capitolo 2
"Qualcuno alle volte ha questa fortuna: nel corso della sua vita si imbatte in due occhi in cui specchiandosi rivede se stesso. E questo fa paura."
Il mattino seguente un profumino dolce arriva alle mie narici. Apro lentamente gli occhi e mi ritrovo davanti mia madre. Spalanco del tutto gli occhi e la guardo confusa. « Si può capire cosa stai facendo? » chiedo con voce impastata dal sonno.
« Ti ho portato la colazione. Pancakes con la nutella e fragole, tutti per te. » un sorriso si allarga sul mio viso.
Ecco da dove proviene il buon profumino.
Ma qualcosa non va. Mia madre non mi ha mai portato la colazione nella mia stanza. Insomma, non arriva a tanto. Sarebbe capace di svegliarmi versandomi un bicchiere d'acqua fredda in faccia, piuttosto che portarmi la colazione nella stanza. Una volta glielo ho proposto e mi ha esplicitamente detto "Non sono la tua serva".
Mia madre fa per andarsene, ma corrugo la fronte. « Aspetta, aspetta. Questo non c'entra niente con la discussione di ieri, vero? Sul fatto che non mangio e bla bla » la guardo e stringe le labbra. Okay, è così. Ma di certo non posso rifiutare questi deliziosi pancakes. « Se vuoi, puoi rimanere. Così vedi che mangio e magari tu e papà smettete di farvi strani pensieri. » dico, mentre mi alzo dal letto.
« Siamo solo preoccupati per la nostra bambina. Mangia tutto. » mi rivolge un sorriso ed esce dalla stanza.
Faccio colazione e mi preparo per andare a scuola. Manca solo una settimana.
Metto giusto un filo di trucco. Non esagero mai, mi piace avere uno sguardo naturale, quindi trucco soltanto gli occhi. Ho i capelli abbastanza lunghi, quindi mi feccio una coda alta, metto una camicetta bianca, jeans stretti e le mie converse bianche. Prendo la borsa e scendo velocemente le scale. Ogni volta rischio di cadere e rompermi l'osso del collo, dato che molto spesso sono in ritardo e salto tre scalini alla volta.
Mi incammino verso la fermata dell'autobus, ma noto che sta partendo senza di me e che io sono, al solito, in ritardo. Mi metto a correre e grida di fermarsi. In questo momento vorrei tanto essere Flash. Corro il più velocemente possibile e, quando finalmente arrivo alla fermata, vado a sbattere contro un ragazzo e mi ritrovo col sedere a terra. Ma dove ho la testa?
« Iniziamo bene la giornata. » borbotto, alzandomi in fretta.
Evito di guardare il ragazzo contro il quale ho sbattuto e mi affretto a salire sull'autobus, dato che l'autista di certo non mi aspetta a lungo, ma lo stesso ragazzo sta salendo nello stesso momento.
«Ma lo fai apposta o cosa? » mi giro verso di lui e quasi smetto di respirare.
È semplicemente bellissimo. La prima volta che non sbatto più contro i pali.
Solitamente vado a sbattere contro anziani, oppure contro i pali e chiedo addirittura scusa. Come la volta in cui ho sbattuto contro un manichino dentro un negozio e gli ho chiesto pure scusa. Una delle mie infinite figuracce.
«Scusa, ma sono di fretta. » almeno ha chiesto scusa, penso.
Saliamo finalmente, prima io e dopo lui. L'autista scuote la testa e dice qualcosa a bassa voce. Lo ignoro e vado a trovare un posto dove sedermi.
Mi metto dalla parte del finestrino e tiro un sospiro di sollievo. Odio fare certe maratone di prima mattina. Mi piace viaggiare in autobus, per il semplice fatto che adoro guardare fuori, mentre ascolto musica. Una voce mi fa tornare con i piedi per terra.
« È occupato? » chiede il ragazzo.
«No, fai pure. » rispondo, mentre scelgo che canzone ascoltare. Ovviamente le cuffiette non mancano mai.
Alzo lo sguardo dal telefono e guardo la persona accanto a me. « È uno scherzo? » chiedo, guardandolo perplessa. Sì, deve essere assolutamente uno scherzo.
