche metro di distanza: Elizabeth, la sorella di Jake e un'altra castana che stava sempre con loro. Chiacchieravano di qualcosa, ma a quella distanza non avrei saputo dire di cosa. Anche Elizabeth, come me, fece vagare lo sguardo tra i corridoi estraniandosi dalla conversazione. Quando notò Jason, nel nostro gruppetto, il suo viso si illuminò con un sorriso. Disse qualcosa alle amiche e, dopo aver tirato qualcosa fuori dallo zaino, si incamminò verso di noi.
<<Vai dal tuo principe azzurro e dimenticati delle tue amiche!>> le gridò dietro Avril Lewis scuotendo la testa divertita. La sua amica si voltò immediatamente verso di lei facendole segno di abbassare la voce.
<<Liz>> la salutò Jason non appena arrivò a qualche passo da noi, ignorando Edward che gli stava parlando.
<<Ehi, ciao>> mormorò lei sistemandosi i capelli. Era incredibile come si trasformasse in un'altra persona davanti a lui. Tod ed Edward scimmiottavano commenti di sottofondo, mettendola ancora più in imbarazzo di quanto fosse. <<Ti ho riportato la felpa>>
Gli porse l'indumento e lui lo afferrò sorridendo. Non ascoltai la loro breve conversazione, non mi interessava. A dirla tutta, mi faceva saltare i nervi vedere Jason fare il finto tonto.
Riattivai il mio udito quando lui l'attirò a sé, poggiando la fronte contro la sua, dicendo <<Ora che sei qui tutto bene>>
Mi dovetti trattenere dall'alzare gli occhi al cielo. Sentii Jake al mio fianco trattenere il respiro e io strinsi i pugni provando a non strattonare Wilson dall'altra parte del corridoio. Davvero, era fuori da ogni mio limite di comprensione come potesse non preoccuparsi minimamente di ferire il proprio migliore amico. C'era qualcosa che non tornava in tutta quella storia.
Un sorrisino mi nacque sul viso quando Lizzy si scostò dal bacio per andare a salutare Jake, lasciando Jason visibilmente turbato.
<<Buongiorno a te>> lo salutò dandogli una leggera spinta sul braccio.
<<Buongiorno, Liz>> rispose Jake spettinandole i capelli affettuosamente.
Sentii una stretta allo stomaco: sembravano chiusi in una bolla dove solo loro potevano entrare. Lo notò anche Jason, che rimediò appoggiando il mento sulla sua testa e avvolgendo i suoi fianchi tra le braccia. Lei voltò leggermente la testa per vedere chi fosse e lui le sussurrò qualcosa all'orecchio.
<<Devo andare, ci becchiamo dopo>> concluse Jake. Afferrò lo zaino da terra e si voltò, tenendo lo sguardo basso. Elizabeth lo salutò, ma lui se n'era già andato, lasciandola con una punta di delusione negli occhi.
<<Anche io>> aggiunsi. Prima che mi girassi notai Elizabeth spostare il suo sguardo su di me e spalancare leggermente gli occhi, come se non mi avesse notato prima. Strinsi le labbra, in quello che voleva risultare essere un sorrisino ma finì per ridursi a un saluto freddo. Quando passai vicino alle amiche della ragazza la bionda mi salutò, cogliendomi di sorpresa.
Per raggiungere Jake dovetti affrettare il passo. Gli camminai al fianco in silenzio per qualche secondo, quanto bastò affinchè mi notasse. <<Stai bene?>>
<<Perché lo fa?>> sbottò voltandosi di getto verso di me, con la risposta pronta come se non vedesse l'ora che qualcuno gli chiedesse quella domanda.
Il volume della sua voce attirò l'attenzione di qualche studente di passaggio e io rincominciai a camminare lentamente verso il parcheggio sperando che lui facesse altrettanto.
<<Me lo sto chiedendo dal primo momento in cui li ho visti insieme>> risposi con un sospiro, passando le dita lungo il manico dello zaino che tenevo sulla spalla destra.
Jake diede un calcio a un sasso, che rimbalzò sulla ruota di una macchina e finì a qualche metro da noi. <<Un conto è uscirci insieme, un altro è sbattermelo in faccia ogni occasione possibile>>
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire. Jason era un coglione, non c'erano dubbi al riguardo.
<<Siamo migliori amici da quanto? Quattro anni?>> continuò. <<Mi sarei aspettato un minimo di tatto>>
<<Hai ragione>> sentenziai. Presi una pausa per calibrare il peso delle mie successive parole. <<Però posso darti un consiglio senza che mi odi Jake?>>
Il mio amico si fermò sui suoi passi e si voltò a guardarmi, in attesa.
