Capitolo 52. -J
Abbasso il braccio, allontanando il telefono dall'orecchio. In piedi davanti alla finestra del salotto, guardo fuori mentre la vita notturna della città scorre inconsapevole.
Le luci delle case, molte, sono spente. Mentre quelle dei lampioni brillano ancora, così come i fari delle macchine.
E non riesco a pensare ad altro. Guardo fuori e osservo quello che vedo. Nella mia testa solo vuoto.
Sì, vuoto. Lo stesso nel quale sono precipitato. La mia corda si è spezzata. E sono caduto nel vuoto.
C'è così tanto silenzio che sento le orecchie ronzare. Solo qualche clacson ogni tanto, la musica alta proveniente da una macchina che corre in strada, qualche serranda che si abbassa, qualche grida di ragazzi che si divertono.
È letteralmente, tutto quello che sento.
Ma almeno sono lucido. Lucido abbastanza da portare il telefono sotto gli occhi e chiamare una persona che non avevo mai chiamato prima.Dopo alcuni squilli, la telefonata si apre con un: "Pronto?".
"Sì, ciao, Leonard" rispondo in modo educato, costringendomi ad usare un tono di voce tranquillo e sereno. "Sono James".
"Oh porca vacca".
"Scusa se ti disturbo ad un'ora così tarda e scusami se ti fa strano che io abbia il tuo numero. Me l'ha dato...", mi fermo per schiarirmi velocemente la voce, "Mel".
"Oh, sì, immaginavo. Non scusarti, dimmi pure. È successo qualcosa?"mi chiede, con un tono preoccupato nella sua voce.
"Sì"ammetto. "Io e Mel ci siamo lasciati. Appena cinque minuti fa". L'ho detto, ma è come se non fossi stato veramente io a farlo. Chi parla adesso è come una proiezione di James, non il vero James. È come se avessi staccato la spina. È come se avessi messo la guida automatica. Sono vivo, ma non del tutto.
"Oh cazzo... No... Non può essere... P-perché?" balbetta, in tono isterico.
"Se vorrà, te lo spiegherà lei. Ma adesso ho bisogno che tu mi faccia un favore. Penso che stia ad una festa... non so dove ma immagino che lei stia da sola e stia soffrendo. Quindi, per favore, se tu sai dov'è valla a prendere e sta' con lei. Consolala, stalle vicino. Ha bisogno di qualcuno che le stia vicino".
"Tu la ami ancora" mormora. E non è una domanda. L'avrà capito dalle mie parole e dal mio tono di voce. Che non so quale sia, a malapena mi sento.
"E non smetterò mai" affermo. Ne sono sicuro. Non so come... di solito non si può essere sicuri su una cosa del genere. Non è una certezza, l'amore. Anzi, è tutto il contrario. Eppure, per una volta, il mio cuore e il mio cervello concordano in qualcosa.
Dopo alcuni secondi di silenzio, sento di nuovo la sua voce. Ferma. "Grazie per avermi chiamato, James. Vado subito a prenderla".
"Bene"dico, sollevato. "Sei un buon amico per lei, Leonard. Sono felice che abbia te".
"Grazie...immagino" risponde, confuso.
"Ciao, Leonard".
"Ciao".
Riattacca, e per la seconda volta abbasso il braccio e allontano il telefono dall'orecchio.
Fuori,una goccia di pioggia si schianta sul vetro e scivola verso il basso. La seguo con lo sguardo.
E rimango lì, a guardare la pioggia che cade e la vita che scorre.
Un bip acuto mi sveglia dalla trance in cui ero caduto. Per la millesima volta. Scuoto la testa per ritornare con i piedi per terra e sposto lo sguardo in direzione del rumore.
Il microonde ha finito di cucinarmi la cena.
Grazie, microonde.
Apro lo sportello e tiro fuori la mia porzione di noodles. Se c'è stato un periodo in cui ho mangiato peggio di come ho mangiato nell'ultimo mese e mezzo proprio non me lo ricordo. Ma non ho voglia di cucinare,ovvero di tirare fuori pentole e padelle e di mangiare come una persona normale. A dire il vero, non ho nemmeno tutta questa fame.Mangio perché altrimenti morirei, non per appetito.
