24. Nuvole scure all'orizzonte
Riaprire gli occhi fu come riemergere dalle profondità scure del mare. Piano piano cominciai a prendere consapevolezza del mio corpo e a sentirlo più leggero. Anche la pressione alla testa si attenuò. Mossi un braccio ma mi resi conto che c'era qualcosa che non andava: vi era attaccato un tubicino. Mi guardai intorno spaesata, confusa. Non mi sembrava di essere in un ospedale, eppure avevo una flebo attaccata al braccio.
‹‹Dafne. Sei sveglia.››
La mano calda di Jader si poggiò sulla mia mentre prendeva posto sul letto accanto a me. Sorrisi come un'idiota e cercai di pronunciare il suo nome ma quello che uscì dalla mia bocca fu poco più che un sussurro roco. Mi schiarii la gola. Com'era bello... ma che ci faceva lì con me in quella strana stanza da letto?
‹‹Come ti senti?››
‹‹Io...›› guardai l'armadio a due ante in legno scuro di fronte a me e il quadro astratto che si trovava sulla parete alla mia destra. ‹‹Dove siamo?››
‹‹A casa mia.››
Gli lanciai un'occhiataccia. Si stava prendendo gioco di me? ‹‹Questa non è casa tua.››
Mi guardò con tenerezza. ‹‹Questa è la mia vera casa.››
Sentii il cuore accelerare e mi mossi nel letto cercando di mettermi a sedere. Un dolore acuto al ventre mi fece digrignare i denti.
‹‹Dafne, non ti muovere o farai riaprire la ferita.››
Come un fiume in piena i ricordi mi invasero la mente. Noi due al garage, lui che diceva di dovermi parlare, l'arrivo dei suoi amici, le pistole e io che venivo colpita da una pallottola.
‹‹Perché sono qui e non in ospedale?››
‹‹Non potevo lasciarti da sola in un ospedale e io non sarei potuto stare al tuo fianco. Avevi un proiettile nella pancia, come avremmo dovuto spiegarlo alla polizia? Ti ho portata qui e sei stata operata da un medico.››
Mi sembrava di trovarmi in un film americano. ‹‹Da quanto tempo sono qui?››
‹‹Un giorno.››
‹‹Un giorno?›› scattai seduta e cercai di uscire dal letto. ‹‹Devo tornare a casa. I miei genitori saranno preoccupatissimi... mia madre mi ha vista salire in moto con te.››
Jader mi tenne ferma. ‹‹Devi rimanere dove sei. Ho parlato io con i tuoi genitori.››
Sbiancai. ‹‹Cosa hai detto?››
‹‹Scusami, ma non potevo dire loro la verità. Sono stato a casa tua e ho detto ai tuoi genitori che volevo portarti via per un po'.››
Ero perplessa. ‹‹Tutto qui? Non hanno avuto niente da ridire?››
Jader sorrise e mi prese per mano. Il calore che emanava mi trasmetteva pace e serenità. Appoggiai le spalle sui cuscini che mi aveva sistemato e lo guardai.
‹‹Non è stato facile. Ho detto loro che stiamo insieme e volevo portarti fuori per alcuni giorni. Volevano vederti, parlare con te, soprattutto tua madre. Tuo padre mi conosceva e per fortuna ha acconsentito. Ha detto che ti aveva vista felice quando facevo parte della tua vita e mi concedeva questa ultima possibilità per fare pace con te. Ovviamente ho mandato alcuni sms a tua madre col tuo cellulare, ma ora che sei sveglia dovresti chiamarli.››
Mi passai entrambe le mani sul volto. ‹‹I miei genitori non sapevano di noi due. E poi non stiamo più insieme. Hai dimenticato, forse?››
‹‹No. Ma cos'altro potevo dire? Tra qualche giorno potrai tornare a casa e cancellarmi dalla tua vita.››
‹‹Jader...››
Esitai un attimo. Mi ero presa una pallottola e avevo rischiato di morire, mi trovavo in una stanza che non avevo mai visto prima e Jader sosteneva si trattasse della sua vera casa. Era arrivato il momento della verità.
Lui sembrò leggermi nel pensiero. ‹‹Lo so, dobbiamo parlare.››
‹‹Ti prego, Jader, voglio tutta la verità adesso. Basta segreti.››
Jader spostò lo sguardo verso il muro. E per alcuni minuti rimase così, senza dire nulla. Sapevo che mi avrebbe dato una risposta ma quel silenzio mi metteva in imbarazzo come non mai. Sentivo la necessità di parlare, di dire qualsiasi cosa pur di riempirlo. Poi lui tornò a guardarmi e parlò.
‹‹Sono un carabiniere. Lavoro sotto copertura.››
Dio.
In un primo istante credetti di non aver capito bene.
Jader non era un malvivente?
Mi sentii sollevata, perché il ragazzo che avevo conosciuto io non avrebbe mai potuto essere un criminale per scelta, ma allo stesso tempo mi sentii ferita, perché aveva scelto di non dirmelo, non si era fidato abbastanza di me. Le lacrime mi rigarono le guance. Jader me le asciugò.