Lo stesso ragazzo che mi ha fatto cadere.
« Non ti sto mica perseguitando, Bon Bon. » risponde con un sorriso dannatamente sexy. Okay, a primo impatto può sembrare arrogante, presuntuoso, stronzo, ma è sexy sul serio, e i miei occhi si stanno rifacendo alla grande.
« Come mi hai chiamata, scusami? » chiedo, irritata.
« Bon Bon, ti si addice. » mi fa l'occhiolino e gira la testa dall'altra parte.
Si sta forse prendendo gioco di me?
«Mi chiamo Elena, Bon Bon puoi chiamare un'altra ragazza. » rispondo sarcastica e giro anche io la testa dall'altra parte.
Perché tutti i ragazzi belli devono essere stronzi?
« Io preferisco chiamarti Bon Bon. » sento la sua voce al mio orecchio e ad un certo punto sento il il suo respiro troppo vicino.
«Dannazione, ma cosa fai? » chiedo, spingendogli il viso più in là.
« C'è da dire che hai veramente un buon profumo. » sorride, mostrandomi i suoi denti perfetti. Denti perfetti ovunque. Sexy, ma psicopatico?
« Fottiti. » dico tra me e me. Metto le cuffiette e guardo fuori. Per tutto il tragitto ascolto musica. Quando giro la testa dalla parte opposta noto che il ragazzo accanto a me non c'è più. Quando scendo dall'autobus, trovo la mia amica Emily, nonché compagna di banco, ad aspettarmi alla fermata.
Le do un caloroso abbraccio e andiamo verso la scuola. Quando arriviamo nel cortile, respiro quell'aria estiva e per un attimo chiudo gli occhi. Sorrido, felice di sapere che la scuola stia finendo finalmente, e forse mi godrò l'estate con i miei amici, e forse rivedrò Dylan. Quest'ultimo pensiero mi strappa un sorriso.
« Perché sorridi? » chiede Emily, inarcando un sopracciglio.
« Forse quest'estate riusciremo a godercela al massimo. » rispondo, tutta felice.
« Oh, non vedo l'ora. Le serate in spiaggia, i falò, l'oceano, magari potremmo fare anche una piccola vacanza e conoscere qualche ragazzo. » muove le sopracciglia su e giù e mi offre una chewing-gum.
Scuoto la testa e le metto un braccio sulle spalle. La mia amica non cambierà mai. Adocchia sempre qualche bel ragazzo, soprattutto i nuovi arrivati. Insomma, non perde mai tempo. E ovviamente, chi non vorrebbe una ragazza come lei? Forse è un pochino fuori di testa, per quanto riguarda i ragazzi e il suo stalkeraggio, ma è comunque una ragazza meravigliosa.
Ha dolcezza e simpatia da vendere, e poi ha quelle adorabili lentiggini che la fanno sembrare una bambola. A chi non piacciono?
Io le adoro, soprattutto sul suo viso. Sono plasmate uniformemente e sulla sua pelle diafana stanno da dio.
Così come nel cielo si possono ammirare le stelle, io mi perdo ad ammirare quei piccolini puntini, che sembrano formare una costellazione. A volte mi metto a contarle e a lei da fastidio. Infatti non le piace quando lo faccio.
« Stamattina mi è successo una cosa strana, sai? » mi rivolgo verso di lei e mi guarda stranita.
« Sono andata a sbattere contro un ragazzo, sono caduta, sono salita sull'autobus, mi stava facendo cadere di nuovo, si è seduto accanto a me e be', sembrava un bravo ragazzo, ma poi ho scoperto che è solo uno di quelli che fingono di essere gentili e poi boom, lo stronzo di turno. » parlo a vanvera e gesticolo anche.
Mi giro verso la mia amica e noto che ha lo sguardo illuminato, come quando vede un paio di scarpe, che deve assolutamente avere.
« Cosa c'è? » chiedo, guardandomi intorno.
« Tu sei andata a sbattere contro un ragazzo? » sorride a trentadue denti e poi alzo gli occhi al cielo.
La mia amica dice sempre che io sia senza speranze, che non mi lascio amare e che se continuo così, non incontrerò mai l'amore della mia vita.
