7. Paura
Il risveglio dei sensi.
Ecco cosa provavo mentre tornavo a casa nella mia Punto nera. Ero stata così tanto tempo senza provare attrazione verso qualcuno che adesso mi sembrava di essere sul punto di scoppiare. Ogni parte del mio corpo aveva ripreso vita e bramava Jader. Jader, quel bellissimo ragazzo dagli occhi verdi che mi stava letteralmente facendo perdere la testa. Perché quei suoi baci bollenti mi mandavano il cervello in pappa. E dovevo ammettere che avevo un po' paura.
Non era un caso se ero sempre scontrosa e acida con i ragazzi. Non volevo più essere ferita da loro, non volevo più dare il mio cuore a qualcuno che lo avrebbe sicuramente calpestato come era avvenuto in passato.
L' attrazione bruciante che sentivo nei confronti di Jader mi mandava in confusione. Sapevo che se avessimo continuato a vederci, a conoscerci, io mi sarei messa in gioco con tutta me stessa e non ero sicura di esserne pronta. Scoppiai a ridere proprio mentre mi rendevo conto di quanto fossero ridicoli questi pensieri. C'era stato solo un bacio. Due, in verità. E tendeva sempre ad uscire di scena senza dire una parola. Sinceramente, non sapevo cosa pensare. Tra noi c'era una certa attrazione, questo era innegabile, e nulla di più.
Rientrata a casa, mi buttai sul letto. Mi era rimasto addosso il suo profumo. Socchiusi gli occhi respirandolo lentamente.
Ero stata così felice di vederlo che non gli avevo nemmeno chiesto cosa ci facesse lì. Francesco mi aveva detto che se ne era andato. Evidentemente aveva solo accompagnato Camilla a casa e poi doveva essere ritornato per stare con Francesco. La borsetta che avevo poggiato sulla scrivania vibrò. Mi alzai e la presi. Mi ero dimenticata di mandare il messaggio a Vicky, probabilmente si era preoccupata e di sicuro era lei. Estrassi il cellulare e lessi il messaggio senza guardare il mittente.
-Non mi è piaciuto affatto il comportamento del tuo uomo. Me ne sono andato solo perché avevo bevuto e non sarei stato in grado di difendermi, gli avrei volentieri fracassato quella faccia di merda. Potevi almeno dirmelo che eri fidanzata.
Marco. Rilessi il messaggio un'altra volta. Avevo capito bene? Voleva fare a botte con Jader? Sicuramente era l'alcool a parlare. Non gli risposi e inviai invece un messaggio a Vicky.
-Sono a casa, tesoro. Buonanotte.
Mi spogliai con riluttanza, non volevo che l'odore di Jader mi abbandonasse. Una volta a letto controllai di nuovo il cellulare. Mi sarebbe piaciuto riceve un messaggino con la buonanotte da parte di Jader ma lui non aveva il mio numero e io non avevo il suo. La prossima volta glielo avrei chiesto. Scivolai in un sonno profondo e senza sogni.
‹‹Dafne, svegliati.››
Al suono della voce di mia madre aprii gli occhi. ‹‹Buongiorno.››
‹‹Buongiorno.›› rispose lei con un sorriso. ‹‹Io e tuo padre ce ne stiamo andando. Sicura di non voler venire?››
Quella domenica mamma e papà sarebbero andati a fare una passeggiata al lago e a salutare alcuni amici che vivevano lì vicino. Io mi ero offerta di restare alla libreria di mamma, un po' perché volevo che si godessero la giornata loro due da soli e un po' perché dovevo studiare e di solito la domenica era una giornata tranquilla al negozio; avrei trascorso molto tempo da sola.