Aprii e chiusi la bocca un paio di volte, guardandomi attorno per il parcheggio cercando il modo giusto per porre la frase. <<Se ti devi incazzare allora incazzati per bene, diglielo a Jason che è un patetico stronzo. Non ha senso fingere che questa situazione ti stia bene per poi andartene via su tutte le furie ogni volta che la bacia. Oppure...>>
Esitai e Jake continuò a guardarmi.
<<Oppure?>> mi incitò.
Feci un sospiro. <<Oppure lascia andare Elizabeth>>
Lo vidi stringere i denti e distogliere lo sguardo dal mio, per poi voltarsi e continuare a camminare. Scossi la testa e lo affiancai.
<<Non è così facile>> borbottò trasudando nervosismo da tutti i pori.
<<Ma che alternative hai?>>
<<Aspettare che Jason faccia il coglione e lei si renda conto che non fa per lei>> rispose senza guardarmi. <<E' sempre andata così. Prima o poi aprirà gli occhi e si renderà conto di chi le è sempre stato affianco. >>
Questa volta fui io a fermarlo e a farlo voltare verso di me. Non parlai fino a quando non fui certo che mi stesse ascoltando. <<Preferisci vederla soffrire ancora e ancora nella speranza che prima o poi apra gli occhi piuttosto di dirle ciò che provi?>>
Non ebbi bisogno di una risposta per capire che sapeva di aver detto una cavolata.
<<Lo so quanto ci tieni a lei e so anche quanto vuoi bene a Jason>> continuai. <<Ma conosco Elizabeth abbastanza bene da rendermi conto che lei non ha la più pallida idea dei tuoi sentimenti nei suoi confronti e se non farai nulla al riguardo tra tre anni starai ancora in questo limbo>>
<<La conosci solo da qualche settimana>> mi corresse, ignorando il resto della frase.
<<O ti fai avanti una volta per tutte o ora, in questo esatto momento, la lasci andare e inizi a guardare altre ragazze>> proseguii. <<Per il tuo bene>>
Jake non rispose, ma si passò una mano tra i capelli. Alle sue spalle vidi la porta laterale della scuola aprirsi, facendo uscire i nostri amici.
Mi risistemai lo zaino sulla spalla e riportai lo sguardo su di lui. <<Pensaci bene>>
Prima che potesse rispondermi, mi voltai e salii in macchina. Per tutto il tragitto continuai a ripetermi nella mente la scena che si era svolta davanti a me nei corridoi, provando a capire come Jason potesse pensare che fosse una buona idea comportarsi in quel modo davanti a Jake, sapendo che aveva avuto difficoltà ad accettare l'idea che lui stesse con Elizabeth. Mi sembrava una cosa tutt'altro che furba, e se c'era una persona astuta nel nostro gruppo era proprio Jason.
Speravo che Jake accogliesse il mio consiglio e decidesse di agire in un modo o nell'altro. Era straziante vederlo andare in giro con quella faccia moscia tutta la giornata senza provare in alcun modo a cambiare la situazione. Se in tutti quegli anni non era riuscito a farsi avanti con Elizabeth dubitavo che ci sarebbe riuscito ora ma, chissà, magari la competizione tirava fuori il meglio di lui come nel calcio.
Quando arrivai a lavoro trovai la signora Jonson ad aspettarmi già con le chiavi in mano.
<<Grazie al cielo sei arrivato>> disse appena mi vide, raccogliendo frettolosamente da tutta casa ciò che le serviva di portarsi appresso. <<C'è stato un imprevisto a lavoro e devo correre in ufficio>>
<<Non si preoccupi, vada pure>> risposi poggiando lo zaino a terra vicino alla porta.
Afferrò la maniglia della porta e si voltò con un'esclamazione, come se si fosse appena ricordata di qualcosa di fondamentale. <<Stasera ho un impegno con un'amica, ti dispiace rimanere anche a cena? So di non averti dato alcun preavviso, ma mi faresti un grandissimo favore. Se non puoi non ti preoccupare, più tardi chiamerò Elizabeth per dirle che deve essere a casa per le sei in modo che ti può dare il cambio>>
Sapevo che i miei genitori si sarebbero scocciati quando dissi che non ci sarebbe stato alcun problema, sarei rimasto anche a cena. Katy Jonson mi ringraziò tra le quattro e le cinque volte, per poi chiudersi la porta alle spalle e correre a lavoro.
Quasi mi cade la mandibola a terra quando, dopo una decina di minuti, lessi la risposta di mia madre al messaggio in cui le dicevo che sarei rimasto a cena da un amico.
Va bene, traquillo. Probabilmente vi fa bene saltare una cena insieme a te e tuo padre, provo a risolvere la situazione. Divertiti, ma non fare troppo tardi per favore.