In più, sono raffreddato, il che non mi permette neanche di sentire il sapore di quello che mangio. A Parigi nevica di brutto, ed è forse una delle poche cose belle che sono successe ultimamente.
Ok, no. Sono successe un sacco di cose belle. Ho finalmente messo da parte un bel gruzzoletto di soldi, che mi garantiscono un tetto sopra la testa per almeno sei mesi. Ed è una bella garanzia. Andare a vivere da solo porta tante cose belle, tra cui l'indipendenza prima di tutto, ma anche tante responsabilità. Tipo le bollette, le tasse e l'affitto da pagare. Le tre cose che mi mettono più ansia in assoluto. Dio, mi sento adulto e vecchio adesso.
Inoltre, sto facendo un stage lavorativo con un fotografo. Finalmente. Non posso dire di fare chissà che, ma già entrare nell'ambiente, vedere come funziona, partecipare agli eventi... è tutto fantastico.
Lui è francese, ma per fortuna mi sono potuto permettere di frequentare, in mezzo a tutte le altre cose che faccio, un corso di francese. Per adesso so a malapena i numeri -perché, insomma, i numeri in francese sono qualcosa di impossibile; perché novanta lo dicono "quattro volte venti più dieci"? Non era più semplice dire novanta e basta?!- ma tra i gesti e le espressioni facciali comunico abbastanza facilmente. E quando il mio francese scade, quindi spesso, ricorro all'inglese.
Mi sforzo però ogni giorno per imparare meglio la lingua di questa città. I doppiatori francesi fanno veramente pena, ma tutte le serie che mi vedo su Netflix, le guardo in francese con i sottotitoli. O a volte in inglese con i sottotitoli in francese. Insomma, ci sto lavorando. Anche se non riuscirò mai a pronunciare una vera "r"francese.
Mi siedo sul divano e accendo il computer mentre mescolo il contenuto dei noodles.
Dopo domani è Natale.
Il primo che passerò senza la mia famiglia.
Guardo di sfuggita l'albero alto poco più di un metro posizionato vicino alla finestra. È l'albero di Natale più triste che io abbia mai avuto. Ma almeno è qualcosa. Purtroppo,se avessi scelto di tornare a casa per Natale, adesso non avrei più quei sei mesi di affitto pagato assicurati. Perciò, per quanto sia triste, mi rassegnerò a passare il Natale con Priya mentre ci guardiamo il solito film natalizio, mangiando della pizza.
Piccoli sacrifici per un bene superiore, no?
Sospiro, scuotendo la testa e decido di smettere di pensare a certe cose. Faccio per aprire Netflix, ma suonano al campanello.
"Priya?"grido, guardando in direzione delle camere. "Aspettavi qualcuno?".
"No"risponde lei, dalla sua stanza.
Una piccola parte dell'anticamera del mio cervello spera che possa essere lei. Ma probabilmente è solo il vicino di casa, o qualcuno la cui importanza è del tutto irrilevante. Che sia lei, è statisticamente impossibile. Smetto di pensarci, è troppo triste.
Mi dirigo verso la porta e la spalanco, per rimanere a bocca aperta."Mamma!" esclamo, sorridendo genuinamente. "Sarah!"aggiungo, abbassando lo sguardo.
"Ciao, fratellone!" esclama la piccolina, saltandomi al collo. La prendo in braccio, mentre da dietro la sua spalla guardo mia madre con aria confusa.
Lei ride sotto i baffi e si stringe nelle spalle. "Sorpresa!".
"Siete incredibili" rido, mentre le faccio entrare in casa.
"Mica pensavi di restare solo a Natale, vero?" esclama Sarah, saltando giù. "Siamo venute a festeggiarlo qui con te!".
"Davvero?"domando sorpreso e felice, spostando lo sguardo su mia madre.
"Me l'ha proposto lei" ridacchia, indicando mia sorella con un cenno del capo, "e io ho pensato: perché no? So che ti avrebbe fatto piacere passare il Natale con la tua famiglia".
"Mi fa molto piacere!" esclamo, ridendo leggermente. "Davvero non me l'aspettavo".
"Posso fare un giro per la casa?"mi chiede Sarah, cominciando a saltellare sul posto. "Ti prego, ti prego, ti prego!".