‹‹Guarda che se è per la libreria posso chiamare Tania, lo sai.››
‹‹No›› mi misi a sedere sul letto e guardai l'ora: otto e mezza. Dovevo sbrigarmi. ‹‹Andate voi due e divertitevi.››
Mamma mi diede un bacio e si diresse verso la porta. ‹‹Se c'è qualche problema, chiamami.››
Feci cenno di sì con la testa e mi alzai. Corsi in bagno e regolai la temperatura dell'acqua della doccia. Mi infilai sotto il getto caldo proprio nell'istante in cui mamma e papà uscivano di casa. Urlai loro un saluto sperando che non mi sentisse tutto il vicinato e iniziai ad insaponarmi rapidamente. Con altrettanta velocità dovetti abbandonare quel fantastico tepore. Raccolsi i capelli in una coda alta e indossai un jeans e un maglioncino di lana beige.
La libreria non era distante da casa mia; andai a piedi come facevo sempre. In giro c'erano pochissime automobili. Incrociai un paio di signori anziani che passeggiavano vicino al parco e un gatto grigio che attraversava pigramente la strada. Dopo aver aperto e sistemato i cartelloni pubblicitari all'esterno mi recai al bar a fianco per fare colazione. La proprietaria era una giovane donna tedesca che si era trasferita in Italia per amore ma si era presto ritrovata sola con un figlio da crescere. Ora, a distanza di molti anni, aveva trovato un nuovo compagno e sembrava felice. Mi aveva raccontato la sua storia un pomeriggio di qualche anno prima, quando ero andata ad aiutarla a preparare un evento letterario organizzato da mia madre che prevedeva un rinfresco nel suo bar. Eravamo molto in sintonia e le volevo bene quasi come ad una zia.
‹‹Buongiorno Kora›› la salutai.
‹‹Piccola ninfa – mi chiamava così per via del mio nome - ti stavo aspettando. Tua madre mi ha detto che saresti venuta tu, stamattina.››
Mi venne incontro e mi abbracciò. Suo figlio, Teo, mi sorrise e mi fece l'occhiolino. Aveva diciannove anni, alto quasi due metri e biondissimo come la madre, ed eravamo cresciuti assieme. Presi una ciambella dal contenitore sul bancone e chiesi a Teo se poteva farmi un tè caldo. Chiacchierai con loro mentre facevo colazione, poi tornai in libreria e mi misi a studiare.
La mattinata trascorse tranquilla. Entrarono solo tre persone e io riuscii ad imparare due capitoli. Verso ora di pranzo venne Vicky. Aveva in mano due sacchetti del McDonald's.
‹‹Ti ho portato il pranzo!›› annuncio.
Era il nostro piccolo rituale per le domeniche che rimanevo in libreria. Chiudevo per un paio d'ore e quindi avremmo avuto il tempo per tornare a casa e prepararci un pranzetto più salutare ma a noi piaceva rimanere lì, sederci a terra tra gli scaffali pieni di libri e mangiare schifezze, sfogliando qualche guida turistica e progettando i nostri viaggi futuri.
Chiusi a chiave la porta e ci accomodammo al nostro solito posto.
‹‹Hai studiato oggi?›› chiese Vicky, indicando i miei libri per terra dietro al bancone.
‹‹Sì. Tu niente?››
‹‹No... mi sono alzata tardissimo. E ho ancora sonno. Sono rientrata all'alba.››
‹‹Sono felice che ti sia divertita. E con chi sei tornata?››
‹‹Con Francesco›› distolse subito lo sguardo dal mio.
‹‹C'era anche Jader?››
‹‹No. C'eri anche tu quando Francesco ha detto che era andato via con Camilla...››
‹‹Sì, sì ma io l'ho incontrato fuori. E credevo si fosse unito a voi.››
‹‹Davvero? Vi siete parlati?››
‹‹Mhhh... non molto.››
Lei guardò la mia espressione. Evidentemente dovevo avere un sorriso ebete stampato in faccia.
