Capitolo 33. -M.
Quando mi sveglio è notte, ormai. Apro gli occhi, sobbalzando e guardandomi intorno. Spiaccico di nuovo la faccia sul cuscino, lamentandomi del fatto che James non ci sia più. Solo lui riesce a fermare l'ansia che brucia il mio stomaco ogni minuto da un mese. Sospiro pesantemente, desiderando di vederlo entrare in camera con due cornetti enormi alla Nutella e un bel sorriso stampato in faccia. Mi basterebbe anche solo lui.
Ok, no. Mi basterebbero i cornetti.
Sospiro una seconda volta, alzandomi dal letto e stropicciandomi gli occhi. La porta si apre, non è James, ma mia madre.
"Tesoruccio" mi dice, entrando con un vassoio. "Questa è la cena... Devi mangiare, vedrai che poi riuscirai a fare qualsiasi cosa". Lo poggia sulla scrivania e poi viene ad accarezzarmi una guancia, lasciandoci un bacio.
"Mamma" la chiamo, come se fossi tornata indietro di quindici anni.
"Sì, amore dimmi".
"Mi abbracci?".
"Oh, certo che sì". Si siede di fianco a me e mi circonda con le sue braccia magre, stringendomi a lei. "Andrà tutto a gonfie vele, vedrai".
Annuisco, cercando di convincermi di quelle parole. Il fatto è che ho bisogno di contatto umano più del solito, non è perché mi sento sola, ma perché ho così paura che non posso restare sola. Ho bisogno di persone che mi abbraccino e mi dicano che va tutto bene, che tra un po' finirà e che dopo c'è solo il mare ad attendermi. Mamma e James sono perfetti.
Dopo un po' la saluto, e lei mi lascia da sola in camera. Mi siedo sulla sedia della scrivania, aprendo il libro che avevo chiuso dalla disperazione. Ci trovo in mezzo una matita e una scritta in alto in una pagina.
"Mi raccomando riposati. E mangia tanta Nutella. Vedrai che andrà tutto bene. Quando sarà tutto finito, ti prometto che recupereremo i giorni perduti ;) baci J".
Sorrido a quelle parole, per poi cancellarle. Non vedo l'ora di godermi le vacanze con lui.
-
Passate due settimane, la mia ansia non è diminuita, se non aumentata, ma almeno so che manca ancora meno alla fine. Così mi costringo ad arrivare con un sorriso sulle labbra a scuola, con un mega dizionario sotto il braccio, e una scorta di cibo nello zaino che piuttosto i ristoranti hanno i frigoriferi vuoti.
Mi avvicino a Leo e Agatha. Sorrido. "Vi vedo bene".
"Io sono abbastanza sicura" mi risponde Agatha annuendo.
"Io spero esca qualcosa sul sociale che possa interessarmi. Altrimenti oggi dovrò studiare, per la seconda prova".
"Leo!" lo rimprovero. "Non hai toccato libro?".
"Ho ascoltato Agatha ripetere".
"Beato te" dico, con sincera invidia. "Magari potessi avere anche io una persona che mi ripete tutti i programmi".
"Sono un essere umano, comunque" mi risponde Agatha, acida. "Ho dei sentimenti".
"Dal modo in cui ti comporti e ti vesti, si direbbe proprio il contrario" commenta il fratello, con lo stesso tono. Quando chiamano la nostra classe sobbalziamo tutti e tre, per poi entrare, scambiandoci occhiate ansiose.
Dal mio tema penso sia uscito qualcosa di decente e me ne vado via tranquilla. Agatha pensa di essere andata bene, cosa molto probabilmente vera, e Leo alza le spalle dicendo che la sufficienza l'ha presa. Leo non è proprio tipo da aprire libro.
In seconda prova esce inglese. Sospiro di sollievo. È quella in cui vado meglio, tra le lingue. Anzi, l'unica. Per un indirizzo linguistico sono fin troppo legata alla mia, di lingua.
Scrivo un tema decente, rispondendo a tutte le domande. Vedo Leo passare il compito ad Agatha che lo corregge al volo, attenta agli sguardi dei prof. Glielo ripassa, mormorandogli un "fai schifo". Sorrido, concedendomi una pausa da tutto quello scrivere.
