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13. Scuse

Una giulietta bianca accostò al marciapiede sul quale mi trovavo da circa dieci minuti. Il guidatore abbassò il finestrino dal lato del passeggero e mi rivolse un sorriso radioso. Il sorriso che popolava tutti i miei sogni. Mi avvicinai alla macchina ed aprii lo sportello.

‹‹Ciao Jader›› entrai e chiusi la portiera.

‹‹Ciao›› disse lui, sporgendosi verso di me per salutarmi. Gli diedi un bacio sulla guancia.

Nell'abitacolo c'era un leggero odore di tabacco e un aroma di muschio bianco. Jader ingranò la marcia e partì.

‹‹Mi dispiace per come mi sono comportato sabato.››

Bene. Dritto al punto e senza preamboli. Mi girai a guardarlo.

‹‹Ti sei già scusato ieri. Ho capito, avevi da fare.››

Lui voltò la testa nella mia direzione e studiò la mia espressione. Passò la lingua sul labbro inferiore. Seguii quel movimento e deglutii. Che strano effetto aveva su di me quel ragazzo.

‹‹Però sei incazzata lo stesso, giusto?››

‹‹Sai, forse avresti fatto meglio a non venire. È stato un comportamento assurdo. Un secondo prima mi hai detto che ti ero mancata e quello dopo sei scappato.››

Rise nervosamente. ‹‹Ci fermiamo da qualche parte a prendere un caffè?››

‹‹No, grazie, sto bene così. Portami a casa.››

Non si aspettava quella risposta. Mi guardò confuso. ‹‹Ok.››

Rimasi a fissare i palazzi fuori dal finestrino e a giocare con le punte dei miei capelli per qualche momento.

‹‹Sono stato impegnato a sbrigare delle faccende per conto dello zio di Francesco. Per questo sono dovuto andare via sabato.››

Guardava fisso davanti a sé. ‹‹Il padre di Camilla?››

‹‹Sì.››

‹‹Che tipo di faccende?››

‹‹Il fratello di Camilla si era messo nei casini e ho dovuto risolvere la situazione.››

‹‹Che casini?››

‹‹Sono cose private. Niente di cui tu debba preoccuparti.››

‹‹E perché hai dovuto risolverli tu?››

‹‹Perché conoscevo chi avrebbe potuto aiutarlo.››

Senza che me ne accorgessi, eravamo arrivati a casa. Jader fermò la macchina e allungò una mano per prendere la mia. Se la portò alle labbra e non opposi resistenza.

‹‹Sei ancora arrabbiata?››

‹‹Un po'›› c'erano ancora molte cose che non mi erano chiare riguardo alla storia che mi aveva raccontato.

Lui sorrise e continuò a guardarmi.

‹‹Che c'è?!››

‹‹Sei bellissima.››

Qualcosa cominciò ad agitarsi nello stomaco e un calore si irradiò nel bassoventre. Jader baciò la mia mano e l'interno del polso senza mai staccare gli occhi dai miei. Piano piano mi avvicinai a lui. Lasciò andare la mia mano e passò le dita tra i miei capelli. Il cuore mi batteva forte quando colmai anche l'ultimo centimetro di distanza che c'era tra noi e lo baciai.

L'atmosfera in macchina divenne incandescente. Mi spinsi su di lui cercando di avvicinarmi il più possibile. Infilai le mani sotto la sua maglietta e accarezzai la sua pelle morbida, sentendo sotto le dita i muscoli che si muovevano. Anche le sue mani vagarono sotto il mio cappotto e i miei vestiti, accrescendo il desiderio che avevo di lui. Sentii il bottone dei pantaloni allentarsi e le sue dita scivolare tra le mie gambe, accarezzare, stuzzicare, riempirmi. Dei fari rischiararono l'abitacolo e mi ricordai che mi trovavo sotto casa mia. Mi rimisi seduta e cercai di ricompormi. Jader si sistemò la maglietta e mi guardò.

‹‹Ci vediamo domani in palestra?››

Sorrisi, un po' in imbarazzo per quello che era successo. Gli ero saltata addosso! ‹‹Sì.››

Ci scambiammo altri baci e scesi dalla macchina. Eccitata più che mai.



Ero ancora eccitata dalla sera precedente quando varcai la soglia della palestra.