« Hai sentito la parte dove ti ho detto che è stronzo? » mi incammino verso l'entrata e lei tiene il mio stesso passo.
« Certo, non volevo mica insinuare qualcosa. » alza le mani in segno di resa e fa la faccia da bimba innocente.
Sorrido ed entriamo in classe. Iniziare la giornata con due ore di matematica non è il massimo. Andiamo a sederci ed Emily inizia a tirare fuori dallo zaino caramelle e snack, tanto da sfamare tutta la classe.
« A cosa ti serve tutta questa roba? Caramelle? » chiedo, prendendo una caramella alla fragola.
« Ti sei data la risposta da sola. Per mangiare, no? Non le ho tirate fuori per distribuire souvenir. » mi fa l'occhiolino e appena entra il professore, Emily rimette tutto dentro lo zaino.
Il professore di matematica è severo, ma insegna la sua materia con passione. Vuole farci capire la sua materia a costo di rispiegare lo stesso argomento cento volte.
Ogni tanto seguo la sua spiegazione e guardo la lavagna. Non trovo la materia così difficile e poi capisco in fretta. Emily a differenza mia..
« Perché ci sono le lettere? Perché è tutto così incomprensibile? Questo è arabo. » si prende la testa fra le mani e la scuote.
Si gira di colpo verso il nostro compagno Ismaele e sembra leggermente una pazza scappata dal manicomio.
« Tu capisci la matematica? È simile alla tua lingua, vedi? » appoggia la testa sul banco, rassegnandosi, e io gliel'accarezzo.
Sospiro e il professore smette di spiegare.
« Signorina Johansson, qualche problema? » chiede ad Emily. Le do una gomitata e sussulta.
« Ma certo che no, in un futuro molto lontano riuscirò a capire la vostra materia, inutile tra l'altro. Quando andrò a fare la spesa, alla cassa di certo non faranno il conto con un'equazione. Radice di quindici dollari, vi immaginate? » scoppia a ridere, seguita da tutta la classe, e prende una caramella.
« Se vuoi, qualche pomeriggio potremmo studiare insieme. » le propongo e sorrido, in segno di incoraggiamento.
Annuisce e scarabocchia qualcosa sul quaderno.
« Ragazzi, scusatemi un minuto. » il professore esce un attimo dalla classe e sento Emily borbottare qualcosa.
Quando rientra, noto un ragazzo che gli sta dietro, alto, moro e...
« Maledizione! » esclamo, facendomi piccola.
« Ti senti bene Elena?» Emily mi tocca il braccio e scuoto la testa. Scivolo sotto il banco e sento solo il tonfo della sedia.
« È lui, lo stronzo di stamattina. Mi perseguita. » sussurro ad Emily e lei sorride. Noto che il suo sorriso si spegne, non appena alza lo sguardo e vede il professore che ci sta guardando.
Emily mi tira su da un braccio e mi sistemo sulla sedia. Evito il contatto visivo con quel ragazzo e mi scuso con il professore. Che figura di merda.
Fingo di scrivere qualcosa sul quaderno, ma il desiderio inarrestabile di alzare lo sguardo verso di lui si impossessa di me. Alzo gli occhi di scatto e vedo che il suo sguardo è già su di me. Nei film è così che si innnamorano. Lui la guarda, lei lo guarda, sboccia l'amore e poi auguri e tanti figli maschi. Non mi dispiacerebbe, però. Mi piacciono le storie d'amore, peccato di essere veramente la regina delle sfighe.
Appena ci guardiamo, sorride in modo beffardo. Alzo gli occhi al cielo e mi maledico da sola. Bene, sa anche dove vado a scuola.
Quando il ragazzo esce dalla classe, mi fa l'occhiolino ed Emily lo guarda incantata.
« Se tu quello lo chiami stronzo, che pezzo di gnocco...» dice lei con aria da sognatrice.
Trascorro le altre ore a seguire le lezioni e a scroccare in ogni momento qualcosa da Emily. Ogni tanto mi capita di pensare a quell'incontro " spiacevole ", ma la mia amica ci pensa a riportarmi con i piedi per terra.
