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Capitolo 30. -J

Sono stato un perfetto idiota.
O meglio, sono stato un genio ma ora che mi trovo a suonare il campanello invece che a scrivere un semplice messaggio mi sembra di essere tornato negli anni '90.

La porta si apre e rimango alcuni secondi imbambolato. Ho pensato fin dal primo momento che fosse carina e le varie volte in cui ci siamo incontrati ho pensato persino che fosse bella, ma in questo momento... è perfetta.

"Sai" dico, per rompere il silenzio. "Mi sono dimenticato di chiederti il numero".

Lei sorride, guardandosi per un attimo i piedi. "Non fa niente".

"Temevo di ritrovarmi davanti i tuoi" dico, mentre ci avviamo verso la macchina.

"Oh, meno male che non è successo!" risponde, salendo in macchina insieme a me.

"Perché?".

Lei mi guarda, come se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio. "Non ti ricordi casa mia a Natale?".

"Oh, sì" dico, scoppiando a ridere. "Era la più luminosa della città".

"Beh, ora pensa a quella casa, come una persona, anzi due persone. Quelli sono i miei genitori, e fidati, sei stato fortunato a non incontrarli".

"Ora mi incuriosisci, però".

"Scordatelo" mi risponde, ridendo.

Arriviamo in questo piccolo locale all'aperto, dove una cinquantina di persone sono radunate intorno a un piccolo palco, sopra al quale la band sta suonando. Tiro un sospiro di sollievo: la band c'è, per un momento ho temuto che avessi sbagliato sera. La prendo per mano, portandola in mezzo alla mischia dove lei comincia a tenere il tempo mentre ci diciamo frasi all'orecchio per capirci. Mi dice qualcosa sulla band, che sono bravi. Vorrei ascoltarli anche io ma non ci riesco, sono concentrato sul suo sorriso e non posso fare a meno di guardarla. È possibile non stancarsi mai di guardare una persona?

Dopo qualche canzone ci sediamo, ordiamo dei drink e parliamo di quante più cose ci vengano in mente. Scopro che le piacciono i film e i fumetti Marvel, le mie stesse band e, cosa che mi colpisce di più, spera di vivere a Parigi.

"Parigi?" le chiedo, poggiando i gomiti sul tavolo, per avvicinarmi.

"Sì" risponde lei. "Sai, Parigi è la città della moda...".

"Non era Milano?" dico, facendola ridere.

"Sì, ma Parigi...".

"È Parigi, sì, lo so. E posso confermarlo, ci sono stato" dico, fingendomi di vantarmi.

"Oh, beato te. Non sai quanto ti invidio. Scommetto che c'erano un sacco di ragazze carine" aggiunge, poggiando anche lei i gomiti sul tavolo, tanto in mezzo a noi c'è solo la bottiglia d'acqua. Mi guarda con un sorriso di sfida.

"Sì, un sacco. Tutte bionde, con gli occhi azzurri, alte..." dico, reggendo quel suo piccolo gioco.

"Immagino..." commenta lei, leggermente acida per l'ultimo aggettivo.

"Ma non sono il mio tipo".

"No?" fa lei, alzando un sopracciglio.

"No" dico, sorridendo mentre le ammiro il viso.

Poi leva i gomiti dal tavolo, guardando in basso. La band, dopo l'intervallo, torna sul palco con una nuova serie di canzoni. Ci guardiamo e capiamo subito che entrambi vogliamo tornare a sentirli. O almeno lo vuole lei, io molto meno: sarei stato benissimo ancora lì a parlare con lei, all'infinito.
È quasi mezzanotte quando poi la band canta l'ultima canzone.

"Ti va di fare una passeggiata?" le chiedo. Lei annuisce e usciamo dal locale.

"Mi è piaciuta questa serata" commenta, spensierata.

"Non è mica finita" le ricordo.

"No, intendevo la band, la musica. Il locale anche era molto carino".

"Grazie, lo so che sono bravo a scegliere i posti per gli appuntamenti" dico, fingendomi modesto.

"Appuntamento?" fa lei, guardandomi per un secondo.

"Beh... sì" dico, sentendomi improvvisamente a disagio. "Non lo è, per te?".

Lei si stringe nelle spalle. "Per me sì... non pensavo lo fosse anche per te".

"Te l'ho chiesto io" dico, alleggerendo la tensione. "Quindi sì per me è un appuntamento".

Lei imbarazzata si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Poi noto che mi supera di poco le spalle, mentre prima non ci arrivava nemmeno. "Hey, hai barato" le dico.