"Sì, certo, va' pure in esplorazione. Ma non disturbare Priya" la ammonisco. Non vorrei nemmeno che si incontrassero, in realtà. Sarebbe lo scontro tra due titani, considerando il comportamento infantile di Priya.
"Chi è Priya?" mi chiede, inclinando la testa da una parte.
"Lei..." inizio, ma la diretta interessata entra in salotto presentandosi con il suo pigiama più... esagerato di tutti. È una tuta da gatto, con tanto di coda e orecchie.
"Eccomi! Qualcuno ha detto il mio nome?" esclama, entrando in salotto con un sorriso.
Sarah esala un respiro, mentre ammira il pigiama ridicolo della mia coinquilina. "Adoro quella tuta!" esclama, indicandola."Dove l'hai presa?".
Ecco, appunto.
"Cosa ha detto?" mi chiede Priya, mentre Sarah la idolatra con lo sguardo.
Sospiro,chiedendomi se dovrò passare il resto delle feste natalizie a tradurre in francese. "Ti chiede dove hai preso quella tuta" le comunico.
"Oh, che carina" commenta, sorridendo a mia sorella. Poi torna con lo sguardo su di me. "Dille che non posso dirlo perché è un segreto professionale. In realtà non me lo ricordo, ma questo non dirglielo"aggiunge, ridendo appena.
Riferisco il messaggio a mia sorella e lei mette il broncio. "Oh no... Mi piaceva così tanto...".
"Oh, non rimanerci male..." piagnucola Priya, sinceramente addolorata davanti all'espressione da cucciolo ferito di Sarah. "Dille che gliene regalerò una per Natale!" esclama poi, guardandomi.
"Cosa? Sei seria?" le chiedo, alzando un sopracciglio.
"Certo che sì!" insiste, sorridendo raggiante.
"Priya, non si illudono i bambini. Soprattutto non mia sorella" la ammonisco, incrociando le braccia al petto.
"Non la voglio illudere! E poi io mantengo sempre le mie promesse" aggiunge, alzando il mento con fierezza.
"D'accordo..." sospiro e comunico alla piccoletta le intenzioni della mia coinquilina.
"Davvero?"esclama Sarah, così forte che il timpano comincia a pulsarmi.
"Sì!"esclama lei. Poi insieme si prendono per mano e cominciando a girare intorno mentre saltellano. Penso che da adesso in poi non avranno più bisogno di un traduttore.
Le guardo mentre urlano come pazze e resisto solo qualche secondo, poi scoppio a ridere. Mia madre si unisce a me e io le circondo le spalle con un braccio.
"Grazie per essere venuta fin qui" le dico, sicuro del fatto che le altre due non mi sentano minimamente.
"Non ringraziarmi. Sono sempre tua madre" ride, accarezzandomi la schiena. "A proposito... Da quant'è che non mangi un pasto decente?" mi chiede poi, rimproverandomi.
Scoppio a ridere. "Hai colto proprio nel segno" le rispondo.
Lei scuote la testa con un sospiro, e io rido ancora di fronte alla sua resa di fronte alla mia pigrizia. "Andiamo a fare un po' di spesa.Sarah ha trovato una babysitter perfetta" aggiunge, indicandole con un cenno del capo.
Annuisco e mi dirigo verso l'attaccapanni per prendere il giubbotto. "Ragazze, noi usciamo" annuncio, ma nessuna delle due mi sente. Scrollo le spalle ed esco di casa seguito da mia madre, finalmente con un sorriso stampato in faccia.
-
Prima di andare diretti al supermercato a fare la spesa, io e mia madre abbiamo fatto un giro per il quartiere. Non è male, si sta bene. Certo, non è molto turistico e non ci sono chissà quali musei o cattedrali, ma è un sobborgo dove ci vive gente normale. E tutto sommato non è nemmeno così lontano dal centro.
Ho fatto vedere a mia madre il bar dove lavoro tutti i giorni, l'ho presentata ai miei colleghi e tutti l'hanno salutata con calore ed educazione. Infatti, hanno fatto una buona impressione su di lei. Ha incontrato persino il mio capo. È stato un incontro esilarante, naturalmente. Per la prima volta, ho visto mia madre imbarazzata e impacciata.