Con mio grande sollievo, l'unico compito che Derek aveva da svolgere per il giorno successivo era allenarsi a leggere un testo e impiegò poco più di mezz'ora a farlo. Mi divertii ad aiutarlo, decisamente di più rispetto a quando mi chiedeva di spiegargli matematica.
<<Non mi dire subito di no>> disse guardandomi dal divano una volta finito di studiare.
<<No>> lo bloccai, sapendo che iniziare una frase in quel modo non avrebbe portato a nulla di buono.
Derek ingobbì la schiena, guardandomi corrucciato. <<Ti ho detto di non dirmi subito di no!>>
Alzai gli occhi al cielo con un sorrisino sbieco. <<Okay, vai avanti>>
Il bambino si raddrizzò rallegrato. <<Mi tagli i capelli?>>
<<No>>
Si buttò esasperato all'indietro, sullo schienale del divano. <<E dai! Guarda quanto sono lunghi! Mi danno fastidio!>>
Mi alzai dalla poltrona e mi sgranchii le gambe. Allentai il nodo della cravatta della divisa, che mi stava iniziando a soffocare. <<Chiedi a tua madre di portarti da un parrucchiere>>
<<Gliel'ho già chiesto ma dice che costa troppo e me li taglierà lei>> si lamentò. Prima che potessi intervenire, continuò: <<Ma sono due settimane che mi dice che me li taglierà domani e alla fine non lo fa mai perché sta sempre a lavoro>>
La sua affermazione mi lasciò senza parole. Non sapevo che rispondergli. Io non avevo mai avuto quei problemi, il barbiere non era mai stata considerata una spesa fuori dal nostro budget. Capivo il fatto dei genitori sempre a lavoro, ma io avevo diciassette anni, lui sei e aveva solo la madre.
Rimasi in silenzio abbastanza a lungo da fargli comparire una luce di speranza negli occhi. Lasciai uscire l'aria dai polmoni e incurvai le spalle, chiudendo gli occhi. <<Dove tenete le forbici?>>
Derek saltò immediatamente in piedi, gridando di gioia, e non riuscii a non sorridere. Sentivo una stretta allo stomaco. Mi guardai attorno per la casa e notai per la prima volta tutti quei dettagli a cui non avevo fatto caso nelle scorse settimane: la pittura sui muri era rovinata, i mobili sembravano essere gli stessi da un tempo illimitato, non c'erano decorazioni se non un paio di quadri dipinti a mano probabilmente da loro. Hackney non era un quartiere ricco e avevo subito notato che la grandezza di quella casa equivaleva più o meno a quella del nostro salone unito a una parte della cucina, ma non avevo mai pensato che potessero avere problemi economici al punto tale da non potersi andare a fare un taglio di capelli. Che fosse quello il motivo per cui Elizabeth inizialmente era così contraria all'idea di un babysitter per il fratello? Mi considerava uno spreco di soldi?
Battei le mani una volta nel tentativo di rallegrarmi e andai in cucina. <<Okay soldato, abbiamo bisogno di un paio di forbici e una scodella grande quanto la tua capoccia>>
Alla vista del terrore e rimorso negli occhi di Derek, scoppiai a ridere. <<Sto scherzando, mi servono solo le forbici>>
Non avevo mai tagliato i capelli a qualcuno, tantomeno a un bambino che non riusciva a stare fermo sulla sedia, il che si rivelò essere un'impresa non da poco. Per scegliere se tagliarglieli da bagnati o da asciutti avevo lanciato una monetina: bagnati.
<<Non mi fare pelato però>> ripeté per la settima volta da quando avevo iniziato l'opera con mano tremante.
Mi finsi spaventato. <<Come? Non avevi detto che volevi una rasatura?>>
Derek alzò gli occhi al cielo, dandomi dello scemo con una risata, ma si portò lo stesso una mano dietro alla nuca per controllare che stessi effettivamente scherzando.
Mi sorpresi a sorridere tra me e me. Adoravo Camille, ma spesso mi chiedevo come sarebbe stato avere anche un fratellino maschio e con Derek mi sembrava sempre per qualche ora di averlo.
<<Un giorno mi insegni a giocare a calcio?>> chiese a un certo punto interrompendo il silenzio che si era creato per la mia concentrazione.
<<Vuoi che ti insegni a giocare a calcio?>> domandai nonostante avessi sentito perfettamente.
Annuì, facendomi trasalire a causa delle forbici estremamente vicine al suo orecchio sinistro. Se fosse stato possibile avrei preferito evitare di trasformarlo in Van Gogh.
<<D'accordo>> acconsentii.
Una quindicina di minuti dopo, una volta riasciugati i capelli, tirai un sospiro di sollievo nel notare che tutto sommato avevo fatto un buon lavoro. I boccoli di Derek aiutavano a nascondere le ciocche leggermente storte. Il bambino si guardò allo specchio giusto il tempo necessario per constatare che fossero più corti di svariati centimetri, dopodichè si dichiarò soddisfatto.