‹‹Perché non me lo hai detto subito? Sarebbe stato tutto più facile.››
Con lo sguardo eloquente indicò la flebo e il mio stato. ‹‹Non sapevi nulla e guarda cosa è successo.››
‹‹Hai idea di come sono stata pensando che tu fossi un malvivente?››
‹‹Lo so, mi dispiace. Una volta conclusa l'operazione sarei tornato da te e ti avrei raccontato ogni cosa.››
Sbuffai esasperata. ‹‹La verità stavi per dirmela ieri, eppure mi pare che questa storia non sia ancora finita.››
‹‹Pensavo di non rivederti più. Volevo che sapessi.››
Mi agitai nel letto. Jader era stato scoperto e credeva che lo avrebbero ammazzato. Erano quelle le parole che non riusciva a dirmi ma che gli leggevo negli occhi.
‹‹E adesso che succederà?››
‹‹Devo tornare da loro.››
‹‹Ma non puoi! Ti hanno scoperto.››
‹‹Non ancora. Devo fare in modo che si fidino di me almeno fino a quando i miei non saranno pronti.››
‹‹Non voglio che torni lì. Ormai sei compromesso e io non posso rischiare di perderti. Soprattutto adesso che so tutta la verità.››
Jader mi sorrise dolcemente. Si fece più vicino e mi sfiorò le labbra con le sue. Sentire il suo profumo mi provocò una stretta allo stomaco e la voglia di stringerlo forte a me e non lasciarlo mai più. Ma ogni minimo movimento mi causava dolore. Mi limitai ad accarezzargli una guancia. Lui prese la mia mano e se la portò alle labbra.
‹‹Questo è il mio lavoro, Dafne. E fino a quando i miei superiori non mi diranno di farmi da parte, io devo essere lì. Voglio solo che tu stia tranquilla e al sicuro.››
‹‹Ma i tuoi superiori sanno che sei stato scoperto? Sanno che stai rischiando la vita?››
‹‹Non sto rischiando la vita. Basta, non parliamone più. Hai fame? Ti preparo qualcosa.››
Mi massaggiai la fronte improvvisamente appesantita da un terribile mal di testa. Non potevo lasciar cadere quel discorso. Non potevo lasciar tornare Jader da quei pazzi criminali, specialmente da Camilla. Lei era accecata dalla gelosia e se anche tutti gli altri avessero creduto a Jader, Camilla si sarebbe sicuramente vendicata.
‹‹Niente? Nemmeno un po' di frutta?›› continuò lui.
‹‹No. Giulio come sta? Hai avuto sue notizie?››
‹‹So solo che non è in pericolo di vita.››
Tirai un sospiro di sollievo. Non volevo sentir parlare di giovani ragazzi morti per mano di altri giovani stupidi ragazzi che giocavano a fare i malviventi.
‹‹È un tuo... collega?››
‹‹No. Però è un bravo ragazzo, gli sono affezionato.››
‹‹E che mi dici di Stefano?››
Un lampo di dolore attraversò il suo sguardo. Chinò il capo e si passò una mano tra i capelli. ‹‹Che vuoi sapere?››
‹‹È... era un infiltrato come te?››
Dopo un po' di esitazione, Jader annuì. ‹‹Sì.››
‹‹Lo vedi che ho ragione? Non puoi tornare da quelli, Jader!›› mi agitai nel letto, incurante del dolore fino a quando non mi uscirono le lacrime. Per il dolore, per il nervosismo, per un insieme di altre emozioni.
‹‹Ora basta, Dafne. Devi stare ferma, hai capito? Si riaprirà la ferita se continui a fare così. Fa vedere.››
Mi scostò la coperta e alzò la maglietta bianca che portavo e che doveva essere sua. Abbassai anche io lo sguardo. La benda che mi copriva la ferita era di colore rosso vivo. Jader imprecò.
‹‹Non ti muovere più. Tra poco verrà Gigi, speriamo che non debba rimetterti i punti.›› Si avvicinò ad un comò in legno scuro e prese un cellulare, il mio cellulare. ‹‹Tieni, chiama i tuoi. Sono di là se hai bisogno.››
Scomparve chiudendosi la porta alle spalle.
Cosa avrei dovuto dire ai miei genitori? Non ero molto brava a raccontare cavolate. E se mi avessero fatto qualche domanda di troppo su Jader, tipo perché non ero tornata di persona a farmi i bagagli e a dire loro che sarei partita? Cavolo, com'era possibile che i miei genitori si fossero fidati di uno sconosciuto? Lessi i messaggi che Jader e mamma si erano scambiati, giusto per non cadere in contraddizione, presi coraggio e chiamai mia madre.
Qualche ora dopo conobbi Gigi. Era un medico e lavorava in un ospedale militare. Aveva i capelli brizzolati e un sorriso gentile, e fu davvero dolce con me. Nutriva un profondo affetto nei confronti di Jader; me ne accorsi dal suo sguardo e dalle continue rassicurazioni sulle mie condizioni. Mi raccomandò assoluto riposo e mi disse che ci saremmo visti l'indomani per un'altra medicazione. Nel frattempo Jader mi aveva preparato da mangiare e mi aveva lasciato qualche libro da leggere. Lo avevo sentito parlare al telefono per tutto il pomeriggio ma non avevo osato chiedergli con chi. La sera venne a stendersi accanto a me e mi parlò della sua vita, di quella parte che ancora non conoscevo. Mi addormentai con la testa sulla sua spalla e una mano intrecciata alla sua.
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