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20. Fa male da morire

Un fastidiosissimo suono mi svegliò dal sonno tormentato nel quale ero caduta alle prime luci dell'alba. Era il mio cellulare; lo recuperai e risposi senza guardare.

‹‹Dafne, ma dove sei? Non vieni a lezione?››

‹‹Vicky...›› mi schiarii la voce ‹‹certo che vengo. Che ore sono?››

‹‹Sono quasi le dieci! Stai ancora dormendo?››

Mi alzai di scatto, la testa dolorante. ‹‹Arrivo!››

Terminai la comunicazione e mi fiondai in bagno. Avevo già fatto troppe assenze, non potevo mancare a quella lezione.

Quando arrivai, il professore aveva iniziato già da un bel po'. Cercai con lo sguardo Vicky e Salvo, sicura che mi avessero lasciato un posto accanto a loro e mentre scendevo le scale sentii un ‹‹buongiorno signorina››. Tutta l'aula si voltò nella mia direzione e solo allora mi accorsi che alla cattedra c'era quel ragazzo che avevo conosciuto nel locale di Bianca e Noemi, l'assistente del professore. Con il viso in fiamme biascicai un buongiorno, lui riprese a spiegare ed io mi sedetti. Vicky mi fece un sorrisetto divertito.

‹‹Hai dormito da Jader stanotte? Non sono passata a chiamarti stamattina, non sapevo... Ehi, Dafne›› mi prese per un braccio e mi voltai a guardarla.

‹‹Cosa è successo?››

‹‹Io e Jader non stiamo più insieme.››

‹‹Cosa? È successo ieri? Per questo non siete più venuti...››

Feci segno di sì con la testa e aprii il quaderno per prendere appunti. ‹‹Dopo ti spiego.››

Mi strinse la mano e io le rivolsi un debole sorriso. Non le avrei raccontato tutta la verità. Anche se non volevo più stare con lui, gli volevo bene e non avrei mai detto a nessuno quello che realmente faceva.

Il tempo passò in fretta, mi trascinai fuori dall'aula senza realmente rendermi conto di quello che mi dicevano, di chi salutavo e con chi scambiavo qualche parola. In testa avevo soltanto immagini di Jader e della nostra conversazione la sera prima. Non lo avevo mai visto così triste e tormentato. Erano tante, troppe, le domande che avrei voluto fargli, capire come un ragazzo come lui potesse essere finito in quel giro. Jader non era un ragazzo sbandato senza arte né parte, lui era intelligente, colto, un ragazzo perbene. O forse era solo quello che pensavo io di lui. E adesso potevo dire di non conoscerlo affatto.

Raccontare quello che era successo a Vicky senza svelarle troppo, ma come? Cercavo di trovare le parole giuste mentre eravamo in macchina. Lei canticchiava le canzoni che passavano in radio per riempire il silenzio che era calato tra noi da quando ci eravamo messe in viaggio verso casa. Non mi aveva chiesto nulla, sperava che fossi io a parlare e così feci.

‹‹Non era l'uomo che credevo.››

Si voltò di scatto e mi fissò. Potevo sentire l'intensità del suo sguardo addosso ma continuai a guardare la strada, le mani strette sul volante.

‹‹Jader... beh, ho scoperto delle cose su di lui. Non posso più continuare a vederlo.››

Avevo parlato troppo. Aspettai che Vicky mi riempisse di domande più che lecite alle quali sicuramente non avrei saputo cosa rispondere, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Voltai di poco la testa per essere sicura che avesse sentito. Non stava più guardando me, era girata dall'altro lato e giocherellava con le punte dei capelli.

‹‹Queste cose riguardano il padre di Camilla, vero?››

Il cuore fece un sobbalzo nel petto. ‹‹Cosa sai?››

Mi guardò con aria colpevole. ‹‹Qualcosa. Però, ti giuro, non sapevo nulla di Jader.››

Rallentai fino a fermarmi in un parcheggio. Mi serviva un minuto per riprendermi dalla notizia e per capire di più. Spensi il motore e guardai la mia amica negli occhi.

‹‹Dovrei crederti? Chi ti ha detto queste cose? Francesco?››

Vicky scosse la testa. ‹‹Lui non sa che io so. Non credo che ne faccia parte ma sicuramente ne è al corrente.››

‹‹E allora come lo sai?››

‹‹È successo qualche mese fa. Ero rimasta da sola in palestra, aspettavo che Francesco finisse di spegnere i macchinari. Uscendo dal bagno mi ero ritrovata al buio, c'era solo una lucina che filtrava dalla porta della stanzetta dove tengono gli attrezzi dismessi. Ho pensato che Francesco fosse lì e quando mi sono avvicinata ho sentito delle voci. Senza fare rumore ho aperto la porta per sbirciare e anche se non sono riuscita a vedere chi ci fosse, ho sentito quello che dicevano. Tu e Jader quella sera eravate andati via insieme e non ho mai pensato che potesse... Per questo non ti ho detto nulla.››

Sospirai, appoggiandomi contro lo schienale. ‹‹E invece sì.››

‹‹Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto.››

Scossi la testa e misi in moto la macchina. ‹‹Vuoi cenare da me, stasera?››

Mi sorrise dolcemente. ‹‹Molto volentieri.››

Ricambiai il sorriso e partii verso casa. Ora che non dovevo nascondere la verità alla mia migliore amica mi sentivo meno angosciata.

***

I giorni si trascinavano tutti uguali, tutti vuoti e freddi. Era come se Jader avesse portato via con sé tutti i colori, i sapori e gli odori. Intorno a me tutto appariva poco stimolante e senza attrattiva.