Nella stanzetta la lezione era già cominciata e c'era Stefano a guidare il riscaldamento. Jader era seduto su una sedia all'estremità opposta e aveva un tablet in mano. Mi salutò con la mano e mi rivolse uno sguardo complice. Quanto avrei voluto che non ci fosse nessuno in quella stanza! Non feci altro che pensare a quello che era successo la sera prima, per tutta la lezione. Quando finalmente terminò e mi diressi verso gli spogliatoi, Jader mi chiamò. Aspettai che mi raggiungesse. Percorremmo un breve tratto di corridoio fianco a fianco guardandoci e sorridendo come degli sciocchi, poi lui si fermò davanti alla porta del suo ufficio, la aprì e mi fece segno con la testa di entrare; lo feci. Aspettai che ci chiudesse al riparo da sguardi indiscreti e gli gettai le braccia al collo. La sua bocca fu subito sulla mia, mi strinse forte e con una mano scese ad accarezzarmi il sedere.

‹‹Più tardi ci vediamo?›› mi chiese tra i baci.

‹‹Mmh›› mi staccai da lui e lo guardai negli occhi. ‹‹Stasera?››

‹‹Sì. Potremmo finire quello che avevamo iniziato ieri...››

Strinse la mano sulla mia natica e mi schiacciò contro il suo inguine per farmi sentire il desiderio che aveva di me. Emisi un gemito. Sulle labbra di Jader comparve un sorrisetto soddisfatto.

‹‹È un sì? O hai altri programmi?››

Feci una leggera pressione sul suo petto per allontanarlo da me. Ero tutta un fuoco e se avesse continuato ad accarezzarmi non avrei resistito ancora per molto.

‹‹D'accordo. Ti aspetto qui?››

Era già tardo pomeriggio, tornare a casa mi sembrava inutile. Avrei chiamato mia madre e le avrei detto che sarei rimasta a cena fuori con le amiche.

‹‹No›› Jader mi lasciò andare. ‹‹Meno persone ci vedono insieme e meglio è per tutti. Ti vengo a prendere tra un'oretta, va bene?››

‹‹Come, scusa?›› Sentii la rabbia montarmi dentro. Avevo capito bene? Non voleva farsi vedere insieme a me?

Jader si accorse di aver detto qualcosa che mi aveva ferita, ma invece di scusarsi e di dirmi che avevo frainteso, come mi sarei aspettata, si allontanò da me e si diresse verso la scrivania. Vi poggiò le mani sopra, il capo chino.

‹‹Dafne, preferisco che nessuno lo sappia.›› Voltò il viso nella mia direzione e piantò gli occhi nei miei. ‹‹Per adesso.››

Il sangue mi ribolliva nelle vene. ‹‹Perché?››

Jader non rispondeva. Mi fissava con aria grave ma non parlava.

‹‹Perché diavolo continui a cercarmi se non vuoi stare con me?››

‹‹Dafne...››

‹‹Ascoltami bene Jader, se stai cercando una relazione esclusivamente sessuale hai sbagliato persona.››

Mi girai e aprii la porta mentre lui scattava verso di me.

‹‹Dafne. Dafne! Aspetta!››

Chiusi la porta e mi incamminai. Jader mi rincorse, mi afferrò per un braccio e mi costrinse a voltarmi. Quando lo guardai negli occhi, il suo sguardo mi fece paura: era duro, incazzato.

‹‹Non è come pensi.››

Sentivo male al braccio che stava stringendo. ‹‹Ah no? Allora com'è?››

Jader serrò la mascella e prese un bel respiro. ‹‹Mi piaci per davvero e voglio continuare a vederti ma se ti dico che nessuno lo deve sapere ti devi fidare di me›› mi lasciò andare il braccio. ‹‹E smettila di fare scenate. Ci stanno guardando tutti›› aggiunse, per poi voltarsi ed entrare di nuovo nella stanzetta dalla quale eravamo appena usciti.

Quando mi girai per proseguire verso gli spogliatoi mi accorsi che alcuni ragazzi nella stanza degli attrezzi mi stavano guardando. Tirai dritta per la mia strada, raccolsi le mie cose e uscii.

Non mi era piaciuto il tono usato da Jader. Mi aveva fatta sentire una ragazzina avvezza a fare scenate stupide quando invece io avevo tutto il diritto di essere incazzata dopo quello che aveva detto. Sembrava non rendersi nemmeno conto di quanto fosse insensibile. Mi aveva sbattuto in faccia il fatto che non volesse far sapere a nessuno di noi due con naturalezza e tranquillità e pretendeva che a me non importasse. E poi, cosa stava a significare quel "devi fidarti di me"? La faceva sembrare una cosa misteriosa.

Ero di nuovo in una situazione del cavolo, stavo cominciando a stancarmi sul serio.

A casa, mi infilai sotto il getto d'acqua bollente e provai a rilassarmi ma l'unica cosa che feci fu piangere. E piansi fino a quando non mi decisi ad uscire dalla doccia. Avevo gli occhi arrossati e sentivo una strana oppressione al petto. Passai con forza il pettine tra i capelli, avvilita, li legai e indossai una tuta.