Io e Derek passammo il resto del pomeriggio a costruire una fortezza in camera sua con i cuscini e le lenzuola, cosa che più tardi mi avrebbe costretto a rifargli il letto. Elizabeth arrivò a casa a metà dell'opera e io andai ad avvertirla che la madre aveva degli impegni e io sarei rimasto anche a cena. Quando il fratello mi richiamò in camera per finire il gioco, lei si offrì di cucinare.
<<La cena è pronta!>> gridò dopo una quindicina di minuti. La raggiungemmo in cucina e trovammo il bancone di marmo già apparecchiato.
Lanciai un'occhiata alla ragazza e notai che era di buon umore. Le sue labbra erano costantemente incrinate leggermente verso l'alto e lo sguardo vagava tra i pensieri.
Quando ci sedemmo e iniziammo a mangiare, il suo cellulare si illuminò, rivelando l'arrivo di un messaggio da parte di Jason. Supposi che Jake non aveva seguito il mio consiglio.
<<Che vuole quell'idiota?>> chiesi ingoiando una forchettata di insalata.
Lei mi guardò con rimprovero e fece un cenno verso Derek.
<<Volevo dire...>> mi corressi. <<Che vuole quel birichino?>>
Lizzy non riuscì a non ridere, inducendo l'acqua che stava bevendo ad andarle di traverso. Iniziò a tossicchiare e pure le mie labbra si inarcarono verso l'alto, mentre la osservavo divertito.
<<Non vuole niente>> disse con voce roca una volta che ebbe ripreso aria. <<Mi ha scritto tanto per.>>
Certo, tanto per.
<<Complimenti Elizabeth>> cambiai argomento con tono professionale, sarcasticamente. <<La cena è ottima>>
Notai il suo sorriso espandersi mentre mi rispondeva con lo stesso tono. <<Le mando i miei più cari ringraziamenti, signore, nonostante la difficoltà e lo sforzo sovraumano richiesto, devo ammettere che non è venuto affatto male>>
Mantenemmo il contatto visivo per qualche istante, prima di rimetterci a ridere.
<<Voi siete strani>> commentò Derek osservandoci.
Mi portai un pezzo di bacon alla bocca e mangiammo in silenzio per un paio di minuti. Quando suonò il campanello vidi Elizabeth guardare confusa l'orologio e poi incrociare il mio sguardo. Che Katy fosse già tornata? Improbabile. Forse si trattava del postino? La ragazza davanti a me si alzò e andò ad aprire.
Sia io che Derek tendemmo le orecchie per provare a capire di chi si trattasse ma non sentimmo nulla. Rimanemmo fermi per una decina di secondi ma poi, continuando a non sentire nessuno parlare, ci alzammo lanciandoci uno sguardo confuso e andando a vedere chi fosse alla porta.
Quando uscii dalla cucina vidi che sulla soglia della casa c'era un uomo di mezza età. Non riuscivo a vederlo bene perché la figura di Elizabeth lo copriva.
<<Derek vai in camera tua>> disse la ragazza con voce tremante, senza voltarsi.
<<Chi è?>> domandò curioso il fratellino, guardando con curiosità l'uomo dagli occhi celesti che si trovava a qualche metro di distanza.
<<Vai in camera tua!>> esclamò di nuovo lei. Notai che la sua mano destra era stretta attorno al legno della porta, talmente tanto da far diventare bianche le nocche.
<<Vai a finire la fortezza>> sussurrai chinandomi verso Derek prima che potesse ribattere. <<Io ti raggiungo subito>>
Il bambino mi guardò esitante per qualche secondo ma la prospettiva del gioco lo divertiva di più dell'uomo anonimo alla porta, perciò seguì gli ordini e andò in camera. Rimasi a guardarlo fino a quando non scomparve dalla mia vista, dopodiché mi voltai verso la sorella e il nuovo arrivato.
Li raggiunsi in pochi passi e feci scivolare delicatamente la mia mano in quella con cui Elizabeth non si stava tenendo alla porta. Lei non voltò neanche la testa per guardarmi, ma vidi i suoi occhi diventare lucidi. Non tolsi la mano dalla sua quando la strinse con la stessa intensità con cui stava attanagliando il legno, causando un arresto della mia circolazione sanguigna.
Chi era quell'uomo e perché aveva quell'effetto su di lei?
<<Lizzy io...>> iniziò lui.
Sentii le ginocchia cedermi. Lizzy. C'era solo un'altra persona che la chiamava in quel modo e io fino a quel momento ero stato convinto che fosse morta. L'uomo davanti a me era il signor Jonson.
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