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17. Illusione di serenità

Non avevo smesso di pensare alle parole di Teo, ma il tutto era passato in secondo piano.

Jader e io stavamo benissimo insieme, le cose andavano a gonfie vele e avevo deciso di fidarmi di lui. Volevo che fosse lui a parlarmi dei suoi segreti.

Mi rammaricava il fatto che non si fidasse abbastanza di me da nascondermi alcune cose della sua vita, ma ero sicura che presto mi avrebbe detto tutto.

Il nostro rapporto cresceva, trascorrevamo molto tempo insieme e i comportamenti sospetti e le strane telefonate non erano più frequenti come all'inizio. Anzi, erano completamente scomparsi. Avevo conosciuto alcuni suoi amici, coi quali eravamo usciti un paio di volte, e mi erano sembrati simpatici e alla mano. Nei loro discorsi non avevo mai sentito parlare del Trentacinque e piano piano mi stavo convincendo che probabilmente Teo avesse sbagliato persona.

Mi sembrava di vivere in una specie di favola perché tutto era fantastico e le emozioni che provavo erano così intense che a volte credevo che il mio cuore potesse esplodere di felicità. Mi godevo questa serenità senza pensare troppo al futuro e a come sarebbe andata a finire tra noi. Stavamo insieme da pochissimo ed eravamo troppo presi dalla passione per pensare ad altro.

Avevo cucinato per lui. Mi ero sentita sotto pressione perché avevo avuto modo di assaggiare la sua cucina e temevo di non essere all'altezza, ma a suo dire avevo passato l'esame a pieni voto. Dovevo credergli? Dopotutto a parlare era un ragazzo innamorato, avrebbe detto qualsiasi cosa pur di vedermi felice. Ad ogni modo, quando rimanevamo a mangiare a casa ci piaceva cucinare insieme. Era divertente e... intimo. C'era molta complicità tra noi, anche nei semplici gesti quotidiani.

Giorno dopo giorno imparavamo a conoscerci, e in alcuni momenti, mentre osservavo le nostre mani intrecciate o mentre ero accoccolata tra le sue braccia e ascoltavo il ritmo del suo cuore, mi capitava di pensare di aver trovato l'Amore.

***

La primavera si stava avvicinando: i pomeriggi si facevano più lunghi e l'aria era mite; sugli alberi cominciavano a comparire i primi germogli e alzando gli occhi al cielo si poteva scorgere tra i palazzi anche qualche uccellino.

Jader e io stavamo passeggiando, diretti alla caffetteria dove avevamo appuntamento con Vicky, Francesco e Salvatore. Mi aveva appena regalato un iPod, con tutte le sue canzoni preferite perché, a suo dire avevo pessimi gusti musicali e dovevo rimediare. Era il primo regalo che mi faceva e, entusiasta, avevo già messo le cuffiette e acceso il lettore musicale. Guardavamo entrambi il display mentre scorrevo l'elenco delle tracce per sceglierne una da ascoltare. Non prestavo alcuna attenzione alla strada né alle persone che mi passavano accanto, così non mi accorsi dei ragazzi che ci stavano venendo incontro fino a quando non vidi Jader fermarsi e alzai gli occhi dal lettore musicale. Uno di loro aveva due piercing sul sopracciglio e uno sul naso all'altezza degli occhi. Guardò Jader e gli rivolse un sorriso amichevole. L'altro ragazzo invece aveva le mani in tasca e un cappellino calato a coprirgli lo sguardo. Si limitò ad un cenno con la testa nella nostra direzione. Erano amici di Jader?

Lui era rimasto immobile accanto a me, l'espressione indecifrabile, anche se ero più che sicura che fosse infastidito.

Il ragazzo con i piercing lanciò un'occhiata a me e disse: ‹‹Ehi, Jader, ti stavamo cercando.››

Jader inarcò un sopracciglio. ‹‹E per quale motivo?››

Il tizio guardò di nuovo me. ‹‹Dovremmo parlarti di una questione, urgentemente.››

‹‹Perché non andate a parlare con Claudio? Io sono impegnato adesso.››

‹‹Michele ci ha detto di non fidarci di lui e di parlare solo con te.››

Di cosa diavolo stavano parlando? Chi erano Michele e Claudio? E che cosa dovevano dire a Jader di tanto urgente?

Jader aveva la mascella contratta e l'espressione sul suo volto da neutra e impenetrabile si era trasformata in adirata. Si voltò verso me e prese un bel respiro. ‹‹Resta qui, ci metto un attimo.››

Sorpassò i due ragazzi e si diresse in un vicoletto alla nostra destra. Loro mi salutarono e lo seguirono. Io rimasi immobile per qualche secondo, giusto il tempo di posare l'iPod nella borsetta, poi li seguii. Volevo sapere cosa stesse succedendo. Non volevo origliare ma se avessi chiesto a Jader non mi avrebbe detto nulla e io avevo bisogno di sapere. Soprattutto dopo gli avvertimenti di Teo. Così, mi avvicinai all'ingresso del vicolo e sbirciai.

Jader teneva il ragazzo coi piercing per la giacca e ringhiava contro la sua faccia frasi che non riuscivo a capire e di cui coglievo solo qualche parola. ad un tratto lo scaraventò contro il muro con una violenza inaudita e sentii il ragazzo lamentarsi. Sussultai e mi sporsi in avanti, uscendo allo scoperto. Non lo avevo mai visto così incazzato, né lo avevo mai visto alzare le mani su qualcuno. Che stavano combinando? Le sue parole divennero più chiare e riuscii a sentirlo mentre diceva:

‹‹La mia ragazza deve rimanere fuori da questa storia. Quando sono con lei non voglio essere disturbato.››

‹‹Non sapevo che fossi con lei! Scusami Jader, non succederà mai più!››

Il ragazzo col cappello, che fino a quel momento era rimasto immobile a guardare la scena, senza alzare un dito in difesa del suo amico, richiamò l'attenzione di Jader. Un rapido scambio di sguardi e le tre teste si voltarono verso di me. Jader lasciò andare il ragazzo.