"Che?" mi dice, confusa. Poi le indico le scarpe. "Esagerato" mi dice, spingendomi mezzo metro più lontano. Io mi riavvicino automaticamente. "Non sono così alte". Rido e anche lei si mette a ridere. Finiamo tra le bancarelle, le stesse di Natale, ma sta volta dedicate a roba più... musicale. Ho proprio azzeccato la serata "musica".

Giriamo ancora un po' per le bancarelle, fino a quando lei mi fa uno scherzo, sparendo nel nulla e ricomparendo subito dopo dietro di me. Ci prendiamo in giro a vicenda, per poi finire in un viale costeggiato da alberi. Camminiamo e lei si stringe nel cappotto.

"Non posso darti il mio giubbotto perché ho freddo anche io" dico, circondando le sue spalle col braccio. "Mi dispiace, non vivrai mai quel magico momento che aspettano tutte le ragazze".

"Cioè tu che mi cedi il tuo giubbotto? L'avrei rifiutato, non si abbina per niente con i colori che indosso" dice, fingendosi una viziata. Io scoppio a ridere.

Mi sta così vicina che posso sentire il suo profumo. Mi dice qualcosa ma l'unica cosa che vedo sono le sue labbra e tutto il mio corpo è pronto a baciarla, ma sposto lo sguardo, guardando avanti. È presto e non voglio metterla a disagio. E poi lei lo vorrebbe davvero?

"Ehi, tutto ok?" mi chiede, preoccupata.

"Sì" le dico sorridendo leggermente. "Ero soprappensiero".

"A cosa pensavi?".

"Pensavo che questa serata sta finendo veramente. E mi dispiace" le dico, guardandola negli occhi.

"Beh, non è ancora finita del tutto. E poi non pensarci, altrimenti finisce prima".

Rido con leggerezza. "Già, se solo il tempo potesse fermarsi, eh?".

"Sì...".

Poi, un'improvviso dolore al fianco mi costringe a fermarmi.
Panchina.
Maledetta panchina.
Sento Mel che scoppia a ridere.

"Cosa diavolo ridi?! Mi sono fatto un male cane..." dico, sorreggendomi il fianco, ma lei non smette. La guardo, mentre il suo sorriso le illumina il viso e mi ricorda il giorno di Capodanno, sul ghiaccio.

"Scusa" mi dice, tra una risata e l'altra. "Ma non ce la faccio..." e ride, ride ancora. Alla fine cedo anche io, ignorando il dolore al fianco. Lei, ad un tratto, non so neanche fisicamente come abbia fatto, inciampa, finendo dritta tra le mie braccia. Ride, mentre mi fissa, anche se più piano. Non riuscendo ad essere più padrone del mio corpo alla vista di tanta spontaneità, avvicino le mie labbra alle sue, sentendo il suo respiro sul mio viso.

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Cari lettori, come state? Bentornati :3 sappiate che in tutto questo tempo non ho smesso di pensare a voi, giuro.

Da dove cominciare... Forse, e dico forse, vi sarete accorti che per un anno ho smesso di continuare a pubblicare e la storia è finita nel dimenticatoio :( Purtroppo, io e la mia beta eravamo in un punto da pagina bianca, e in più si è intromessa una cosa molto più grande di noi. L'università. È stata dura, soprattutto i primi mesi, per entrambe, e siamo state giorni -che per noi è una cosa che capita... mai- senza parlarci per quanto eravamo impegnate. Ed è stato così per molto tempo.
Così, un giorno ho preso CWColumbine726 e le ho detto: "Senti. Qui ci sono dei personaggi che sono rimasti immobili per quasi un anno. Gliela vogliamo dare una fine a questi poveretti?". Lei, ovviamente, ha accettato volentieri. Ci siamo ri-innamorate di loro immediatamente, ritrovandoli, come dei vecchi amici. Ci siamo lasciate prendere dall'entusiasmo e abbiamo deciso, insieme, la fine. Forse. Più o meno... Comunque, siamo andate avanti, e l'abbiamo ripreso, e non pensavo che sarebbe mai successo. 

Mi sono sopresa di quanto tenessi a questa storia. Dopo così tanto tempo, me ne ero quasi dimenticata. E invece mi fa bene, mi rende felice. CI rende felici. 

Perciò a nome mio, e del mio braccio destro, vi ringrazio tanto tanto tanto tanto ^-^ avete fatto più di quello che pensate *-*

Un abbraccio forte, (anche più di uno, ve li meritate u.u)

Martha.  

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