Dopodiché siamo andati al mercato coperto, dove mia madre ha comprato un bel po' di verdure. Quelle cose, quasi sempre verdi, che non mangio da mesi. Infine, ci siamo diretti al supermercato e anche lì mia madre ha abbondato, tanto da riempire tutto il carrello. In più, ha insistito per pagare tutto lei. Dopo una discussione animata davanti al cassiere che spostava lo sguardo da me a mia madre annoiato, ha vinto lei. D'altronde è quasi impossibile vincere contro mia madre.
Tornati a casa, dopo un'ora buona, aiuto mia madre a cucinare. È il minimo che io possa fare, dopo tutto quello che lei ha fatto per me.
Ceniamo tutti insieme in salotto, come unico tavolo quello piccolo in mezzo al divano e come sedie il divano stesso. Mia madre e mia sorella non sembrano lamentarsi, anzi ridono e scherzano felici insieme a Priya. Lei è la vera attrazione di questa serata. Come può non esserlo? È divertente e solare, farebbe parlare anche un muto. Ovviamente io vengo interpellato solo per tradurre; quando ho finito la frase, lo sguardo di Priya torna subito su mia madre e mia sorella, senza perdere tempo a rispondere.
Ma mi diverto, ad ascoltarle parlaree a vederle ridere. Mi fa sorridere il cuore ed è una sensazione chemi fa bene.
Devo solo circondarmi di gente così, forse, per guarire. Gente come mia sorella. Gente come Priya... Gente come Cameron, penso ridendo. Hanno un modo tutto loro di prendere la vita, ma vedono in essa positività e speranza. Una vita tutta a colori. Certo, sono anche quei tipi di persone che credono che Babbo Natale esista e che gli unicorni vivano in un mondo fatto di caramelle e arcobaleni,eppure con questo loro sistema riescono a vivere più serenamente...o almeno così sembra.
Magari stando vicino a loro, riuscirò acolorare la vita di arcobaleni anch'io.
Mia sorella sbadiglia e mi riporta alla realtà. "Sei stanca?" le chiedo, accarezzandole i capelli. Lei mugugna qualcosa e annuisce. Sorrido di tenerezza. Dev'essere stato molto stancante, per lei, il viaggio. Non ha mai preso un aereo prima di oggi e non ha mai fatto un tragitto così lungo. E dire che è stata arzilla per tutto questo tempo!
"Vieni, ti porto a letto" le mormoro, e faccio per prenderla in braccio.Lei si alza in piedi sul divano e allaccia le braccia al mio collo, e le gambe al mio busto.
"Sono un koala!" esclama, poggiando la testa sulla mia spalla.
"Sì..."rispondo, ridendo appena. "Sei un piccolo koala dormiglione"aggiungo, distratto. Inutile dire che solo un'altra persona mi abbracciava in questo modo. Ed ora è a mille e quattrocento ventuno chilometri lontana da me.
Mi assento, mentre cammino verso la mia camera e adagio con delicatezza Sarah sul mio letto. Mentre le rimbocco le coperte la mia mente miproietta immagini di ricordi dolorosi. Stringo le labbra e cerco dinon piangere. Almeno non davanti a Sarah. "Buonanotte" le sussurro.
"Notte, fratellone" strascica lei, quasi totalmente nel mondo dei sogni.
Esco dalla mia camera e chiudo silenziosamente la porta dietro di me. Torno in salotto ed è la voce di Priya a farmi tornare con i piedi per terra.
"Tua sorella è adorabile!" esclama, sorridendomi. "E ti somiglia un sacco, sai? Fisicamente, intendo. Di carattere lei è così solare e divertente!" fa, scoppiando a ridere. "Tu invece sei un tale musone".
"Grazie, Priya" le rispondo, ridendo appena.
"Oh, non c'è di che. Vado in camera mia a cercare di studiare. Augurami buona fortuna".
"Dopo quello che mi hai detto? Col cavolo!" esclamo, guardandola accigliato.
"Oh, come sei permaloso!" sbuffa lei. Mi da le spalle e mi fa ridere. "Buonanotte!".
Scuoto la testa per poi spostare lo sguardo in cucina. Mia madre sta lavando i piatti. "Mamma!" esclamo. "Sta' ferma, li lavo io" le dico, andando verso di lei e cercando di farla smettere.