Non avevo fame, però andai in cucina a preparare la cena per i miei genitori.

Il suono del campanello mi distrasse dall'esame che stavo facendo del contenuto del frigorifero. Sospirai ed andai ad aprire, mio padre dimenticava sempre le chiavi a casa.

‹‹Pà, hai dimenticato di nuovo le chia... Jader!›› pronunciai il suo nome quasi spaventata.

Lui mi sorrise. ‹‹Sei pronta?››

Un leggero rossore colorò le mie guance. ‹‹Ehm... credevo che non saresti più passato.››

Jader si passò una mano tra i capelli. ‹‹Posso entrare?››

‹‹Certo!›› mi feci da parte e lui entrò. Chiusi la porta e gli indicai il salotto. ‹‹Vieni, siediti.››

Lui non mi prestò ascolto, prese la mia mano e la strinse tra le sue. ‹‹Dafne, scusami per prima. Sono stato troppo duro. Non voglio che pensi che per me sia solo sesso, però resta fermo quello che ti ho detto. Lo so che non ne capisci il motivo, ti chiedo solo di fidarti di me. Non sarei qui se non me ne importasse nulla.››

Sì, non ne capivo proprio il motivo. Lui sembrava sincero, e poi era venuto fino a casa per scusarsi quando avrebbe potuto benissimo farmi una telefonata o mandarmi un messaggio.

Non sarei qui se non me ne importasse nulla.

Decisi di fidarmi.

Jader mi attirò a sé e mi accarezzò i capelli. ‹‹Se non ti va più di venire lo capisco.››

‹‹Perché non rimani qui? I miei rientreranno tra qualche ora. Mi daresti una mano a cucinare?››

‹‹Cucinare, eh...›› Jader rise e mi diede un bacio. Si sfilò il giubbotto e lo poggiò sul divano, poi mi seguì in cucina.

Tra baci, carezze ardite e risate riuscimmo a preparare la cena. In realtà fu Jader ad occuparsene. Mi confessò che a lui piaceva molto cucinare, lo aiutava a distrarsi e a scaricare la tensione. Io lo osservai e mi limitai ad apparecchiare la tavola e a sciacquare gli utensili sporchi.

Ero seduta sul piano della cucina e stavo baciando Jader quando la porta di casa si aprì ed entrò papà. Spinsi via Jader e mi affrettai a rimettermi in piedi.

‹‹Dafne, sei già a casa?›› Mio padre entrò in cucina e guardò Jader. ‹‹Oh, non sapevo avessimo ospiti, stasera.››

‹‹Papà, lui è...››

Jader andò incontro a mio padre e gli porse la mano. ‹‹Salve, io sono Jader e sono un amico di sua figlia.››

Papà gli strinse la mano e gli rivolse un sorriso caloroso. ‹‹Ciao, io sono Pietro. Ceni con noi?››

‹‹No, la ringrazio. Ero solo passato a salutare Dafne, sto andando via.››

‹‹Sicuro? A noi fa piacere.››

‹‹Magari la prossima volta.››

Si voltò verso di me che nel frattempo ero rimasta impalata ad osservare la scena. Ea la prima volta che io padre mi trovava a casa con un ragazzo ed ero parecchio imbarazzata. Jader invece sembrava perfettamente a suo agio e abbastanza tranquillo.

‹‹Ti accompagno›› dissi, avviandomi all'ingresso.

Dopo aver salutato mio padre, Jader mi raggiunse e prese il suo giubbotto. Lo infilò senza mai staccarmi gli occhi di dosso.

‹‹Ci sentiamo domani.››

Feci segno di sì con la testa, mi stampò un bacio sulla guancia ed aprì la porta.

‹‹Grazie per la cena.››

Jader sorrise e mi guardò per qualche secondo, mi strizzò l'occhio e andò via.

Chiusi la porta con il sorriso sulle labbra e mi girai per andare in cucina ma mi fermai quando vidi mio padre appoggiato allo stipite della porta, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni blu scuro. Strinse gli occhi su di me con fare divertito.

‹‹Era il tuo ragazzo?››

‹‹No.››

‹‹Vi state frequentando?››

‹‹Sì, cioè no. Forse.››

Papà rise. ‹‹Beh, è un bel ragazzo e sembra anche abbastanza educato›› mi fece l'occhiolino e andò a sedersi sul divano, il suo momento di relax prima della cena.

Io mi rintanai in camera e chiamai Vicky. Volevo fare quattro chiacchiere con la mia migliore amica.

Che bella sensazione provavo in quel momento.

Ero felice.

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