‹‹Non mi dire... vi siete baciati di nuovo?›› Annuii. ‹‹E come è successo? Camilla dov'era?››
Le spiegai tutto quello che era successo e lei rimase per un po' senza parlare. Poi disse: ‹‹Un tipo davvero misterioso, questo Jader. Scommetto che ti aveva vista prima nel locale ed è tornato solo ed esclusivamente per stare con te. Altrimenti non si spiega il perché non sia tornato dentro con Francesco quando sei andata via.››
‹‹Non so... magari è stata una coincidenza, è passato di lì per puro caso.››
‹‹Io credo di no. E tu dovresti fidarti di me.››
Le lanciai un tovagliolo addosso. ‹‹Smettila! Così non mi aiuti.››
‹‹A fare cosa?››
‹‹A capire cosa sto facendo.››
Scosse la testa e sorrise. ‹‹Non pensare sempre a tutto e non cercare di dare una definizione a quello che ti è successo. Lascia che le cose vadano come devono andare. Lasciati trasportare dalla corrente e vedi dove ti porta.››
Dovevo ammetterlo: aveva ragione.
Era quasi ora di chiudere. Vicky era andata via da un bel po' e io stavo sistemando dei libri quando sentii la porta del negozio aprirsi. Mi diressi verso il bancone e rimasi impalata.
Marco era entrato nella mia libreria e mi stava guardando con curiosità.
‹‹Ciao Dafne.››
‹‹Ciao Marco.›› Non mi mossi e lui nemmeno. ‹‹Posso aiutarti?››
‹‹Lavori qui?››
‹‹No, mia madre è la proprietaria.››
‹‹Ah. Do un'occhiata.››
‹‹Accomodati.››
Ritornai allo scaffale e ripresi a sistemare. Dopo poco, anche Marco si avvicinò. Aveva un libro in mano.
‹‹Carino questo posto›› mi disse mentre si appoggiava con la spalla allo scaffale e mi osservava.
‹‹Grazie. Trovato qualcosa?››
Sospirò. ‹‹Dafne, volevo chiederti scusa per il messaggio di stanotte... però avresti potuto dirmelo.››
Mi girai a guardarlo. ‹‹Marco, guarda che hai capito male. Lui non è il mio ragazzo, è solo il mio maestro di judo.››
‹‹E allora perché si è messo in mezzo?››
‹‹Pensava che fossi in difficoltà e voleva aiutarmi. Tutto qui.››
‹‹Avresti potuto dirgli che era tutto a posto e che non ti stavo facendo nulla, invece non hai fatto niente. Beh, comunque, visto che non sei fidanzata, verresti a cena con me stasera?››
‹‹Scusami, ma non credo sia una buona idea.››
‹‹Devi uscire con il tuo insegnante di judo?›› mi schernì.
‹‹Non voglio uscire con te, Marco. A maggior ragione dopo ieri sera. Non mi piacciono i tipi violenti.››
‹‹Guarda che io non ho fatto niente.››
‹‹Però il messaggio parlava chiaro.››
Il suo sguardo si fece infuriato e in meno di due secondi mi ritrovai contro lo scaffale con una mano di Marco che mi stringeva il viso. Mi faceva malissimo. Gli chiesi di lasciarmi andare ma aumentò la pressione.
‹‹Non osare mai più parlarmi in questo modo›› disse a denti stretti.
Avevo entrambe le mani libere e cercai di colpirlo in qualche modo ma non ci riuscivo. Rideva di me e della mia debolezza.
‹‹Povera piccola Dafne. Adesso non dici più niente? Hai paura? Dov'è il tuo insegnante, adesso?›› si avvicino con la bocca al mio orecchio. ‹‹Non mi piace essere rifiutato.››
Approfittai della sua vicinanza e con una mano lo afferrai per i capelli. Allentò la pressione sulla faccia ma non mi lasciò. Al contrario, rise più forte.
‹‹Così mi ecciti, lo sai? Potrei scoparti in questo preciso istante se non fossi la puttanella del tuo maestro. Vi ho visti ieri sera, sai? Ho visto come ti avvinghiavi a lui. Non mi piacciono le cose di seconda mano.››
Gettò il libro a terra e prese il mio polso, stritolandolo. Gli lasciai i capelli con un grido e lui lasciò me. Mi rivolse un ultimo sguardo sprezzante mentre io cercavo la voce per dirgli di sparire ma dalle mie labbra non uscì nulla. Se ne andò e io crollai a terra in lacrime, con il cuore in gola.
Avevo avuto davvero paura.
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