"No, tesoro, non preoccuparti; lo faccio con piacere" mi rassicura lei, dimenandosi delicatamente.
"Ma sarai stanca per il viaggio" protesto.
"Io non sono mai stanca!" esclama, ridendo. La seguo, scuotendo la testa.
"Almeno lascia che li asciughi".
"D'accordo" acconsente, regalandomi una piccola vittoria.
Passiamo parecchi minuti dopo in silenzio, forse entrambi troppo stanchi per parlare. Poi, è lei a rompere il silenzio. "Allora, come va?".
Sospiro.
"Mm, non è un buon segno" asserisce, preoccupata.
"Io e Mel ci siamo lasciati".
"Lo so".
"Lo sai?" domando, sorpreso, voltando la testa verso di lei. "E come?".
"Te l'ho letto negli occhi. Quella tua espressione da cucciolo ferito mi ha detto tutto" mi dice, guardandomi con tenerezza.
"Cazzo" impreco. "Pensavo che non si notasse".
"Non a caso si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima" mi ricorda, cantilenando. "E non dire parolacce" aggiunge poi, più seria.
"Scusa" ridacchio.
"Mi vuoi dire solo questo? Non mi vuoi spiegare come è successo?" mi domanda, con gentilezza.
Sospiro, concentrandomi sul piatto che ho tra le mani. "Non ha importanza come. D'altronde doveva succedere prima o poi. Le cose belle mica durano per sempre".
"Questo non è vero" sentenzia mia madre, dandomi una gomitata giocosa."Non fare di tutta l'erba un fascio".
"Ma è vero, invece. E poi... Eravamo troppo diversi" aggiungo, con un sospiro.
"Nemmeno questo è vero. C'è intesa fra voi. Non c'è bisogno che parliate per dirvi come vi sentite o che cosa provate. Lo sentite sulla pelle. È una cosa molto rara".
Il mio cuore si stringe in una morsa dolorosa, quando il mio cervello riconosce la verità di queste parole. "Lo so... Diciamo solo che vogliamo cose diverse. Io la vorrei qui, ma lei non può e... abbiamo deciso di intraprendere due strade troppo diverse e lei sta male perché sente la mia mancanza e io... io non voglio che lei soffra a causa mia" concludo, riprendendo fiato. Non so nemmeno se quello che ho detto ha un senso.
"Se non vuoi che stia male a causa tua, allora non dovreste lasciarvi" mi fa notare lei.
"È più complicato di così, mamma" sbuffo.
"Oh, beh, la vita è complicata. E vuoi sapere una cosa? Non ti regala niente. Se vuoi qualcosa, devi prendertela. E devi avere coraggio, per prenderla. Perché se hai paura, allora non l'avrai mai".
Smetto di asciugare la pentola dove mia madre ha cotto la pasta e mi volto verso di lei. La osservo, mentre insapona una manciata di posate, con nemmeno una ruga sulla fronte. Ha appena detto quelle cose come se stesse parlando del tempo. Le ha dette con una tale naturalezza e noncuranza che mi sorprende. Si accorge del mio sguardo su di lei e si volta.
"Oh, non fare quella faccia" ridacchia. "Ho capito che hai paura di lasciarti andare. Di rischiare. È normale. Ce l'abbiamo tutti".
"Sì, ho paura" ammetto. "Ma perché potrei perdere troppe cose. È da tutta la vita che aspetto di fare quello che sto facendo adesso. È da tutta la vita che studio, lavoro per mettermi i soldi da parte, è da tutta la vita che aspetto questo momento. E se... se decidessi di mandare all'aria tutto per lei..." mi fermo e ci penso. "Sarei felice, sì. Certo che lo sarei. Ma non del tutto. Mancherebbe una parte di me. Mancherei io. Io amo Melanie, ma amo anche fare le foto. Non riuscirei a vivere la mia vita sapendo di aver buttato anni e anni di fatiche".
"E riuscirai invece a vivere la tua vita sapendo di aver rinunciato a lei? Di averla persa, forse, per sempre?" mi domanda, smettendo per un momento di lavare i piatti.
La morsa al cuore si fa più dolorosa. "No" ammetto, mentre sento le lacrime che minacciano di uscire. Le ricaccio indietro con forza. Sospiro rumorosamente, con lo sguardo di mia madre su di me. "Cosa devo fare, mamma?" le chiedo, senza guardarla.