In terza prova sono più ansiosa di quanto potessi pensare. Se mi parlano non rispondo e quando entro in corridoio e mi siedo, mi sembra solo un brutto incubo. Ma non lo è. Quando consegnano i fogli sento con tutta me stessa il mio corpo abbandonarmi. Ma poi apro il fascicolo, leggendo velocemente tutte e quattro le domande. Aggrotto le sopracciglia. Le rileggo e le rileggo. Mi guardo intorno per vedere gli altri come reagiscono. Sento Leo imprecare e Agatha già scrive. Ritorno sui miei fogli. Non ci credo. Le so tutte.
Con il cuore in gola comincio a scrivere anche io e un'ora passa molto più in fretta di quanto mi aspettassi. Poi Leo si alza e lo guardo con aria interrogativa. Ferma un nostro professore e si lamenta piano con lui, per non disturbare gli altri. Riesco a sentire che si sente male e che ha bisogno di aria perché non respira.
"Prof, mi serve ossigeno! L'esterno di matematica sa di muffa, non riesco a concentrarmi".
"Leonard, torna al tuo posto per favore". Lo ammonisce lui, guardandolo e comunicando con lo sguardo. Sembra dirgli: "non fare cavolate". È quello che gli vorrei dire anche io.
"Ma prof! Devo andare in bagno!".
Lui scuote la testa. "Non si può uscire durante questa prova, dovevi andarci prima. Prendi un bel respiro e fai il compito. Ce la puoi fare". Sorrido a quelle parole. Ecco a cosa serve avere i propri professori, agli esami.
"Prof, se mi fa andare in bagno, dopo le offro un caffè".
"Leonard".
"O una cena. A casa mia. Mia madre cucina benissimo. Lo sa che fa un pollo fritto spettacolare! Deve provarlo, prima che io esca definitivamente da questo posto".
"Leonard" dice, spingendolo verso la sua sedia. "Siediti e fai la prova".
"E va bene, lo invito lo stesso a casa mia per cena. Guardi che dico sul serio".
Io seguo la scena a bocca aperta. Sta facendo sul serio?
Il prof gira i tacchi, diretto verso la cattedra. Lo sguardo di Leo incontra il mio e con un messaggio quasi telepatico, gli chiedo spiegazioni, scuotendo appena la testa. Lui per risposta mi fa un occhiolino e indica i suoi fogli. Sono tutti scritti a matita. A quel punto Agatha si volta e mi guarda, alzando gli occhi al cielo. Non ci posso credere. "Sei un genio!" gli mimo con la bocca e lui sorride, facendo finta di spostarsi dei capelli immaginari dietro la spalla. Lui comincia a scrivere veloce sul foglio, per recuperare il tempo perduto. Decido di fare lo stesso.
Quattro giorni dopo, il mio orale è alle porte. Ho deciso di cucire la mia tesina. Era già banale di suo, insomma, portare "L'evoluzione della moda" non è molto originale, così ho deciso di fare una linea del tempo cucita sul mio vestito. È venuta piuttosto bene e sono orgogliosa del mio risultato. Per fortuna, ho cominciato a farlo due mesi fa.
Come speravo, rimangono tutti colpiti, non appena entro nell'aula. Cominciano a farmi domande su come l'abbia fatto, quanto tempo io ci abbia messo e i loro commenti entusiasti mi tranquillizzano e mi mettono a mio agio. Espongo la tesina, per poi fare il giro da professore a professore, rispondendo decentemente, ma non in maniera splendida, ad ogni domanda. Quando sento la mia schiena completamente sudata, capisco che è passato molto più tempo di quanto io non creda. Dopo aver visto tutte le prove scritte, stringo la mano ai professori. Esco dall'aula pensando solo ad una cosa: acqua.
Bevo da una bottiglietta che mi passa Agatha, mentre i prof chiudono la porta per decidere il mio voto. Stranamente non mi interessa. Non posso credere di aver finito.
"Sei libera!" esclama Leo, con un sorrisone. "Come ti senti?".
"Non lo so" dico, sinceramente. "Non riesco a credere di aver fatto tutto. È così strano. È stata una mezz'ora intensa!".
"Mezz'ora?" mi fa Agatha, ridendo. "Sei stata dentro un'ora abbondante".
"Cosa? Ma è volata! Come sono andata?" chiedo immediatamente, fissando i gemelli negli occhi, temendo la loro risposta. Soprattutto quella di Agatha.
"Sei stata bravissima". A rispondermi non è nessuno di loro due, che piuttosto mi sorridono, invitandomi a guardare dietro di me. Con orrore mi volto e mi ritrovo James, con il suo metro e ottanta, un sorriso furbo stampato in faccia e un piccolo bouquet di rose.