Quando finalmente la campana dell'ultima ora suona, prendo la mia borsa e mi faccio breccia tra la folla di studenti. Quando finalmente sono fuori, respiro l'aria fresca. Emily se n'è andata con la madre a visitare sua nonna e io devo andare a prendere l'autobus.
Fino ad ora non ho fatto altro che andare sempre di fretta per paura di arrivare in ritardo, e questa fretta di solito mi procura qualche danno, ogni volta. Come la volta in cui volevo andare ad una festa, e per il desiderio di arrivare puntuale, mi ero ritrovata con gli occhi di un panda al posto dei miei. A costo di mettere l'eyeliner preciso, la linea nera mi era arrivata fino alle sopracciglia, capelli disordinati e non riuscivo a trovare il mio vestitino preferito. Da allora, ho iniziato a pensare che forse sarebbe stato meglio fare tutto con calma ma, forse, ho sempre un problemino con la puntualità alla fermata dell'autobus. Accelero il passo e, mentre cerco inutilmente il numero di mia madre nella rubrica, mi ritrovo la camicetta bianca sporca di caffè. Un ragazzo cerca di scusarsi e gesticola, pronunciando parole che non sto nemmeno a sentire.
« Senti, non fa niente, sono di fretta.» mi affretto a dire.
Quando arrivo finalmente alla fermata, cerco di sistemarmi la camicetta, subendo le occhiate delle persone intorno a me. La camicetta è totalmente rovinata e non posso rimediare.
Imbronciata, mi guardo intorno e noto due occhi verdi intensi, che mi fissano, e un sorriso sexy, come se fosse divertito da questa situazione imbarazzante.
« Ti posso offrire un caffè? » chiede in modo scherzoso.
Lo fulmino con lo sguardo e rispondo in modo sarcastico: « No, grazie. Ce l'ho addosso. »
Mi sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardo avanti. Di solito, quando la mattina mi faccio la coda, durante il corso della giornata la sciolgo sempre. Mi piace sentire i miei capelli liberi anche perché, dopo un po', inizio a sentire dolore alla testa.
« Mi chiamo Andrew, Bon Bon. Ma puoi chiamarmi Drew. » si passa la mano nei capelli e sorride.
« Chi te l'ha chiesto? E comunque, Drew, il tuo hobby è inseguire la gente? » chiedo, mentre metto in bocca una caramella. È così, vergognosamente, sexy.
« Che cosa facevi oggi in classe? Sai, forse il destino vuole farci incontrare sempre, addirittura nella classe dove insegna mio padre. E questa è la terza volta che ci incontriamo in meno di un giorno. » l'autobus arriva e Drew mi fa segno di salire per prima. Lo guardo con fare sospetto e salgo. E se mi guarda il sedere? Di solito i maschi lo fanno sempre. Ecco, mi creo problemi inutili da sola.
Dunque, mi sta dicendo che suo padre è il mio professore di matematica? Questa sì che è una sorpresa. Mi siedo accanto ad un ragazzo, per evitare di scambiare ancora un'altra parola con lui. Metto le cuffiette e la canzone dei Blu Foundation mi accarezza le orecchie.
All'improvviso sento qualcuno da dietro che picchietta le dita sulla mia testa. Mi giro di scatto, ma non sono sorpresa di vedere la persona dietro di me. « La vuoi smettere? » mi rivolgo in modo brusco.
« Perché mi odi così tanto? Neanche ci conosciamo. » dice serio.
« Tu..chi ti credi di essere? » sbuffo.
Il ragazzo accanto a me sospira e guarda prima me e poi lui.
« Non è qui che si risolvono i problemi di coppia. E comunque, ti dispiacerebbe farmi passare? Cambio posto. » mi alzo per farlo passare, è leggermente infastidito e io mortificata. Mi metto dove era seduto lui e al mio posto appoggio la borsa, prima che Drew si sieda.
Con un sorriso trionfante rimetto le cuffiette nelle orecchie e guardo fuori. Il tragitto non è poi così breve, stesso panorama, stessa monotonia.
« Io, comunque, volevo solo dirti che mi dispiace per averti fatto cadere. » sento Drew che toglie la cuffietta dall'orecchio e mi parla.