Erano giorni bui, bastava un semplice gesto a farmi pensare a lui. Una carezza distratta tra mamma e papà, uno sguardo complice tra due ragazzi e scoppiavo in lacrime.

Ogni mattina mi svegliavo con un macigno sul cuore, una sensazione di oppressione al petto che perdurava per tutta la giornata fino alla sera, quando chiudevo gli occhi e concedevo al mio cuore e alla mia anima qualche ora di tregua.

Perennemente di cattivo umore, riempivo le mie giornate, e la testa, con lo studio. Mi ci buttai a capofitto, tra lezioni e seminari, per non pensare a Jader e a quello che aveva significato per me la nostra storia. In quei pochi mesi gli avevo donato tutta me stessa. Non mettevo in dubbio che lui provasse per me le stesse cose. Ci eravamo vissuti, lo avevo sentito sulla mia pelle, fin nel profondo, ma non avrei mai potuto accettare il suo stile di vita e lui non ne sarebbe mai uscito.

Lo amavo, ma l'amore non bastava.

Non andavo più in palestra, non frequentavo i posti in cui avrei potuto incontrarlo. Cercavo solo un modo per andare avanti e superare quel dolore che sembrava acuirsi giorno dopo giorno.

Quel giorno pioveva a dirotto ed io ero bloccata in facoltà. Victoria era partita per qualche giorno con Francesco e Salvatore era andato via nel primo pomeriggio. Non avevo la macchina ed ero uscita senza ombrello, quella mattina. Fissavo la pioggia scrosciante da più di mezz'ora in attesa di un piccolo miracolo che non voleva proprio arrivare. Ero stanca, volevo arrivare il prima possibile a casa, mangiare un pasto decente e stendermi sul letto. Tirai il cappuccio sulla testa ed uscii. La pioggia gelida mi investì, infradiciandomi dopo soli dieci passi.

Eppure c'era stato un momento in cui avevo pensato che la pioggia avesse qualcosa di magico. Ero con Jader ed un acquazzone ci aveva sorpresi mentre passeggiavamo nelle campagne di un agriturismo. Una scrosciata di acqua fredda era calata su di noi all'improvviso e avevo accelerato il passo per cercare di ritornare in fretta nel ristorante. Jader però mi aveva trattenuta. I suoi occhi scintillavano, innamorati, mi aveva preso per mano e avevamo continuato a camminare lenti, incuranti degli abiti zuppi, dei capelli gocciolanti. Avevo il cuore ebbro di gioia e non avrei mai dimenticato quei momenti di pace. Mai.

Lo strombazzare di un clacson proprio dietro di me mi fece voltare di scatto. In un primo moneto non riconobbi la macchina, poi il guidatore abbassò il finestrino.

Andrea mi sorrise.

‹‹Sali, ti dò un passaggio.››

Non me lo feci ripetere due volte.

In macchina però mi resi conto che stavo bagnando tutto il sedile del passeggero. Mortificata chiesi scusa ad Andrea.

Lui si limitò ad una scrollata di spalle e mi chiese dove doveva accompagnarmi. Parlammo dell'esame che stavo preparando e di altri che avrei dovuto sostenere a breve.

Le nostre conversazioni erano sempre piacevoli, era un ragazzo alla mano e divertente e anche se Victoria diceva sempre che Andrea flirtava con me in maniera spudorata, non mi aveva mai chiesto il numero di telefono o un vero e proprio appuntamento. Non che io desiderassi qualcosa del genere, sentivo ancora troppo viva la mancanza di Jader. Ogni sera speravo in un suo messaggio della buonanotte, ogni mattina quello del buongiorno. Dicevo a me stessa che era giusto così, che ero stata io a dirgli di sparire ma cosa avrei dato per sentire anche solo per un secondo la sua voce, per sentirgli pronunciare il mio nome. Mi mancavano i suoi occhi, i suoi abbracci, i nostri discorsi. Mi mancava lui.

Andrea arrivò davanti casa e gli dissi di fermarsi.

‹‹Siamo arrivati, dunque.››

‹‹Sì, grazie infinite. Non so in che condizioni sarei tornata a casa se non fossi passato di lì.››

‹‹Ti saresti beccata una bella influenza.››

Risi un poco. ‹‹Molto probabile.››

‹‹Sai, dovresti ridere più spesso. Sei ancora più bella.››

Si avvicinò di poco e con una mano scostò una ciocca umida di capelli dal mio volto. Mi ritrassi e rimasi a fissare quegli occhi blu scuro consapevole che l'atmosfera in quella macchina era cambiata.

Andrea voleva baciarmi. Stava per baciarmi. Una piccola scossa percorse l'intera spina dorsale, rimasi ferma mentre sentivo la sua mano calda poggiarsi sulla guancia e le labbra incontrare delicatamente le mie. Ma, non provai nulla. Solo l'urgenza di andare via il più lontano possibile, di correre da Jader.

Mi allontanai di scatto. ‹‹Scusami.››

Raccolsi la borsa e aprii lo sportello, ‹‹grazie per il passaggio.››

Scesi dalla macchina il più velocemente possibile.

In lacrime, cercai invano di infilare la chiave nel portone. Battei con forza la mano sul pesante legno scuro e vi appoggiai la testa.

‹‹Dannazione›› esclamai sottovoce. La voragine nel petto si era fatta ancora più grande.

Ero innamorata di un criminale e, che Dio mi aiutasse, nonostante tutto lo volevo nella mia vita.


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