‹‹Ci vediamo stasera. Avvisa gli altri.››

Il ragazzo annuì e tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette. Ne accese una e fece cenno al suo amico di andare. Li vidi sparire in un'altra stradina laterale mentre Jader avanzava con aria costernata.

Non aspettai che fosse lui a parlare. ‹‹Chi erano quelli?››

Lui scosse la testa.

‹‹Che volevano?››

‹‹Niente. Andiamo o faremo tardi.›› Cercò di prendermi la mano ma mi allontanai.

‹‹Perché non mi dici cosa succede? Non ti fidi di me?››

‹‹Dafne ti prego, non ti ci mettere anche tu.››

Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi. ‹‹Se non ti fidi di me non so proprio come potremmo andare avanti.››

Jader si passò le mani tra i capelli. ‹‹Forse è meglio se ti accompagno a casa. Non ho nessuna intenzione di litigare anche con te.››

‹‹Lascia stare. Posso benissimo tornarci da sola, a casa.››

Mi girai e mi incamminai a passo svelto. Non mi voltai indietro, pur sapendo che lui era rimasto lì a guardarmi. Faceva malissimo sapere che per lui non contavo abbastanza.

Sebbene avessi una gran voglia di piangere e di rimanere da sola, non tornai a casa. Mi ero stancata di tutti questi misteri e decisi che era giunto il momento di giocarmi la carta del Trentacinque.

Raggiunsi il bar di Kora con la speranza che Teo fosse lì a lavorare. Avevo il fiatone e mi dolevano un po' i muscoli delle gambe. Sospirai di sollievo quando lo vidi dietro al bancone intento a servire un succo di frutta ad una ragazza.

Entrai.

‹‹Piccola ninfa! Che bello vederti.›› Kora mi abbracciò affettuosamente e mi stampò un bacio sulla guancia.

Ricambiai il saluto e mi piazzai davanti al bancone. ‹‹Ciao Teo.››

‹‹Ciao Dafne. Che prendi?››

‹‹Un po' d'acqua, grazie. Devo chiederti una cosa.››

‹‹Dimmi.››

‹‹Dove si trova il Trentacinque?››

Teo sbiancò. Posò il bicchiere d'acqua davanti a me e piantò gli occhi nei miei. ‹‹Perché?››

‹‹Voglio andare a farci un giro›› risposi tranquilla.

‹‹Dafne...››

‹‹E dai, Teo. Se non me lo vuoi dire lo cerco su internet.››

Rapidamente fece il giro del bancone e mi raggiunse, trascinandomi fuori.

‹‹Non è un posto in cui puoi andare da sola.››

Incrociai le braccia e lo guardai scocciata. ‹‹Smettila di fare lo stupido. Non sono mica una bambina.››

‹‹Ma perché sei così testarda! Non mi piace quel posto. Ci sono stato solo un paio di volte e posso assicurarti che la gente lì è davvero strana.››

Gente strana, posto poco sicuro, ma di che cazzo parlava? ‹‹E tu cosa ci sei andato a fare?››

Mi guardò per un attimo, poi spostò lo sguardo altrove. I capelli gli svolazzavano davanti agli occhi, agitati dal vento. Rispecchiavano il suo stato d'animo in quel momento.

‹‹Ogni tanto io e i miei amici fumiamo un po' di erba. Lì è un posto sicuro dove comprarla. Però non dirlo a mamma, ok? Per favore.››

‹‹Che cosa? Sei andato a comprare della roba?›› il mio tono era decisamente severo e lui mi rivolse uno sguardo implorante. Sospirai e scossi la testa. ‹‹Non lo direi mai a tua madre. Ma tutto questo che cosa ha a che fare con Jader?››

Lui non fumava ed ero più che sicura che non facesse uso di droghe. Certo, non potevo dire lo stesso dei suoi amici, quelli che avevo avuto il piacere di incontrare poco prima.

‹‹È per questo che vuoi andare lì? Per sapere perché il tuo ragazzo frequenta quel posto?››

‹‹Voglio sapere cosa mi nasconde.›› Non c'era motivo di mentire al mio amico. Se sapeva qualcosa doveva dirmela.

‹‹Dafne, ti prego, non voglio essere io a dirti questa cosa.››

‹‹Teo, o me lo dici adesso o andrò in quel bar e lo scoprirò da sola.››

Il mio amico deglutì e chiuse gli occhi. Quando li riaprì aveva un'espressione addolorata. ‹‹Quel posto, il Trentacinque, è del tuo amico. È lui il capo, lì. Gestisce tutto, compreso il traffico di droga.››

No.

Non ci credevo.

Il mio ragazzo possedeva un bar e io non ne sapevo niente? Il mio ragazzo era un delinquente? Però, ora alcuni pezzi del puzzle cominciavano ad incastrarsi. Dovevo essere sbiancata perché Teo si affrettò a prendermi le mani.

‹‹Però forse mi sbaglio, dopotutto ci sono stato solo qualche volta...››

‹‹Stasera andremo lì›› sentenziai. Jader doveva dirmi tutta la verità e lo avrei messo con le spalle al muro.

Teo stava per ribattere ma non gli diedi il tempo di parlare. Mi infilai nel negozio di mia madre e corsi in bagno.


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