« Possiamo, se vuoi, essere amici, sai? Non prendermi per pazzo, ma già è la terza volta che ci incontriamo, quindi significherà qualcosa, no? » continua, ridendo. Mi sta prendendo in giro e si capisce benissimo. Odio le persone antipatiche come lui.
« No, grazie. Sono a posto con gli amici. Non mi serve fare nuove amicizie. » gli feccio segno di alzarsi, prendo la mia borsa, che stranamente prima tiene in braccio, e scendo alla mia fermata. Decido di non girarmi, devo evitare quello sguardo magnetico. Anzi, devo evitarlo del tutto.
Appena scendo dall'autobus, mando un messaggio a mia madre, informandola di stare andando in biblioteca. Vado al bar, che si trova dall'altra parte della strada, e mi dirigo in bagno. Per fortuna ho la maglietta di ricambio nella borsa, anche se non è delle migliori, dato che l'ho indossata durante l'ora di educazione fisica, e di certo andare in giro con la camicetta sporca di caffè non è nei miei piani.
Prima di andare in biblioteca mi reco presso un fast food e ordino un hamburger con delle patatine da portare via. Vado a sedermi su una panchina e mi gusto il mio pranzo. Sento il suono di un messaggio e prima di leggerlo mi pulisco le dita, leccandole. È da parte di Emily. Mi ha chiesto se voglio pranzare con lei il giorno seguente e darle qualche ripetizione di matematica. Ovviamente accetto. Mi incammino verso la biblioteca e infilo il cellulare dentro la tasca. Quando arrivo mi guardo intorno, ma non c'è nessuna faccia conosciuta. Mi siedo in disparte, e accendo il portatile per verificare la mia posta elettronica, e infine apro skype. Vedo un messaggio da parte di Dylan e sul mio viso spunta un sorriso.
Lo apro e spunta una foto sua, insieme ad Alex e Gabriel, tutti e tre sorridenti. Gabriel e Dylan formano un cuore con le mani e Alex guarda semplicemente nell'obiettivo. Il mio sorriso si allarga ancora di più quando leggo il messaggio. " Un pensiero per la nostra amata (rompipalle) Elena. Ci manchi tantissimo. " Vado giù e noto altri messaggi da parte di Dylan.
Il primo dice " Non ti sei collegata più, quel ragazzo ti avrà conquistata mi sa :) "
Il sorriso sul mio viso scompare. Già, la bugia per farlo ingelosire, quasi me ne ero dimenticata.
Il secondo messaggio è più lungo e mi viene l'ansia. Dylan non mi scrive mai messaggi lunghi.
" Oggi ho conosciuto una ragazza, è amica della sorella di Gabriel, e sono quasi sicuro che ci stesse provando con me. Al momento non mi va di pensare alle ragazze, voglio solo prendere il diploma e venire da te. Questa distanza fa un po' schifo, ed è brutto soprattutto perché non ti vedo spesso e per me non è facile venire a trovarti oltreoceano. Spero solo di riuscirci quest'estate. Mia zia mi ospita a casa sua, che abita non molto distante da te, per come ho capito. Sono elettrizzato dall'idea di poterti abbracciare finalmente. "
Il mio cuore perde cento battiti. Quale zia? E poi...viene qui a stare per quanto tempo? Mille domande mi girarano per la testa, ma so che l'unico a darmi le risposte è semplicemente Dylan. Esco dalla sua chat e spengp il portatile. Il mio migliore amico, per il quale nutro dei sentimenti, verrà a New York. Sono elettrizzata quanto lui e mando subito un messaggio a Emily per darle la notizia. Decido comunque di distrarmi, così vado a cercare il libro di cui ne ho bisogno. Ammiro tutti questi scaffali, l'odore dei libri, mi sento immersa in un mondo tutto mio. È tutto così pacifico, così silenzioso.
A volte si ha semplicemente il bisogno di stare da soli, e che l'unico a tenerti compagnia sia un libro. Così mi viene in mente la citazione di Daniel Pennac:
"Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso."
È più che vero.
Prendo le mie cose e decido di andare a casa.
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