"Cosa diavolo ci fai qui?!" gli dico, con un sussurro furioso. Non voglio disturbare i prof, è sempre di me che stanno parlando.
"Ti sono venuto a vedere" risponde, con un alzata di spalle, poggiandosi al muro.
"COSA?!" esclamo. "Ti avevo chiesto di non venire!". Il mio tono passa a quello di una bambina che non ha ottenuto quello che vuole. "Perché sei venuto? Uffa, ma io non ti volevo" mi lamento, incrociando le braccia al petto.
Lui ride alla mia reazione e posa le sue labbra sulla mia fronte. "Già solo con questo orale hai preso più di me".
"Esagerato" gli dico, prendendomi di forza le rose, arrabbiata. Hanno un buonissimo profumo. "Andiamo via di qui" dico. "Voglio assaggiare il sapore della libertà".
"Magari dovresti cambiarti, prima" mi ricorda Leo. "Sai, sembri una pazza che ha sbagliato data di Carnevale".
Rido, dirigendomi verso il bagno.
Due giorni più tardi, gli orali dei gemelli vanno alla grande. O meglio. Agatha è semplicemente fenomenale, espone la sua tesina come se stesse parlando del tempo e si rivolge ai professori con una socievolezza che mi sorprende, ma senza mai essere maleducata. Ride e scherza come se si trovasse ad un'intervista e non ad un esame. Ma quello che supera ogni contegno è Leo. I professori passano quarantacinque minuti buoni a ridere. Leo quasi non parla per niente e se parla i prof non lo ascoltano nemmeno. Dopotutto ha la fortuna di essere l'ultimo dell'ultimo giorno. Mi volto verso Agatha che ha ancora le guance rosse per l'agitazione.
"Ha la fortuna che la nostra è una buona commissione".
Lei annuisce. "Già. E pensare che ieri mi ha ripetuto tutto bene, alla fine".
Quando il suo orale finisce, aspetta che le porte si chiudano, per tirare al vento i fogli della tesina, insieme alla bottiglietta d'acqua e allo zaino. Si sdraia per terra mentre io e Agatha lo guardiamo dall'alto, ridendo. "Dio, devo ubriacarmi".
Il giorno dei risultati io, Leo e Agatha, stiamo di fronte scuola, ma sia io che Leo stiamo tranquillissimi, tanto che ridiamo e scherziamo. Agatha invece è rigida come uno stoccafisso.
La prendiamo in giro per quasi dieci minuti, ma lei non da segni di vita. Quando una nostra prof ci sorride dalla finestra, appiccicando un foglio con lo scotch, Agatha prende letteralmente a correre verso di lei per poi spiaccicare la mani sulla finestra e gli occhi sulla lista dei nomi. Si identifica, puntando l'indice e lo fa scorrere fino al lato destro della pagina. Rimane in silenzio.
"Sessanta due?!" dice, incredula.
"COSA?!" gridiamo io e Leo insieme.
Ma poi quella a gridare è lei. "No, questo è quello di Leo!" dice, voltandosi, con un sorriso a 360°. "Io ho preso cento!".
Corro ad abbracciarla, seguita da Leo, e tutti e tre ci mettiamo a saltellare, gridando come pazzi. Per la prima volta in vita mia vedo Agatha piangere di emozione.
"Oddio non ci credo" dice ridendo istericamente, asciugandosi le lacrime. Poi guarda il fratello. "Anche il tuo voto lo devo considerare mio".
Lui ride. "Io sono più che soddisfatto!".
"Mel, ma te quanto hai preso?" mi chiede poi Agatha. Io aggrotto le sopracciglia, dirigendomi verso la finestra. Mi ero completamente scordata di controllare.
"Oh mio Dio!" esclamo, scoppiando a ridere.
"Cosa?".
Mi volto, e per qualche secondo non riesco a parlare, per quanto mi viene da ridere. "Settantasette!".
Leo mi prende in braccio, facendomi girare per poi rimettermi a terra. Non so perché, ma il fatto che il mio voto sia composto da due numeri uguali mi fa morire dalle risate. Tornando a casa lo comunico a James con messaggio.
"Per me sei da cento e lode ;) sei stata grandiosa".
"Fatto sta che ho preso più di te. Voglio un premio :D"
"Già preso, ti aspetta impaziente :)".
Sorrido, mettendomi a saltare per la strada, seguita dagli altri due.
Non è stato semplice, ma la felicità che provo ora vale tutti i giorni passati a studiare.
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