"Fai quello che ti sembra giusto, caro. Quello che ti sembra giusto adesso, perché tra vent'anni ti pentirai in ogni caso".
"Grazie tante" ridacchio, voltandomi per vedere la sua espressione divertita.
"Sono sincera" si giustifica. Poi sospira e mi guarda piegando la testa di lato. "Sei felice?".
"Adesso? Non proprio".
"No, intendo se sei felice di essere venuto qui. Di vivere qui".
"Sì"rispondo, dopo un secondo di riflessione. "Sì, mi sento felice, qui".
"E senti che è la cosa giusta?".
"Sì. Mi fa male ammetterlo, ma sento che è la cosa giusta" mormoro.
"Allora sai già che cosa fare" mi fa notare, stringendosi nelle spalle. "Se è questo che ti fa sentire felice e realizzato, allora non perdere troppo tempo a pensare a come sarebbe potuta andare se avessi deciso diversamente. Ormai quel che fatto è fatto. E, James..."aggiunge, smorzando una risata. "Se capisci che questa non è la strada giusta per te, fai sempre in tempo a tornare a casa. Non è una decisione definitiva".
Annuisco, allungando le labbra in una linea dritta. "Sì, lo so". Ma lei potrebbe non volermi più, penso ma non lo dico. Se tra qualche anno dovessi veramente tornare, dopo aver scoperto che questa non è la via giusta, lei potrebbe essersi fatta una vita tutta sua. Con un altro a fianco, con un lavoro. Sicuramente non tornerebbe tra le mie braccia così, all'improvviso.
Ma ci siamo fatti una promessa.
Mi guardo i piedi, chiedendomi se la manterremo. Io la manterrò, questo è certo.
E lei?
Una settimana fa avrei risposto di sì senza pensarci due volte, ma adesso la mia sicurezza al riguardo vacilla. Senza la mia corda non ho più alcun tipo di sicurezza.
"Vado a dormire, caro, la stanchezza comincia a farsi sentire" mi dice mia madre, riportandomi alla realtà.
"Sì, vai, mamma. Puoi dormire nel mio letto con Sarah. È a una piazza e mezza, dovreste stare comode" le propongo, sforzandomi di sorridere.
"E tu dove dormi?" mi chiede, corrucciata.
"Sul divano. Non sarebbe la prima volta" rispondo con ovvietà.
"Non sarebbe la prima volta?" esclama, spalancando la bocca. "Ma...cosa ti ho insegnato... in tutti... questi... anni?" domanda, dandomi uno schiaffo sulla spalla ad ogni parola. "Non mi sembra che io ti abbia educato per diventare un bradipo!".
Scoppio a ridere, prendendole le mani così che smetta di menarmi. "Scusa, ti prometto che appena ve ne sarete andate, dormirò ogni notte nel mio letto".
"Farai meglio!" mi rimprovera. Poi la sua espressione si addolcisce. Mi stampa un piccolo bacio sulla guancia, per poi guardarmi con intesa ed avviarsi verso camera mia.
La guardo camminare e sorrido, felice che lei sia qui. Non ho mai parlato con mia madre di cose del genere. Non ho mai parlato di cose del genere con nessuno, a dirla tutta. Però farlo con lei mi ha aiutato molto. Ho le idee un po' più chiare, adesso.
Ho scelto me. Forse ho sbagliato e forse me ne pentirò amaramente –cosa che succederà al cento per cento-.
Insomma, io sono la persona con cui dovrò convivere per tutta la vita; tanto vale che mi prenda cura di me. E poi, anche lei ha scelto sé stessa. Ha scelto di seguire il suo sogno, così come io ho scelto di seguire il mio. Non devo avere rimpianti perché, silenziosamente, abbiamo preso questa decisione insieme.
E non è detto che debba essere la fine.
Perché quando la rivedrò, tra mesi o anni, l'amerò ancora.
---
Chi pubblica capitoli il primo dell'anno, pubblica capitoli tutto l'anno!
Spero che sarà davvero così! :3
In più, mi auguro veramente che questo capitolo vi piaccia!
BUON ANNO A TUTTE! ^^
Mars.
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